Ritrattazione della falsa testimonianza
19 Agosto 2016
È punibile il teste nell'ipotesi in cui, dopo avere affermato il falso, ritira la sua deposizione?
Ai sensi dell'art. 376 c.p., il colpevole non è punibile se, nel procedimento penale in cui ha prestato il suo ufficio o reso le sue dichiarazioni, ritratta il falso e manifesta il vero non oltre la chiusura del dibattimento. Qualora la falsità sia intervenuta in una causa civile, il colpevole non è punibile se ritratta il falso e manifesta il vero prima che sulla domanda giudiziale sia pronunciata sentenza definitiva, anche se non irrevocabile. Ebbene, dalla lettura attenta della disposizione in esame, emerge la volontà del Legislatore di assicurare l'impunità al falso testimone che, scientemente, decide di smentire la deposizione precedentemente resa all'autorità giudiziaria. La ragione che giustifica tale previsione normativa si rinviene nell'interesse del Legislatore al corretto svolgimento dell'attività giudiziaria e, dunque, all'accertamento della verità processuale. La ritrattazione, infatti, intesa come causa speciale di estinzione della punibilità del delitto di falsa testimonianza (ma anche dei delitti di cui agli artt. 371-bis, 371-ter e 373 c.p.), consiste in una smentita non equivoca del fatto deposto, cui segue la manifestazione del vero, ed opera qualora avvenga nello stesso processo penale nel quale il teste ha prestato il suo ufficio. La decisione di ritrattare, secondo la giurisprudenza di legittimità, deve essere volontaria (Cass. pen., Sez. un., n. 37503/2002). Sul punto, tuttavia, si è avuto modo di precisare che la volontarietà non postula la spontaneità ovvero la resipiscenza. La ritrattazione, infatti, può anche rinvenire il proprio fondamento nella volontà di evitare di subire la sanzione penale. Il fondamento politico-criminale della causa di non punibilità in parola si spiega alla luce della teoria general-preventiva del ponte d'oro. Il Legislatore, in altri termini, intende incentivare, attraverso la promessa dell'impunità, il reo ad abbandonare la condotta criminosa. Così ragionando, dunque, si favorisce il ripensamento (da qui il riferimento, sottolineato da autorevole dottrina, al nemico che fugge ponti d'oro) dell'agente e si evita che la consapevolezza, già raggiunta, di meritare la pena sia funzionale alla consumazione. Particolarmente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza risulta la natura giuridica della ritrattazione. Secondo un primo indirizzo ermeneutico, cui hanno aderito di recente le Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un., n. 37503/2002), la ritrattazione si atteggerebbe come ipotesi sintomatica di causa estintiva della punibilità di carattere soggettivo, descrivendo quest'ultima uno status personale del soggetto agente. Il mendacio, infatti, ravvedendosi, sceglie di smentire quanto falsamente asserito. In base a tale considerazione, dunque, si dovrebbe escludere l'estensibilità ai concorrenti nell'ipotesi di concorso di persone nel reato, attesa l'esistenza dell'art. 119 c.p. (che esclude l'operatività delle circostanze soggettive del reato verso gli altri compartecipi). Ex adverso, un altro orientamento interpretativo, pur sostenuto in passato dalle stesse Sezioni unite (Cass. pen., Sez. un., n. 2816/1986), riteneva che la ritrattazione fosse da considerare una causa oggettiva di eliminazione della punibilità. Quest'ultima, difatti, prescinde dalle condizioni psicologiche del teste (che, come anzidetto, può essere finanche essere spinto da motivi di convenienza personale) ed elimina il pericolo di lesione del bene giuridico protetto dal legislatore. La Cassazione, in questo modo, sembrava mutuare tale tesi che l'ha indotta ad ammettere l'applicabilità di questa causa di non punibilità anche all'istigatore in tutti quei casi in cui la smentita costituisca l'epilogo di un comportamento attivo finalizzato ad annullare gli effetti pregiudizievoli del suo stesso operato. |