Misure coercitive

07 Giugno 2017

Il processo penale, in quanto si sostanzia in una progressione causale, richiede che i suoi interessi siano protetti anche in via anticipata, onde evitare che nello scarto inevitabile di tempo tra il momento d'inizio e il suo perfezionamento possano verificarsi degli eventi capaci di impedire la concreta attuazione o integrazione degli effetti perseguiti: a questo fine tendono i provvedimenti cautelari. Nell'ambito di questi, le misure cautelari personali si caratterizzano in quanto atti restrittivi adottabili – attesa l'inviolabilità della libertà personale (« ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza ») – solo nei casi espressamente previsti dalla legge (principio di ...
Inquadramento

Il processo penale, in quanto si sostanzia in una progressione causale, richiede che i suoi interessi siano protetti anche in via anticipata, onde evitare che nello scarto inevitabile di tempo tra il momento d'inizio e il suo perfezionamento possano verificarsi degli eventi capaci di impedire la concreta attuazione o integrazione degli effetti perseguiti: a questo fine tendono i provvedimenti cautelari.

Nell'ambito di questi, le misure cautelari personali si caratterizzano in quanto atti restrittivi adottabili – attesa l'inviolabilità della libertà personale (« ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza ») – solo nei casi espressamente previsti dalla legge (principio di legalità e di tassatività: artt. 5 § 1 primo periodo Cedu, art. 13 Cost. e art. 272 c.p.p.).

Stante la conseguente natura eccezionale di queste norme, le stesse non possono essere applicate per analogia e vanno interpretate in modo rigoroso.

I provvedimenti sono applicabili ai soggetti nei cui confronti si procede per delitti puniti con l'ergastolo o con la reclusione superiore nel massimo a tre anni, mentre per disporre il carcere, oltre che nella specifica ipotesi del delitto di finanziamento illecito dei partiti, la pena non deve essere inferiore nel massimo a cinque anni. Fanno eccezione le situazioni connesse alla violazione alle prescrizioni di una misura cautelare e le misure disposte ex art. 391, comma 5, c.p.p. in conseguenza dell'arresto in flagranza da parte della P.G.

A tal fine sarà necessario tener conto dei criteri di computo della pena che – in linea con quanto previsto dall'art. 4 c.p.p. sono fissati dall'art. 278 c.p.p..

Non sono tuttavia soltanto le soglie di pena a condizionare la misura applicabile, perché questo elemento deve combinarsi con la solidità degli indizi – seppur sempre gravi – e con l'intensità delle esigenze cautelari che devono essere concrete ed attuali, nonché relazionarsi ad alcune specifiche situazioni prognostiche.

Sotto il primo profilo, nessuna misura potrà essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giustificazione o di non punibilità o se sussista una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata (art. 273, comma 2, c.p.p.).

Sotto il secondo profilo, con riferimento al pericolo di fuga dovrà essere considerata la prognosi di una pena superiore ai due anni (art. 274, lett. b) c.p.p.) e con riferimento al pericolo di reiterazione si dovrà prospettare, tra gli altri elementi, ai fini dell'applicazione del carcere, anche la reiterabilità di reati della stessa specie per una pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni per l'applicazione del carcere delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (art. 274, lett. c) c.p.p.).

Per l'esclusione della custodia cautelare (carcere e arresti domiciliari) andrà anche considerata la possibilità dell'applicazione della sospensione condizionale della pena, la cui applicabilità non escluderà, invece, le altre misure cautelari.

Un discorso particolare riguarda il carcere sia per gli obblighi di motivazione che ne devono connotare sotto vari profili l'applicazione (possibile sostituzione con arresti domiciliari e braccialetto; motivi della non applicabilità di altre misure non custodiali anche cumulativamente) (art. 275,comma 3, c.p.p.), sia le situazioni di presunzioni assolute e relative di pericolosità che ne impongano l'applicazione di cui all'art. 275, comma 3, (art. 274, lett. b) c.p.p.).

Nella scelta dello strumento inframurario vanno considerate anche le c.d. situazioni soggettive deboli (art. 275, comma 4, c.p.p.) e le condizioni dei malati di AIDS e quelle equiparate (art. 275, comma 4-bis, 4-ter, 4-quater, 4-quinquies c.p.p.). Andranno valutate anche le possibili ricadute connesse alla violazione alle prescrizioni (art. 276 c.p.p.).

Sullo sfondo restano le opzioni di fondo poste alla base della materia per le quali nella scelta della misura, secondo il criterio della maggiore incisività dello strumento restrittivo evidenziato dalla progressione codicistica agli artt. 281 – 286-bis c.p.p., il giudice sceglierà quella adeguata e quella proporzionata alla gravità del fatto ed alla sanzione che si ritiene possa essere applicata. Si tratta di criteri che presiederanno l'evoluzione delle cautele attraverso la loro sostituzione – in bonam ed in malam partem – ovvero la loro revoca, con interventi non solo su iniziativa di parte, ma anche officiosi (art. 299 c.p.p.).

Le singole misure: a) Il divieto di espatrio

La misura meno afflittiva è costituita dal ritiro del passaporto (art. 281 ex d.l. 306 del 1992 conv. in l. n. 356 del 1992). Di chiaro contenuto, la misura de qua non è scomputabile dalla pena definitiva, pur essendo condizionata dai presupposti di cui agli artt. 273, 274 e 280 c.p.p.. Trovano operatività le previsioni di cui agli artt. 307 e 308 c.p.p. Quanto agli aspetti esecutivi, oltre alla notifica del provvedimento all'imputato, sarà necessaria una comunicazione all'autorità amministrativa competente ad assicurare la materiale attuazione della misura, così da impedire l'utilizzazione del passaporto e degli strumenti di identità validi per l'espatrio.

(Segue). b) L'obbligo di presentazione alla P.G.

In termini di progressiva afflittività (peraltro, non scomputabile dalla pena) si prevede l'obbligo per l'imputato di presentarsi alla P.G., in un determinato ufficio. Non operando la riparazione per l'ingiusta detenzione, la revoca della misura escluderà il permanere dell'interesse al gravame proposto. Con il provvedimento sono fissati i giorni e le ore della presentazione. A quanto fine, il giudice – per non rendere inutilmente gravoso l'obbligo de quo – terrà conto sia dell'attività lavorativa dell'imputato, sia del luogo nel quale è fissata l'abitazione. La misura de qua – come detto – è applicabile anche in caso di concessione del beneficio della sospensione condizionale.

(Segue). c) L'allontanamento dalla casa familiare

Con la l. 154 del 2001 il panorama delle misure cautelari si è arricchito di una nuova “cautela”: l'allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.). Al pari di quanto previsto dall'art. 282-ter c.p.p., relativamente alla misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, si tratta di cautele tese a tutelare soprattutto la vittima dei reati per i quali si sta procedendo, in considerazione del possibile pregiudizio e dei forti rischi di ulteriori fatti delittuosi.

La misura, connessa ai reati commessi in ambito domestico-familiare, consiste nell'ordine impartito dal giudice – su richiesta del P.M. – all'indagato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non rientrarvi e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che potrà prescrivere le precise modalità per le eventuali visite (art. 282-bis, comma 1 c.p.p.).

La misura è applicabile anche se il soggetto si è già allontanato dalla casa familiare.

Il generico ed indiretto riferimento ai reati di qualsiasi tipo commessi nell'ambito domestico trova il suo completamento nel comma 6 dello steso art. 282-bis c.p.p.ove si dispone che qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli artt. 570, 571, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies c.p., la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena di cui all'art. 280 c.p.p.

Alla dimensione del mero allontanamento o del divieto del rientro o di accesso, nel caso di sussistenza di esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, il giudice può imporre all'imputato di non avvicinarsi a determinati luoghi, oggetto di frequentazione abituale della persona offesa (il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti). Qualora si tratti del posto di lavoro, e ciò si renda necessario, il giudice fissa le modalità e le limitazioni della frequentazione.

Al fine di evitare – come evidenziato spesso dalla cronaca – che la situazione di cui alla cautela degeneri in reati più gravi, si prevede che il provvedimento cautelare sia comunicato (atto dovuto, contestuale) all'autorità di pubblica sicurezza competente (si tratterà dell'autorità radicata presso il luogo di domicilio, residenza o altro posto dove si trova l'indagato) per l'eventuale adozione dei provvedimenti in materia di armi e munizioni (art. 41 T.U.L.P.S.) (dovrebbe trattarsi di atto conseguente e automatico). Il provvedimento è comunicato anche ai servizi socio-assistenziali del territorio (al fine di mettere in campo gli interventi), nonché, alla persona offesa per farle conoscere l'ambito della tutela riservatale e per esercitare i suoi diritti relativi (art. 282-quater c.p.p. ).

Il quadro cautelare delineato si completa con la possibile applicazione di una misura di carattere patrimoniale (art. 282-bis, commi 3, 4 e 5, c.p.p.) consistente nella possibilità di ingiungere all'indagato – su richiesta del P.M. – sul presupposto della necessità e dell'urgenza (art. 291, comma 2-bis, c.p.p.), il pagamento di un assegno a favore delle persone conviventi che, a causa dell'allontanamento, restino prive di mezzi di sussistenza. Il giudice determina la misura dell'assegno e le modalità del versamento; l'ordine di pagare ha efficacia di titolo esecutivo (art. 282-bis, comma 3, c.p.p.). Il provvedimento de quo che ha carattere provvisorio – in attesa delle determinazioni del giudice civile – può essere assunto anche non contestualmente alla cautela (sempre che questa non sia stata revocata o abbia perso efficacia); perde efficacia se è revocata e perde efficacia la misura cautelare; può essere modificato in relazione alle mutate condizioni dell'obbligato o del beneficiario; è revocato se la convivenza riprende (art. 282 bis commi4 e 5 c.p.p.).

(Segue). d) Il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa

Introdotta nel contesto della nuova disciplina in tema di atti persecutori, la previsione del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p. ex d.l. 11 del 2009 conv. l. 38 del 2009), in assenza di riferimenti espliciti all'art. 612-bis c.p. deve ritenersi applicabile ad ogni fattispecie criminosa in relazione alla quale la misura risulti adeguata a tutelare la persona offesa. Anche questa misura, infatti, al pari di quella di cui all'art. 282-bis c.p.p., persegue la finalità di tutelare la vittima del reato.

Sotto il profilo contenutistico, la misura si sostanzia nel divieto imposto all'imputato di avvicinarsi a luoghi determinati che sono abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da questi luoghi o dalla persona offesa (art. 282-bis comma 1 c.p.p.). I riferiti dati relativi ai luoghi ed alla distanza dovrebbero trovare puntuale riscontro nel provvedimento del giudice, anche se il concetto di avvicinamento rimane vago. Pure in questo caso, come in quello di cui all'art. 282- bis c.p.p., il contenuto della misura – in relazione ad ulteriori esigenze di tutela – può arricchirsi con analoghe prescrizioni (divieto di avvicinamento; mantenimento di distanza) all'imputato nei confronti dei prossimi congiunti della persona offesa, dei suoi conviventi e più in generale da persone legate a lei affettivamente (art. 282, comma 2, c.p.p.).

Si prevede altresì la possibilità di inibire all'imputato la facoltà di comunicare – con qualsiasi forma, suscettibile di essere invasiva ed ossessiva – con l'offeso e le persone appena citate (art. 282, comma 3, c.p.p.).

Anche in questo caso, si prevede che, per le esigenze di lavoro e per quelle abitative, il giudice prescriva modalità e limitazioni di comportamenti idonee a contemperare le contrapposte esigenze (art. 282-ter, comma 4, c.p.p.).

Pure in relazione a questa misura, al fine di evitare che la situazione oggetto di cautela possa degenerare in fatti delittuosi di maggiore gravità, è prevista l'operatività dell'art. 282-quater c.p.p., relativamente ai riferiti obblighi di comunicazione all'autorità di pubblica sicurezza, alla persona offesa ed ai servizi socio-assistenziali (v. retro).

(Segue). e) Il divieto e l'obbligo di dimora

Nel contesto delle due ipotesi previste di custodia domestica è quella a contenuto meno afflittivo e pertanto la sua durata non può essere scomputata dalla pena definitiva.

Il contenuto del provvedimento applicativo della misura può essere duplice. Da un lato, può imporre all'imputato di non dimorare in un determinato luogo e di non accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede; dall'altro, può imporre all'imputato di non allontanarsi dal comune di dimora abituale oppure – al fine di consentire un più efficace controllo, soprattutto quando il comune di dimora abituale non è sede di ufficio di polizia – di non allontanarsi da una frazione del predetto comune o da un comune vicino o da una frazione di quest'ultimo.

Nell'eventualità in cui la permanenza nei riferiti luoghi risulti, per la personalità dell'imputato oppure per le condizioni ambientali, inadeguata ad assicurare le esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.), il giudice potrà imporre al soggetto di dimorare in un altro comune o in una sua frazione. Al fine di rendere meno gravosa la misura, la scelta cadrà, di preferenza, in un comune della stessa provincia o della stessa regione nella quale abitualmente dimora il soggetto de quo.

Il contenuto della misura qui esaminata è suscettibile di essere ulteriormente integrato da alcune prescrizioni destinate a rendere più gravose le sue modalità esecutive. Il giudice, infatti, anche con separato provvedimento, può disporre che, senza pregiudizio per le esigenze lavorative, l'imputato non si allontani dall'abitazione in alcune ore della giornata. Va tuttavia sottolineato come nel fissare le riferite prescrizioni il giudice dovrà tener conto delle esigenze di alloggio, di lavoro o di assistenza del soggetto da sottoporre all'obbligo di dimora. Anche in tal caso la misura rimane misura ontologicamente diversa dagli arresti domiciliari.

Va sottolineato che il provvedimento con cui il giudice prescrive all'imputato di non allontanarsi dall'abitazione in alcune ore del giorno, deve essere specifico quanto a presupposti, limiti, ambito di applicazione, così da non comprimere totalmente, per genericità ed indeterminatezza, la libertà di movimento dell'imputato e da non snaturare la misura medesima, attribuendole connotati di afflittività in tutto simili a quelli che caratterizzano gli arresti domiciliari.

Una particolare attenzione è stata dedicata dal Legislatore alla previsione delle modalità attraverso le quali disporre gli adeguati controlli in ordine al rispetto delle prescrizioni imposte. Così, in primo luogo, si dispone che l'autorità di polizia competente riceva immediatamente comunicazione dei provvedimenti del giudice al fine di consentire la predisposizione del rapporto al p.m. Così, in secondo luogo, si prevede che la polizia competente controlli il proseguimento del programma di recupero da parte dei soggetti tossicodipendenti o alcooldipendenti. Così, infine, si stabilisce che il provvedimento con il quale è imposto l'obbligo di dimora contenga anche l'indicazione dell'autorità di polizia alla quale l'imputato deve immediatamente presentarsi al fine di dichiarare il luogo dove verrà fissata l'abitazione; potrà essere, altresì, prescritto di dichiarare all'autorità di polizia gli orari e i luoghi in cui sarà quotidianamente reperibile, nonché di comunicare preventivamente le eventuali variazioni.

Quanto all'interesse ad impugnare, oltre a quanto già detto in generale, è stato ritenuto l'interesse in caso di sostituzione del carcere con il divieto di dimora.

(Segue). f) Gli arresti domiciliari

La successiva misura in ordine di afflittività, inferiore solo al carcere, è costituita dagli arresti domiciliari: si tratta dell'obbligo per l'imputato di rimanere nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo pubblico di cura o di assistenza (art. 284 c.p.p.).

Peraltro, nella sua dimensione meno rigida, la misura de qua si avvicina – senza implicarne, ad esempio, gli effetti in punto di scomputo della pena – con la misura di cui all'art. 283 c.p.p. nella sua versione di maggiore espansione.

Si tratta di una misura autonoma, espressamente equiparata alla custodia cautelare in carcere, salva diversa previsione, come nel caso dei-termini entro i quali deve espletarsi l'interrogatorio di garanzia (art. 294, commi 1 e 1-ter, c.p.p.). Trovano, così, operatività i termini di durata massima, lo scomputo del presofferto dalla pena detentiva; l'operatività dell'art. 275, comma 2-bis, c.p.p. in relazione agli effetti della possibile applicazione della sospensione condizionale della pena; l'operatività dell'art. 314 c.p.p. (salva la diversa valutazione dell'entità della riparazione); l'operatività della disciplina delle contestazioni a catena.

Ai sensi del comma 5-bis dell'art. 284 c.p.p. (ex d.l. 341 del 2000 conv. l. 24 del 2001 e poi l. 128 del 2001), in caso di condanna irrevocabile – deve ritenersi anche a pena patteggiata – per il reato di evasione nei cinque anni precedenti al fatto per il quale si procede, non è possibile concedere gli arresti domiciliari. Si tratta di una presunzione iuris et de iure. Per la decisione il giudice acquisisce le relative notizie nei modi più rapidi. Per una possibile deroga: art. 89 T.U. in materia di stupefacenti.

Il luogo della restrizione – come anticipato – è estremamente vario, dovendosi per abitazione intendersi quello spazio in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata (escludendosi le pertinenze non essenziali, anche per favorire i controlli sul rispetto degli obblighi a carico del ristretto). La genericità del riferimento impone al giudice di individuare comunque una sede idonea alla funzione della misura (v. anche art. 116 coma 2 lett. b) d.P.R. n. 309 del 1990, in relazione ai tossicodipendenti).

Quanto ai luoghi pubblici di cura e di assistenza questi vanno individuati negli ospedali, nei nosocomi pubblici e nei centri privati (convenzionati o no).

La misura si riempie di variegati contenuti: il giudice – se necessario – con lo stesso provvedimento può imporre limiti o divieti alla facoltà dell'imputato di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono (art. 284, comma 2, c.p.p.). È anche possibile che il giudice preveda che il soggetto non frequenti (si tratta di attività connotate da maggiore intensità e continuità rispetto alla prescrizione precedente) determinate persone. È, altresì, necessario ai sensi della recente l. 94 del 2013 di conv. del d.l. 78 del 2013, assicurare le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato.

Al fine di venire incontro alle esigenze esistenziali del soggetto ristretto, il Legislatore prevede che si possa autorizzare l'imputato ad assentarsi – nel corso della giornata – dal luogo dell'arresto in caso di impossibilità di provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita, nonché, nel caso in cui si trovi in una situazione di assoluta indigenza, per il tempo strettamente necessario per provvedere alla riferita esigenza ovvero per esercitare una attività lavorativa (art. 284, comma 3, c.p.p.).

Pur apparendo la previsione delineata in-termini rigorosi – stante la natura cautelare della misura ancorata ai pericula libertatis ed estranea a finalità rieducative – il giudice dovrà valutare la concreta situazione del ristretto che sarà sganciata sia dal riferimento alla eventuale ammissione al gratuito patrocinio, sia da una visione di povertà, dovendosi considerare i bisogni essenziali sia personali, sia dei familiari a suo carico (sull'estensione della previsione in relazione ai familiari non mancano opinioni difformi).

Un sistema così articolato di obblighi e comportamenti vincolati non può non prevedere da parte del P.M. e della P.G., anche di iniziativa, controlli in ogni momento (art. 284, comma 4, c.p.p.) e relative sanzioni in caso di inadempimento.

Nel caso in cui siano violate le prescrizioni, dovrebbe trovare operatività l'art. 276, comma 1, c.p.p. a mente del quale il giudice potrà valutare la situazione che si è determinata: sarà possibile inasprire i divieti, revocare le facoltà, pur non potendosi escludere l'applicazione della custodia in carcere.

Nel caso in cui sia violato il divieto di allontanarsi dal luogo indicato nel provvedimento, dovendosi quest'ultimo essere considerato come “cella remota”, il soggetto risponderà del reato di evasione (art. 385 c.p.), da interpretarsi in modo rigoroso, cioè, a prescindere dal tempo, dalla distanza, dalle modalità della violazione. Ai sensi del comma 1-ter dell'art. 276 c.p.p., oltre al procedimento per il reato, il soggetto potrà subire la revoca degli arresti domiciliari e la sostituzione con la custodia in carcere, fatta salva l'ipotesi che il fatto di evasione sia di lieve entità.

Un discorso a parte va sviluppato con riferimento al c.d. braccialetto elettronico (art. 275-bis c.p.p., ex art. 16, d.l. 341 del 2000 conv. in l. 4 del 2001; adde d.m. interni 2 febbraio 2001; per una fattispecie di reato v. art. 18 d.l. 341 cit.). Ove sia accertata la disponibilità di strumenti elettronici o di altri strumenti tecnici di controllo idonei ad assicurare la natura ed il grado delle esigenze cautelari del caso concreto, il giudice dispone gli arresti domiciliari, anche in sostituzione della custodia cautelare in carcere. È necessario che l'imputato presti il consenso, con dichiarazione espressa all'ufficiale o all'agente incaricato di eseguire l'ordinanza, che agevoli la procedura di installazione e che osservi le prescrizioni imposte. Qualora l'imputato neghi il consenso, nello stesso provvedimento è disposta la custodia cautelare in carcere.

In caso di applicazione della misura è prevista la possibilità del riesame, per le modalità esecutive. Deve riconoscersi il persistere dell'interesse ad impugnare in caso di trasformazione della misura da carcere in arresti domiciliari .

Gli arresti domiciliari possono automaticamente trasformarsi in sede esecutiva in detenzione domiciliare.

(Segue). g) La custodia cautelare in carcere

La custodia cautelare in carcere rappresenta l'extrema ratio, cioè, la misura alla quale si ricorre quando ogni altra risulta inadeguata (art. 275 c.p.p.). Trova operatività quanto disposto dallo stesso art. 275 al comma 3 c.p.p., in relazione alla presunzione assoluta di pericolosità, ed a quella relativa, secondo quanto precisato dalla Corte costituzionale.

Pertanto, il decorso del tempo non consente di per sé di applicare la misura meno afflittiva; l'impossibilità di controllare il soggetto in custodia domestica non implica il ricorso alla misura inframuraria.

Con l'ordinanza – che dovrà prevedere espressamente l'imposizione della misura dell'isolamento (art. 22, comma 2, d.P.R. 230 del 2000) – il giudice ordina agli ufficiali ed agli agenti di P.G. che l'imputato sia catturato e immediatamente condotto in un istituto di custodia per rimanervi a disposizione dell'autorità giudiziaria. Ai sensi del comma 2 dello stesso art. 285 c.p.p. si prevede che il soggetto sottoposto alla misura de qua non possa – prima del trasferimento nell'istituto – subire limitazioni della libertà, se non nei tempi e nei modi strettamente necessari alla sua traduzione.

Si tratta non solo di dare attuazione a quanto previsto dall'art. 277 c.p.p. ma anche di evitare “stazionamenti” in luoghi extracarcerari (v. art. 216 disp. att. c.p.p. e art. 12 d.l. 625 del 1979 conv. l. 15 del 1980). Per le modalità esecutive si può far riferimento all'art. 42-bis ord. penit., ex l. 492 del 1992 in relazione all'uso delle manette durante le operazioni di traduzione.

L'esecuzione della misura determinerà l'operatività dell'art. 297, comma 1, c.p.p., relativamente al decorso dei-termini della restrizione, dell'art. 104 c.p.p., in relazione al diritto di colloquio con il difensore, della presa visione della cartella personale da parte del detenuto (art. 94 disp. att. c.p.p. ex l. n. 332 del 1995).

Ai sensi del comma 3 dell'art. 285, la custodia cautelare subita si scomputa ex art. 657 c.p.p. dalla pena da eseguire; anche se si tratta di custodia subita all'estero in conseguenza di una domanda di estradizione (v. già Cass. pen., Sez. unite, 13 luglio 1985, Buda) ovvero in caso di rinnovamento del giudizio ex art. 11 c.p.

Si prospettano alcune questioni in relazione ai reati permanenti ed al reato continuato.

Si ritiene la compatibilità tra la misura della custodia cautelare in carcere con la misura di prevenzione: quest'ultima sarà eseguita con la liberazione del soggetto (in materia, v. Cass. pen, Sez. unite, 25 marzo1993, Tumminelli]; in caso di custodia non seguita da condanna il periodo trascorso in restrizione andrà computato nella durata della misura di prevenzione.

(Segue). h) La custodia cautelare in un istituto a custodia attenuata per detenute madri

Con la l. 62 del 2011 è stata creata una nuova misura cautelare. Ai sensi dell'art. 285-bis c.p.p.si prevede che nell'ipotesi di cui all'art. 275, comma 4, c.p.p., se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di età non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo consentano.

(Segue). i) La custodia in luogo di cura

La custodia in luogo di cura (art. 286 c.p.p.) non costituisce una misura autonoma ma una variabile della custodia cautelare in carcere: è disposta dal giudice – anche d'ufficio – nei confronti di chi si trova – al momento della restrizione della libertà con la detenzione inframuraria – in una condizione di infermità che ne esclude o ne diminuisce grandemente la capacità di intendere e di volere (si tratta di persona che si sospetta inferma tunc et nunc, ovvero inferma soltanto nunc ex art. 73, comma 3, c.p.p.).

Nel momento in cui viene meno la patologia, persistendo le esigenze cautelari, il soggetto verrà ristretto in carcere; se verranno meno le esigenze cautelari sarà liberato; se risultasse socialmente pericoloso si applicheranno provvisoriamente le misure di sicurezza (artt. 312313 c.p.p.) (art. 286, comma 1, secondo periodo, c.p.p.).

Il ricovero avverrà in una idonea struttura del servizio psichiatrico ospedaliero; in caso di pericolo di fuga il giudice assumerà i provvedimenti necessari ad evitarne il rischio (ad es.: il servizio di piantonamento: ex l. n. 395 del 1990) ovvero l'assegnazione ad un istituto o sezione speciale per infermi o minorati psichici all'interno degli istituti penitenziari (art. 98, comma 5, d.P.R. 431 del 1976). Stante il richiamo all'art. 285, commi 2 e 3, c.p.p. da parte dell'art. 286, comma 2, c.p.p., andrà evitato lo stazionamento in luoghi diversi – tra i quali il carcere – prima del trasferimento nella struttura ospedaliera; dovrà riconoscersi la detrazione del periodo del ricovero ex art. 657 c.p.p. dalla pena da espiare.

Stante la richiamata “omologazione” con il carcere, troveranno operatività i termini di cui all'art. 303 c.p.p.; in caso di attenuazione delle esigenze cautelari potrà essere applicata una misura meno afflittiva compatibile; la misura non sarà applicata in caso di possibile applicazione della sospensione condizionale della pena; trovano operatività le previsioni in tema di gravami; il tempo del ricovero sarà utilizzabile per avvalersi dei benefici penitenziari.

Una misura particolare è prevista dall'art. 286-bis, comma 3, c.p.p.. Qualora ricorrano esigenze diagnostiche e terapeutiche nei riguardi di imputati affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria o da malattia particolarmente grave e non sia possibile operare nell'ambito penitenziario, il giudice può disporre un ricovero provvisorio in una struttura del Servizio sanitario nazionale per il tempo necessario. Se c'è il pericolo di fuga, saranno dati i provvedimenti idonei a prevenirla. Finita la fase provvisoria, cessate le esigenze diagnostiche o-terapeutiche, a seconda delle situazioni risultanti, si procederà ai sensi dell'art. 275 c.p.p.. Si tratta di una misura specifica non inquadrabile tra le misure cautelari carcerarie.

L'applicabilità dell'art. 286-bis c.p.p. può essere disposta ai sensi del comma 4-quater dell'art. 299 c.p.p. nel periodo degli accertamenti finalizzati alla revoca o alla sostituzione della cautela in carcere.

Garanzie, durata e controlli

Le misure coercitive, e al loro interno, la custodia cautelare, si differenziano anche sotto altri profili.

Disposte le misure cautelari, infatti, stante la natura di atto a sorpresa che le caratterizza, le garanzie difensive sono posticipate e trovano la prima tutela nell'interrogatorio davanti al giudice che ha emesso la misura. Esclusa l'ipotesi del contraddittorio anticipato, operante solo per la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio ex art. 289 c.p.p., l'atto deve celebrarsi a cadenze serrate, stante la condizione di restrizione nella quale si trova il soggetto. La più volte sottolineata diversità della tipologia delle misure incide sui tempi entro i quali, a pena della perdita di efficacia della misura, l'interrogatorio deve essere espletato. Nel caso della misura della custodia in carcere l'atto dovrà celebrarsi entro cinque giorni (art. 294, comma 1, c.p.p.), per le altre misure coercitive (arresti domiciliari compresi) e per le misure interdittive i giorni sono dieci (art. 294, comma 2, c.p.p.). Modalità particolari tenuto conto dell'atto sono previste per l'esecuzione dei provvedimenti (consegne, comunicazioni, notificazioni) e per le possibili deroghe ai tempi dell'atto (solo per la custodia cautelare è possibile l'anticipazione a richiesta del P.M.: art. 294, comma 1-ter, c.p.p.).

Per i sottoposti alla custodia cautelare (carcere e arresti domiciliari) sono predisposte garanzie in ordine alla comunicazione dei diritti processuali di cui sono titolari, compresi quelli linguistici (art. 293, comma 1, e 294, comma 2-bis, c.p.p.); ed è escluso l'interrogatorio del p.m. prima di quello del giudice (art. 294, comma 6, c.p.p.).

Solo le misure coercitive sono, altresì, presidiate da una specifica garanzia dello strumento di controllo: il riesame (art. 309 c.p.p.) attivabile dal solo imputato e ritenuto operante dalla giurisprudenza nei confronti dei provvedimenti genetici. Per le misure interdittive e per tutte le altre situazioni processuali è previsto l'appello (art. 310 c.p.p.), il quale potrà essere attivato anche dal p.m. Solo per i provvedimenti per i quali è possibile il riesame si potrà effettuare il ricorso per saltum (art. 311 c.p.p.).

Le differenze dei due rimedi sono significative e tendono a privilegiare le garanzie a tutela del soggetto sottoposto alle misure coercitive: attivabilità a richiesta, diritti di partecipazione (art. 309, commi 4 e 8-bis, c.p.p.) anche dei soggetti ristretti, scansioni serrate, per la trasmissione degli atti, per la decisione e per il deposito della motivazione, pena la perdita di efficacia della misura, con esclusione della riemissione della cautela (art. 309 comma 10 c.p.p.) caratterizzazione significativamente il procedimento, che si è anche, a ultimo, connotato di rafforzati poteri di annullamento in caso di ordinanze inadeguatamente motivate (artt. 292 e 309 comma 10 c.p.p.).

Considerata la forte incisività sulla condizione di libertà, il Legislatore ha dedicato una notevole attenzione alla durata della custodia cautelare (come anticipato la sola detraibile dalla pena nonché suscettibile di innestare i benefici penitenziari e l'applicabilità delle misure alternative).

In particolare, se l'omologazione opera in relazione alle ipotesi estintive per effetto della pronuncia di determinate sentenze (art. 300 comma 1, 3, 5 c.p.p.) per l'estinzione delle misure disposte per esigenze probatorie e per la loro rinnovazione (art. 301, commi 1, 2, 2-ter c.p.p.) fatta salva l'ipotesi di cui al comma 2-bis dell'art. 301 c.p.p. (relativamente al carcere), oltre alla differenziazione tra le misure in relazione alla decorrenza dei-termini iniziali (art. 297, commi 1 e 2, c.p.p.), alla diversa operatività in caso di contestazione a catena tra misure custodiali e non custodiali (art. 297 comma 3 c.p.p.), alla distinzione tra la custodia cautelare e le altre misure per quanto attiene alla proroga (art. 305 c.p.p.) ed alla perdita di efficacia in caso di condanna ad una pena che è inferiore alla custodia subita (art. 300 comma 4 c.p.p.), ai diversi provvedimenti conseguenti alla estinzione delle misure (art. 306 c.p.p.), è proprio con riferimento alla generale disciplina della durata che si evidenziano le più significative differenze.

Calibrati sulla gravità del reato considerata la pena prevista, scanditi in relazione alle fasi processuali, agli sviluppi procedimentali, alla pronuncia della decisione, i-termini (intermedi e complessivi) della custodia cautelare (carcere ed arresti domiciliari) entro i quali la condizione del soggetto va definita, pena la perdita di efficacia della misura, sono fissati in modo tassativo (art. 303 c.p.p.).

Il dato non esclude, nei differenziati-termini già indicati, proroghe o rinnovazioni, nonché, peraltro solo in relazione alla sola custodia cautelare, le situazioni particolari della neutralizzazione (art. 297, comma 3, c.p.p.) e della sospensione dei-termini, quest' ultima variamente giustificata da possibili patologiche vicende processuali (art. 304 c.p.p.).

Una specifica disciplina riguarda la scarcerazione per decorrenza dei-termini. Potranno essere applicate, pur ricorrendone i presupposti, le altre misure coercitive non custodiali (art. 307, commi 1 e 1-bis, c.p.p.) ed il carcere potrà essere ripristinato in caso di trasgressione (art. 307, comma 2, c.p.p.).

Per le misure diverse dalla custodia cautelare, stante la loro minore afflittività, operano-termini doppi rispetto a quelli operanti per la custodia cautelare di cui all'art. 303 (art. 308, comma 1, c.p.p.).

Va, infine, ricordato che solo per la custodia cautelare (carcere ed arresti domiciliari) è prevista la possibilità della riparazione per l'ingiusta o l'illegale detenzione (artt. 314 e 315 c.p.p.).

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