Misure cautelari personali

Costantino De Robbio
20 Aprile 2016

Le misure cautelari personali sono provvedimenti del giudice – in forma di ordinanza – con cui si comprime la libertà dell'indagato al fine di proteggere (cautelare) il procedimento penale nella fase di accertamento che precede il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.
Inquadramento

Le misure cautelari personali sono provvedimenti del giudice – in forma di ordinanza – con cui si comprime la libertà dell'indagato al fine di proteggere (cautelare) il procedimento penale nella fase di accertamento che precede il passaggio in giudicato della sentenza di condanna.

Di fatto, coincidono con la pena detentiva.

Per evitare che l'indagato sconti la pena in un momento in cui non è ancora stata accertata la sua responsabilità per il reato di cui è accusato (abuso della carcerazione preventiva), alcune recenti riforme (legge 117 del 2014 e legge 47 del 2015) hanno inciso notevolmente su questo istituto secondo le seguenti direttive:

a) accentuata la analisi del merito della vicenda: oggi è richiesta al giudice della cautela una prognosi dell'esito del processo, per evitare l'adozione di misure ogni volta che è prevedibile che l'indagato, anche se condannato, non sconti una pena detentiva (sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p., sospensione dell'esecuzione ex art. 656 c.p.p.).

b) La custodia in carcere come extrema ratio: il giudice che adotta la misura cautelare ex art. 285 c.p.p. dovrà spiegare perché ha ritenuto insufficiente ogni altra misura coercitiva e/o interdittiva, e perché non ritiene sufficiente l'adozione degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

c) Plasticità delle misure cautelari: possono essere combinate più misure cautelari (sia coercitive che interdittive).

d) Rafforzato l'obbligo di motivazione.

I requisiti di applicazione (dopo le riforme del 2014 e 2015)

Il primo requisito per l'applicazione di una misura cautelare personale è costituito dalla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza (accertamento interinale sulla fondatezza della ricostruzione accusatoria).

In evidenza

Le dichiarazioni della persona offesa possono costituire da sole elemento idoneo all'adozione di una misura cautelare, anche in assenza di riscontri estrinseci, quando siano ritenute dal giudice, secondo il suo libero e motivato apprezzamento, attendibili sul piano oggetto e su quello soggettivo (Così Cass. pen., Sez. II, 15 marzo 2013, n. 26764)

Ratio: vietare l'applicazione di misure cautelari basate su fatti che non potranno essere utilizzati per la decisione, per ridurre al minimo il rischio di assoluzioni dopo la carcerazione preventiva.

Secondo requisito è la verifica delle esigenze cautelari (pericolo di reiterazione del delitto, pericolo di fuga, pericolo di inquinamento probatorio).

Ratio: la cautela del processo penale, intesa come protezione del procedimento di accertamento della verità processuale dagli attacchi o comunque dai fattori di disturbo esogeni.

Le esigenze cautelari devono essere attuali: la situazione di pericolo deve essere il più possibile riferibile al momento dell'intervento del giudice.

In evidenza

Cass. pen., Sez. unite, 24 settembre 2009, n. 40538 ha precisato che in tema di misure cautelari, il riferimento in ordine al "tempo trascorso dalla commissione del reato" di cui all'art. 292, comma secondo, lett. c) cod. proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari.

Pericolo di inquinamento probatorio: la necessità di intervenire deve essere dovuta ad esigenze specifiche ed inderogabili. Non può essere desunto dalla mancata confessione o dall'esercizio della facoltà di non rispondere.

Solo per questo caso è previsto un termine di scadenza della misura cautelare in relazione alla prevedibile durata delle indagini da compire.

Pericolo di fuga: condotte sintomatiche come ad esempio l'acquisto di biglietti aerei per una località estera, il trasferimento di fondi in un conto corrente sito al di fuori del territorio nazionale, la preparazione di valigie o di operazioni di trasloco. Valgono anche motivazioni basate sul tenore di vita del soggetto, sulla mancanza di stabili legami in territorio nazionale o di fissa dimora, o viceversa l'accertata esistenza di legami con paesi esteri o con coindagati di nazionalità straniera in grado di reperire una dimora ed una sistemazione nel loro paese, nonché lo stato di disoccupazione e i precedenti penali.

In evidenza

Dopo le modifiche apportate alla norma in esame dalla legge 47 del 2015, la gravità della sanzione a cui l'indagato è esposto non potrà più essere unico criterio di valutazione per la sussistenza dell'esigenza cautelare in esame.

Pericolo di reiterazione: deve risultare sia da specifiche modalità e circostanze del fatto che dalla personalità della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato.

Questa esigenza cautelare deve poi essere riferita ad una delle quattro categorie di reati seguenti:

a) gravi delitti con uso di armi;

b) gravi delitti con uso di mezzi di violenza personale;

c) delitti di criminalità organizzata ;

d) delitti della stessa specie di quello per cui si procede.

Tipologie

La custodia in carcere. Consiste nell'affidamento coatto del destinatario ad un istituto penitenziario nel quale egli permane in regime di vera e propria reclusione, in tutto analogo a quello che sconterà in caso di condanna.

Gli arresti domiciliari. Ex art. 284 c.p.p., l'imputato agli arresti domiciliari si considera in stato di custodia cautelare.

L'individuazione del luogo concreto ove la misura dovrà essere eseguita spetta al giudice e non all'indagato né al pubblico ministero.

In evidenza

Qualora non sia possibile individuare un domicilio idoneo – perché ad esempio il destinatario è senza fissa dimora – è legittima l'adozione della misura della custodia in carcere, anche in deroga ai limiti di legge.

Laddove necessario il giudice può aggiungere ulteriori limitazioni, imponendo limiti o divieti alla facoltà di comunicare con gli altri.

Tale divieto investe la possibilità di comunicare telematicamente ma non di utilizzare in generale il mezzo telematico per connettersi all'esterno via Internet.

È dunque possibile prescrivere il divieto di usare chat ma non di usare Internet in generale.

È inoltre prevista la possibilità di ottenere l'autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio nel corso della giornata per provvedere alle proprie esigenze di vita o per esercitare un'attività lavorativa. Tale autorizzazione è soggetta ai seguenti limiti:

a) le indispensabili esigenze di vita devono essere riferite ai soli bisogni materiali;

b) deve esservi uno stato di assoluta indigenza.

Gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.

Orientamenti a confronto

Tesi 1 (Cass. pen., Sez. III, 3 dicembre 2014, n. 7421): è una modalità degli arresti domiciliari: in caso di indisponibilità del braccialetto si converte in arresti domiciliari semplici.

Tesi 2 (Cass. pen., Sez. II, 23 settembre 2014, n. 50400): il giudice sceglie gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico perché gli arresti domiciliari sono ritenuti insufficienti; legittimo prevedere che in caso di indisponibilità del braccialetto si traduca in custodia in carcere.

Oggi questa misura è prevalente sulla custodia in carcere: il giudice per applicare la custodia in carcere deve spiegare perché non ritiene sufficiente la misura ex 275 bis c.p.p.

L'obbligo di presentazione alla PG. Con cui si impone al destinatario di recarsi presso un determinato ufficio di polizia a cadenze fisse determinato discrezionalmente dal giudice.

L'allontanamento dalla casa familiare ed il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. La loro caratteristica principale, che le distingue da tutte le altre misure cautelari personali, è di essere previste specificamente per una tipologia di reati.

Ulteriore, importante elemento costitutivo (eventuale) della misura cautelare dell'allontanamento dalla casa familiare è costituito dalla possibilità che il giudice prescriva al destinatario di versare un assegno periodico a favore delle persone conviventi: si è così voluto evitare che, per effetto dell'applicazione della misura cautelare, le vittime della condotta illecita o comunque i conviventi dell'indagato si venissero a trovare privi dei mezzi di sostentamento.

Divieto e obbligo di dimora. Con il primo il giudice prescrive al destinatario di non vivere in un determinato luogo e di non accedervi senza autorizzazione; con l'obbligo di dimora, è invece prescritto di non allontanarsi dal comune ove dimora.

Divieto di espatrio. Con cui il giudice prescrive al destinatario della misura di non allontanarsi dal territorio nazionale senza autorizzazione.

Misure interdittive. Si tratta di misure in cui la cautela delle indagini e dell'accertamento processuale è attuata interdicendo a questi l'esercizio di alcuni diritti o potestà.

Dopo la legge 47 del 2015 l'originaria durata di due mesi è stata sostituita con una durata variabile non superiore a dodici mesi.

Nel caso in cui riceva una richiesta di applicazione della misura interdittiva della sospensione da un pubblico servizio il giudice è tenuto, prima della decisione, ad interrogare l'indagato.

La scelta della misura da adottare: il giudice costruisce l'ordinanza “su misura”

Il primo elemento che determina la scelta della misura da adottare è la richiesta del pubblico ministero

Al magistrato inquirente è infatti devoluto non solo il potere di iniziativa ma anche quello di determinare la misura cautelare che il giudice dovrà emettere: egli non potrà limitarsi a richiedere l'adozione di una misura cautelare ma dovrà specificare quale tipo di ordinanza richiede al giudice.

Al giudice è invece riservato il ruolo di valutazione della fondatezza della domanda cautelare, nell'ambito del “recinto” fissato dal magistrato inquirente.

La prima conseguenza di questa potestà assegnata alla procura di fissare il thema decidendum dell'intervento del giudice è data dal fatto che non sono legittime ordinanze con cui si imponga una misura cautelare più grave di quella richiesta.

Può dunque dirsi che il giudice è libero di adottare la misura nell'ambito del petitum che è determinato dalla domanda cautelare.

In evidenza

L'ordinanza applicativa di una misura più grave di quella richiesta è affetta da nullità assoluta ed insanabile, e non può essere emendata nemmeno con l'annullamento da parte del tribunale del riesame che eventualmente riporti l'equilibrio violato tra chiesto e pronunciato. (Cass. pen., Sez. III, 20 marzo 2014, n. 28443).

Nell'ambito del petitum, il giudice sceglie la misura avendo come obiettivo il massimo risultato (principio di adeguatezza) con il minimo sacrificio della libertà del destinatario (proporzionalità).

La custodia cautelare in carcere potrà essere adottata solo quando tutte le altre misure coercitive e interdittive, anche applicate cumulativamente, risultino inadeguate.

Oggi la legge consente dunque al giudice non solo di scegliere tra i vari modelli di misura cautelare disegnati dal codice ma di disegnare modelli nuovi, adattandoli al caso concreto.

Questa discrezionalità incontra dei limiti.

Il primo è dettato dall'art. 275, comma 1, c.p.p.: nel giudizio di idoneità il giudice tiene conto della specifica idoneità di ciascuna misura cautelare.

Un secondo parametro è pure ricavabile dalla stessa norma (art. 275, comma 1, c.p.p.) che impone al giudice di scegliere in relazione alla natura ed al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto.

È importante considerare anche ciò che questa norma non dice: il riferimento esclusivo alle esigenze cautelari implica che il giudice non deve scegliere le misure in base alla gravità del reato né alla gravità degli indizi di colpevolezza.

L'unico parametro corretto di riferimento è dunque costituito dalla gravità delle esigenze cautelari: maggiore sarà il pericolo per queste ultime, più incisiva dovrà essere la risposta del giudice

È però vero che il criterio ora analizzato dovrà tenere conto del principio enunciato nel secondo comma dell'articolo 275 del codice di procedura penale, ove si legge che ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata.

Ulteriore elemento da valutare nella scelta della misura è poi quello imposto dal comma 2-bis dell'articolo 275 c.p.p., secondo cui non può essere applicata la misura della custodia in carcere o degli arresti domiciliari se il giudice ritiene che in caso di futura condanna la pena sarà sospesa condizonalmente ai sensi dell'art. 163 c.p.

Al comma 2-bis è poi stato aggiunto nel 2014 un ulteriore periodo in conseguenza del quale non può applicarsi la misura della custodia cautelare in carcere se il giudice ritiene che, all'esito del giudizio, la pena detentiva irrogata non sarà superiore a tre anni.

La norma subisce però numerose deroghe, ipotesi in cui potrà essere applicata la custodia in carcere anche se il reato per cui si procede prevede limiti edittali inferiori a tre anni di reclusione:

  1. La violazione delle prescrizioni inerenti la misura cautelare degli arresti domiciliari (art. 275, comma 1-ter, c.p.p. e art. 280, comma 3, c.p.p.).
  2. I delitti di cui agli articoli 423-bis, 572, 612-bis e 624-bis del codice penale e tutte le ipotesi previste dall'articolo 4-bis dell'ordinamento penitenziario.
  3. I casi previsti dall'articolo 275, comma 3 del codice di procedura penale.
  4. Il caso in cui gli arresti domiciliari non possono essere disposti per mancanza di un domicilio idoneo.

In evidenza

Nel caso di condanna a pena inferiore a tre anni, il giudice non è tenuto a scarcerare l'imputato soggetto a custodia cautelare in carcere, perché il divieto dell'articolo 275, comma 2-bis, c.p.p. vale solo per il momento di applicazione della misura ma non anche per le vicende successive. Può sostituire o revocare la misura, però, per una rivalutazione delle esigenze cautelari. (Cass. pen., Sez. VI, 16 dicembre 2014, n. 1798; Cass. pen., Sez. IV, 26 marzo 2015, n. 13025).

Il legislatore ha previsto in alcuni casi l'obbligo del giudice, una volta accertati i presupposti di adozione di una misura cautelare, di ricorrere alla custodia in carcere: un elenco di ipotesi delittuose di particolare allarme sociale per le quali vi è una presunzione di inadeguatezza di ogni misura cautelare diversa dalla custodia in carcere.

Nell'attuale e finora ultima formulazione derivante dalle menzionate modifiche apportate dalla legge 47 del 2015, l'obbligatorietà della custodia in carcere si modella secondo i principi che seguono:

a) gli unici delitti per i quali deve essere applicata la misura cautelare massima sono quelli previsti dagli articoli 270 c.p. (associazione sovversiva), art. 270-bis c.p. (associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordinamento costituzionale) e art. 416-bis c.p. (associazione per delinquere di stampo mafioso), anche in questi casi è fatta salva la possibilità per il giudice di rigettare la misura per mancanza di esigenze cautelari;

b) è stata introdotta una seconda categoria di delitti, di particolare allarme sociale ma in misura “minore” rispetto a quelli enunciati nel periodo precedente: per questi reati deve essere applicata la misura cautelare della custodia in carcere, fatta eccezione per i casi in cui il giudice non ritenga sussistenti le esigenze cautelari (caso identico al precedente) e per quelli in cui, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Nei casi previsti dal terzo periodo si deve dunque partire dal carcere, salvo ripiegare su misure minori, negli altri casi si deve partire dalle misure minori, salvo ricorrere al carcere se queste si rivelano insufficienti.

Aspetti procedimentali

Il pubblico ministero non deve motivare la richiesta ma è tenuto all'allegazione degli elementi su cui la richiesta si fonda.

La selezione degli atti non potrà andare a detrimento delle esigenze difensive: l'allegazione degli atti a favore del destinatario della misura deve essere completa.

Sono utilizzabili in sede cautelare:

  • le sentenze anche se non ancora passate in giudicato;
  • il dispositivo di sentenza resa in altro processo, anche senza motivazione;
  • le dichiarazioni rese da soggetti escussi a sommarie informazioni, anche se non sottoscritte dagli interessati;
  • le prove acquisite illegittimamente o senza l'osservanza delle prescrizioni formali.
  • per le intercettazioni, basta depositare i brogliacci.

L'ordinanza del giudice. In caso di incompetenza il giudice emette la misura e si dichiara incompetente; segue procedura di conferma da parte del giudice competente entro venti giorni (art. 27 c.p.p.).

Motivazione: secondo le prescrizioni dettate dall'articolo 292 del codice di procedura penale, l'ordinanza di applicazione di una misura cautelare deve dunque contenere innanzitutto una descrizione sommaria del fatto con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate.

Il secondo elemento è costituito dalla esposizione e l'autonoma valutazione (inciso aggiunto dalla legge 47 del 2015) delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, con l'indicazione degli elementi di fatto da cui sono desunti e dei motivi per i quali essi assumono rilevanza, tenuto conto anche del tempo trascorso dalla commissione del delitto.

Uno specifico passaggio della motivazione dell'ordinanza riguarda la confutazione degli argomenti a favore dell'indagato, se questi siano stati forniti dalla difesa.

La fase esecutiva. L'organo che cura l'esecuzione della misura cautelare è il pubblico ministero.

Da questo momento si determina l'instaurazione del contraddittorio.

Due ulteriori adempimenti chiudono la fase esecutiva.

1. L'avviso di deposito, notificazione al difensore dell'avvenuto deposito in cancelleria dell'ordinanza, della richiesta di applicazione della misura cautelare e degli atti ad essa allegati.

Mediante questo atto dunque il giudice mette a disposizione della difesa gli atti su cui si basa l'accusa nei confronti del suo assistito, attuando una completa discovery degli elementi presenti nel fascicolo cautelare.

2. L'interrogatorio del destinatario della misura, che deve avvenire, exart. 294 c.p.p. immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio di esecuzione della custodia cautelare; per le misure diverse da quelle custodiali, il termine è di dieci giorni (art. 294, comma 1-bis, c.p.p.).

L'obbligo di interrogare il destinatario della misura cautelare non sussiste nei casi di:.

a) impedimento della persona da interrogare;

b) misura cautelare applicata dopo l'apertura del dibattimento;

c) precedente interrogatorio espletato in fase di convalida dell'arresto o del fermo;

d) misura cautelare applicata dal tribunale per il riesame o dalla Cassazione;

e) il ripristino della misura cautelare;

f) l'aggravamento della misura;

g) la rinnovazione della misura ai sensi dell'art. 27 del codice di procedura penale;

h) la rinnovazione della misura ex art. 302 del codice di procedura penale.

Vicende successive all'emanazione

La revoca o sostituzione avviene ad impulso di parte.

Prima di decidere, il giudice dovrà comunque acquisire il parere del pubblico ministero.

In evidenza

Con legge 15 ottobre 2013 n. 119 sono state introdotte importanti modifiche al codice di procedura penale per rafforzare la risposta repressiva nei delitti contro le persone commessi con violenza.

Tra le nuove norme, l'articolo 299 c.p.p. prevede che la richiesta di revoca o sostituzione delle misure cautelari adottate nei confronti degli indagati per reati violenti deve essere notificata a cura della persona richiedente, a pena di inammissibilità, alla persona offesa attraverso il difensore.

In evidenza

Procedimento in caso di richiesta per motivi di salute. Il comma 4-ter dell'art. 299 c.p.p. prevede che in caso di istanza per motivi di salute il giudice è obbligato a disporre perizia medica, a meno che non ritenga che l'istanza vada accolta ictu oculi.

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