Violazione di corrispondenza o cognizione illecita di comunicazioni? I criteri distintivi della Cassazione
29 Marzo 2017
Con la sentenza n. 12603, depositata il 15 marzo 2017, la Cassazione penale, Sezione V, ha chiarito i termini del rapporto tra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza, di cui all'art. 616, e quello di cognizione, interruzione o impedimenti illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche ex 617 c.p. Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato dalla Corte d'appello di Milano, in parziale riforma rispetto alla sentenza di primo grado, per i reati di accesso abusivo ad un sistema informatico, cognizione fraudolenta di comunicazioni, sostituzione di persona e diffamazione aggravata per aver inviato a più persone una mail lesiva della reputazione della sua convivente, facendo, altresì apparire come mittente un soggetto terzo. Alle mail venivano allegati alcuni messaggi intercorsi tra la convivente e il finto mittente dei quali l'imputato era venuto a conoscenza accedendo abusivamente alla casella di posta elettronica della suddetta. I giudici di legittimità ritengono meritevole d'accoglimento il motivo di ricorso secondo cui non era stato posto in essere il reato di cognizione illecita di comunicazione quanto piuttosto quello di violazione di corrispondenza. Tra il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza e quello di cognizione, interruzione o impedimenti illeciti di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche non sussiste alcuna interferenza in quanto i loro ambiti operativi risultano ben distinti dall'oggetto materiale della condotta: la corrispondenza nel primo caso e le comunicazioni nel secondo. Vero è che sul piano concettuale la corrispondenza costituisce una species del genus comunicazione ma, viene spiegato nelle motivazioni della sentenza, il termine comunicazione – nell'ambito dell'art. 617 c.p. – assume un significato maggiormente specializzato, riferibile al profilo “dinamico” della comunicazione umana e cioè alla trasmissione in atto del pensiero. Con riferimento all'art. 616 c.p., invece, il concetto di corrispondenza deve essere letto come funzionale a individuare la comunicazione umana nel suo profilo “statico” e cioè il pensiero già comunicato o da comunicare fissato su supporto fisico o altrimenti rappresentato in forma materiale ed anche in questo caso il contenuto. A sostegno di tale distinzione si richiama il termine conversazione utilizzato, con riferimento al reato di violazione di corrispondenza, per definire l'ulteriore oggetto materiale del reato; nonché le condotte alternative idonee ad integrare i fatti tipici dei due reati: interrompere ed impedire, per quanto riguarda l'art. 616 c.p., e sottrarre, distrarre, sopprimere e distruggere, in relazione all'art. 617 c.p. Per tali ragioni, con riferimento al caso specifico, il supremo Collegio ha ritenuto che la condotta contestata all'imputato (l'aver preso cognizione del contenuto della corrispondenza telematica intercorsa tra due soggetti e conservata nell'archivio di posta elettronica uno di loro) deve essere ricondotta, proprio in virtù della configurazione del suo oggetto materiale, deve essere ricondotta nell'alveo dell'art. 616, commi 1 e 4, e non a quello di cui all'art. 617 come avevano invece ritenuto i giudici di merito. |