Reati ambientali e Riforma penale: un più intenso dialogo tra pubblici ministeri e pubbliche amministrazioni?

Maria Hilda Schettino
28 Luglio 2017

Pur andando oltre i principi ispiratori della Riforma Orlando, la l. 103 del 2017 ha previsto una modifica dell'art. 129, comma 3-ter, disp. att. c.p.p. relativo alle informazioni sull'azione penale in materia di reati ambientali.
Abstract

Pur andando oltre i principi ispiratori della Riforma Orlando, la l. 103 del 2017 ha previsto una modifica dell'art. 129, comma 3-ter, disp. att. c.p.p. relativo alle informazioni sull'azione penale in materia di reati ambientali.

L'Autore, dopo un inquadramento di carattere generale sulle ragioni della riforma dei delitti contro l'ambiente ai sensi della l. 68 del 2015, che ha introdotto il Titolo VI bis all'interno del codice penale, verificherà l'impatto di tale modifica nei procedimenti per reati ambientali.

Dei delitti (ambientali) e delle ... riparazioni

L'esigenza di contrastare in modo più incisivo un fenomeno criminale di grave allarme sociale, sia per le conseguenze sull'incolumità fisica dei cittadini, sia per i sempre più frequenti collegamenti fra tali tipologie criminose e gli interessi della criminalità organizzata nazionale e internazionale, ha spinto il Legislatore ad introdurre, con la l. 68 del 2015, il Titolo VI-bis (Dei delitti contro l'ambiente) all'interno del codice penale.

Viste la dimensione e la pervasività dei reati contro l'ambiente, qualificato dalla Corte costituzionale quale diritto fondamentale della persona umana già con la sentenza n. 210 del 1987, era diventato necessario introdurre nel sistema penale un gruppo omogeneo di norme poste a sua tutela, superando la pluralità di regolamentazioni disorganiche sparse in diversi testi di legge, che rendevano estremamente difficoltosa la percezione di esse sia da parte del cittadino che da parte dell'interprete.

Fino ad allora, infatti, il quadro normativo penale in materia di ambiente era prevalentemente contenuto nel d.lgs. 152 del 2006 (c.d. codice dell'ambiente), strutturato su reati di pericolo astratto, posti generalmente in essere al superamento di valori-soglia e di natura contravvenzionale, con la conseguente possibilità di ricorrere alla via di fuga dal processo e dalla condanna attraverso l'istituto dell'oblazione.

Il Legislatore del 2015, invece, mosso dall'intento di realizzare un intervento preventivo e repressivo più efficace – anche a causa delle pressioni comunitarie – ha deciso di affiancare alle precedenti fattispecie di natura contravvenzionale altre fattispecie di natura delittuosa, con la previsione di pene principali più gravi e la conseguente applicabilità di pene accessorie, effetti penali ed effetti extra penali della condanna, per dare il senso che le violazioni ambientali erano caratterizzate da un maggiore disvalore sociale e, inoltre, per evitare che entrassero in funzione quei meccanismi prescrizionali tanto frequenti nelle contravvenzioni.

Ciò ha determinato anche la necessaria mutazione della struttura della fattispecie che da reato di pericolo astratto diventa reato di pericolo concreto, fino all'introduzione di forme di reato di danno, previsto in specifiche circostanze aggravanti, seguendo il paradigma del reato aggravato dall'evento.

Inoltre, la legge di riforma dei reati ambientali ha confermato e ampliato la responsabilità amministrativa da reato degli enti, introdotta sono con il d.lgs. 121 del 2011, modificando l'art. 25-undecies del d.lgs. 231 del 2001.

Le modifiche di diritto sostanziale sono state seguite anche da ricadute di diritto processuale poiché dalla natura delittuosa di questi reati discende un procedimento penale più complesso, che passa per la fase dell'udienza preliminare e nel quale vi è un maggiore spazio per accertamenti tecnici ripetibili o non, per sequestri probatori e preventivi e per le relative impugnazioni davanti al Tribunale del Riesame e alla Corte di cassazione, per incidenti probatori, per perizie, per confronti tra consulenti e periti, per costituzioni di parti civili di soggetti lesi da un danno patrimoniale o non patrimoniale e chiamate in causa di responsabili civili e di civilmente obbligati.

Questa rinnovata sensibilità verso il “diritto fondamentale” a vivere in un ambiente più salubre ha, infatti, posto al centro della tutela garantita dal legislatore, non solo la repressione penale dei colpevoli, ma soprattutto la riparazione del danno ambientale cagionato.

Vengono, infatti, introdotte diverse disposizioni orientate in tal senso come la circostanza attenuante del ravvedimento operoso (art. 452-decies c.p.), la destinazione dei beni confiscati alla bonifica dei luoghi (art. 452-undecies c.p.), la “condanna” al ripristino dello stato dei luoghi (art. 452-duodecies c.p.) e il reato di omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.).

Inoltre, sempre a tal riguardo, vale la pena di menzionare anche la l. 97 del 2013 che ha regolamentato le procedure per il risarcimento del danno ambientale - modificando l'art. 311 del D.lgs. n. 152 del 2006, rubricato Azione risarcitoria in forma specifica” - e rappresenta un inequivocabile segnale di come la sanzione penale sia subordinata rispetto alla bonifica e al ripristino dei luoghi.

D'altronde questa direzione era già stata segnata a livello europeo dalla direttiva 2004/35/CA (Direttiva del Parlamento europeo e del consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale), secondo la quale il profilo risarcitorio doveva essere considerato subordinato rispetto alla riparazione quale conseguenza della peculiarità del danno al bene “ambiente”.

Anche la Consulta si è uniformata a questa tendenza dichiarando che un eventuale risarcimento per equivalente pecuniario sarebbe possibile esclusivamente se le misure di riparazione del danno all'ambiente venissero in tutto o in parte omesse, o venissero attuate in modo incompleto o difforme rispetto a quelle prescritte ovvero risultassero impossibili o eccessivamente onerose (Corte cost. n. 126 del 2016).

Informazioni sull'azione penale in materia di reati ambientali

In linea con lo scopo di garantire in prima istanza la riparazione del danno ambientale, il citato art. 311 d.lgs. 152 del 2006, attribuisce al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il potere di agire, anche esercitando l'azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, solo se necessario, per equivalente patrimoniale.

Ed è proprio per favorire l'intervento della pubblica amministrazione che l'art. 4 del d.l. 136 del 2013 (Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate), convertito con modificazioni nella l. 6 del 2014 e adottato per contrastare la grave situazione di emergenza ambientale nel territorio compreso tra le Province di Napoli e Caserta, interessato dal fenomeno dei roghi di rifiuti tossici, la cd. "Terra dei fuochi", ha integrato l'art. 129 disp. att. c.p.p. (Informazioni sull'azione penale) con un nuovo comma 3-ter, attribuendo ulteriori obblighi di informazione al Pubblico Ministero in sede di esercizio dell'azione penale.

Nella sua formulazione previgente l'art. 129 citato prevedeva che, quando esercitava l'azione penale nei confronti di un impiegato dello Stato o di altro ente pubblico, il Pubblico Ministero informava l'autorità da cui l'impiegato dipendeva, dando notizia dell'imputazione. Quando si trattava di personale dipendente dai servizi per le informazioni e la sicurezza militare o democratica, ne dava comunicazione anche al comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato (comma 1).

Quando l'azione penale era, invece, esercitata nei confronti di un ecclesiastico o di un religioso del culto cattolico, l'informazione veniva inviata all'Ordinario della diocesi a cui apparteneva l'imputato (comma 2).

Se l'azione penale era esercitata per un reato che aveva cagionato un danno erariale, il pubblico ministero informava il procuratore generale presso la Corte dei conti (comma 3).

Il pubblico ministero inviava l'informazione contenente l'indicazione delle norme di legge che si assumevano violate anche quando taluno dei soggetti indicati nei commi 1 e 2 era stato arrestato o fermato ovvero si trovava in stato di custodia cautelare (comma 3-bis).

Con l'introduzione del comma 3-ter sono, dunque, estesi gli obblighi di informazione previsti in capo al pubblico ministero dall'articolo 129 anche nel caso in cui vengano commessi i reati previsti dal codice dell'ambiente di cui al d.lgs. 152 del 2006, nonché i reati previsti dal codice penale o da leggi speciali comportanti un pericolo o un pregiudizio per l'ambiente.

Tale disposizione è finalizzata a garantire un efficace coordinamento tra la magistratura procedente e le autorità pubbliche competenti ai fini dell'adozione dei provvedimenti necessari alla salvaguardia dell'ambiente e della salute pubblica.

È, infatti, previsto che il pubblico ministero, al momento di esercitare l'azione penale per reati ambientali, ai sensi dell'articolo 405 c.p.p., debba informare:

  • il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la Regione interessata dal reato se quest'ultimo è tra quelli contemplati dal codice dell'cmbiente ovvero se si tratta di un reato previsto dal codice penale o da leggi speciali ed arrechi un pericolo o un pregiudizio per l'ambiente;
  • il Ministero della salute o il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali se l'azione penale riguarda uno dei predetti reati che comporti, rispettivamente, un concreto pericolo alla tutela della salute o alla sicurezza agroalimentare.

Secondo quanto previsto dal terzo periodo del comma 3-ter, nell'informazione all'autorità amministrativa devono essere indicate le norme di legge che si ritengono violate.

E' importante sottolineare che il flusso di informazioni dal processo penale procede con la trasmissione, per estratto, delle sentenze e degli altri provvedimenti definitori di ciascun grado di giudizio, cosicché́ l'ente amministrativo non possa dire di non essersi attivato per carenza di informazioni e, in tal modo, garantire all'interesse pubblico all'ambiente una tutela non differita.

Infine, l'ultimo periodo del comma 3-ter specifica che, nelle more del procedimento (i.e. processo) penale, i procedimenti di competenza dei Ministeri dell'ambiente, della salute o delle politiche agricole e alimentari o delle Regioni, che abbiano ad oggetto, in tutto o in parte, i fatti per i quali procede l'autorità giudiziaria, possono essere avviati o proseguiti.

Tuttavia, è fatta salva la facoltà, per le infrazioni di maggiore gravità – sanzionate con la revoca di autorizzazioni o la chiusura di impianti – e quando risulti di particolare complessità l'accertamento dei fatti addebitati, di sospendere il procedimento amministrativo fino al termine di quello penale, salva la possibilità di adottare strumenti cautelari.

La novità normativa introdotta dal d.l. 136 del 2013 pone, dunque, anche una nuova disciplina di coordinamento tra procedimento amministrativo e procedimento penale in materia ambientale.

Se non emergono rilevanti mutamenti nei casi di infrazioni meno gravi, in quanto il comma 3-ter rinvia alle norme vigenti e, quindi, ai casi in cui è espressamente prevista la sospensione del procedimento, in pendenza del processo penale, una significativa innovazione è stata, invece, introdotta con riferimento alle ipotesi di infrazioni di maggiore gravità, sanzionate come visto con la revoca e con la chiusura dell'impianto, nei casi in cui risulti di particolare complessità l'accertamento dei fatti addebitati.

In questi casi, infatti, la norma conferisce all'amministrazione il potere discrezionale di sospendere i termini di conclusione del procedimento, fino alla conclusione del procedimento penale e, pertanto, senza che sia necessaria la previsione di una data certa in relazione alla sospensione dei termini.

Conseguentemente, il procedimento amministrativo potrebbe legittimamente rimanere sospeso per anni, considerati i più lunghi tempi della giustizia penale, in attesa che proprio il giudice penale decida.

Di conseguenza, il comma 3-ter sembrerebbe introdurre una deroga generale all'art. 2 della l. 241 del 1990, in base al quale l'amministrazione ha l'obbligo di concludere il procedimento in tempi certi, prevedendo il potere discrezionale dell'Amministrazione di sospendere il procedimento sine die, pur tuttavia residuando il potere dell'Amministrazione stessa di ricorrere all'adozione di strumenti cautelari in sede statale o regionale, quale – ad esempio – la sospensione dell'autorizzazione o dell'attività ai sensi dell'art. 21-quater, l. 241 del 1990.

Le novità della Riforma Orlando

Pur andando oltre l'intento del legislatore della riforma, diretto a recuperare il processo penale ad una durata ragionevole, il comma 73 dell'unico grande articolo di cui si compone la l. 103 del 2017, recante Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario, pubblicato in Gazzetta ufficiale lo scorso 4 luglio, apporta delle modifiche al comma 3-ter dell'art. 129 disp. att. c.p.p.

La novella normativa è volta a rimediare ad alcune incoerenze rilevate all'interno della norma, in considerazione della poca omogeneità tra il testo del comma 3-ter rispetto a quello del comma 1.

Infatti, mentre in relazione all'obbligo di comunicazione dell'esercizio dell'azione penale nei confronti di un dipendente pubblico, il Pubblico Ministero è stato da sempre tenuto a dare notizia dell'imputazione, con riguardo ai reati ambientali era indicato solo l'obbligo di riferire alle amministrazioni coinvolte quali fossero le norme di legge violate.

Una siffatta prescrizione non è stata ritenuta adeguata allo scopo perseguito dalla norma, giacché impediva all'autorità amministrativa di effettuare una reale valutazione in ordine alla gravità del fatto contestato ed adottare le dovute misure per provvedere alla riparazione del pregiudizio causato all'ambiente.

Pertanto, al primo periodo del comma 3-ter è stato aggiunto l'obbligo per il pubblico ministero di dare notizia dell'imputazione alle pubbliche amministrazioni interessate dai reati ambientali e, di conseguenza, è stato soppresso il terzo periodo che prevedeva l'indicazione delle norme di legge violate all'interno dell'informazione stessa.

In un primo momento, il d.d.l. giustizia aveva previsto anche la soppressione dei periodi – quinto e sesto – del comma 3-ter regolanti i rapporti tra procedimento penale e procedimento amministrativo in materia ambientale al fine di una più opportuna collocazione in altra sede, come ad esempio nelle specifiche disposizioni regolanti la materia dei procedimenti amministrativi di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Tuttavia, nel corso delle varie letture parlamentari tale previsione è venuta meno, per cui la disciplina di raccordo tra il procedimento penale e quello amministrativo resta immutata.

In conclusione

La modifica dell'art. 129, comma 3-ter, disp. att. c.p.p. effettuata dalla Legge Orlando, pur esulando dai principi che originariamente avevano ispirato la riforma, sembra effettivamente garantire un più intenso dialogo tra le pubbliche autorità, finalizzato ad un intervento maggiormente tempestivo e consapevole delle pubbliche amministrazione lese dalla commissione di reati ambientali, nonostante questa norma resti comunque un precetto senza sanzione in caso di inadempimento del Pubblico Ministero.

L'aver preservato gli ultimi due periodi del comma 3ter potrebbe essere interpretato come una disposizione che guarda con favore all'attività di impresa.

Il legislatore sembra dare atto del fatto che l'iniziativa economica privata si svolge ormai essenzialmente in forma societaria. E, se da un lato sono proprio le imprese le principali autrici dei più grandi “disastri” ambientali – ed è proprio per questo che la l. 68 del 2015 è intervenuta sia ampliando il novero dei reati presupposto dell'art. 25-undecies, d.lgs. 231 del 2001, sia prevedendo l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie per centinaia di quote e di sanzioni interdittive – dall'altro, la grave crisi economica che ha colpito l'Italia negli ultimi anni giustifica misure che cercano di salvaguardare quell'attività di impresa.

La ratio di una tale norma sembrerebbe essere il voler favorire le imprese nei cui confronti sia stato avviato un procedimento ex d.lgs. 231 del 2001 in relazione a reati ambientali nelle ipotesi di infrazioni di maggiore gravità, attribuendo ai Ministeri e alle Regioni il potere discrezionale di non impedire alle imprese stesse di continuare ad esercitare la propria attività fino al termine del procedimento penale, fatta salva in ogni caso l'adozione di provvedimenti di sequestro da parte del giudice penale, anche al fine di consentire il ripristino dello status quo ante attraverso opere di risanamento ambientale.

Guida all'approfondimento

In dottrina sul tema: Scarcella A., Campania sì, Campania no, la terra dei fuochi....: dal decreto alla legge di conversione, in Ambiente e sviluppo, 2014, 4, 257; Milone A., I rapporti tra procedimento amministrativo in materia ambientale e processo penale dopo la legge n. 6/2014, in Ambiente e sviluppo, 2014, 11, 806; Ruga Riva C., Diritto Penale dell'Ambiente, Torino, 2016; Dell'Anno P., Diritto dell'Ambiente, Milano, 2016; Corso P., La normativa penale dell'ambiente nei suoi riflessi processuali penali, in Archivio Penale n. 2/2017; Zirulia S. - Matarrese L., Il Governo presenta alla Camera un articolato pacchetto di riforme del codice penale, del codice di procedura penale e dell'ordinamento penitenziario, in www.dirittopenalecontemporaneo.it del 15 gennaio 2015.

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