La natura giuridica della preterintenzione
28 Aprile 2016
Abstract
L'inquadramento dogmatico della preterintenzione impone alcune riflessioni sistematiche di carattere preliminare: la disciplina posta dagli artt. 42 e 43 c.p., invero, sembra considerare la categoria in esame come una forma autonoma ed intermedia (tra il dolo e la colpa) di imputazione soggettiva dei delitti; un tertium genus distinto, altresì, dalla responsabilità oggettiva. Nei paragrafi successivi verranno passati brevemente in rassegna i diversi orientamenti proposti per dare soluzione alla questione della struttura dell'illecito preterintenzionale; pressoché granitica, ad ogni modo, appare la posizione della giurisprudenza di legittimità. Le teorie sulla natura della preterintenzione
Quanto alla struttura della preterintenzione, l'impostazione richiamata in precedenza, fedele nella valorizzazione del dato normativo, è stata criticata da coloro i quali sostengono, all'opposto, che tra la volontà (dolo) e la non volontà (colpa) tertium non datur. In questo senso si tende a negare l'autonomia ontologica della preterintenzione, affermando che l'unica differenza rispetto al dolo risiederebbe nel fatto che l'azione voluta cagiona un evento che cade oltre l'intenzione: la volontà dell'autore, in ogni caso, “lambirebbe” anche l'evento più grave realizzato. Si consideri, del resto, che i diversi progetti di riforma del codice penale hanno assunto posizioni sostanzialmente nichilistiche con riferimento alla categoria in discorso, proponendo, come uniche forme della responsabilità penale il dolo e la colpa: cfr. Pagliaro 1992, artt. 12 e 59; Grosso 2001, artt. 27, 28 e 31; Nordio 2005, artt. 18 e 21; Pisapia 2006, artt. 3 e 16. In questa scia, numerosi orientamenti negano che il delitto preterintenzionale costituisca un autonomo modello di responsabilità, e ne ricostruiscono la struttura, piuttosto, in termini di:
Tale conclusione, peraltro, ha imposto di affrontare l'ulteriore questione della compatibilità del concetto penalistico di colpa nell'ambito di attività illecite di base: mentre secondo alcuni sarebbe possibile rinvenire anche in capo a chi versa in re illicita delle regole cautelari dal contenuto necessariamente generico, altri ritengono incoerente e contraddittorio un tale approdo ermeneutico. Quest'ultima dottrina, pertanto, nel ricostruire il delitto preterintenzionale, affianca al dolo del reato sussidiario non propriamente la colpa ex art 43 c.p., bensì i canoni della prevedibilità ed evitabilità dell'evento. Accedendo a siffatto orientamento, tuttavia, emergerebbero profili di incostituzionalità della disposizione con riferimento ai principi di legalità e colpevolezza quoad poenam: invero, il trattamento sanzionatorio emergente dal delitto sussidiario doloso, in concorso con quello per l'omicidio colposo (ancorché aggravato ex art. 61, n. 3 c.p. dalla previsione dell'evento-morte), risulterebbe nettamente inferiore alla pena astrattamente comminabile per l'omicidio preterintenzionale. Coerentemente con l'impostazione in esame, la fattispecie preterintenzionale viene talvolta richiamata al fine ricondurvi talune delle ipotesi di reato qualificato dall'evento, almeno quelle con delitto-base doloso. In questo modo, ricostruendo le figure residue come reati circostanziati (con relativa applicazione della disciplina di cui all'art. 59 c.p.), si intende rendere pienamente compatibile con il principio costituzionale di colpevolezza la categoria di illeciti in discorso.
In conclusione
La giurisprudenza, dal canto suo, ha da tempo assunto un atteggiamento particolarmente rigoroso, escludendo tanto la tesi del dolo misto a responsabilità oggettiva, quanto quella del dolo misto a colpa in concreto (la legge, del resto, non richiede che l'evento più grave sia dovuto a negligenza, imprudenza o imperizia), affermando, al contrario, quanto segue: l'elemento soggettivo dell'omicidio preterintenzionale è costituito unicamente dal dolo di percosse o lesioni (concezione autonomista), in quanto la disposizione di cui all'art. 43 c.p. assorbe la prevedibilità dell'evento più grave nell'intenzione di risultato, superata solo in ragione della maggiore gravità dell'esito occorso. La valutazione relativa alla prevedibilità dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto de quo sarebbe nella stessa legge, essendo assolutamente probabile che da un'azione violenta contro la persona possa derivare la morte della stessa (Cass. pen., n. 791/2012, nonché Cass. pen., n. 27161/2013 e Cass. pen., n. 35582/2012). Un consistente argomento a favore di questa posizione andrebbe rinvenuto nel fatto che la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 3 c.p. riguarda i soli delitti colposi: in quelli preterintenzionali, pertanto, la previsione dell'evento sarebbe un elemento costitutivo, non circostanziale, della fattispecie. Viene altresì valorizzata la ratio della fattispecie in esame, la quale risiederebbe nell'esigenza di porre una difesa avanzata al bene della vita dei consociati, nella considerazione che non raramente da atti diretti a percuotere o ferire può sopravvenire, naturalisticamente (ancorché involontariamente), la morte del soggetto passivo. Infine, la giurisprudenza rimarca la netta differenza esistente tra l'omicidio preterintenzionale e l'ipotesi di cui all'art. 586 c.p.: solo nel primo caso, invero, sarebbe riscontrabile una stretta relazione eziologica e funzionale tra il delitto sussidiario e l'evento-morte, tale per cui sussisterebbe sempre una progressione minus ad maius. |