Profitto e risparmi di spesa

30 Ottobre 2015

I risparmi di spesa rientrano nella nozione di profitto confiscabile?

I risparmi di spesa rientrano nella nozione di profitto confiscabile?

La questione della confiscabilità dei risparmi di spesa è particolarmente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza ed ancora non si è pervenuti un orientamento che possa considerarsi prevalente. Si tratta, infatti, di un problema la cui soluzione è intimamente correlata a controverse questioni di ordine più generale sulle finalità e sulla natura della confisca, specie di quella per equivalente, nonché sull'interpretazione di taluni requisiti del profitto confiscabili, in particolare di quello relativo alla immediata derivazione causale dall'illecito.

Orientamento restrittivo: ammessa la confisca dei soli “risparmi di spesa relativi”. Secondo un primo orientamento giurisprudenziale, che ha raccolto ampi consensi in dottrina, il profitto confiscabile potrebbe estendersi ai risparmi di spesa nella limitata ipotesi in cui si sia in presenza di un ricavo introitato e non decurtato dei costi, vale a dire un risultato economico positivo concretamente determinato dalla contestata condotta criminosa (Cass. pen., Sez. un., n. 26654/2008).

Nei successivi sviluppi dell'indirizzo in esame la Cassazione ha distinto nell'ambito del concetto di risparmi di spesa tra quelli assoluti, in cui rientrerebbero anche le ipotesi di diminuzione o mancato aumento del passivo, e quelli relativi, ove rientrerebbero le ipotesi di non diminuzione dell'attivo in cui si sia in presenza di un ricavo effettivamente e materialmente conseguito da cui però, in virtù della condotta illecita, non vengano decurtati i costi che si sarebbero dovuti sostenere (Cass. pen., Sez. VI, n. 3635/2013).

Solo i risparmi di spesa concepiti in termini relativi potrebbero, secondo l'orientamento in esame, rientrare nel concetto di profitto confiscabile, in quanto solo in relazione a questi sarebbe ravvisabile quel nesso pertinenziale di diretta derivazione causale del profitto dal reato necessario per l'applicazione della misura ablatoria. Tale requisito di stretta derivazione causale, infatti, imporrebbe di considerare il profitto come "evento" in senso tecnico, ancorché esterno al tipo di illecito costituendo solo l'oggetto della misura di sicurezza o della sanzione ablativa (Cass. pen., Sez. V, 10265/2013).

Il profitto, dunque, per rilevare ai fini della confisca deve corrispondere ad un mutamento materiale, attuale e di segno positivo della situazione patrimoniale del suo beneficiario ingenerato dal reato attraverso la creazione, la trasformazione o l'acquisizione di cose suscettibili di valutazione economica (Cass. pen., Sez. V, 10265/2013). I requisiti di materialità ed attualità sarebbero, infatti, caratteri che discendono proprio dalla concezione di profitto quale evento evento, mentre quello della variazione di segno positivo sarebbe immanente alla scelta terminologica operata dal legislatore per definire tale evento.

Nel caso di risparmi di spesa intesi quali mancato aumento del passivo, invece, verrebbe a mancare il requisito dell'effettivo e materiale incremento patrimoniale. Si finirebbe dunque per contestare e sottoporre a misura ablativa non la creazione o acquisizione di nuova ricchezza, ma la mera destinazione di quella preesistente alla consumazione del reato al soddisfacimento di scopi diversi da quelli che avrebbero dovuti essere perseguiti (Cass. pen., Sez. V, 10265/2013).

Inoltre, per quanto riguarda la possibilità di procedere alla ablazione dei risparmi di spesa mediante il ricorso alla misura della confisca per equivalente, la Corte rileva come il legislatore nazionale non abbia in nessun caso previsto tale forma di confisca come sanzione autonoma, ma al contrario come la stessa sia sempre subordinata alla impossibilità, in concreto, di procedere alla confisca diretta dei beni di immediata derivazione dall'illecito. Essa dunque sarebbe diretta nei confronti di utilità di valore equipollente al compendio economico originato in misura tangibile dalla commissione del reato, comportando, in tal modo, una effettiva, e non ipotetica, modificazione del patrimonio del soggetto attivo (Cass. pen., Sez. VI, n. 3635/2013).

Dunque, in virtù del carattere sussidiario e residuale della confisca per equivalente, la stessa non sarebbe possibile in quelle ipotesi in cui un confisca diretta non sarebbe neppure configurabile, a causa dell'assenza di un oggetto materialmente affluito nel patrimonio del soggetto destinatario della misura ablatoria. I giudici, quindi, sembrano aderire all'orientamento dottrinale e giurisprudenziale in virtù del quale non è possibile confiscare “per equivalente” ciò che non sia, nemmeno astrattamente, confiscabile in via “diretta” (Mongillo, Grasso).

Pertanto, non essendo immaginabile una confisca diretta di un “risparmio di spesa” inteso quale mancato aumento del passivo, a causa della sua appartenenza alla categoria dei vantaggi immateriali ove manca per definizione un tangibile incremento patrimoniale su cui può incidere la misura ablatoria, sarebbe impossibile la confisca “per equivalente” di tale valore, mancando il primo termine di tale equivalenza, rappresentato dal bene oggetto della confisca diretta.

Il profitto, quindi, specie nell'ambito della confisca a carico degli enti, non va confuso con l'interesse o il vantaggio, che rappresentano i criteri di imputazione dell'illecito all'ente, e risultano essere concetti più ampi in cui possono ricomprendersi anche i risparmi di spesa assoluti (v. Piergallini).

Sulla base di tale orientamento, dunque, è stato ritenuto non assoggettabile a confisca, neanche per equivalente, «il mancato accantonamento di risorse da destinare al patrimonio di vigilanza degli istituti bancari» dipendente dai reati di false comunicazioni sociali dannose (art. 2622 c.c.), ostacolo all'esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza (art. 2638 c.c.) (Cass. pen., Sez. V, 10265/2013); il risparmio economico sotteso al mancato adeguamento e messa in sicurezza degli impianti di un polo siderurgico e all'omessa adozione di misure preventive espressamente prescritte dalla legge negli specifici settori di riferimento (Cass. pen., Sez. VI, n. 3635/2013).

Secondo tale indirizzo dottrinale e giurisprudenziale, dunque, il risparmio di spesa in termini assoluti, in virtù del principio di tassatività delle pene, sarebbe assoggettabile a confisca nelle limitate ipotesi in cui si sia in presenza di un'univoca indicazione legislativa in tal senso. Ciò si verificherebbe, ad esempio, nell'ambito della disciplina dei reati tributari, ove il legislatore, estendendo — con la legge finanziaria 24 novembre 2007 — la confisca per equivalente ai reati tributari al fine di ovviare all'inadeguatezza congenita della confisca ex art. 240 c.p. ad aggredire il risparmio di imposta illecito, avrebbe fornito all'interprete una univoca indicazione al riguardo (Mongillo; in giurisprudenza Cass. pen., Sez. VI, n. 3635/2013).

Orientamento estensivo. Recentemente la Corte di sassazione a Sezioni unite ha però optato per l'opposta soluzione della confiscabilità anche dei risparmi di spesa in termini assoluti, pur senza esplicitare il contrasto con il diverso indirizzo giurisprudenziale. In particolare, nell'ambito di un procedimento relativo ai reati di omicidio e lesioni commessi con violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori, si è ritenuto che costituissero profitto di tali reati i risparmi di spesa derivanti dalla mancata adozione di qualche oneroso accorgimento di natura cautelare, o nello svolgimento di una attività in una condizione che risulta economicamente favorevole, anche se meno sicura di quanto dovuto (Cass. pen., Sez. un., 38343/2014).

In particolare, attraverso un parallelismo tra il concetto di vantaggio e quello di profitto si rileva come, nell'ambito della disciplina della responsabilità da reato delle persone giuridiche, per quanto riguarda i reati colposi di evento, l'imputazione oggettiva dell'illecito all'ente si fonda sull'interesse o vantaggio riferito alla condotta e non all'evento. Pertanto, secondo la Corte con riguardo ad una condotta che reca la violazione di una disciplina prevenzionistica, posta in essere per corrispondere ad istanze aziendali, l'idea di profitto si collega con naturalezza ad una situazione in cui l'ente trae da tale violazione un vantaggio. Dunque è alla condotta colposa che dovrebbe guardarsi per individuarsi il profitto e non all'evento morte da essa derivante, da cui ovviamente non deriva alcun profitto in capo all'ente.

In tal modo, dunque, la Corte in sostanza equipara il concetto di “profitto” a quello di “vantaggio”, estendo la confisca al risparmio di spesa inerente all'impianto di spegnimento; oltre che nella prosecuzione dell'attività funzionale alla strategia aziendale ma non conforme ai canoni di sicurezza.

La giurisprudenza è invece concorde, sebbene con motivazioni diverse (Cass. pen., Sez. VI, 3635/2013), nel ritenere che, nell'ambito dei reati tributari il profitto, confiscabile anche nella forma per equivalente, è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento del debito tributario. (Cass. pen., Sez. un., 18374/2013; Cass., Sez. un., n. 10561/2014).

Conclusioni. Ad avviso di chi scrive l'orientamento estensivo non pare condivisibile. Infatti, in aggiunta alle argomentazioni precedentemente indicate occorre segnalare come una nozione restrittiva di profitto che escluda i risparmi assoluti di spesa appaia maggiormente conforme al principio di legalità, nei suoi corollari della tassatività/determinatezza. In relazione ai risparmi di spesa, infatti, non solo risulta difficile l'affermazione di un nesso di diretta derivazione causale del profitto dal reato, ma risulta estremamente complessa la sua esatta quantificazione. Appartenendo alla categoria dei vantaggi immateriali, infatti, il vantaggio consistente nel mancato impoverimento del patrimonio dell'agente potrebbe essere determinato solo attraverso parametri valutativi integralmente affidati, in assenza di qualsiasi predeterminazione legislativa, alla discrezionalità dell'autorità giudiziaria (Mongillo). Pertanto, in assenza di una esplicita indicazione legislativa, quale quella che potrebbe essere ravvisata nell'ambito dei reati tributari, sarebbe preferibile optare per una nozione restrittiva di profitto, evitando di parametrare le conseguenze sanzionatorie su grandezze spesso evanescenti e difficilmente quantificabili.

Guida all'approfndimento

Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in Aa. Vv.,Studi in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E. Dolcini – C.E. Paliero, III, Milano, 2006, 2103 ss.

Fux, Ulteriori precisazioni sui confini della nozione di profitto: è necessaria l'“esternalità”, in Cass. Pen., 2014, 3245 ss.

Grasso, Art. 240 c.p., in Romano – Grasso – Padovani (a cura di), Commentario sistematico del codice penale, vol. III, Milano, 2011, 605 ss.

Mongillo, Confisca (per equivalente) e risparmi di spesa: dall'incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, in corso di pubblicazione.

Mongillo, Ulteriori questioni in tema di confisca e sequestro preventivo del profitto a carico degli enti: risparmi di spesa, crediti e diritti restitutori del danneggiato, in Cass. pen., 2011, 2340 ss.

Piergallini, Responsabilità dell'ente e pena patrimoniale: la Cassazione fa opera nomofilattica, in Riv. it. dir. proc. pen., 2014, 998 ss.

Silvestri, Questioni aperte in tema di profitto confiscabile nei confronti degli enti: la confiscabilità dei risparmi di spesa, la individuazione del profitto derivante dal reato associativo, in Cass. pen., 2014, 1538 ss.

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