Edilizia ed urbanisticaFonte: DPR 6 giugno 2001 n. 380
28 Agosto 2015
Inquadramento
Il d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) detta i principi fondamentali e le disposizioni per la disciplina dell'attività edilizia. Si tratta di una legge-cornice, che ha la funzione di riunire e coordinare in un solo testo legislativo le precedenti normative interessanti la materia (in primis, la legge 47/1985); il d.P.R. 380/2001 non abbraccia peraltro l'intera materia dell'urbanistica ma solo la sua sub-materia dell'edilizia, attinente al controllo preventivo dell'attività edilizia, la vigilanza e le sanzioni contro gli abusi. Come noto, i titoli abilitativi all'attività edilizia sono disciplinati dal Titolo II della Parte I, artt. 6 -23, del d.P.R. 380/2001 e sono rappresentati dal permesso di costruire (già concessione edilizia), dalla denuncia di inizio attività (Dia) e dalla c.d. superDia, nonché dalla segnalazione certificata di inizio attività (Scia); accanto agli interventi soggetti a titolo preventivo, l'art. 6, del T.U. edilizia – nella formulazione attualmente vigente all'esito delle varie riscritture ed emende – prevede altresì diverse fattispecie di attività edilizia c.d. libera. Le fattispecie penali
L'art. 44 (Sanzioni penali) del d.P.R. 380/2001, dispone, al comma primo, che, salvo che il fatto costituisca più grave reato e ferme le sanzioni amministrative, si applica: a) l'ammenda fino a 10.329 € per l'inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal medesimo titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire; b) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 5.164 € a 51.645 € nei casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso o di prosecuzione degli stessi nonostante l'ordine di sospensione; c) l'arresto fino a due anni e l'ammenda da 15.493 € a 51.645 € nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell'articolo 30. Questa stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, artistico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso. Il comma secondo della norma prevede poi che con la sentenza definitiva che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva, il giudice penale dispone la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari. Le procedure di sanatoria
Sull'accertamento e sulla punibilità delle fattispecie penali appena descritte incidono le procedure di sanatoria. È essenziale distinguere la “sanatoria di conformità” dal “condono”, stante la diversità dei presupposti. La sanatoria di conformità trova la propria disciplina ordinaria nell'art. 36 dello stesso decreto 380/2001, secondo il quale, in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso, fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all'irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell'abuso, o l'attuale proprietario dell'immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l'intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda. Il rilascio del permesso in sanatoria è subordinato al pagamento, a titolo di oblazione, del contributo di costruzione in misura doppia, ovvero, in caso di gratuità a norma di legge, in misura pari a quella prevista dall'articolo 16. Nell'ipotesi di intervento realizzato in parziale difformità, l'oblazione è calcolata con riferimento alla parte di opera difforme dal permesso. Sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale si pronuncia con adeguata motivazione, entro sessanta giorni decorsi i quali la richiesta si intende rifiutata. Il successivo comma quarto dell'art. 37 regola la sanatoria degli interventi edilizi eseguiti in assenza o in difformità dalla denuncia di inizio attività, stabilendo che ove l'intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento, sia al momento della presentazione della domanda, il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possono ottenere la sanatoria dell'intervento versando la somma, non superiore a 5.164 € e non inferiore a 516 €, stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all'aumento di valore dell'immobile valutato dall'agenzia del territorio. Dunque, requisito essenziale per la sanatoria prevista dagli artt. 36 e 37 è la c.d. doppia conformità, ossia la rispondenza alle previsioni urbanistiche vigenti sia al tempo dell'intervento che al momento della domanda, di modo che l'abuso assume i connotati di una violazione meramente formale, cioè di un intervento eseguito in assenza di un titolo che sarebbe stato ottenibile ove richiesto nei termini e alle condizioni di legge.
Il successivo art. 45 del d.P.R. 380/2001 (Norme relative all'azione penale) prescrive che l'azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finché non siano stati esauriti i procedimenti amministrativi di sanatoria di cui all'articolo 36 e che il rilascio in sanatoria del permesso di costruire estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti. Diversi invece sono i presupposti dei c.d. condoni avvicendatisi nella normativa nazionale, che hanno natura di provvedimenti una tantum di clemenza generalizzata, con l'effetto di estinguere i reati edilizi relativi ad interventi abusivi sino ad un determinato limite volumetrico/dimensionale e commessi sino ad una data stabilita: un'estinzione per la quale è normalmente richiesta solo la corresponsione per intero dell'oblazione ed il decorso di un termine dal relativo pagamento, non anche l'integrale pagamento degli oneri di concessione – Cass. pen., Sez. III, 29 settembre 2011, n. 36985 – né (ovviamente) una eventuale conformità delle opere abusive alle previsioni urbanistiche.
I poteri del giudice penale
Ma quali sono i poteri del giudice penale posto di fronte ad una domanda o comunque a seguito della pendenza di una procedura di sanatoria di conformità o di condono edilizio? Può il giudice penale valutare la ricorrenza dei presupposti richiesti dalla legge per il rilascio del provvedimento di sanatoria o per l'accesso stesso al relativo procedimento, potendo così legittimamente decidere di proseguire il processo penale sino alla eventuale irrogazione della sanzione penale ove ravvisi che l'imputato non gode dei requisiti normativi per beneficiare della sanatoria o che il provvedimento in suo favore rilasciato manca dei requisiti essenziali di legittimità? Oppure una tale operazione gli è preclusa, rappresentando un controllo dell'atto amministrativo riservato ad altra giurisdizione? Con il decisivo avallo delle Sezioni unite (n. 11635 del 12 novembre 1993), la Cassazione ha da tempo affermato il principio per il quale i reati di cui all'art. 44 del d.P.R. 380/2001 (già previsti dall'art. 20, comma 1, legge 28 febbraio 1985, n. 47) sono configurabili nel caso di realizzazione di opere di trasformazione del territorio in violazione del parametro di legalità urbanistica ed edilizia, costituito dalle prescrizioni della concessione edilizia, richiamata dalla norma penale ad integrazione descrittiva della fattispecie penale, nonché dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi e, in quanto applicabili, da quelle della stessa legge; di conseguenza, la Corte ha sempre escluso che, sussistendo difformità dell'opera edilizia rispetto agli strumenti normativi urbanistici ovvero alle norme tecniche di attuazione del piano regolatore generale, il giudice penale dovrebbe comunque concludere per la mancanza di illiceità penale nel caso in cui sia stata rilasciata la concessione edilizia, osservando che la concessione non è idonea a definire esaurientemente lo statuto urbanistico ed edilizio dell'opera realizzanda senza rinviare al quadro delle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle rappresentazioni grafiche del progetto approvato, di modo che nella specie non si configura una non consentita disapplicazione da parte del giudice penale dell'atto amministrativo concessorio. Così, anche nella giurisprudenza successiva e più recente, pur con qualche oscillazione (cfr. Cass. pen., Sez. III, 15 febbraio 2005, n. 19236, che parla invece apertamente di una legittima ipotesi di disapplicazione), è stato ritenuto che, in presenza di permesso di costruire illegittimo non è necessario che il giudice disapplichi tale atto perché sia configurabile il reato di costruzione edilizia abusiva, in quanto è sufficiente valutare la sussistenza dell'elemento normativo della fattispecie, posto che la conformità della costruzione e del permesso ai parametri di legalità urbanistica ed edilizia è elemento costitutivo dei reati contemplati dalla normativa urbanistica (Cass. pen., Sez. III, 2 ottobre 2007, n. 41620; Cass. pen., Sez. III, 22 aprile 2008, n. 26144).
Applicazioni pratiche
Il severo approccio interpretativo appena ricordato ha dunque condotto la Corte, nel tempo, a riconoscere una penetrante potere di sindacato incidentale del giudice penale nei confronti delle istanze di sanatoria o dei provvedimenti, anche interinali, rilasciati dall'autorità amministrativa competente ed esibiti al fine di ottenere il proscioglimento o la sospensione del processo penale in corso. È stato ad esempio ritenuto illegittimo – e come tale non determinante l'estinzione dei reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti - il rilascio in sanatoria del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici (Cass. pen., Sez. III, 31 marzo 2011,n. 16591), posto che ai sensi dell'art. 14, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici è istituto di carattere eccezionale giustificato dalla necessità di soddisfare esigenze straordinarie rispetto agli interessi primati garantiti dalla disciplina urbanistica generale e, in quanto tale, applicabile esclusivamente entro i limiti tassativamente previsti dalla disposizione citata e mediante la specifica procedura ivi contemplata; di modo che tale sua particolare natura porta ad escludere che possa essere rilasciato "in sanatoria" dopo l'esecuzione delle opere. Ancora, la Corte ha sempre ritenuto illegittimo, e non determinante l'estinzione del reato edilizio ai sensi del combinato disposto degli artt. 36 e 45 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria con effetti temporanei o relativo soltanto a parte degli interventi abusivi realizzati o, ancora, subordinato all'esecuzione di opere, atteso che ciò contrasta ontologicamente con gli elementi essenziali dell'accertamento di conformità, i quali presuppongono la già avvenuta esecuzione delle opere e la loro integrale conformità alla disciplina urbanistica (Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 2011, n. 19587, in una fattispecie nella quale era stato rilasciato un titolo abilitativo in sanatoria con "validità di mesi sei dalla data del rilascio", prevedendosi, alla scadenza, la necessità di una richiesta di rinnovo).
Più in generale, con riferimento ai presupposti normativi per la c.d. sanatoria di conformità, il rilascio di un permesso di costruire relativo ad un immobile già realizzato conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento di presentazione della domanda ma non al momento della realizzazione dell'intervento, non comporta l'estinzione del reato urbanistico in quanto non diviene applicabile l'art. 45 d.P.R. 380/2001; un provvedimento del genere – certamente giustificato dai principi generali attinenti al buon andamento e dall'economia dell'azione amministrativa nell'ipotesi di opere che benché non conformi alle norme urbanistico edilizie ed alle previsioni degli strumenti di pianificazione al momento in cui vennero eseguite lo sono divenute successivamente per effetto di normative o disposizioni pianificatorie sopravvenute – si colloca al di fuori dello schema normativo disciplinato dall'art. 36 del citato d.P.R. 380/2001 ma è tuttavia suscettibile di produrre effetti solo sulla prevista emissione dell'ordine di demolizione, rendendolo superfluo o revocabile (Cass. pen., Sez. III, 27 ottobre 2005,n. 40969). Sempre in tema di presupposti, ma sul diverso e parallelo versante del condono edilizio, ai fini della declaratoria di estinzione dei reati per intervenuto versamento dell'integrale oblazione dovuta, compete al giudice penale il potere di accertamento di tutti gli elementi della fattispecie estintiva, fra i quali vi è l'osservanza del limite temporale e di quello volumetrico costituenti parametri stabiliti dal legislatore per la definizione dell'ambito di operatività del condono edilizio (così Cass. pen., Sez. III,18 settembre 2008, n. 40019, non massimata). Gli effetti della sanatoria
La concessione in sanatoria rilasciata a seguito di accertamento di conformità (art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) estingue i reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti. Nessun effetto estintivo invece si produce per i reati paesaggistici previsti dal decreto legislativo 22gennaio 2004 n. 42, concorrenti con quelli edilizi ove l'intervento sine titulo sia stato effettuato in zona soggetta a vincolo paesaggistico/ambientale, in quanto tali fattispecie criminose sono soggette ad una disciplina difforme e differenziata, legittimamente e costituzionalmente distinta, avente oggettività giuridica diversa, rispetto a quella che riguarda l'assetto del territorio sotto il profilo edilizio (Cass. pen., Sez. III, 3 luglio 2007, n. 37318). Nel caso di condono, invece, trattandosi come detto di un contingente provvedimento di clemenza, occorre guardare alle specifiche previsioni della normativa che lo introduce, verificando di volta in volta quali fattispecie (solo quella edilizia oppure solo o anche quella ambientale) sono coinvolte nell'effetto estintivo in presenza dei presupposti legittimanti, normalmente individuabili nella ricomprensione dell'abuso entro determinati limiti volumetrici e tipologici: con l'ulteriore precisazione che, mentre l'effetto estintivo del condono sui reati edilizi di cui all'art. 44 d.P.R. 380/2001 (già art. 20, legge 47 del 1985) è di solito indipendente dall'effettivo rilascio del provvedimento dell'autorità amministrativa, essendo legato – ai fini penali – alla sola verifica della sussistenza dei parametri normativi e alla constatazione del tempestivo versamento della somma determinata a titolo di oblazione, quando invece il meccanismo premiale coinvolge anche gli aspetti paesaggistici l'estinzione dei relativi reati consegue solo all'emanazione del provvedimento finale di sanatoria, in quanto preceduto dal parere di compatibilità rilasciato dalla autorità deputata alla tutela del vincolo paesaggistico violato; un parere che, stando alle previsioni normative sino ad oggi succedutesi, non è ottenibile mediante la procedura del c.d. silenzio-assenso.
È importante sottolineare che nel caso di rilascio di concessione in sanatoria di “conformità” (e non invece di condono edilizio), la speciale causa di estinzione del reato si estende a tutti i responsabili dell'abuso e non ai soli soggetti che abbiano chiesto ed ottenuto il provvedimento: in proposito occorre tenere conto della valenza, sostanziale ed oggettiva dell'accertamento di conformità, nonché del fatto che il meccanismo di estinzione in questione, diversamente da quanto stabilito per la procedura di condono, non si fonda sul pagamento di una somma a titolo di oblazione ma sull'effettivo rilascio della concessione sanante (Cass. pen., Sez. III, 12 aprile 2005, n. 26123).
Le fattispecie escluse dalla sanatoria
Il reato di lottizzazione abusiva non è estinguibile né per effetto dell'accertamento di conformità (permesso in sanatoria) di cui agli artt. 36 e 45, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, né per effetto dei vari condoni edilizi che si sono succeduti nel tempo:
Parimenti, sono escluse dall'ambito della sanatoria di conformità le fattispecie di reato spesso collegate alle contravvenzioni edilizie, come quelle riguardanti la normativa antisismica. In particolare, il conseguimento del permesso di costruire in sanatoria ai sensi dell'art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, comporta l'estinzione dei soli reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti, nella cui nozione non rientra la disciplina per le costruzioni da eseguirsi nelle zone sismiche, che ha una oggettività giuridica diversa da quella riguardante il corretto assetto del territorio (Cass. pen., Sez. fer., 4 settembre 2014, n. 44015). Sanatoria e ordine di demolizione
Il comma nono dell'art. 31 del d.P.R. 380/2001 prevede che per le opere abusive di cui al presente articolo, il giudice, con la sentenza di condanna per il reato di cui all'articolo 44, ordina la demolizione delle opere stesse se ancora non sia stata altrimenti eseguita. L'ordine di demolizione del manufatto abusivo riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configuracome un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato sia le opere accessorie e complementari nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione. (Cass. pen., Sez. III, 27 aprile 2011, n. 21797, in una fattispecie nella quale sul manufatto abusivo erano stati eseguiti interventi che ne avevano determinato ulteriori aumenti volumetrici; v. anche Cass. pen., Sez. III, ordinanza 9 luglio 2013, n. 38947). L'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna per reati edilizi, ex art. 31, comma 9, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, ha carattere reale e ricade direttamente sul soggetto che è in rapporto con il bene, indipendentemente dall'essere stato o meno quest'ultimo l'autore dell'abuso, né la sua operatività può essere esclusa dalla alienazione a terzi della proprietà dell'immobile, con la sola conseguenza che l'acquirente potrà rivalersi nei confronti del venditore a seguito dell'avvenuta demolizione (Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2005, n. 37120; Cass. pen., Sez. III, 26 febbraio 2014, n. 16035). L'ordine di demolizione del manufatto abusivo, disposto con la sentenza di condanna per reato edilizio, non è estinto dalla morte delreo sopravvenuta alla irrevocabilità della sentenza, non avendo natura penale ma di sanzione amministrativa accessoria (Cass. pen., Sez. III,18 gennaio 2011, n. 3861). Ciò detto, l'ordine di demolizione delle opere edilizie abusive presenta in ogni caso profili di problematicità connessi alla sua duplice natura di espressione di un potere sanzionatorio autonomo del giudice penale e di provvedimento di natura amministrativa e alla conseguente necessità di coordinare il dictum dell'autorità giudiziaria ordinaria con le determinazioni delle competenti autorità amministrative ovvero del giudice amministrativo. L'ordine di demolizione è dunque sanzione formalmente giurisdizionale e sostanzialmente amministrativa, esplicitazione di un potere sanzionatorio non residuale o sostitutivo, bensì autonomo e concorrente rispetto a quello di governo del territorio riconosciuto inmateria all'autorità amministrativa, essendo diretto a tutelare un interesse correlato a quello protetto dalla norma penale e, in particolare, a riparare l'offesa arrecata al territorio, bene-interesse (anche in funzione preventiva) tutelato dalla norma incriminatrice. La natura sostanzialmente amministrativa dell'ordine giudiziale di demolizione lo sottrae pertanto alla regola del giudicato, sicché l'ordine è revocabile quando risulti assolutamenteincompatibile con atti amministrativi della competente autorità, intervenuti successivamenteall'irrevocabilità della sentenza di condanna, che abbiano conferito all'immobile altra destinazione ovvero abbiano provveduto alla sua sanatoria. Con riferimento ai rapporti fra ordine di demolizione e provvedimenti amministrativi successivi di sanatoria o comunque conferenti una diversa e confliggente destinazione – e ai conseguenti potere di giudice dell'esecuzione investito delle questioni relative alla esecuzione dell'ingiunzione a demolire – la Cassazione ha sviluppato una copiosa giurisprudenza, essenzialmente fondata sul centrale principio per il quale, ai fini della revoca dell'ordine di demolizione impartito dal giudice con la sentenza di condanna, deve sussistere una incompatibilità insanabile e non meramente futura o eventuale con i concorrenti provvedimenti della P.A. che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato la abusività (Cass. pen., Sez. III, 11 maggio 2005,n. 37120; Cass. pen., Sez. III, ordinanza 18 gennaio 2012, n. 25212). Per revocare o sospendere un ordine di demolizione delle opere abusive in presenza di una istanza di condono o di sanatoria successiva al passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il giudice dell'esecuzione è tenuto ad una attenta disamina dei possibili esiti e dei tempi di definizione della procedura ed, in particolare: a) ad accertare il possibile risultato dell'istanza e se esistono cause ostative al suo accoglimento; b) nel caso di insussistenza di tali cause, a valutare i tempi di definizione del procedimento amministrativo e sospendere l'esecuzione solo in prospettiva di un rapido esaurimento dello stesso. Ne consegue che non è sufficiente a neutralizzare l'ordine di demolizione la possibilità che in tempi lontani e non prevedibili potranno essere emanati atti amministrativi favorevoli al condannato, in quanto non è possibile rinviare a tempo indeterminato la tutela degli interessi urbanistici che l'ordine di demolizione mira a reintegrare (Cass. pen., Sez. III, 26 settembre 2007, n. 38997). Né, coerentemente, il potere di sindacato “incidentale”, ampiamente riconosciuto come visto al giudice della cognizione penale, è sottratto al giudice dell'esecuzione, richiesto di revocare o sospendere un ordine di esecuzione a fronte di un provvedimento di sanatoria successivo alla irrevocabilità della sentenza: se è vero infatti che la demolizione ordinata dal giudice con la sentenza di condanna è suscettibile di revoca quando risulti assolutamente incompatibile con atti amministrativi della competente autorità che abbiano conferito all'immobile una diversa destinazione o ne abbiano sanato l'abusività, rimane fermo il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di verificare la legittimità dell'atto concessorio sotto il duplice profilo della sussistenza dei presupposti per la sua emanazione e dei requisiti di forma e di sostanza richiesti dalla legge per il corretto esercizio del potere di rilascio (Cass. pen., Sez. III, 21 ottobre 2014, n. 47402). Per ultimo, un successivo provvedimento di autorizzazione a lottizzare, concesso “in sanatoria” non estingue il reato di lottizzazione abusiva, in quanto tale provvedimento postumo non è previsto dalla legge come causa estintiva della fattispecie: incide invece, se legittimamente intervenuto, sul provvedimento di confisca che il giudice penale deve disporre a seguito dell'accertamento del reato ex art. 44, comma 2, d.P.R. 380/2001, in quanto l'autorità amministrativa competente, riconoscendo ex post la conformità della lottizzazione agli strumenti urbanistici generali vigenti sul territorio, dimostra la volontà di lasciare il terreno lottizzato nella disponibilità dei proprietari, rinunciando implicitamente ad acquisirlo al patrimonio indisponibile del comune (Cass. pen., Sez. III, 13 dicembre 2013, n. 4373). Casistica
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