Esercizio arbitrario delle proprie ragioni

Giovanna Verga
14 Agosto 2017

Nel codice penale sono presenti due delitti in materia di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, tradizionalmente chiamato “ragion fattasi” (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392) ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393) che presentano numerosi aspetti in comune. L'incriminazione ha lo scopo di impedire la violenta sostituzione dell'attività individuale all'attività degli organi giudiziari.
Inquadramento

Nel codice penale sono presenti due delitti in materia di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, tradizionalmente chiamato “ragion fattasi” (esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392) ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393) che presentano numerosi aspetti in comune. L'incriminazione ha lo scopo di impedire la violenta sostituzione dell'attività individuale all'attività degli organi giudiziari. Mira ad evitare che il privato si faccia ragioni con le proprie mani. Da qui il collegamento dell'incriminazione nel titolo relativo ai delitti contro l'amministrazione della Giustizia. Questa collocazione vale a chiarire la obiettività giuridica delle disposizioni previste dagli art. 392 e 393 c.p.: obiettività che va ravvisata nel preminente, peculiare interesse dello Stato di assicurare l'assoggettamento di tutti i consociati all'amministrazione della giustizia allo scopo di garantire l'attuazione della funzione giurisdizionale, e di difenderla dalle menomazioni derivanti dal fatto che, ad essa, si sostituisca la violenza dei singoli per conseguire la privata realizzazione di pretese giuridiche .

Il presupposto del reato

Il reato nelle sue due forme ha un presupposto che può essere scisso in tre momenti: esistenza di una pretesa giuridica munita d'azione; obbligo di ricorrere al giudice ; possibilità concreta del ricorso all'Autorità giudiziaria.

La configurabilità del reato non richiede però che la pretesa sia fondata o infondata. A nulla rileva, quindi, che il preteso diritto sussista o non sussista sul piano ontologico, quando l'agente ritenga in buona fede e ragionevolmente di poterlo legittimamente esercitare, purché si temperi questa opinione con il limite, necessario, che il convincimento dell'agente non può non essere convalidato e confortato da dati obiettivi, e cioè, da una situazione di fatto che sia tale da giustificare il convincimento in parola: situazione ravvisabile, ad esempio, nel contrasto con altri che neghi la pretesa del soggetto, od alla stessa resista; o, in altri termini, particolarmente ravvisabile nella oggettiva realtà di un rapporto contenzioso in atto circa una pretesa che abbia un fondamento, almeno apparente, di verità si da ammettere la possibilità di esperire un'azione giudiziaria.

Non è necessario che il diritto arbitrariamente esercitato sia oggetto di una contesa giudiziale in atto tra le parti, essendo sufficiente l'esistenza di una controversia anche solo di fatto (Cass. pen., Sez. VI, 3 ottobre 2007, n. 39069, Giorgio; Cass. pen., Sez. V, 19 giugno 2013,n. 41586).

In evidenza

Il preteso diritto si ricollega ad un qualsiasi diritto soggettivo, od interesse legittimo, purché suscettibile di tutela giurisdizionale, sia pure amministrativa e può riferirsi tanto ad un diritto reale quanto ad un diritto di obbligazione

Non deve trattarsi, invece, di diritti potestativi, che consistono nel potere di operare il mutamento della situazione giuridica di altro soggetto , e che esigono, per conseguire la loro finalità, una sentenza non di mero accertamento, ma costitutiva, in virtù della quale il cambiamento della situazione accennata è attuabile; è evidente, infatti, che in tali casi il diritto che si invoca può sorgere solo con una pronunzia giurisdizionale sicché non è suscettibile di essere esercitato arbitrariamente da chi assuma, prima che il diritto sorga, di esserne il titolare .

È stato altresì affermato in dottrina e in giurisprudenza che per la configurazione del delitto di ragion fattasi è necessario che il contenuto del diritto vantato sia giudizialmente realizzabile, che sia, cioè, munito di specifica azione con la quale rendere operativo il dovere del soggetto obbligato. Qualora, invece, il dovere non sia direttamente coercibile, ma la sua violazione dia luogo a conseguenze diverse dall'adempimento coattivo, come avviene per tutti gli obblighi aventi ad oggetto un facere infungibile, maggiormente poi se non consente neppure quel surrogato dello adempimento che e il risarcimento del danno, come accade nei rapporti familiari di natura personale, il reato non può essere configurato

In evidenza
La pretesa arbitrariamente attuata dall'agente deve corrispondere perfettamente all'oggetto della tutela apprestata in concreto dall'ordinamento giuridico, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è proprio la sostituzione, operata dall'agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato. (È stato così ritenuto corretto ravvisare il delitto di furto nella condotta con la quale l'imputato, a seguito del mancato pagamento del corrispettivo da parte del committente di un contratto avente ad oggetto la vendita e l'installazione di alcuni cancelli, aveva rimosso e ripreso i cancelli installati perché nella specie non vi era coincidenza tra la pretesa azionata e l'azione di risoluzione contrattuale, considerato che, se questa fosse stata esperita, la restituzione del bene non sarebbe stata comunque ottenuta) (Cass. pen., 24 novembre 2014, n. 2819).

L'espressione al fine di esercitare un preteso diritto permette di distinguere l'esercizio delle proprie ragioni dall'esercizio del diritto di cui all'art. 51 c.p. La scriminante dell'esercizio di un diritto non può infatti prescindere dalla corretta estrinsecazione delle facoltà inerenti al medesimo diritto in gioco, per evitare il concretarsi di un'ipotesi di abuso ricadente al di fuori dello schema dell'art. 51 c.p. L'esercizio di un diritto c.d. "contestabile" non può invece che avvenire ricorrendo all'intervento dirimente del giudice, non potendosi legittimare l'autosoddisfazione per il superamento degli ostacoli che si frappongono al concreto esercizio del diritto.

In evidenza

Per la configurazione del delitto di ragion fattasi è necessario che il contenuto del diritto vantato sia giudizialmente realizzabile che sia, cioè, munito di specifica azione con la quale rendere operativo il dovere del soggetto obbligato. Non è pertanto configurabile il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando il preteso diritto non sia azionabile per avere origine da causa illecita o da obbligazione naturale.

Per antico e costante insegnamento giurisprudenziale della Corte di cassazione la minaccia di soddisfare una pretesa penalmente e civilisticamente illecita integra il delitto di estorsione, anche quando viene minacciato il ricorso a mezzi astrattamente consentiti . Quando il profitto non corrisponde ad una pretesa fondata sul diritto esso deve ritenersi ingiusto non solo se è conseguito con mezzi di per sé antigiuridici ma anche se conseguito con mezzi legali, usati però per uno scopo diverso da quelli per cui i medesimi sono concessi dalla legge.

Proprio perché in tema di ragion fattasi, per la sussistenza del reato si richiede che la pretesa arbitrariamente esercitata sia munita di specifica azione, e dunque che sia suscettibile di formare oggetto di contestazione giudiziaria, la formazione di un giudicato sfavorevole o di analoga preclusione sull'oggetto della pretesa impedisce la configurabilità del reato medesimo.

Poiché il fine di esercitare un preteso diritto rappresenta per la coscienza sociale e per lo stesso legislatore un motivo di attenuazione della pena si ritiene che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sia una forma attenuata di danneggiamento nell'ipotesi in cui all'articolo 392 c.p. ed una forma attenuata di violenza privata in quella di cui all'articolo 393 c.p.

Soggetto attivo
Sono reati comuni e quindi possono essere commessi da chiunque.

Si è posto il problema se possa essere soggetto attivo del delitto in parola (nella specie di cui all'art. 392 c.p.) colui che esercita il preteso diritto pur non avendone la titolarità e si è affermato che può anche essere colui che non abbia la titolarità del diritto arbitrariamente esercitato, ma si comporti come se fosse il titolare della situazione giuridica e ne eserciti le tipiche facoltà, agisca cioè quale mero negotiorum gestor, espressione tecnicamente adoperata dalla scienza giuridica e dalla legge per designare soltanto l'istituto regolato dal codice civile agli art. 2028 ss., nell'ambito del quale vanno sussunte le ipotesi specifiche caratterizzate dall'essere la gestione il risultato della spontanea iniziativa del gestore (in questo senso, Cass. pen., Sez.VI, 8 marzo 2013, n. 23322 , Anzalone; Cass. pen., Sez. VI, 5 aprile 2001, n. 15972, Corieri; nonché, Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 1983, n. 4098, Ligori; Cass. pen., Sez. VI, 30 aprile 1985, n. 8434, Chiacchiera; Cass. pen., Sez. VI, 21 dicembre 1979, n. 9471, Spinelli) .

Elemento materiale

Il fatto nelle due ipotesi.

L'elemento oggettivo del reato previsto dall'art. 392 c.p. consiste nel fatto di colui che, con violenza sulle cose, si fa ragione da sé; e deve trattarsi di comportamento positivo, essendo inconcepibile un atteggiamento passivo od omissivo, che appare antitetico alla nozione di violenza sulle cose, che implica l'idea di un particolare dinamismo.

Il Legislatore richiede infatti, per la sussistenza dell'esercizio arbitrario, la violenza sulle cose od alle persone: violenza che rappresenta la nota essenziale che distingue il fatto penalmente represso da quelli che costituiscono illeciti civili.

Il fatto che integra il delitto di cui all'art. 393 c.p. consiste nel comportamento di colui che, con violenza o minaccia alle persone, si fa ragione da sé: il che esclude del pari ogni atteggiamento passivo od omissivo.

Violenza sulle cose. Il codice vigente (innovando rispetto al codice Zanardelli) ha inteso definire espressamente la violenza sulle cose stabilendo, nel comma 2 dell'art. 392, che «agli effetti della legge penale, si ha violenza sulle cose allorché la cosa viene danneggiata o trasformata o ne è mutata la destinazione».

In evidenza

Alla stregua di questa definizione, il concetto di violenza sulle cose si ravvisa in un'azione di indole materiale, fisica, di intensità e portata tali da cagionare la distruzione, il danneggiamento della cosa o lo sviamento della medesima dallo scopo al quale era destinata. La legge non precisa quale debba essere l'entità del danneggiamento o della trasformazione o del mutamento di destinazione per integrare violenza sulle cose ma è conforme a logica ed al consolidato orientamento della giurisprudenza ritenere che debba essere tale da impedire in modo assoluto, o da rendere assai difficile, il ripristino della situazione preesistente.

La nozione sopra precisata porta ad escludere ogni ipotesi di asportazione, sottrazione, uso, frode o destrezza che non assurga agli estremi del concetto ora enunciato, mentre è comunemente ravvisata violenza sulle cose, ad esempio, nel forzamento di ostacoli, nella rottura di muri o altri ripari, nella recisione di vegetazioni non mature per il taglio, ecc.

Tale violenza si estrinseca di norma sulla cosa altrui, ma può rivolgersi anche sulla propria purché da altri detenuta.

Agli effetti del delitto in esame la violenza infine deve essere indirizzata a rimuovere un ostacolo, ad abbattere una barriera che si frapponga alla realizzazione del diritto preteso; deve profilarsi come mezzo rivolto al fine di farsi ragione da sé.

Violenza o minaccia alle persone. Nel reato di cui all'art. 393 c.p. il mezzo diretto al farsi ragione da sé non è la violenza sulle cose, ma la violenza o la minaccia alle persone. Nella nozione di violenza rientra qualsiasi manifestazione di energia fisica verso un soggetto, che sia tale da ingenerare in questo una forma di coazione, mentre si ha minaccia nell'intimazione di un male futuro ed ingiusto ad altro soggetto.

Per quanto attiene alla nozione di violenza essa può costruirsi operando un collegamento con i delitti di cui all'art. 610 (violenza privata ) ed all'art. 581 (percosse). Per la minaccia può richiamarsi il delitto di cui all'art. 612 (minaccia).

Anche la violenza o la minaccia alle persone debbono presentarsi come mezzo per conseguire l'evento.

La violenza in ambito informatico

Il terzo comma dell'articolo 392 c.p. introdotto dall'articolo 1 legge 23 dicembre 1993, numero 547 estende la norma all'ambito informatico, stabilendo che si ha, altresì, violenza sulle cose allorché un programma informatico viene alterato, modificato cancellato in tutto o in parte ovvero viene impedito o turbato il funzionamento di un sistema informatico telematico.

L'inserimento del comma indicato è dovuto alla circostanza che era in dubbio se i programmi di dati informatici rientrassero nel concetto di cosa ai sensi delle tradizionali forme di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

In evidenza
L'alterazione, la modificazione o la cancellazione di un programma informatico rappresentano ipotesi di legge mista alternativa e pertanto il reato rimane unico anche se tali modalità della condotta vengono tutte poste in essere.

Elemento soggettivo

Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni richiede, oltre il dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà di farsi ragione da sè pur potendo ricorrere al giudice, anche quello specifico, rappresentato dall'intento di esercitare un preteso diritto nel ragionevole convincimento della sua legittimità.

In evidenza

Il dolo del reato in esame non può però essere confuso con la buona fede circa l'opinata sussistenza del preteso diritto esercitato; buona fede che, lungi dall'essere inconciliabile col dolo, costituisce un presupposto necessario del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Nella stessa struttura del reato è infatti insita la "pretesa di esercitare un diritto", con l'effetto che la sussistenza di una tale finalità, accompagnata dalla convinzione dell'agente, fondata o putativa, di vantare un diritto, costituisce elemento essenziale del reato e non causa di esclusione del dolo: è evidente, invero, che, ove l'agente avesse la coscienza dell'ingiustizia della sua pretesa (cioè fosse in mala fede quanto a quest'ultima), non agirebbe per fare ragione a sé medesimo, bensì per rendere torto ad altri, il che integrerebbe un diverso e più grave titolo criminoso (Cass. pen., n. 833 del 1969; Cass. pen., n. 9450 del 1988; n. 13115 del 2001; Cass. pen., n. 41368 del 2010).

Momento consumativo e tentativo

La consumazione del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, anche nella ipotesi della violenza alle persone, si verifica solo nel momento in cui l'agente, facendosi ragione da se medesimo, realizza la propria pretesa, il che comporta la configurabilità del tentativo. (Cass. pen., n. 7277 del 1973; Cass. pen., n. 10100 del 1974; Cass. pen.,n. 4456 del 2007).

Circostanze aggravanti

Per l'esercizio arbitrario con violenza alle persone sono previste due aggravanti.

L'art. 393 c.p. stabilisce che, alla reclusione, si aggiunge la multa se il fatto è commesso con violenza sulle cose (comma 2), e commina l'aumento della pena detentiva se la violenza o minaccia è commessa con armi (comma 3).

Per la nozione di violenza sulle cose si fa riferimento a quanto indicato precedentemente (v. retro, elemento materiale), mentre è noto che – per armi – si intendono quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l'offesa alla persona, nonché gli strumenti dalla legge vietati, atti ad offendere, e le materie esplodenti, i gas asfissianti, od i gas accecanti (art. 585 c.p.).

Si tratta, in entrambe le ipotesi, di circostanze di indole oggettiva siccome riguardano le modalità dell'azione e di circostanze che possono concorrere fra loro.

In evidenza

Qualora il fatto sia realizzato con violenza sulle cose e con violenza alle persone non si verifica un'ipotesi di concorso materiale di delitti, ma il solo delitto previsto e punito dall'art. 393, comma 2, c.p.

Concorso di reati

Nel reato di ragion fattasi restano assorbiti solo quei fatti che, pur costituendo astrattamente per se stessi reato rappresentano elementi costitutivi o circostanza aggravante, come il danneggiamento nell'ipotesi di cui all'articolo 392 codice penale e le percosse nel caso in cui all'articolo 393 c.p., mentre nel caso di lesioni vi sarà concorso di reati.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni si differenzia da quello di cui all'art. 610 c.p., che contiene egualmente l'elemento della violenza o della minaccia alla persona, non nella materialità del fatto che può essere identica in entrambe le fattispecie, bensì nell'elemento intenzionale. Nel reato di ragion fattasi l'agente deve essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, pur non richiedendosi che tale pretesa sia realmente fondata, ma bastando che di ciò egli abbia ragionevole opinione. Il reato di violenza privata, invece, che tutela la libertà morale, è titolo generico e sussidiario rispetto al reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni e quello di estorsione (art. 629 c.p.) si differenziano sotto il profilo dell'elemento soggettivo, mentre la condotta nella sua oggettività è normalmente identica.

Anche la differenza tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni e il delitto di rapina (articolo 628 c.p.) risiede nell'elemento soggettivo che per il primo reato consiste nella ragionevole opinione dell'agente di esercitare un diritto con la coscienza che l'oggetto della pretesa gli competa giuridicamente, mentre per la rapina si concretizza nel fine di procurare a sé e ad altri un profitto ingiusto con la consapevolezza che quanto si pretende non compete e non è giuridicamente azionabile

Fra il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone e quello di sequestro di persona non sussiste alcun rapporto di specialità, in quanto la privazione della libertà personale, intesa quale impedimento alla libertà di locomozione, è requisito estraneo alla fattispecie astratta di cui all'art. 393 c.p., con la conseguenza che le anzidette ipotesi delittuose possono concorrere tra loro. (Cass. pen., n. 5072 del 1984; Cass. pen. n. 6677 del 1988; Cass. pen. n. 848 del 1993; Cass. pen., n. 5443 del 2000; Cass. pen., n. 9731 del 2009; Cass. pen., n. 48359 del 2014). Ricorrendo i presupposti di entrambi i reati, un sequestro di persona ben può concorrere con un addebito di ragion fattasi, «quando l'agente sia mosso dal fine di esercitare un preteso diritto e commetta il primo per eseguire il secondo» (Cass. pen., Sez. Cass. pen., 3 febbraio 2009, n. 9731, Rovere; v. anche Cass. pen., Sez. V, n. 35076 del 18 aprile 2014, Gallimberti).

Il reato di violazione di domicilio in base alla costante giurisprudenza, non sussiste autonomamente ed anzi rimane assorbito da quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni quando l'esercizio del preteso diritto si concreti nel semplice ingresso e nella sola permanenza invito domino nell'altrui abitazione, ovvero negli altri luoghi indicati nell'art. 614 c.p., mentre se l'agente faccia ricorso a comportamenti violenti per le cose o le persone, per realizzare l'ingresso contro la volontà del titolare del diritto di esclusione, eventualmente anche al fine di asportare cose su cui egli vanta un diritto, viola entrambe le ipotesi delittuose su menzionate (Cass. pen., n. 16303 del 1989; Cass. pen., n. 8996 del 2000; Cass. pen., n. 9530 del 2009; Cass. pen., n. 8383 del 2014).

Casistica

È stato affermato che ricorre il delitto di violenza privata e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone allorché si eccedono macroscopicamente i limiti insiti nel fine di esercitare, sia pure arbitrariamente, un preteso diritto, ponendo in essere un comportamento costrittivo dell'altrui libertà di determinazione di eccezionale gravità. (Cass. pen., n. 7483 del 1988; Cass. pen., n. 2164 del 1998; Cass. pen. n. 13162 del 1999; Cass. pen.,n. 38820 del 2006; Cass. pen.,n. 7468 del 2013).

In evidenza

Quanto ai profili di differenziazione tra l'estorsione e l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni a fronte di un'interpretazione giurisprudenziale che ha affermato che quale che sia stata l'intensità e la gravità della violenza o della minaccia, solo l'azione che miri all'attuazione di una pretesa non suscettibile di tutela davanti all'autorità giudiziaria meriti una tipizzazione in termini di estorsione (Cass. pen., n. 7940 del 1986; Cass. pen., n. 12329 del 2010; Cass. pen., n. 12329 del 2010; Cass. pen., n. 22935 del 2012; Cass. pen., n. 705 del 2013; Cass. pen., n. 51433 del 2013), vi è altro orientamento che afferma che se è vero che l'elemento intenzionale costituisce in linea di principio la linea di demarcazione delle due ipotesi delittuose, ciò malgrado la gravità della violenza e la intensità dell'intimidazione veicolata con la minaccia non costituiscono momenti del tutto indifferenti nel qualificare il fatto in termini di estorsione piuttosto che di esercizio arbitrario ex art. 393 c.p. (Cass. pen., Sez. VI, n. 17785 del 2015; Cass. pen., Sez. I, n. 32795 del 2 luglio 2014; Cass. pen.,Sez. V, 3 maggio 2013, n. 19230, Palazzotto; Cass. pen., Sez. V, 20 luglio 2010, n. 28539, Coppola; Cass. pen., Sez. VI, 23 novembre 2010, n. 41365, Straface; Cass. pen., Sez. II, 26 settembre 2007, n. 35610, Della Rocca; Cass. pen., Sez. II, 5 aprile 2007, n. 14440, Mezzanzanica; Cass. pen., Sez. II, 10 dicembre 2004, n. 47972, Caldara; Sez. 1, 4 marzo 2003, n. 10336, Preziosi).

A conforto del primo orientamento verrebbe in rilievo un decisivo argomento di carattere testuale in quanto il terzo comma dell'art. 393 c.p. prevede una specifica circostanza aggravante proprio nel caso in cui la violenza o la minaccia alle persone sia commessa con armi, a conferma del fatto che anche a fronte di una delle più gravi forme di coercizione della altrui volontà il legislatore ha inteso prevedere solo un aggravamento di pena e non il diverso e più grave delitto di estorsione

Il secondo orientamento sottolinea invece che poiché nel delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni la condotta violenta o minacciosa non è fine a se stessa, ma è strettamente connessa alla finalità dell'agente di far valere il preteso diritto, rispetto al cui conseguimento si pone come elemento accidentale, non può mai consistere in manifestazioni sproporzionate e gratuite di violenza. Quando la minaccia, dunque, si estrinseca in forme di tale forza intimidatoria e di sistematica pervicacia che vanno al di là di ogni ragionevole intento di far valere un diritto, allora la coartazione dell'altrui volontà è finalizzata a conseguire un profitto che assume ex se i caratteri dell'ingiustizia. Con la conseguenza che in determinate circostanze e situazioni anche la minaccia dell'esercizio di un diritto, in sé non ingiusta, può diventare tale, se le modalità denotano soltanto una prava volontà ricattatoria, che fanno sfociare l'azione in mera condotta estorsiva. Secondo questo secondo indirizzo, a fronte di un preteso diritto che sia possibile far valere davanti all'autorità giudiziaria, ai fini della distinzione tra esercizio arbitrario delle proprie ragioni ed estorsione occorre verificare il grado di gravità della condotta violenta o minacciosa per cui «si rimane indubbiamente nell'ambito dell'estorsione ove venga esercitata una violenza gratuita e sproporzionata rispetto al fine ovvero se si eserciti una minaccia che non lasci possibilità di scelta alla vittima». Secondo il primo orientamento tale impostazione non appare rispondente al dato normativo in quanto «gli artt. 393 e 629 cod. pen. inequivocabilmente descrivono la materialità degli elementi costitutivi dei reati de quibus in termini identici, evocando i medesimi concetti di violenza o minaccia, senza alcun riferimento al quantum di forza coercitiva impiegata dal soggetto agente». Ne consegue che l'intensità della violenza o della minaccia non può considerarsi un elemento del fatto idoneo ad influire sulla qualificazione giuridica del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, che, pertanto, si distingue dal reato di estorsione esclusivamente sotto il profilo intenzionale.

È stato ritenuto integrare il delitto di tentata estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone la pretesa (esplicitata con violenza e/o minacce) di ottenere, per conto di terzi creditori, l'adempimento di un debito da parte di persona diversa dal debitore (nel caso di specie il padre), poiché tale pretesa non è tutelabile dinanzi l'Autorità giudiziaria, ma è diretta a procurarsi un profitto ingiusto, consistente nell'ottenere il pagamento del debito da un soggetto estraneo al sottostante rapporto contrattuale. (Cass. pen., Sez. II, n. 16658 del 2014)

È stato ritenuto integrare il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la minaccia di esercitare un diritto, in sé non ingiusta, che sia realizzata con tale forza intimidatoria e sistematica pervicacia da risultare incompatibile con il ragionevole intento di far valere il diritto stesso. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva ravvisato il delitto di estorsione in relazione a condotta consistita nell'incendio di una stalla, e nell'uccisione degli animali che vi erano custoditi, posta in essere dal dominus della società comproprietaria del terreno su cui insisteva tale struttura, al fine di indurre l'altro comproprietario, che aveva l'esclusiva disponibilità di tale porzione del fondo, a stipulare un contratto di vendita della sua quota in esecuzione di un precedente preliminare, così determinando detto soggetto ad abbandonare completamente l'immobile) (Cass. pen.,Sez. VI, n. 17785 del 2015).

È stato ritenuto integrare il delitto di estorsione, e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la minaccia di esercitare un diritto, in sé non ingiusta, che sia realizzata con tale forza intimidatoria e sistematica pervicacia da risultare incompatibile con il ragionevole intento di far valere il diritto stesso. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto immune da censure la decisione di merito che aveva ravvisato il delitto di estorsione in relazione a condotta consistita nell'incendio di una stalla, e nell'uccisione degli animali che vi erano custoditi, posta in essere dal "dominus" della società comproprietaria del terreno su cui insisteva tale struttura, al fine di indurre l'altro comproprietario, che aveva l'esclusiva disponibilità di tale porzione del fondo, a stipulare un contratto di vendita della sua quota in esecuzione di un precedente preliminare, così determinando detto soggetto ad abbandonare completamente l'immobile) (Cass pen., Sez. VI, n. 17785 del 2015)

È stato affermato che il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alla persona e quello di estorsione si distinguono non per la materialità del fatto, che può essere identica, ma per l'elemento intenzionale che, qualunque sia stata l'intensità e la gravità della violenza o della minaccia, integra la fattispecie estorsiva soltanto qualora miri all'attuazione di una pretesa non tutelabile davanti all'autorità giudiziaria. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la sentenza di condanna per il reato di tentata estorsione, che aveva escluso la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni sulla base della intrinseca illiceità della condotta desumibile dal suo carattere violento e minaccioso, senza motivare sulla astratta possibilità di azionare un giudizio). (Cass. pen., n. 42940 del 2014).

In evidenza
La giurisprudenza è ferma invece nel ritenere che non è configurabile il reato di ragion fattasi ma quello di estorsione, concorrente col reato di associazione a delinquere, allorché si sia in presenza di organizzazioni dedite alla realizzazione di crediti per conto altrui mediante sistematico ricorso alla violenza o ad altre forme di illecita coartazione nei confronti dei debitori e che ricorre il reato di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni allorché il debitore sia costretto a pagare a mani di un terzo, atteso che, in tal caso, la persona offesa è costretta, a seguito dell'azione intimidatrice, a versare denaro a mani di un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, senza alcuna garanzia di effetto liberatorio e a maggior ragione quando il terzo incaricato della esazione del credito agisce anche per il perseguimento dei propri autonomi interessi illeciti. (Cass. pen., n. 1556 del 1992; Cass. pen., n. 4681 del 1997; Cass. pen., n. 5193 del 1998; Cass. pen., n. 29015 del 2002; Cass. pen., n. 12982 del 2006; Cass. pen.,n. 22003 del 2013; Cass. pen., n. 5224 del 2014). Il mandante di tale operazione, titolare del credito, risponderà del medesimo reato a titolo di concorso morale (Cass. pen., Sez. V, n. 5193 del 1998).

In tema di differenziazione fra il reato di esercizio arbitrario e quello di rapina si è affermato un orientamento giurisprudenziale che ha sostenuto che l'esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose o alle persone, commesso con minaccia dell'esercizio di un diritto, in sé non ingiusta, può integrare il reato di rapina se si estrinseca con modalità violente che denotano la volontà di impossessarsi comunque di una cosa, qualora ne ricorrano gli elementi richiesti dalla norma incriminatrice (Cass pen., Sez. III, n. 15245 del 2015 fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata la quale aveva affermato la sussistenza del delitto di rapina in relazione alla condotta dell'imputato che, allo scopo di rinvenire informazioni sul luogo o sul numero di telefono riguardanti la figlia minore affidata a terzi, aggredendo una assistente sociale, si era impossessato delle agende di questa; in tema anche Cass. pen., n. 38517 del 2008; Cass. pen.,n. 43325 del 2007).

Sussiste l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 c.p. nell'ipotesi in cui si verifichino delle lesioni nello esplicarsi della violenza posta in essere per commettere il reato di cui all'art. 393 cod. pen. e finalizzata a cagionare l'evento delle lesioni stesse, poiché in tal caso non si attua alcun assorbimento dell'un reato nell'altro. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la pronuncia di sentenza di condanna per il reato di lesioni personali aggravate da connessione teleologica ex art. 61 n. 2 c.p., nonostante la dichiarazione di estinzione, per remissione della querela, del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle persone)(Cass. pen., n. 13546 del 2015)

Integra il delitto di esercizio arbitrario continuato delle proprie ragioni, e non quello di maltrattamenti in famiglia, la condotta intimidatrice reiteratamente posta in essere in danno di familiari conviventi allo scopo di recuperare somme di denaro di propria spettanza, e non di perseguire sistematicamente le vittime (In applicazione del principio, la Corte ha riqualificato a norma degli artt. 81 c.p. e 393 c.pn. la condotta di reiterate minacce poste in essere dell'imputato in danno dei propri genitori allo scopo di ottenere la consegna di somme di denaro a lui erogate dall'Inps a titolo di pensione di invalidità e gestite dalle persone offese pur in assenza di un provvedimento giudiziario)(Cass. pen., n. 6068 del 2015)

È configurabile il delitto di estorsione e non quello di esercizio arbitrario delle proprie ragioni nei confronti del creditore che eserciti una minaccia per ottenere il pagamento di interessi usurari, poiché egli è consapevole di porre in essere una condotta per ottenere il soddisfacimento di un profitto ingiusto, in quanto derivante da una pretesa contra ius. (Cass. pen., 1 dicembre, 2014, n. 9931).

Aspetti processuali

Il reato, nonostante leda un interesse pubblico (Amministrazione della Giustizia), è perseguibile a querela di parte.

In evidenza
La legittimazione a proporre querela per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose spetta sia al titolare di un diritto reale assoluto sulla "res" oggetto di violenza, sia a chi eserciti sulla cosa un legittimo ius possessionis significativo di una diretta relazione con la medesima (Cass. pen., n. 8434 del 1985; Cass. pen., n. 12481 del 1985; Cass. pen., n. 21090 del 2004; Cass. pen., n. 28952 del 2008; Cass. pen., n. 24641 del 2014).

La persona offesa dal reato titolare del diritto di querela a norma dell'art. 120 c.p. deve infatti essere individuata nel soggetto titolare dell'interesse direttamente protetto dalla norma penale e la cui lesione o esposizione a pericolo costituisce l'essenza dell'illecito. Ne consegue che nel reato di ragion fattasi, poiché l'interesse al ricorso obbligatorio alla giurisdizione viene in rilievo solo se la violazione del cosiddetto monopolio giurisdizionale è accompagnata da violenza sulle cose o alla persona, nel bene protetto rientrano anche valutazioni attinenti alla parte privata che rimane vittima dell'azione violenta di chi pretende di farsi ragione da sè, sicché persona offesa è anche colui che si trova nella possibilità di esercitare il contenuto di qualsiasi diritto in quanto titolare della apparentia iuris. (in tema: Cass. pen., Sez. VI, 24 febbraio 2004, n. 21090; nella specie è stata ritenuta legittimata alla proposizione della querela una persona che, pur non titolare formalmente di un contratto di locazione, occupava di fatto e utilizzava, con il consenso del proprietario, un locale nel quale si erano succeduti nel tempo più locatari e alla cui porta di accesso il predetto proprietario, al fine di esercitare il preteso diritto al pagamento dei canoni dovutigli e alla restituzione dell'immobile locato, aveva apposto un lucchetto).

In evidenza

Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone, che prevede la querela della persona offesa, mantiene ferma questa previsione di procedibilità anche nella ipotesi in cui la violenza o la minaccia siano commesse con armi, poiché la norma di cui all'art. 393 c.p. oltre gli elementi propri e caratteristici della sua natura specializzante, contiene anche tutti gli elementi generali di cui all'art. 612,comma 2, c.p.