Il valore probatorio del verbale
29 Gennaio 2016
Abstract
Nel codice di procedura penale del 1930 l'art. 158 attribuiva al verbale di un atto del procedimento un valore fidefacente e cioè, finché non fosse stato invalidato mediante lo speciale meccanismo processuale incidentale previsto dagli artt. 215-218 dello stesso codice, esso costituiva attestazione incontrovertibile rispetto ai fatti che il pubblico ufficiale aveva dichiarato di aver compiuto o essere avvenuti in sua presenza. Il codice di procedura penale del 1988, oltre a non contenere alcuna norma che attribuisca al contenuto del verbale valore probatorio, ha eliminato il valore fidefacente del verbale ed ha abolito l'incidente di falso, in stretto rapporto con l'eliminazione della pregiudizialità penale prevista dall'art. 18 del codice di rito penale abrogato. È, quindi, discussa, sia in dottrina che in giurisprudenza, l'efficacia probatoria del verbale nel processo penale. I dubbi della dottrina sul riconoscimento del valore probatorio del verbale nel processo penale
Il valore probatorio che l'art. 2700 c.c. attribuisce al verbale quale atto pubblico opera certamente nel contesto del diritto penale sostanziale (A. Nappi, Documentazione degli atti processuali, in Dig. disc. pen., vol. IV, Torino, 1990, p. 165), così come in ambiti processuali diversi da quello penale. Viceversa, è discusso se il valore probatorio sia riconosciuto anche nel processo penale e se, quindi, determini o meno un vincolo probatorio anche nei confronti del giudice penale. La dottrina non è unanime e si attesta su posizioni differenti. Da un lato, vi è chi sostiene che, non essendo stato riprodotto nel codice di rito penale vigente l'incidente di falso, soprattutto per ragioni di economia processuale che sconsigliano l'introduzione di procedimenti incidentali caratterizzati dalla pregiudizialità penale (G. P. Voena, Atti, in Compendio di procedura penale, a cura di G. Conso – V. Grevi – M. Bargis, Padova, 2014, p. 217), nonostante le resistenze manifestate dalla giurisprudenza, al giudice penale spetterebbe soltanto di valutare liberamente i fatti attestati o le dichiarazioni contenute nel verbale, così come per ogni altro documento pubblico (F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2012, p. 347), non avendo il verbale funzioni probatorie, ma meramente rappresentative e conservative (F. Cervetti, Verbale (dir. proc. pen.), in Enc. dir., vol. XLVI, Milano, 1963, p. 615). Dall'altro, non manca chi ritiene che il verbale continui a godere di fede privilegiata, giacché la valutazione della falsità compiuta nel giudizio principale dipende da una denuncia di falso, in assenza della quale il verbale conserva valore fidefacente (M. Chiavario, La riforma del processo penale, Torino, 1990, p. 215). Inquadrata la questione all'interno della disciplina codicistica sulle questioni incidentali (artt. 2, 478, 479 c.p.p.) (E. Marzaduri, Sub art. 2, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, vol. I, Torino, 1989, p. 75), e ritenuto che il silenzio della vigente disciplina in ordine alla fede privilegiata del verbale e l'eliminazione dell'istituto di incidente di falso non determinino ricadute sul valore probatorio del verbale, che può fare fede anche di quanto compiuto da soggetti diversi dal pubblico ufficiale e di ciò che viene constatato e descritto (N. Galantini, Sub art. 2, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. Amodio – O. Dominioni, vol. II, Milano, 1990, p. 131), la vera differenza rispetto al passato in ambito penale va individuata nel fatto che per la dichiarazione di falsità del verbale stesso non sarebbe più necessario instaurare un giudizio autonomo, potendo il giudice riconoscere, ex art. 2, di ogni questione da cui dipenda la decisione del processo, di guisa che, affinché venga meno il vincolo probatorio determinato dal verbale, sarà necessario che le parti, o lo stesso giudice, sollevino una questione di falso (G. Reynaud, Documentazione degli atti del procedimento, in Atti del procedimento penale. Forma e struttura, a cura di E. Marzaduri, Torino, 1996, p. 89). Segue. Gli orientamenti giurisprudenziali
Anche in giurisprudenza l'orientamento non è unanime. Da un lato, rilevando che il vigente codice di rito penale non contempla l'istituto dell'incidente di falso, che disciplinava, come è noto, l'impugnazione di un atto o di un documento del processo denunziato di falsità, né riproduce l'art. 158 del codice abrogato, che attribuiva, come del pari è noto, al processo verbale il valore di atto pubblico di fede privilegiata, è stato ritenuto che, in virtù della nuova disciplina, ogni questione da cui dipenda la definizione del processo debba essere risolta dal giudice, secondo lo schema normativo delle questioni pregiudiziali. Pertanto, è stato precisato che le contestazioni circa l'attendibilità dei processi verbali e delle altre forme consimili di documentazione vanno risolte nell'ambito del processo principale, alla stregua di ogni altra questione, sia pure con i limiti di cui all'art. 2, comma 2, del codice di rito penale (Cass. pen., Sez. V, 10 gennaio 1994, n. 123); ed è stato, altresì, ritenuto che, qualora venga lamentata la falsità di un verbale di dibattimento, il giudice non può né disattendere il contenuto della denuncia sul rilievo della valenza documentale dell'atto a norma dell'art. 2700 c.c., né sospendere il procedimento, stante l'esclusione di una pregiudiziale penale, ma deve verificare la fondatezza della questione e decidere su di essa, in via incidentale nell'ambito del procedimento stesso, senza che la sua decisione faccia stato in altro processo e perciò possa pregiudicare l'accertamento eventuale di responsabilità per il delitto di falso (Cass. pen., Sez. V, 2 ottobre 2002, n. 38240). Dall'altro, sostenendo che la natura fidefacente del verbale non sia venuta meno ma addirittura sia prevista dall'art. 139, comma 3, è stato affermato che il verbale del dibattimento, redatto dall'ausiliario del giudice, fa piena prova del suo contenuto nei limiti fissati dall'art. 2700 del codice civile (Cass. pen., Sez. I, 1 aprile 2004, n. 20993). In altri termini, che il verbale di udienza fa piena prova fino a querela di falso, in quanto il codice di rito penale del 1988, pur non prevedendo più l'istituto dell'incidente di falso, non ha innovato al riguardo il regime di efficacia dell'atto pubblico qual è sancito dall'art. 2700 del codicecivile. Infatti, il cosiddetto incidente di falso non aveva alcuna delle caratteristiche dell'impugnazione penale, risolvendosi in una denuncia di falso, la quale, anche sotto il vigore del nuovo codice di rito penale, è ammissibile, mentre l'art. 139, comma 4, c.p.p. presuppone la piena efficacia probatoria del verbale, fondata sulla disciplina generale dell'art. 2700 c.c., secondo quanto risulta dalla relazione al codice di rito ed anche dal particolare controllo derivante dall'apposizione del visto ex art. 483, comma 1, del codice di procedura penale (Cass. pen., Sez. III, 9 luglio 1996, n. 7785). In conclusione
Nel vigente codice di rito penale, la funzione del verbale risulta ridimensionata, essendogli assegnato il compito di svolgere una funzione rappresentativa e conservativa degli atti compiuti nel procedimento e non già di fornire una fonte di prova. Esso, pertanto, potrà essere sottoposto ad una verifica da parte del giudice circa la correttezza e la veridicità di quanto il pubblico ufficiale attesta di essere avvenuto o essere stato dichiarato in sua presenza, così come avviene per ogni altro documento. Viceversa, al di fuori del processo penale, trattandosi di un atto pubblico, sembrerebbe applicabile la disciplina prevista dall'art. 2700 c.c., secondo cui l'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. In altre parole, pare che continui a godere della presunzione di veridicità attribuita ai documenti dalla fede privilegiata (G. P. Voena, Atti, ct., p. 218). In ogni caso, atteso che la dichiarazione di falsità del verbale produce effetti soltanto all'interno del provvedimento in cui è stata pronunciata, il giudice dovrà trasmettere gli atti al pubblico ministero perché proceda autonomamente. Allora, mette conto di rilevare che, qualora venga ritenuta applicabile analogicamente la disciplina dettata per i documenti falsi dall'art. 241 c.p.p., la trasmissione degli atti dovrebbe avvenire a conclusione del giudizio. Tuttavia, non è escluso che essa possa intervenire anche prima, ossia allorché il giudice ravvisi gli indizi della falsità. F. Cervetti, Verbale (dir. proc. pen.), in Enc. dir., vol. XLVI, Milano, 1963; M. Chiavario, La riforma del processo penale, Torino, 1990; F. Cordero, Procedura penale, Milano, 2012; N. Galantini, Sub art. 2, in Commentario del nuovo codice di procedura penale, diretto da E. Amodio – O. Dominioni, vol. II, Milano, 1990; E. Marzaduri, Sub art. 2, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, vol. I, Torino, 1989; A. Nappi, Documentazione degli atti processuali, in Dig. disc. pen., vol. IV, Torino, 1990; G. Reynaud, Documentazione degli atti del procedimento, in Atti del procedimento penale. Forma e struttura, coordinato da E. Marzaduri, Torino, 1996; G. P. Voena, Atti, in Compendio di procedura penale, a cura di G. Conso – V. Grevi – M. Bargis, Padova, 2014. |