L'istituzione della Banca dati nazionale del DNA e del Laboratorio centrale per la Banca dati nazionale del DNA

Salvina Finazzo
27 Maggio 2016

Il 26 maggio 2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 122 il d.P.R. 87/2016, contenente il Regolamento sull'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA.
Inquadramento

In data 26 maggio 2016 è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 122 il decreto del Presidente della Repubblica 87 del 7 aprile 2016,contenente Regolamento recante disposizioni di attuazione della legge 30 giugno 2009, n. 85, concernente l'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 85 del 2009. Si tratta, in particolare, del regolamento per mezzo del quale è stata data attuazione – seppur con notevole ritardo – alla legge di ratifica del Trattato di Prüm, che, già nel 2009, aveva previsto l'istituzione di una banca dati centralizzata, finalizzata alla raccolta di profili genetici utili per l'identificazione di autori di reato, nonché per la ricerca di persone scomparse e per il riconoscimento di cadaveri o resti cadaverici.

Se nel dibattito dottrinale nazionale era stata più volte avanzata – e non di rado avversata – l'idea di creare una banca dati nazionale atta ad agevolare le attività investigative e di accertamento delle responsabilità penali, decisiva è stata la spinta esercitata dall'Unione europea, essendosi posto proprio in ambito sovranazionale il problema di rafforzare la cooperazione transfrontaliera, al fine di contrastare fenomeni criminali aventi, per l'appunto, dimensione sovranazionale, quali sono il terrorismo e la migrazione illegale. A tale scopo, infatti, il contributo investigativo fornito dall'attività di raccolta e di raffronto dei profili di DNA può rivelarsi decisivo (MUSUMECI, 14).

La matrice europeistica della normativa in materia, peraltro, si evince già dalla lettura del preambolo regolamento in esame, nel quale si fa espresso richiamo alle decisioni del Consiglio dell'Unione europea 2008/615/Gai e 2008/616/Gai, in tema di potenziamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera, alla decisione del Consiglio dell'Unione europea 2009/905/Gai, sull'accreditamento dei fornitori di servizi forensi che effettuano attività di Laboratorio a norma EN ISO/IEC 17025 e, infine, alla risoluzione del Consiglio dell'Unione europea 2009/C296/01, sullo scambio dei risultati delle analisi del DNA.

Oggi, dunque, la neoistituita Banca dati trova collocazione presso il Ministero dell'Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Servizio per il sistema informativo interforze della Direzione centrale della Polizia criminale, mentre il Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA è collocato presso il Ministero della giustizia, Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, Direzione generale dei detenuti e del trattamento.

Secondo quanto previsto dalla legge 85 del 2009, il regolamento introduce una disciplina dettagliata, che si preoccupa di indicare i casi nei quali è possibile procedere alla raccolta dei campioni biologici, alla loro tipizzazione e conservazione, nonché le modalità per mezzo delle quali tali operazioni devono essere svolte.

Organizzazione e funzionamento

In primo luogo, l'art. 3 del regolamento chiarisce come, per la gestione dei profili del DNA, il software della Banca dati è organizzato su due diversi livelli. Si distingue, infatti, un primo livello, destinato ad operare, a fini investigativi, in ambito nazionale, ed un secondo livello, mirato a soddisfare le esigenze di collaborazione internazionale di polizia, così come previsto dalle decisioni 2008/615/Gai e 2008/616/Gai sopra menzionate, nonché dagli artt. 10 e 12 della legge 85 del 2009 e, più dettagliatamente, dal Capo III della medesima legge, dedicato allo Scambio di informazioni e altre forme di cooperazione.

Sia con riferimento alla Banca dati, che in relazione al Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, il regolamento detta norme rigorose, volte a limitare il novero dei soggetti legittimati all'accesso ai dati ivi registrati. Non soltanto possono accedere alla Banca dati e al Laboratorio centrale solo operatori abilitati, secondo predefiniti profili di autorizzazione e previo superamento di una procedura informatica di autentificazione ma è, altresì, previsto un meccanismo di registrazione degli accessi, finalizzato a consentire la verifica della liceità dei trattamenti, degli accessi e delle operazioni effettuate, attraverso appositi file di log non modificabili, dei quali è ordinata la conservazione per ben vent'anni.

A tal proposito, merita menzione la previsione di cui all'art. 14 della legge 85 del 2009, che sanziona, con la reclusione da uno a tre anni, il pubblico ufficiale che comunica, o fa comunque uso di dati o informazioni in violazione delle disposizioni di cui al Capo II della medesima legge, ovvero quelle specificamente disciplinanti l'istituzione della Banca dati nazionale del DNA e del Laboratorio centrale. Si prevede, al comma 2, una riduzione di pena, qualora la condotta descritta al primo comma sia commessa con colpa, nel qual caso può essere inflitta la pena della reclusione fino a sei mesi (SCOLETTA, 129).

Data la particolare qualifica soggettiva richiesta in capo all'agente, il reato si presenta come proprio; ciò, quindi, conduce a ritenere che la fattispecie in oggetto non possa ritenersi integrata quando la condotta incriminata è realizzata dal personale addetto alla Banca dati nazionale e al Laboratorio, che, pure, ha facile accesso alle informazioni riservate relative ai profili genetici registrati. Tale vuoto di tutela può, tuttavia, essere colmato, facendo ricorso alla fattispecie descritta dall'art. 326 c.p., Rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio – qualora si ritenga che le figure professionali sopra richiamate possano essere qualificate quali incaricati di pubblico servizio – ovvero a quella di cui all'art. 622 c.p., Rivelazione di segreto professionale.

Queste previsioni, insieme a quelle che assegnano un ruolo centrale di vigilanza e controllo al Garante per la protezione dei dati personali, sono, evidentemente, destinate a garantire che il trattamento di dati sensibili, quali sono quelli inerenti al profilo genetico della persona umana, avvenga nel pieno rispetto dei diritti e delle libertà garantite a tutti i cittadini, sia dalla normativa nazionale, che da quella sovranazionale.

Un elevato tasso di tecnicismo connota, poi, la disciplina regolamentare relativa alle modalità di raccolta dei campioni biologici, alla trasmissione degli stessi al Laboratorio centrale, nonché alla loro conservazione. Tutto il procedimento si caratterizza per l'attenzione prestata, da un lato, alla necessità che la raccolta dei dati avvenga nel rispetto di standard riconosciuti dalla comunità scientifica internazionale e, dall'altro, che i risultati della tipizzazione del DNA non vengano alterati durante lo svolgimento della complessa procedura (COCITO, 92).

In particolare, l'art. 5 del regolamento prevede che l'acquisizione del materiale biologico debba avvenire mediante il prelievo di due campioni di mucosa orale, che può essere effettuato solamente nel caso in cui il soggetto non sia già stato sottoposto, precedentemente, a tale operazione, fatta salva l'ipotesi che il relativo campione biologico sia stato distrutto – ricorrendo le condizioni di cui all'art. 24 del regolamento medesimo – e siano nuovamente integrati i presupposti legittimanti il prelievo.

L'art. 9 della legge 85 del 2009, inoltre, stabilisce che tutte le operazioni inerenti alla raccolta del materiale biologico – delle quali occorre dare atto in apposito verbale – devono essere eseguite nel rispetto della dignità, del decoro e della riservatezza di chi vi è sottoposto.

Così prelevati i campioni biologici, questi devono essere inviati al Laboratorio centrale nel più breve tempo possibile, nel rispetto di una minuziosa procedura, che garantisce la celerità e la sicurezza della trasmissione e che si conclude con l'inserimento per via telematica del profilo del DNA nella Banca dati.

Con riferimento all'ipotesi di distruzione del materiale biologico, cui si è fatto cenno, questa deve avvenire immediatamente dopo la tipizzazione del campione, relativamente alla parte di questo che è già stata utilizzata. La restante parte, insieme al campione di riserva, deve essere conservata per un periodo di otto anni, per poi essere anche questa definitivamente distrutta.

Una volta estratto ed identificato il profilo del DNA, questo viene conservato per trent'anni dalla data di registrazione; tuttavia, la conservazione si protrae fino a quarant'anni, nel caso in cui il profilo genetico si riferisca a persone condannate, con sentenza irrevocabile, per uno o più dei reati per i quali la legge prevede l'arresto obbligatorio in flagranza, o per taluno di quelli di cui all'art. 407, comma 2, lettera a), c.p.p. Il prolungamento dei tempi di conservazione è previsto anche con riferimento all'ipotesi in cui il profilo genetico riguardi persone nei cui confronti, in sede di emissione di sentenza di condanna irrevocabile, sia stata ritenuta la recidiva.

Soggetti sottoponibili a prelievo di materiale biologico

Passando ad individuare quali soggetti – e a quali condizioni – possono essere sottoposti al prelievo di materiale biologico, l'art. 9, comma 1, della legge 85 del 2009 individua cinque distinte categorie:

a) soggetti ai quali è applicata la misura della custodia cautelare in carcere, o quella degli arresti domiciliari;

b) soggetti arrestati in flagranza di reato, o sottoposti a fermo di indiziato di delitto;

c) soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza di condanna irrevocabile per un delitto non colposo;

d) soggetti nei cui confronti sia applicata una misura alternativa alla detenzione, a seguito di sentenza irrevocabile per un delitto non colposo;

e) soggetti ai quali sia applicata una misura di sicurezza detentiva, sia essa provvisoria o definitiva (DEL COCO, 59).

Viene, altresì, specificato che il prelievo del materiale biologico può essere eseguito esclusivamente quando nei confronti di tali soggetti si procede per delitti non colposi, per i quali è consentito l'arresto facoltativo in flagranza e che, comunque, pur ricorrendo le condizioni sopra osservate, non è consentito effettuare il prelievo qualora il reato per il quale si procede rientri tra quelli espressamente eccettuati dall'art. 9, comma 2, legge 85 del 2009.

Si tratta, in particolare: dei reati di cui al Libro II, Titolo III, Capo I – tranne quelli di cui agli artt. 368, 371-bis, 371-ter, 372, 374 aggravato ai sensi dell'art. 375, 378 e 379 – e Capo II – tranne quello di cui all'art. 390 – del codice penale; dei reati di cui al Libro II, Titolo VII, Capo I – tranne quelli di cui all'art. 453 – e Capo II del codice penale; dei reati di cui al Libro II, Titolo VIII, Capo I – tranne quelli di cui all'art. 499 – e Capo II – tranne quello di cui all'art. 513-bis – del codice penale; dei reati di cui al Libro II, Titolo XI, Capo I, del codice penale; dei reati di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa; dei reati previsti dal codice civile; dei reati in materia tributaria, nonché, infine, dei reati previsti dal testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, di cui al decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58.

Si è già detto come, superati i termini di conservazione del materiale biologico, quest'ultimo debba essere distrutto; la sua distruzione, insieme alla cancellazione dei relativi profili biologici, inoltre, deve essere disposta d'ufficio nell'ipotesi in cui, nei confronti di quelle categorie di soggetti sia pronunciata sentenza definitiva di assoluzione, perché il fatto non sussiste, perché l'imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato, o perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

Ugualmente, deve procedersi alla cancellazione dei profili biologici raccolti una volta completate le operazioni di identificazione di cadavere, così come nel caso in cui la persona scomparsa, in relazione alla quale era stata svolta l'indagine, sia stata ritrovata (ABRUSCI, 112).

Organi di garanzia

Proprio al fine di salvaguardare le esigenze fondamentali di tutela della riservatezza delle persone sottoposte al prelievo di materiale biologico e alla relativa registrazione del profilo genetico, sia la legge 85 del 2009, che, di riflesso, il regolamento attuativo attribuiscono un ruolo centrale al Garante per la protezione dei dati personali ed al Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita.

Quest'ultimo, in particolare, è chiamato a garantire l'osservanza dei criteri e delle norme tecniche per il funzionamento del Laboratorio centrale e ad eseguire, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, apposite verifiche, formulando suggerimenti circa i compiti svolti, le procedure seguite, i criteri di sicurezza adottati e le garanzie previste, nonché con riferimento ad ogni altro aspetto ritenuto utile per il miglioramento del servizio.

Così, nell'adempimento dei compiti loro affidati, sia il Garante per la protezione dei dati personali che il Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita – negli anni successivi alla legge di ratifica del Trattato di Prüm ed ancor prima che tale legge ricevesse attuazione per il tramite del regolamento in esame – hanno svolto un'importante attività consultiva, volta all'individuazione di linee guida e severi parametri, attraverso i quali delimitare e circoscrivere le future competenze e le finalità da assegnare alla Banca dati nazionale e al Laboratorio centrale (PERRI, 154).

Peraltro, l'importanza riconosciuta ai profili di tutela della privacy si evince già dalla collocazione in apertura, all'art. 1 del regolamento, della disposizione che statuisce che il trattamento dei dati personali è effettuato nel rispetto della disciplina in materia di protezione dei dati personali, in conformità al Codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

L'attenzione posta ai profili della sicurezza, da un lato, e della riservatezza, dall'altro, si spiega agevolmente, se solo si riflette sulla natura supersensibile delle informazioni ricavabili dalla conoscenza del profilo genetico della persona umana; informazioni, queste, che non soltanto sono idonee a fornire dati personalissimi circa il soggetto cui direttamente appartiene quel profilo genetico, ma che sono in grado, altresì, di fornire dati relativi alle persone a questo legate da un rapporto di ascendenza e discendenza genetica. Sono evidenti, dunque, i pericoli che potrebbero derivare da un uso arbitrario di tali informazioni.

In conclusione

Esaminato il contenuto essenziale della d.P.R. 87/2016 – che, insieme alla legge cui dà attuazione, delinea il quadro normativo di riferimento oggi vigente in materia di raccolta e registrazione di profili genetici a fini investigativi – è possibile svolgere qualche considerazione conclusiva. In questa materia, infatti, entrano in gioco valori contrapposti, che richiedono di essere bilanciati tra loro, così da garantire la soddisfazione delle differenti esigenze sottostanti, senza che nessuna venga eccessivamente sacrificata o, addirittura, irreparabilmente compromessa.

In primo luogo, la necessità di tutelare la riservatezza personale – avvertita in maniera particolarmente pregnante con riferimento alle informazioni relative al profilo genetico dell'individuo – si scontra con un altro diritto fondamentale garantito dall'ordinamento, qual è il diritto alla prova nel processo penale, che si sostanzia nel diritto di tutte le parti processuali di ricercare le fonti di prova, di chiedere l'ammissione dei relativi mezzi di prova nel corso del procedimento, di prendere parte alla loro assunzione e di offrire al giudice una valutazione degli stessi, nel rispetto dei limiti imposti dalla legge ed in condizione di parità con l'altra parte processuale.

A tal proposito, la Corte costituzionale, nella nota sentenza n. 238 del 1996, ha affermato che le ragioni relative alla giustizia penale, consistenti nell'esigenza di acquisizione della prova del reato, finalizzata al suo accertamento, costituiscono un valore primario, sul quale si fonda ogni ordinamento ispirato al principio di legalità (NAPPI, 2150; TONINI, 570).

Allo stesso tempo, la gravità intrinseca alla sanzione penale, in grado di comprimere, più di ogni altra, la libertà e l'onore della persona, impone che sia consentito all'imputato di resistere alla sua inflizione, assicurandogli il più ampio diritto di difesa possibile e, più specificamente, il diritto di difendersi provando.

La necessità di ricercare un punto di equilibrio tra l'opportunità di avvalersi del fondamentale contributo investigativo ricavabile dal dato genetico, da un lato, e l'esigenza di garantire sufficiente tutela alla privacy individuale, dall'altro, non sembra essere stata ignorata dal legislatore del 2009, il quale, nel ratificare il Trattato del 27 maggio 2005, si è premurato di prevedere numerose norme a garanzia della riservatezza, che hanno, poi, trovato attuazione nel regolamento.

Anzitutto, come si è avuto modo di osservare, viene individuato un numerus clausus di reati, in relazione ai quali è possibile il prelievo di materiale biologico, nonché delle precise categorie di soggetti nei confronti dei quali esso è consentito.

A questa prima scrematura, effettuata sulla base di una valutazione di gravità dei fatti per i quali si procede, si aggiunge la garanzia dell'anonimato iniziale del soggetto cui si riferisce il dato genetico, prevedendosi che il profili del DNA e i campioni di materiale biologico non possano contenere informazioni che consentano l'identificazione diretta della persona cui essi appartengono. Si assicura, altresì, che il dato genetico raccolto e tipizzato sia tale da non consentire la conoscenza di eventuali patologie a carico del soggetto sottoposto a prelievo.

Ancora, la conservazione dei profili genetici è limitata ad un preciso lasso temporale e, comunque, deve cessare immediatamente, non appena essa non sia più necessaria a soddisfare le esigenze investigative che ne avevano legittimato la raccolta, come avviene nel caso in cui la persona scomparsa sia stata ritrovata, i resti cadaverici siano stati identificati, ovvero sia stata emanata sentenza di assoluzione in favore dell'imputato.

Di particolare rilievo, poi, è l'art. 3 del regolamento, in virtù della quale, non soltanto il potere di accesso alla Banca dati nazionale è attribuito ad una ristretta cerchia di soggetti ma, per di più, è previsto un meccanismo di registrazione che consente di risalire, anche a distanza di tempo, agli accessi effettivamente realizzati.

Non può essere trascurata, infine, la portata deterrente che, auspicabilmente, verrà esercitata dalla speciale figura criminis, introdotta dall'art. 14 della legge 85 del 2009, allo scopo precipuo di sanzionare l'utilizzo arbitrario di informazioni relative ai profili genetici contenuti nella Banca dati.

L'analisi di queste previsioni, insieme al ruolo di controllore affidato al Garante per la protezione dei dati personali e, per quanto riguarda gli aspetti tecnico-scientifici, al Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita, consentono di escludere la sussistenza, ad oggi, di un concreto ed attuale pericolo per la riservatezza individuale, se non nei ristretti limiti in cui questo è imposto – e deve, pertanto, essere tollerato – da altrettanto imprescindibili esigenze di pieno accertamento dei fatti penalmente rilevanti, proprie del processo penale.

Guida all'approfondimento

Con specifico riferimento alla legge di ratifica del Trattato di Prüm, nonché, più in generale, all'istituto della Banca dati nazionale del DNA, si vedano:

ABRUSCI, Cancellazione dei profili e distruzione dei campioni, in Marafioti e Lupària (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010, 112;

COCITO, Parametri internazionali e affidabilità dei laboratori nelle analisi dei reperti e campioni, in Marafioti e Lupària (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010, 92;

COLOMBO, La banca dati del DNA in Italia: prime considerazioni nel panorama europeo, alla luce del regolamento attuativo, in Cass. pen., 2016, 375;

DEL COCO, Il prelievo dei campioni biologici, in Marafioti e Lupària (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010, 59;

FANUELE, Dati genetici e procedimento penale, Padova, 2009;

MUSUMECI, La ratifica del Trattato di Prüm, in Marafioti e Lupària (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010, 14;

PERRI, Le istituzioni di garanzia, in Marafioti e Lupària (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010, 148;

SCOLETTA, La tutela penale dei dati e delle informazioni genetiche, in Marafioti e Lupària (a cura di), Banca dati del DNA e accertamento penale, Giuffrè, 2010, 129;

TONINI, Manuale di procedura penale, XVI ed., Giuffrè, 2015.

A commento della sentenza n. 238, del 27 giugno 1996, della Corte costituzionale sia consentito rinviare a: NAPPI, Sull'esecuzione coattiva della perizia ematologica, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, 2150, e RUOTOLO, Il prelievo ematico tra esigenza probatoria di accertamento del reato e garanzia costituzionale della libertà personale. Note a margine di un mancato bilanciamento tra valori, ivi, 2151.

Con riferimento all'attività del Garante per la protezione dei dati personali e del Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita, si vedano ELLI –ZALLONE, Il nuovo codice della privacy. Commento al d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, Torino, 2004.

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