Terrorismo, ultimo atto: blanchiment d'argent e terrorismo nucleare

Ludovica Giovedì
29 Agosto 2016

Con la legge 153 del 28 luglio 2016, il Legislatore ha dato attuazione all'impegno sovranazionale assunto nel 2005 con la sottoscrizione di alcune importanti Convenzioni internazionali. Con il presente contributo si cercherà di analizzare le ultime fattispecie che hanno innovato il Libro II titolo I del codice penale.
Abstract

Con la legge 153 del 28 luglio 2016, il Legislatore ha dato attuazione all'impegno sovranazionale assunto nel 2005 con la sottoscrizione di alcune importanti Convenzioni internazionali. Nello specifico, viene ratificata e data piena attuazione alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, alla Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005, al Protocollo di Emendamento alla Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatto a Strasburgo il 15 maggio 2003, alla Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005 e al Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo, fatto a Riga il 22 ottobre 2015. Per quanto concerne la Convenzione del Consiglio d'Europa per la prevenzione del terrorismo ed il Protocollo addizionale alla Convenzione del Consiglio d'Europa concluso a Riga il 22 ottobre 2015 (il quale espressamente si ispira alla Risoluzione Onu n. 2178 del 2014), da un punto di vista sostanziale l'attuazione a livello nazionale è avvenuta prima con il decreto legge 144/2005 conv. in l. 155/2005 e recentemente con il d.l. 7/2015 conv. in l. 43/2015. In particolare, il Legislatore attraverso i due interventi normativi appena richiamati ha introdotto nell'ordinamento numerose fattispecie rivolte alla prevenzione di condotte con finalità di terrorismo. Il riferimento è alla cospicua “famiglia” degli artt. 270 c.p. e ss. arricchita negli anni da una lunga serie di rubriche volte a parcellizzare il ventaglio di contributi di cui si nutrono le organizzazioni terroristiche operanti all'interno e oltre i confini nazionali.

L'intenzione del Legislatore, recentemente si è concentrata soprattutto sulla tipizzazione delle attività dei c.d. foreign fighters o “lupi solitari”; così alle condotte di associazione (art. 270-bis c.p.), assistenza (art. 270-ter c.p.), arruolamento (art. 270-quater c.p.) ed addestramento (art. 270-quinquiesc.p.), si sono aggiunte quelle volte a perseguire penalmente il soggetto che si auto-addestra (art. 270-quinquies c.p.), l'arruolato (art.270-quater, comma 2, c.p.) e colui che organizza, propaganda o finanzia trasferimenti all'estero con finalità di terrorismo (art. 270-quater.1 c.p.).

Con il presente contributo si cercherà di analizzare le ultime fattispecie che hanno innovato il Libro II titolo I del codice penale – coniate dal Legislatore al fine reprimere il finanziamento di condotte con finalità di terrorismo (art. 270-quinquies.1 c.p.), la sottrazione di beni o denaro sottoposti a sequestro (art. 270-quinquies.2 c.p.) e gli atti di terrorismo nucleare (art. 280-ter c.p.). La novella introduce anche una specifica ipotesi di confisca obbligatoria (art. 270-septies c.p.), nel caso di condanna o di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. per uno dei delitti commessi con finalità di terrorismo di cui all'art. 270-sexies c.p., delle cose che servirono o furono destinate o commettere il reato e delle cose che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto.

Un intervento iscritto in un quadro normativo sempre più ricco di fattispecie, che ha sollevato non pochi dubbi in dottrina soprattutto sotto l'aspetto della sufficiente determinatezza delle nuove figure di reato le quali risultano definite quasi esclusivamente attraverso il rinvio alla condotta con finalità di terrorismo come descritta dall'art. 270-sexies c.p.

Il finanziamento al terrorismo nella convenzione di Varsavia del 16 maggio 2005

A seguito della ratifica e piena esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo, fatta a Varsavia il 16 maggio 2005, si prospettano alcuni cambiamenti nella interpretazione delle norme penali interne.

L'art. 9 della Convenzione richiamata, rubricato reati di riciclaggio chiede agli Stati di considerare delitto – se il fatto è commesso intenzionalmente – le seguenti condotte:

a. la conversione o il trasferimento di valori patrimoniali, sapendo che essi sono proventi, allo scopo di occultare o dissimulare l'illecita provenienza dei valori patrimoniali stessi o aiutare persone coinvolte nella commissione del reato principale a sottrarsi alle conseguenze giuridiche dei loro atti;

b. l'occultamento o la dissimulazione della natura, dell'origine, dell'ubicazione, di atti di disposizione o del movimento di valori patrimoniali, nonché dei diritti di proprietà e degli altri diritti ad essi relativi, sapendo che detti valori patrimoniali sono proventi;

e, fatti salvi i suoi principi costituzionali e i concetti fondamentali del suo ordinamento giuridico:

c. l'acquisizione, il possesso o l'uso di valori patrimoniali sapendo, nel momento in cui sono

ricevuti, che essi sono proventi di reato;

d. la partecipazione nella commissione di reati che sono stati previsti a norma del presente articolo, l'associazione o il concorso allo scopo di commettere tali reati, il tentativo di commetterli, nonché l'assistenza, l'istigazione, il favoreggiamento ed il prestare consigli per la loro commissione (art. 9, par. 1, Convenzione di Varsavia, 15 maggio 2005).

La definizione di valore patrimoniale è fornita dalla stessa Convenzione laddove specifica che con il termine provento – vantaggio economico derivato od ottenuto direttamente o indirettamente dalla commissione di reati – si rinvia a qualsiasi valore patrimoniale da intendersi quale bene di qualsiasi natura, materiale o immateriale, mobile o immobile ed in cui rientrano gli atti giuridici o i documenti comprovanti il diritto di proprietà o altri diritti sui predetti beni (art. 1, lett. a) e b) della Convenzione).

Come si evince dalle condotte elencate nell'art. 9 della Convenzione, a livello sovranazionale il valore patrimoniale diviene oggetto materiale del reato di riciclaggio a condizione di costituire il vantaggio economico – diretto o indiretto – derivante dalla commissione di un reato. Da ciò discende che, affinché possa parlarsi di riciclaggio si rende necessaria una condotta criminosa autonoma (presupposta) cui ricondurre il vantaggio stesso.

Un ampliamento della tutela è poi fornito dalla stessa disposizione nella misura in cui, rispetto a tali reati, ammette la perseguibilità di condotte collaborative (concorso, associazione, istigazione), preparatorie (tentativo) o di sostegno (favoreggiamento e assistenza così come anche, in dissonanza con i principi che reggono il diritto interno, di chi presta un mero consiglio) al soggetto che compie un reato di riciclaggio.

Orbene, l'elemento di novità viene introdotto con l'art. 9, comma 2, il quale espressamente non richiede che lo Stato parte abbia giurisdizione penale in relazione al reato presupposto. Invero, tale ultimo inciso recherebbe in sé la medesima ratio che ha spinto il Legislatore sovranazionale ad introdurre la categoria del reato transnazionale trasposto nell'ordinamento italiano con la legge 146 del 15 marzo 2006, di ratifica ed esecuzione della Convenzione ed i protocolli contro il crimine organizzato transnazionale del 15 novembre 2000 e del 31 maggio 2001, la cui paternità spetta all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L'art. 3 della legge di ratifica 146/2006, stabilisce che: Ai fini della presente legge si considera reato transnazionale il reato punito con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, qualora sia coinvolto un gruppo criminale organizzato, nonché:

a) sia commesso in più di uno Stato;

b) ovvero sia commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avvenga in un altro Stato;

c) ovvero sia commesso in uno Stato, ma in esso sia implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato;

d) ovvero sia commesso in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato.

Ai reati associativi viene ora affiancandosi l'insieme dei reati – di riciclaggio appunto – che consentono il finanziamento illecito di attività delittuose. È bene precisare, infatti, che il terrorismo è solo una tra le attività che il blanchiment d'argent può alimentare.

La Convenzione di Varsavia del 2005 non richiede che l'attività di reimpiego di denaro o beni avvenga con finalità di terrorismo; tale eventualità potrà tutt'al più contribuire a configurare una circostanza aggravante (art. 1 d.l. 625/1979 conv. l. 15/1980). Quanto esposto emerge già nel preambolo della Convenzione, dove si legge la lotta contro la grande criminalità, che costituisce sempre più un problema internazionale, richiede l'impiego di metodi moderni ed efficaci a livello internazionale; ritiene, inoltre che uno di questi metodi consista nel privare i criminali dei proventi e degli strumenti di reato.

L'intenzione è quella di colpire la “grande criminalità” ed a tal fine si rende necessaria una nuova percezione dei limiti spaziali di operatività dei reati di riciclaggio e ricettazione nel sistema interno. Lo spazio internazionale diviene elemento costitutivo dalla fattispecie, così come intesa nella Convenzione.

In tal senso, il Legislatore italiano, già dal 2006 ha cercato di adeguare il sistema penale a tali nuove esigenze applicative, anche se esclusivamente sul fronte della criminalità organizzata. Sempre con la l. 146/2006, infatti, è stata introdotta l'aggravante della transnazionalità attraverso la quale, al ricorrere di una delle circostanze di cui all'art. 3 della legge, lett. a)-d), unitamente alle altre condizioni richieste dalla stessa, la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Il riferimento tuttavia, resta pur sempre ai delitti-fine commessi da organizzazioni che operano tra più Stati ed allo stesso reato associativo (sebbene non in maniera pacifica, sul punto v. Cass. pen., Sez. unite, 31 gennaio 2013, n. 18374). L'esigenza di aprire il diritto penale allo spazio sovranazionale, in tema di reati di riciclaggio assume portata in parte differente rispetto ai delitti associativi. Per comprendere occorre prendere le mosse dalle figure interne, rispettivamente di ricettazione e riciclaggio, artt. 648 e 648-bis c.p., come anche di impiego e autoriciclaggio, di cui agli artt. 648-ter e 648-ter.1 c.p. oppure, in assenza del fine specifico di procurare a sé o ad altri un profitto, di favoreggiamento reale di cui all'art. 379 c.p. In tali fattispecie il delitto presupposto svolge il ruolo di elemento costitutivo del reato.

Rispetto al reato presupposto, nella prospettiva nazionale, le norme richiamate non richiedono che la provenienza delittuosa risulti accertata da un giudice; inoltre, il fatto rileva penalmente anche nell'ipotesi in cui l'autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono risulti non imputabile o non punibile, ovvero qualora manchi una condizione di procedibilità (art. 648, ultimo comma, c.p. richiamato anche dagli artt. 648-bis e ss. c.p.). Condizione di procedibilità è anche la richiesta del Ministro della giustizia, ai sensi dell'art. 10, comma 1, c.p., nell'ipotesi di straniero che commette in territorio estero un reato ai danni di un cittadino (o dello Stato) italiano. Coerentemente con quanto esposto sinora, ai sensi dell'art. 10, comma 1, c.p., Cass. pen., Sez. II, 4 maggio 2010, n. 22343, ha stabilito che La mancanza di una condizione di procedibilità (nella specie, di quella prevista dall'art. 10 cod. pen. in relazione alla commissione all'estero, da parte di uno straniero, del delitto di cui all'art. 473 cod. pen. ai danni di un cittadino italiano) non incide sulla configurabilità del delitto presupposto ai fini della sussistenza del delitto di ricettazione.

Sulla base del disposto di cui all'art. 10, comma 2, c.p., tuttavia, resterebbero fuori dall'applicabilità delle fattispecie di ricettazione e riciclaggio le ipotesi in cui il reato presupposto, commesso in danno di uno Stato estero, delle comunità europee o di uno straniero, non sia stato seguito da una richiesta di estradizione e preveda una pena inferiore nel minimo a tre anni; in tal caso, a mancare non sarebbe solo la condizione di procedibilità ma la possibilità stessa di avanzare la richiesta da parte del Ministro della giustizia. Invero, tali presupposti sono ritenuti dal legislatore antecedenti necessari alla stessa richiesta ministeriale e sembrerebbero assumere la funzione di condizioni di punibilità (in loro mancanza verrebbe meno l'interesse statale alla perseguibilità della condotta) piuttosto che configurarsi come mere condizioni di procedibilità (la cui assenza rispetto al reato presupposto non ne esclude il riconoscimento ai fini della configurabilità dei delitti di riciclaggio).

Orbene, nella Convenzione di Varsavia del 2005 espressamente si legge: è irrilevante il fatto che la Parte abbia o non abbia giurisdizione penale in relazione al reato presupposto (art. 9, comma 2, lett. a), Convenzione). Il significato della disposizione è evidente; viene richiesto agli Stati parte della Convenzione un definitivo e radicale sdoganamento dei reati di riciclaggio.

Se tale interpretazione non viene ostacolata dalla sussistenza di mere condizioni di procedibilità, alcune difficoltà sussistono con riferimento alle condizioni di punibilità. Le disposizioni sovranazionali impongono un solo limite da rinvenirsi nell'elemento soggettivo; viene infatti richiesta la consapevolezza, l'intenzione o il fine di commettere un reato di riciclaggio (art. 9, comma 2, lett. c), Convenzione), che dovrà emergere da circostanze oggettive e di fatto.

Ciò premesso, rispetto alla Convenzione di Varsavia del 2005 sono prospettabili due soluzioni. Se si considerano i presupposti di cui all'art. 10, comma 2, nn. 2 e 3 c.p. mere condizioni di procedibilità, sarà sufficiente una interpretazione in senso internazionale delle fattispecie interne (artt. 648 e ss. c.p.); diversamente, qualificando gli stessi elementi condizioni di punibilità, si rende necessario apposito intervento normativo, trattandosi di una disposizione sfavorevole per il potenziale soggetto attivo dei “nuovi” reati di riciclaggio. Occorrerà, tuttavia attendere le prime statuizioni della giurisprudenza per comprendere in concreto i risvolti applicativi della ratifica.

La Convenzione, in ultimo, prospetta la possibilità per gli Stati membri di considerare integrato il reato di riciclaggio di cui all'art. 9 anche nell'ipotesi in cui l'autore del reato pur senza avere certezza della provenienza illecita del valore patrimoniale, ne abbia tuttavia il sospetto o “avrebbe dovuto supporne” la provenienza delittuosa. Una forma di riciclaggio colposo che resta invece del tutto estranea al diritto nazionale.

Il finanziamento al terrorismo nel diritto interno: l'art. 270-quinquies.1 c.p.

Per completezza occorre precisare che la Convenzione del Consiglio d'Europa conclusa a Varsavia il 16 maggio 2005 rievoca espressamente alcuni pregressi provvedimenti internazionali che si esprimono sul tema del finanziamento al terrorismo. Nello specifico, viene richiamata la Convenzione Internazionale per la soppressione del finanziamento al terrorismo adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 dicembre 1999, artt. 2 e 4, che obbliga gli Stati parte a classificare il finanziamento del terrorismo come reato. La Convenzione del 1999, ratificata dall'Italia con la legge 14 gennaio 2003 n. 7, viene ricordata principalmente per il fatto di contenere una prima definizione di terrorismo, indiretta tuttavia, in quanto posta in relazione alle sole condotte di finanziamento al fenomeno. Con la norma di ratifica 7/2003 i delitti con finalità di terrorismo ed eversione dell'ordine democratico sono stati inseriti inseriti nel catalogo dei delitti in grado di attivare la responsabilità dell'ente (art. 25-quater d.lgs. 231/2001).

Allo stesso tempo l'art. 270-bis c.p. già perseguiva la condotta di finanziamento ad associazioni che si propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo. Non è stata data attuazione – almeno fino agli interventi normativi in commento – proprio all'art. 2 della Convenzione del 1999 che recita: Commette reato ai sensi della presente Convenzione ogni persona che, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, illecitamente e deliberatamente fornisce o raccoglie fondi nell'intento di vederli utilizzati, o sapendo che saranno utilizzati, in tutto o in parte, al fine di commettere:

a) un atto che costituisce reato ai sensi e secondo la definizione di uno dei trattati enumerati nell'allegato;

b) ogni altro atto destinato ad uccidere o a ferire gravemente un civile o ogni altra persona che non partecipa direttamente alle ostilità in una situazione di conflitto armato quando, per sua natura o contesto, tale atto sia finalizzato ad intimidire una popolazione o a costringere un governo o un'organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere, un atto qualsiasi.

Non è necessario che i fondi siano effettivamente utilizzati affinché si configuri il reato (art. 2, comma 3, Convenzione); viene considerato punibile il tentativo (comma 4), la partecipazione, l'organizzazione ed il contributo prestato al gruppo criminale purché lo stesso abbia facilitato l'attività del sodalizio o sia stato fornito con la piena consapevolezza delle intenzioni delittuose del gruppo (comma 5).

In esecuzione dell'art. 2 della Convenzione, il Legislatore italiano ha da ultimo, con la legge in commento, introdotto l'art. 270-quinquies.1 c.p. (Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo), in base al quale Chiunque, al di fuori dei casi di cui agli articoli 270-bis e 270-quater.1, raccoglie, eroga o mette a disposizione beni o denaro, in qualunque modo realizzati, destinati a essere in tutto o in parte utilizzati per il compimento delle condotte con finalità di terrorismo di cui all'articolo 270-sexiesè punito con la reclusione da sette a quindici anni, indipendentemente dall'effettivo utilizzo dei fondi per la commissione delle citate condotte. Chiunque deposita o custodisce i beni o il denaro indicati al primo comma è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. La presenza di una clausola di riserva è prevista in favore di quei reati che già contemplano la condotta di finanziamento; si rinvia in tal senso ai delitti di associazione terroristica (art. 270-bis c.p.) e di organizzazione di trasferimento all'estero finalizzato al compimento di condotte con scopi terroristici (art. 270-quater.1 c.p.).

Da una prima lettura della nuova disposizione emerge subito che la nozione interna di finanziamento a condotte con scopi terroristici appare notevolmente più ampia rispetto a quella assunta a livello internazionale. Occorre tenere conto del fatto che l'art. 2 della Convenzione considera configurabile il reato di raccolta di fondi e quindi il delitto di finanziamento, solo in relazione ad ipotesi circoscritte. Vengono richiamati (art. 2, lett. a)) i reati previsti dai trattati inseriti in allegato alla Convenzione (che riguardano situazioni particolari inerenti l'aviazione, la navigazione, il nucleare, etc.) e le ipotesi di uccisione o ferimento grave (art. 2, lett b)) – con esclusione dei casi in cui ciò avvenga tra partecipi di un conflitto armato – finalizzati ad intimidire la popolazione o costringere un governo od organizzazione al compimento oppure all'omissione di un atto (finalità terroristica). In definitiva, lo scopo terroristico di intimidazione-eversione deve passare attraverso uno specifico atto violento che consiste nell'uccidere o ferire qualcuno. Ciò vuol dire che in ipotesi di danneggiamento o distruzione di beni mobili o immobili, non è configurabile, ai sensi della Convenzione, il reato di finanziamento al terrorismo. In senso contrario, la previsione di cui all'art. 270-sexies c.p. cui rinvia l'art. 270-quinquies.1 c.p. si limita ad affermare cosa debba intendersi per condotta con finalità di terrorismo, rinviando alla natura o contesto dell'azione che deve essere in grado di “arrecare un grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale” e che deve perseguire uno degli scopi terroristici-eversivi elencati dalla norma. Tuttavia, l'art. 270-sexies c.p. non fornisce una precisa descrizione del tipo di condotta che è possibile qualificare terroristica; quest'ultima viene ricostruita principalmente attraverso lo scopo perseguito dall'agente.

In disarmonia anche rispetto alla normativa europea sul punto (il riferimento è all'art. 1 della decisione quadro 2002/475/Gai) il Legislatore nazionale ha deciso di non vincolare la finalità di terrorismo a precise condotte violente per paura di limitare l'applicabilità del cospicuo insieme di norme penali di contrasto al fenomeno; per fare ciò e per non rendere allo stesso tempo troppo labili i confini delle fattispecie di riferimento (artt. 270-bis e ss. c.p.) ha utilizzato proprio l'art. 270-sexies c.p.

In una recente pronuncia (Cass. pen., Sez. VI, 15 maggio 2014, n. 28009), la suprema Corte ha affermato che l'art. 270-sexies c.p. presenta una “struttura complessa”; sotto il profilo soggettivo, infatti, la norma richiede la volontà di arrecare un grave danno al Paese o ad una organizzazione internazionale con lo scopo di realizzare una delle tre finalità previste dalla norma (intimidire-destabilizzare-costringere la popolazione o i pubblici poteri); mentre, sotto l'aspetto oggettivo, l'art. 270-sexies c.p. richiede che la condotta sia in grado di realizzare il grave danno al Paese.

In tale ultima affermazione risiederebbe l'importanza dell'articolo in commento, laddove alla descrizione dell'elemento soggettivo si affianca l'idoneità concreta della condotta a realizzare gli scopi che si prefigge il suo autore. Natura e contesto – requisiti dell'azione e non della volontà - divengono, pertanto, elementi imprescindibili al fine di accertare, in concreto, il pericolo insito nella condotta. Condotta terroristica è dunque, per l'ordinamento interno, l'azione (arruolamento, addestramento, finanziamento, ecc.) idonea a realizzare uno scopo terroristico.

Con riferimento alla nuova fattispecie di finanziamento, sganciata anche dalla sussistenza di un reato presupposto – come per i reati di riciclaggio di cui al paragrafo precedente – il dolo finisce per qualificare l'offesa. La fattispecie così formulata rientrerebbe tra quei delitti che autorevole dottrina (MANTOVANI) considera reati senza offesa in cui l'offesa, piuttosto che discendere dalla lesione di un bene giuridico, si fonda su altri elementi, come può essere il dolo specifico di offesa. L'offesa sarebbe dunque legata all'intenzione piuttosto che al fatto in funzione anticipatoria della tutela. L'art. 270-sexies c.p. richiedendo l'idoneità della condotta agli scopi pure evidenziati dalla norma, manifesta l'imprescindibile necessità di riportare ad una dimensione materiale l'azione che si intende perseguire, la quale andrebbe altrimenti allontanandosi eccessivamente dal fatto e quindi dal rispetto del principio di offensività. Non bisogna confondere lo scopo della norma con il bene giuridico che si intende tutelare; in tal senso solo il riferimento a precise fattispecie delittuose, come avviene nella convenzione del 1999 (ma anche nella decisione quadro del 2002) garantisce il rispetto dei principi di tassatività e determinatezza nonché di offensività.

In concreto, accertare la finalità di terrorismo rispetto ad una condotta non offensiva in sé stessa (il viaggio o il finanziamento) elimina anche quel doppio dolo specifico richiesto in analoghe fattispecie (es. di addestramento con finalità di terrorismo) che permette di valorizzare l'atto violento e, solo successivamente, la finalità terroristica. Per tali fattispecie, il necessario accertamento in concreto dell'idoneità dell'azione a raggiungere lo scopo terroristico determina nella pratica la mancata applicazione delle nuove figure che quasi sempre si risolvono – a seguito di penetranti verifiche del fatto storico – nel riconoscimento del reato associativo.

Altro aspetto al quale è possibile solo accennare riguarda l'irragionevolezza della pena prevista nella stessa misura negli artt. 270-bis, comma 1 e 270-quinquies.1 c.p. L'identità sotto il profilo sanzionatorio delle due fattispecie sembrerebbe equiparare il soggetto che isolatamente finanzia una condotta terroristica ai sensi della nuova norma (reclusione da 7 a 15 anni) a colui che svolge la medesima attività ma in seno ad un'associazione criminale (art.270-bis c.p.), attività quest'ultima che andrebbe considerata connotata da maggiore disvalore.

La novella, infine, adegua le disposizioni dedicate a coloro che agiscono isolatamente (artt. 270-quater e ss. c.p.) alla disciplina prevista per le associazioni, introducendo una ipotesi di confisca obbligatoria (anche per equivalente) per gli autori di reati commessi con le finalità di cui all'art. 270-sexies c.p. (nuovo art. 270-septies c.p.).

A completare il nuovo quadro normativo il Legislatore introduce, in ipotesi di sequestro preventivo di beni o denaro volto a prevenire il finanziamento al terrorismo, un nuovo art. 270-quinquies.2 c.p., con il quale si prevede la sanzione della reclusione da due a sei anni e della multa da 3000 a 15000 euro per chiunque distrugge, disperde, sopprime o deteriora i beni sequestrati (art. 4 l. 28 luglio 2016, n. 153, già art. 4 lett. a d.d.l. n. 3303 presentato il 10 settembre 2015).

Gli atti di terrorismo nucleare: art. 280-ter c.p.

Il nuovo art. 280-ter c.p. (atti di terrorismo nucleare) andrà ad inserirsi in coda alle fattispecie previste dal codice in materia di attentato per finalità di terrorismo sia in relazione alla vita o all'incolumità di una persona (art. 280 c.p.) che al danneggiamento di cose mobili o immobili altrui (art. 280-bis c.p.) sempre – in tale ultima ipotesi di reato – che ciò avvenga attraverso l'impiego di ordigni micidiali ed esplosivi. L'art. 280-ter c.p. prevede la pena della reclusione da cinque a dieci anni per chiunque, perseguendo le finalità di cui all'art. 270-sexies c.p.:

a) procura a sé o ad altri materia radioattiva;

b) crea un ordigno nucleare o ne viene altrimenti in possesso.

I limiti edittali si elevano - reclusione da sette a quindici anni – se il soggetto, perseguendo le medesime finalità:

a) utilizza materia radioattiva o un ordigno nucleare;

b) utilizza o danneggia un impianto nucleare in modo tale da rilasciare o con il concreto pericolo che rilasci materia radioattiva. Le pene di cui al primo e al secondo comma si applicano altresì quando la condotta ivi descritta abbia ad oggetto materiali o aggressivi chimici o batteriologici» (art. 4, l. 28 luglio 2016, n. 153, già art. 4 lett. c) d.d.l. n. 3303 presentato il 10 settembre 2015 ).

A differenza degli artt. 280 e 280-bis c.p., nell'art. 280-ter c.p. l'azione perseguita non consiste in un atto diretto a colpire vita-incolumità o beni mobili-immobili, bensì appare finalizzata alla più ampia commissione di condotte con finalità di terrorismo. La differenza non è di poco conto. Invero, con riferimento agli artt. 280 e 280-bis c.p. sarà necessario in primo luogo, accertare univocità ed idoneità dell'azione a realizzare un atto violento e, successivamente, l'idoneità dello stesso a realizzare uno degli scopi di cui all'art. 270-sexies c.p. Si esprime in maniera chiara sul punto sempre Cass. pen., n. 28009 del 27 giugno 2014 quando afferma: Il delitto di attentato con finalità terroristiche o di eversione è segnato, sul piano soggettivo, da un doppio finalismo dell'agente. L'azione deve essere anzitutto ispirata dal fine di eversione dell'ordine democratico o da quello, qui rilevante, di terrorismo (che a sua volta si sostanzia nella consapevolezza di creare il rischio di un grave danno al Paese in conseguenza della possibile realizzazione di uno tra gli scopi tipici indicati nell'art. 270-sexies cod. pen.). Al tempo stesso, l'azione deve mirare a provocare morte o lesioni in danno di una persona, quali avvenimenti strumentali allo scopo. La morte o le lesioni sono dunque gli eventi naturalistici verso i quali si orienta la condotta tipica. È reso evidente che la presenza di un bene giuridico ulteriore (vita o beni materiali) rispetto al bene sicurezza nazionale – onnicomprensivo perciò vago – presta un contributo fondamentale alla descrizione della fattispecie, che mostra in tal modo di rispettare i principi di determinatezza ed offensività. Tuttavia, a differenza degli articoli 270-quater e ss. c.p., che in punto di descrizione della condotta penalmente rilevante rinviano quasi esclusivamente alle indicazioni fornite dall'art. 270-sexies c.p. (che sembra piuttosto oggettivizzare il dolo specifico richiesto da tali norme), con l'art. 280-ter c.p. il legislatore compie lo sforzo ulteriore di descrivere un tipo di condotta prodromica ad un possibile attentato terroristico garantendo, almeno in parte, il rispetto della sufficiente determinatezza dell'azione penalmente rilevante.

Gli artt. 280 e 280-bisc.p. legano la gravità insita nello scopo terroristico (quindi la tutela della sicurezza pubblica) al pericolo – idoneo - di lesione della vita o della incolumità di una persona o dei beni altrui; si tratta di reati plurioffensivi. Per tali fattispecie è necessario il compimento, per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine democratico, di atti idonei diretti in modo non equivoco a provocare gli eventi posti sullo sfondo delle rispettive fattispecie. Ciò premesso, è bene precisare lo scopo della novella che è quello di trasporre nell'ordinamento interno, con l'art. 280-ter c.p., la Convenzione internazionale per la soppressione di atti di terrorismo nucleare, fatta a New York il 14 settembre 2005; a tal fine l'art.3, l. 28 luglio 2016, n. 153, (già art. 3 d.d.l. 3303-B), mutua dalla stessa Convenzione le definizioni di materia radioattiva e nucleare, uranio arricchito, impianto e ordigno nucleare, contribuendo così ad una attenta descrizione della nuova fattispecie laddove a tali termini la stessa rinvia. Tuttavia, anche in questa occasione il Legislatore nazionale amplia la portata applicativa della norma sulla base delle stesse premesse seguite in tutti gli interventi normativi richiamati fino ad ora.

La Convenzione del 2005, infatti, ai fini della perseguibilità della condotta, richiede espressamente che le condotte di detenzione di materiale radioattivo o di detenzione o fabbricazione di un ordigno nucleare vengano poste in essere con l'intento di causare la morte di una persona o di procurarle gravi lesioni corporali, nonché di causare danni sostanziali ai beni o all'ambiente e che solo in ipotesi di impiego di ordigni radioattivi o utilizzo o danneggiamento di impianti nucleari possa rilevare altresì l'intento di costringere una persona fisica o giuridica, un'organizzazione internazionale o un governo a compiere un atto o astenersene, a livello interno. Il Legislatore nazionale, invece, rinvia in maniera unitaria all'art. 270-sexies c.p. sia che si tratti di procurarsi o utilizzare materia radioattiva, che di creare, utilizzare o possedere un ordigno nucleare o utilizzare o danneggiare un impianto nucleare, limitandosi a distinguere tra loro tali ipotesi esclusivamente in punto di pena. Valgono, pertanto, le stesse considerazioni avanzate nel paragrafo che precede circa i limiti dell'art. 270-sexies c.p. nella sua funzione descrittiva della fattispecie.

Un ulteriore elemento da segnalare riguarda la circostanza che, al di fuori di ogni pretesa sovranazionale, ai materiali e sostanze definiti dalla Convenzione il Legislatore aggiunge i materiali o aggressivi chimici o batteriologici, senza tuttavia meglio precisarne il significato e quindi rendendo incerta la portata applicativa della norma.

In conclusione

Appare evidente che i confini tra trasposizione ed innovazione normativa si assottigliano sempre di più e che le richieste di incriminazione sovranazionale divengono per il Legislatore italiano, al tempo stesso, obbligo di recepirle ed occasione per introdurre nuove fattispecie penali nell'ordinamento. Nel contrasto al fenomeno terroristico, in particolare, all'interno del codice penale sembra venire realizzandosi un vero e proprio corpus autonomo di norme strutturato ai limiti, soprattutto in termini di principi fondamentali applicabili, tra diritto interno ed internazionale.

Ultimo aspetto, ma di straordinaria importanza, è che si registra finalmente un superamento del ricorso alla decretazione d'urgenza, storicamente utilizzata in subiecta materia (dal d.l. 625/1979 degli “anni di piombo” al d.l. 374/2001 all'indomani degli attentati di New York; dal d.l. 144/2005 emesso dopo gli attentati di Londra, fino al d.l. 7/2015 dopo le stragi di Parigi). Sembra insomma che il Legislatore abbia preso atto che l'emergenza terrorismo ha purtroppo oramai acquisito il carattere della stabilità e che, in quanto connessa ad una fase di evoluzione sociale, merita di essere contrastata con gli ordinari strumenti del diritto: la legge del Parlamento. In questo senso, è un trionfo della democrazia.

Guida all'approfondimento

CENTONZE - GIOVEDÌ, Terrorismo e legislazione d'emergenza, Frosinone, 2016.

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