Magistratura di sorveglianza

Fabio Fiorentin
14 Luglio 2015

Con la riforma dell'ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354 e l. 10 ottobre 1986, n. 663), il legislatore ha inteso creare una magistratura ad alta specializzazione in materia penitenziaria, distinta dalle altre funzioni giurisdizionali e autonoma rispetto al restante corpo della magistratura ordinaria.
Inquadramento

Con la riforma dell'ordinamento penitenziario (l. 26 luglio 1975, n. 354 e l. 10 ottobre 1986, n. 663), il legislatore ha inteso creare una magistratura ad alta specializzazione in materia penitenziaria, distinta dalle altre funzioni giurisdizionali e autonoma rispetto al restante corpo della magistratura ordinaria. La specializzazione della magistratura di sorveglianza si connota per la giurisdizione in via esclusiva nelle materie afferenti ai c.d. “benefici penitenziari”, all'esecuzione di misure di sicurezza e sanzioni alternative o sostitutive alla detenzione, nonché in vari altri ambiti di competenza specificati dalla legge di ordinamento penitenziario (art. 69, l. 354/1975) o da leggi speciali (es. l. 199/2010, in materia di esecuzione della pena presso il domicilio; d.l. 146/2013 in materia di liberazione anticipata speciale; d.l. 92/2014 in materia di rimedi risarcitori per la violazione dell'art. 3 Cedu).

Articolazioni e competenze della Magistratura di sorveglianza

La magistratura di sorveglianza di articola su tre tipologie giurisdizionali distinte, ciascuna con proprie caratteristiche e competenze. Nell'ordine indicato dalla legge, esse sono: gli uffici di sorveglianza, i tribunali di sorveglianza, i presidenti dei tribunali di sorveglianza. L'ufficio di sorveglianza costituisce il perno dell'organizzazione giurisdizionale della magistratura di sorveglianza cui è attribuita in via esclusiva la competenza nell'esecuzione penale e penitenziaria. Gli U.D.S. hanno sede presso i tribunali indicati nella tabella allegata alla l. 354/1975, sono dotati di risorse proprie, sia finanziarie che di personale amministrativo, e sono rette da un magistrato di sorveglianza preposto ad essi, oltre che da un numero variabile di magistrati. L'autonomia degli uffici di sorveglianza è riconosciuta anche con riguardo agli altri uffici omologhi e nelle materie di competenza non è prevista alcuna forma di coordinamento tra uffici del medesimo distretto, se non quella, esercitata dal presidente del tribunale di sorveglianza per quanto concerne profili organizzativi in funzione dell'attività del tribunale di sorveglianza distrettuale (art. 70-bis, lett. b) e c), l. 354/1975). Il tribunale di sorveglianza non ha un'autonoma composizione di propri magistrati, essendo formato da tutti i magistrati di sorveglianza operanti nel distretto, i quali svolgono, pertanto, sia funzioni monocratiche presso gli uffici di appartenenza quanto funzioni collegiali presso il tribunale di sorveglianza, componendo i collegi giudicanti per le udienze.

Agli uffici di sorveglianza sono assegnati magistrati di cassazione, appello e tribunale. Essi, pur incardinati presso i rispettivi uffici di sorveglianza, sono altresì componenti togati del tribunale di sorveglianza, che opera a livello di distretto di Corte d'appello o di circoscrizione territoriale di sezione distaccata di Corte d'appello. Qualora un magistrato di sorveglianza risulti mancante o impedito, il presidente della Corte d'appello può disporre con decreto l'assegnazione temporanea (supplenza) di altro magistrato del distretto avente la qualifica di magistrato di cassazione, di appello o di tribunale. Il presidente della Corte d'appello interviene di ufficio ovvero su richiesta del presidente del tribunale di sorveglianza (art. 70-bis, lett. d), l. 354/1975). Nella prassi, tuttavia, tale potere è esercitato soltanto qualora alle necessità sopra dette non abbia già provveduto, con immediatezza, il presidente del tribunale di sorveglianza attraverso l'applicazione, ai sensi dell'art. 70-bis, lett. c), della medesima legge, dei magistrati e del personale ausiliario nell'ambito dei vari uffici di sorveglianza, nei casi di assenza, impedimento o urgenti necessità di servizio. Con una disposizione tesa a superare le difficoltà che avevano caratterizzato il vecchio “giudice di sorveglianza”, la legge di ordinamento penitenziario prevede che il magistrato di sorveglianza sia sottratto a qualsiasi possibilità di impiego in altre funzioni o in altri uffici giudiziari (art. 68, comma 4, l. 354/1975).

La magistratura di sorveglianza è chiamata ad esercitare un controllo di legittimità dell'esecuzione penitenziaria, rivolto in particolare nei confronti del trattamento penitenziario somministrato dall'amministrazione penitenziaria ai soggetti condannati ed internati. Nell'esercizio di tale delicata funzione, la magistratura di sorveglianza si avvale dei poteri conferitile dalla legge (artt. 35, 35-bis, 35-ter e 69, l. 354/1975) per eliminare le violazioni dei diritti dei detenuti; è chiamata, inoltre, a verificare la legittimità dei provvedimenti con i quali l'amministrazione sottopone i detenuti al regime di sorveglianza particolare (art. 14-ter,l. 354/1975); valuta la legittimità dei decreti con i quali si attua la sottoposizione al regime del c.d. "carcere duro" nei casi previsti dall'art. 41-bis, l. 354/1975; vaglia la legittimità e talvolta persino l'opportunità di determinati atti e provvedimenti della direzione degli istituti penitenziari (artt. 18-ter, 21 e 69, l. 26 luglio 1975, n. 354; artt. 48 e 56, d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230).

Il legislatore ha, inoltre, attribuito alla magistratura di sorveglianza competenze sempre più estese con riguardo alla materia dell'applicazione dei c.d. “benefici penitenziari”. Il progressivo accrescersi delle competenze di natura giurisdizionale ha contribuito a favorire una graduale mutazione della natura del giudice di sorveglianza, che si è evoluto rispetto all'originaria funzione di organo di mera vigilanza carceraria a vera e propria figura di giudice che sovrintende all'esecuzione delle pene, qualsiasi forma esse assumano, garantendo alle stesse la legalità e il fine rieducativo costituzionalmente prefigurato (art. 27, comma 3, Cost.). Il codice processuale del 1988 ha impresso una decisiva accelerazione a tale fenomeno, disciplinando l'attività del giudice di sorveglianza mediante meccanismi e procedure di tipo giurisdizionale, regolando con apposite disposizioni (art. 677, c.p.p.) il profilo della competenza del giudice di sorveglianza, tanto sotto il profilo funzionale quanto per ciò che riguarda la competenza territoriale. La legislazione degli ultimi anni – in particolare la l. 165/1998 (c.d. ”legge Simeone”), la l. 231/1999, la l. 199/2010 in materia di esecuzione della pena presso il domicilio, il d.l. 146/2013 e il d.l. n. 92/2014 – ha accentuato la proiezione della magistratura di sorveglianza sul versante della gestione della pena nella fase esecutiva, accrescendo il tasso di giurisdizionalità delle relative procedure (c.d. “giurisdizionalizzazione”).

Funzioni e provvedimenti del Tribunale di sorveglianza

Il tribunale di sorveglianza è composto da tutti i magistrati di sorveglianza del distretto di corte d'appello o sezione di corte d'appello. È stata mantenuta l'originaria composizione a collegialità mista: i collegi sono, infatti, formati da un presidente (individuato nel più anziano tra i due magistrati togati del collegio), da un magistrato di sorveglianza e da due componenti non togati, tratti da un elenco di esperti in psicologia, sociologia, pedagogia, psichiatria, criminologia clinica, medicina, ovvero da docenti di scienze criminalistiche nominati, su proposta del presidente del tribunale di sorveglianza, dal Consiglio superiore della magistratura (artt. 70, comma 3, e art. 80, l. 354/1975). L'organico dei componenti esperti è determinato, di regola, in ragione di tre per ogni magistrato di sorveglianza che compone l'organico del tribunale di sorveglianza distrettuale. Il C.S.M., su segnalazione dei presidenti dei tribunali di sorveglianza, può disporre l'aumento di tale proporzione e in ogni caso può prevedere che, nei tribunali di piccole dimensioni, l'organico degli esperti sia elevato a nove. I requisiti per la nomina degli esperti del tribunale di sorveglianza sono fissati da un'apposita circolare del C.S.M. che disciplina analiticamente le condizioni e le modalità di nomina dei componenti onorari di cui alla norma in esame, le incompatibilità a ricoprire il detto ufficio e le cause di cessazione, decadenza e revoca d'ufficio dall'incarico. Gli esperti sono nominati per un triennio, e l'incarico è rinnovabile, alle condizioni stabilite dalla normativa consiliare, fino al terzo triennio. Le proroghe successive sono subordinate all'assenza di altre domande. Gli esperti del tribunale di sorveglianza partecipano alle attività del collegio con gli stessi poteri e attribuzioni dei magistrati togati. È dunque consentito affidare loro lo studio di singoli affari e la redazione dei provvedimenti adottati. Non sono, invece, delegabili agli esperti del tribunale di sorveglianza le funzioni di magistrato di sorveglianza come organo monocratico ma all'esperto può essere incaricato di svolgere – nelle ipotesi di rinvio o sospensione dell'esecuzione della pena di cui all'art. 684, comma 2, c.p.p. – un'attività di valutazione della documentazione sanitaria in collaborazione con il magistrato di sorveglianza. Attesa la parificazione tra giudici onorari e magistrati togati del tribunale di sorveglianza, ne consegue che la disciplina dettata dall'art. 11 c.p.p., in materia di individuazione della competenza per i procedimenti riguardanti i magistrati si applica anche agli esperti dei tribunali di sorveglianza (Cass. pen., Sez. I, 18 marzo 2008, n. 16713).

Il tribunale decide con ordinanza, emessa in camera di consiglio all'esito dell'udienza camerale e, in caso di parità di voti, prevale quello del presidente. Le funzioni di pubblico ministero avanti al tribunale di sorveglianza sono esercitate dal procuratore generale presso la Corte d'appello (art. 678, comma 3, c.p.p.).

Il tribunale di sorveglianza è competente, quale giudice di prima istanza, nelle seguenti materie: concessione e revoca delle misure alternative alla detenzione indicate nel Capo VI della l. 354/1975 e negli artt. 90 e 94 d.P.R. 309/1990; rinvio obbligatorio e facoltativo dell'esecuzione della pena (artt. 146 e 147 c.p.p.); rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della misura di sicurezza (art. 211-bis c.p.); conversione delle sanzioni sostitutive nel corrispondente periodo di detenzione nel caso di violazione delle prescrizioni delle stesse (artt. 66 e 108, l. 24 novembre 1981, n.689); concessione e revoca della riabilitazione (art. 176 c.p. e art. 683 c.p.p.); declaratoria di estinzione delle pene e di ogni effetto penale in caso di esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale e della liberazione condizionale (art. 236, disp. att. c.p.p.). Quale giudice del gravame, il tribunale di sorveglianza è competente in materia di: appello avverso le ordinanze del magistrato di sorveglianza in materia di misure di sicurezza, dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato o di tendenza e delinquere (art. 680 c.p.p.); appello avverso le sentenze penali di condanna, proscioglimento o di non luogo a procedere concernenti le disposizioni che riguardano le misure di sicurezza (art. 680 c.p.p.); reclamo avverso i provvedimenti del magistrato di sorveglianza concernenti l'espulsione di cui all'art. 16, comma 5, d.lgs. 286/1998 (T.U. Stranieri), la sottoposizione della corrispondenza dei detenuti a forme di controllo (art. 18-ter, l. 354/1975), la liberazione anticipata (art. 69-bis, l. 354/75), la sospensione condizionata della pena (l. 207/2003), l'esecuzione della pena presso il domicilio (l. 199/2010); il reclamo avverso decreto del magistrato di sorveglianza di esclusione dal computo della pena del tempo trascorso dal detenuto o dall'internato in permesso o in licenza nel caso di mancato rientro o altri gravi comportamenti (art. 53-bis, l. n. 354/75); reclamo avverso decreti in materia di permessi ordinari e permessi premio (art. 30-bis, l. 354/1975). Il tribunale di sorveglianza agisce quale giudice di primo grado in materia di legittimità dell'atto amministrativo nelle materie concernenti il reclamo avverso il provvedimento dell'amministrazione penitenziaria che sospende le normali regole di trattamento ai sensi dell'art. 41-bis, l. 354/1975 (in questa ipotesi, la competenza è concentrata in capo ad un unico ufficio, il tribunale di sorveglianza di Roma) e il reclamo avverso il provvedimento dell'amministrazione penitenziaria che dispone o proroga il regime di sorveglianza particolare (art. 14-ter, l. 354/1975).

Aspetti processuali

La prima questione a porsi in tema di profili processuali riguarda la previsione in forza della quale, quando il tribunale giudica in sede di gravame avverso i provvedimenti emessi dal magistrato di sorveglianza ai sensi degli artt. 18-ter, 30-bis, 69, comma 4, e 69-bis ord. pen., del collegio non può far parte il magistrato di sorveglianza che ha emesso il provvedimento impugnato. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, l'eventuale decisione assunta dal collegio composto in violazione di dette ipotesi di incompatibilità non sarebbe affetta da alcuna nullità. Per tale ragione, è lasciata all'iniziativa di parte l'eventuale ricusazione del giudice, in carenza della quale il vizio – secondo la giurisprudenza di legittimità – non può essere ulteriormente rilevato o eccepito, neppure con il ricorso per cassazione. Si tratta, tuttavia, di un'impostazione da revocarsi in dubbio in seguito all'introduzione del principio di cui all'art. 111 Cost. e dell'affermazione dei principi del c.d. "equo processo", che impongono l'estensione anche al procedimento di sorveglianza delle garanzie atte a preservare la terzietà e l'imparzialità del giudice, talché deve ritenersi percorribile la possibilità di ricorso in cassazione, per violazione di legge, dell'eventuale provvedimento adottato da un collegio non conformato al principio costituzionale sopra ricordato.

Un secondo profilo peculiare della procedura di sorveglianza concerne la necessaria correlazione tra il giudice e la persona nei cui confronti si procede in sede di sorveglianza. L'art. 70, comma 6, l. 26 luglio 1975, n. 354, stabilisce che uno dei componenti togati che forma il collegio giudicante deve essere il magistrato di sorveglianza sotto la cui giurisdizione è posto il condannato o l'internato alla cui posizione si deve provvedere. Alla eventuale inosservanza di tale disposizione non corrisponde – anche in questo caso - alcun effetto processuale (nullità), bensì una mera irregolarità procedurale (Cass. pen., Sez. I, 6 maggio 2008, n. 20291).

Con riguardo al principio della c.d. “parità delle armi”, si è posta la questione della compatibilità con tale garanzia del disposto di cui all'art. 666, comma 7, c.p.p., ove è stabilita la possibilità che il giudice a quo sospenda l'efficacia del provvedimento impugnato in attesa della definizione del ricorso per cassazione. La disposizione – che trova pacificamente applicazione nel caso di ricorso avverso le decisioni del tribunale di sorveglianza – ha natura eccezionale, poiché nel sistema dell'esecuzione penale vige il contrario principio, stabilito dalla stessa norma dell'art. 666, comma 7, c.p.p., prima parte, secondo il quale il ricorso non ha effetto sospensivo (Cass. pen., Sez. I, 7 novembre 1997, n. 5854).

Relativamente alla tutela dei profili di terzietà e imparzialità del giudice, nelle materie di competenza della magistratura di sorveglianza il divieto per il giudice che abbia già conosciuto gli atti del procedimento di comporre il collegio giudicante opera in limitatissime fattispecie, tutte riferibili a ipotesi di competenza del tribunale di sorveglianza in materia di impugnazione dell'interessato avverso provvedimenti di cui il giudice incompatibile sia l'estensore (v. artt. 30-bis, comma 5; 69-bis, comma 4; art. 70, comma 4, l. 354/1975). Al contrario, nessun divieto impone di astenersi al giudice nei casi in cui lo stesso magistrato-persona fisica abbia adottato in via provvisoria un provvedimento anticipatorio della decisione definitiva del tribunale e intervenga poi come componente dell'assise collegiale chiamata a confermare o modificare il provvedimento provvisorio (artt. 684, comma 2, c.p.p.; art. 47, comma 4 e 51-ter l. 354/1975). Mentre la dottrina maggioritaria è orientata ad individuare, nelle situazioni sussunte dalle disposizioni penitenziarie sopra richiamate, altrettante ipotesi di incompatibilità (Grevi, Giostra e Della Casa (a cura di) Ordinamento penitenziario. Commento articolo per articolo, Padova 2015, sub art. 51-ter ord. pen.), giungendo a prospettare dubbi in tema di legittimità della partecipazione al giudizio di revoca della misura alternativa, quale componente del collegio giudicante, del magistrato di sorveglianza che abbia adottato il provvedimento di sospensione provvisoria della stessa ai sensi dell'art. 51-ter, l. 354/1975); la giurisprudenza ha, al contrario, fino ad ora sempre ritenuto conforme ai principi costituzionali l'attuale assetto normativo. È pertanto escluso vi sia incompatibilità a comporre il collegio del tribunale di sorveglianza, con riguardo alle ipotesi di revoca delle misure alternative alla detenzione, del magistrato di sorveglianza che si sia pronunciato in via provvisoria ai sensi dell'art. 51-bis o 51-ter, l. 354/1975, alla luce della natura “cautelare” della decisione adottata in via urgente dal magistrato di sorveglianza, e dunque inidonea, per la sua stessa natura provvisoria, a costituire quell' “anticipazione del giudizio” di merito che, incidendo sull'imparzialità del giudice, determinerebbe l'incompatibilità a garanzia del "giusto processo" (Cass. pen., Sez. I, 25 giugno 1993; Cass. pen., Sez. I, 10 luglio 1995). In tali casi, l'interessato ha peraltro facoltà di proporre istanza di ricusazione di quel giudice, ai sensi degli artt. 37 e ss. c.p.p.; facoltà che, se non tempestivamente esercitata, preclude ogni ulteriore doglianza (Cass. pen., Sez. I, 13 aprile 1996, n. 1534). Per l'ipotesi sopra evocata, secondo la giurisprudenza, non è espressamente comminata alcuna nullità specifica né tale anomalia può inquadrarsi nella nullità di ordine generale di cui all'art. 178, lett. a), c.p.p., non concernendo né il numero dei giudici necessario per costituire il collegio né le condizioni di capacità del giudice (ex multis, Cass. pen., Sez. I, 31 gennaio 2005, n. 3039).

Nei procedimenti di sorveglianza trova applicazione analogica il principio dell'immutabilità del giudice previsto dall'art. 525, comma 2, c.p.p., la cui inosservanza comporta nullità assoluta del procedimento e del provvedimento terminale (Cass. pen., Sez. I, 20 aprile 1996, n. 1905). L'osservanza del principio della immutabilità del giudice non contrastacon l'eventuale mutamento del giudice persona fisica assegnatario del procedimento qualora detta sostituzione si verifichi in seguito ad un'udienza di mero rinvio della trattazione, poiché la ratio della disposizione processuale in esame esprime la generale esigenza che la decisione giurisdizionale, qualsivoglia forma venga ad assumere (e quindi anche quella di ordinanza, come nel caso del tribunale di sorveglianza), sia emanata dal medesimo giudice che ha provveduto alla trattazione della procedura (per trattazione deve intendersi l'esame delle acquisizioni probatorie funzionali alla decisione, ogni attività istruttoria finalizzata alla medesima, l'assunzione delle richieste e conclusioni delle parti, mentre non rientra in detto concetto il mero rinvio preliminare dell'esame di merito della vicenda sottoposta al giudice: Cass. pen., Sez. I, 20 aprile 1994, n. 1317).

Casistica. Istituti processuali applicabili al giudice di sorveglianza

Principio dell'incompatibilità del giudice danno

È escluso che vi sia incompatibilità a comporre il collegio per il magistrato di sorveglianza che si sia pronunciato ai sensi dell'art. 684 c.p.p., in tema di differimento provvisorio dell'esecuzione della pena per gravi motivi di salute (Corte cost. 24 novembre 1997, n. 364).

Incompatibilità per parentela, affinità o coniugio

L'incompatibilità prevista dall'art. 35, c.p.p. ricorre solo nel caso che magistrati legati fra loro da rapporto di coniugio, parentela od affinità fino al secondo grado esercitino le loro funzioni nello stesso procedimento, e non può dirsi sussistente quando, avendo un tribunale di sorveglianza prima concesso e poi revocato una misura alternativa alla detenzione (nella specie, affidamento in prova), uno dei magistrati abbia fatto parte del collegio che aveva adottato il primo provvedimento e l'altro del collegio che ha poi adottato il secondo (Cass. pen., Sez. I, 8 settembre 1995, n. 4178).

Incompatibilità per l'emissione di un precedente provvedimento

La funzione svolta dal magistrato di sorveglianza a norma dell'art. 51-ter, l. 354/1975 ha natura cautelativa e non decisoria, risolvendosi in una provvisoria sospensione della misura alternativa; il relativo provvedimento non si pone, pertanto, come un grado precedente di decisione rispetto a quella che promana dal tribunale di sorveglianza e non sussiste, conseguentemente, incompatibilità a comporre il collegio di detto tribunale chiamato a decidere in ordine alla revoca della misura alternativa da parte del magistrato di sorveglianza che ne ha disposto la sospensione in via provvisoria, il quale, anzi, di norma, ne deve far parte (Cass. pen. Sez. I, 24 luglio 1993, n. 3025).

L'incompatibilità rileva in tema di impugnazione avverso ordinanze in materia misure di sicurezza

Mentre in materia di misure di sicurezza il magistrato di sorveglianza ha un potere decisionale proprio, per cui il gravame avverso provvedimenti adottati in detta materia segue le regole generali in base alle quali è esclusa la partecipazione al giudizio di secondo grado da parte del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, nel caso, invece, della sospensione di una misura alternativa alla detenzione disposta ai sensi dell'art. 51-ter ord. pen., il provvedimento del magistrato di sorveglianza è soltanto un provvedimento provvisorio, come tale non impugnabile, posto che la decisione in ordine alla revoca spetta al tribunale di sorveglianza, quale giudice di primo grado e non di appello (Cass. pen., Sez. I, 13 ottobre 2000, n. 1408).

Partecipazione, in sede di giudizio di rinvio, degli stessi magistrati che avevano deliberato l'ordinanza poi annullata con rinvio dalla Cassazione

Non può essere dedotta come motivo di nullità attraverso l'esperimento di mezzi di gravame, ma può soltanto costituire motivo di ricusazione del giudice, ai sensi dell'art. 37, comma 1, lett. a), c. p. p. la partecipazione, in sede di rinvio, alla composizione del collegio giudicante di un tribunale di sorveglianza, degli stessi magistrati che avevano deliberato l'ordinanza annullata dalla Cassazione in seguito a ricorso dell'interessato (Cass. pen., Sez. I, 14 gennaio 1993, n. 108).

Il presidente del Tribunale di sorveglianza

Le funzioni del presidente del tribunale di sorveglianza sono disciplinate dall'art. 70-bis della legge di ordinamento penitenziario. Il presidente del tribunale di sorveglianza – oltre ad esercitare le funzioni di magistrato di sorveglianza per l'ufficio presso la sede del tribunale – esercita i compiti di natura organizzativa nell'ufficio di sorveglianza istituito nel capoluogo di distretto (la cui sede coincide con la sede del tribunale distrettuale): organizza e dirige le attività del tribunale di sorveglianza; coordina l'attività degli uffici di sorveglianza compresi nella giurisdizione del tribunale, limitatamente ai profili relativi al disbrigo degli affari di competenza del tribunale; dispone l'applicazione dei magistrati e del personale amministrativo nell'ambito degli uffici di sorveglianza nei casi di assenza, impedimento o urgenti necessità di servizio; chiede al presidente della Corte d'appello l'intervento suppletivo di cui all'art. 68, comma 3, l. 354/1975; propone al C.S.M. la nomina degli esperti effettivi o supplenti componenti del tribunale e compila le tabelle per gli emolumenti loro spettanti; svolge tutte le altre attività a lui riservate dalla legge e dai regolamenti.

In evidenza

L'art. 111 Cost., utilizza gli aggettivi terzo e imparziale per connotare la figura del giudice, così che, per essere giusto il processo deve essere amministrato da parte di una figura che si caratterizza indefettibilmente per essere, appunto, terzo e imparziale rispetto agli interessi processuali in gioco non meno che ai soggetti che prendono parte al confronto dialettico del “processo di parti”, espressione dei principi scolpiti negli artt.3 e 24 Cost. (Corte cost., 24 aprile 1996, n. 131 e 20 maggio 1996, n. 155).

Guida all'approfondimento

Di Ronza, Manuale dell'esecuzione penale, Padova 2003, 75;

Fiorentin-Marcheselli, L'Ordinamento Penitenziario, Torino 2005, 70;

Grevi, Giostra e Della Casa (a cura di) Ordinamento penitenziario. Commento articolo per articolo, Padova 2015.

In generale, sugli strumenti giurisdizionali a disposizione della magistratura di sorveglianza, v. Kostoris, Linee di continuità e prospettive di razionalizzazione nella nuova disciplina del procedimento di sorveglianza, in Grevi (a cura di), L'Ordinamento Penitenziario tra riforma ed emergenza, Padova 1994);

Canepa-Merlo, Manuale di diritto penitenziario, 8a ed, Milano 2006, 76.

Sommario