Misure di prevenzione

Francesco Menditto
08 Luglio 2015

Le misure di prevenzione trovano origine nell‘esigenza di tutelare la sicurezza pubblica, indipendentemente e a prescindere dalla precedente commissione di un fatto criminoso. Pur se non consistono in una sanzione penale, incidono sulla libertà della persona (con diversi modi e con intensità variabile) agevolando il controllo e la vigilanza da parte degli organi preposti a prevenire i reati.
Inquadramento

Le misure di prevenzione trovano origine nell‘esigenza di tutelare la sicurezza pubblica, indipendentemente e a prescindere dalla precedente commissione di un fatto criminoso. Pur se non consistono in una sanzione penale, incidono sulla libertà della persona (con diversi modi e con intensità variabile) agevolando il controllo e la vigilanza da parte degli organi preposti a prevenire i reati. La loro massima estensione si registra durante il fascismo quando divengono, col T.U. del 1931, uno dei principali strumenti di controllo del dissenso politico.

Con l'entrata in vigore della Costituzione inizia un lungo percorso diretto a coniugare le esigenze di prevenzione dello Stato con il rispetto dei diritti riconosciuti dal nuovo ordinamento democratico, avviato con la sentenza n. 2/1956 della Corte costituzionale che delinea le caratteristiche principali delle misure di prevenzione personali. La l. 1423/1956, che ridisegna la disciplina, costituisce solo un punto di partenza per la più attenta giurisprudenza che prosegue l'opera di “giurisdizionalizzazione” e di “adattamento” alla Costituzione.

Le misure di prevenzione, nel tempo, divengono anche strumento di contenimento della criminalità organizzata, prima con l'estensione dell'applicabilità agli indiziati di appartenenza alla mafia (l. 575/1965), poi con l'affiancamento a queste di misure patrimoniali - sequestro e confisca -, dirette a espropriare l'intero patrimonio di origine illecita nella disponibilità, dell'indiziato di mafia (l. 646/1982).

La valorizzazione della funzione di ablazione del patrimonio illecito prosegue con l'introduzione del principio di utilizzazione a fini sociali dei beni (immobili) confiscati e con l'estensione del sequestro e della confisca a forme di pericolosità diverse da quella mafiosa (d.l. 92/2008, conv. dalla l. 125/2008).

Il d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia), che ha raccolto le norme prima disperse in varie fonti normative, è stato oggetto di incisive modifiche con la l. 161/2017.

L'attenzione della giurisprudenza e della dottrina è ormai concentrata sulle misure di prevenzione patrimoniali che stanno assumendo le caratteristiche di un istituto diretto a contenere la criminalità da profitto, di cui va assicurata la piena compatibilità con la Costituzione e con la Cedu, nella linea evolutiva dell'ordinamento internazionale che valorizza anche le forme di confisca senza condanna conosciute – con diverse caratteristiche – da altri ordinamenti.

Compatibilità con la Costituzione e con la Cedu

Il giudice delle leggi ha più volte riconosciuto la conformità a Costituzione delle misure di prevenzione, personali (a partire da Corte cost., 23 giugno 1956, n. 2) e patrimoniali (Corte cost., 30 luglio 2012, n. 216).

La Corte europea ha ripetutamente affermato la compatibilità delle misure di prevenzione personali con la Cedu, ritenute limitative (e non privative) della libertà personale, perciò disciplinate dall'art. 2 del protocollo addizionale n. 4 che tutela la libertà di circolazione attraverso una protezione condizionata, consentendo alle autorità statali di porre in essere talune restrizioni (da ultimo Corte Edu, Grande Camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia) purché:

  • previste dalla legge;
  • necessarie ad assicurare la tutela degli interessi elencati nello stesso art. 2 al § 3, tra cui pubblica sicurezza, ordine pubblico, prevenzione dei reati;
  • proporzionate (Corte Edu, 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia; 6 aprile 2000, Labita c. Italia).

Per le sole misure personali previste dagli artt. 4, lett. c), e 1, lett. a) e b) d.lgs. 159/2011 la Grande Camera ha ritenuto un deficit di qualità della legge (c.d. base legale) difettando la prevedibilità (o tassatività) delle categorie di pericolosità e di alcune prescrizioni perché descritte in termini troppo vaghi.

Diverse le reazioni alla sentenza della Corte europea. Da un lato è stata proposta la questione di costituzionalità diretta a espungere dall'ordinamento le misure di prevenzione – personali e patrimoniali – per violazione dell'art. 117 della Costituzione (Corte app. Napoli, ord. 14 marzo 2017), dall'altro sono state privilegiate interpretazioni convenzionalmente orientate.

La Corte di cassazione ha valorizzato la tipizzazione delle categorie di pericolosità semplice: le condotte di reato sono poste a monte della valutazione di pericolosità sociale, fermo restando che il giudice della prevenzione apprezza tali condotte (già giudicate o giudicabili) in via autonoma e per finalità diverse da quelle dell'applicazione di una pena (Cass. pen., n. 36258/2017; Cass. pen., n. 43446/2017, Cass. pen., n. 49194/2017; Cass. pen., n. 51469/2017). Del resto, il previo accertamento della commissione di delitti (compiuto anche in via autonoma dal giudice della prevenzione), necessario per inquadrare la persona in una delle categorie di pericolosità semplice di cui agli artt. 4 e 1 lett. a) e b), d.lgs. 159/2011, era richiesto dalla migliore giurisprudenza di legittimità prima dell'intervento della Corte Edu (Cass. pen., n. 31209/2015; Cass. pen., n. 6067/2017) ed è ormai considerato presupposto imprescindibile (Cass. pen., n. 36158/2017; Cass. pen.n. 43446/2017; Cass. pen., n. 48441/2017). Può ritenersi, dunque, delineata la base legale richiesta dal giudice europeo che può rinvenirsi o nella legge o in una consolidata giurisprudenza.

La confisca di prevenzione è collocata dalla Corte europea nell'ambito dalla tutela prevista dall'art. 1 del protocollo addizionale n. 1 (limitazione della proprietà) e non dell'art. 7 della Convenzione (sanzione penale). L'ingerenza nel godimento del diritto al rispetto dei beni dei privati, garantito dal § 1 dell'art. 1, è consentita dal § 2, che lascia agli Stati il potere di adottare le «leggi che giudicano necessarie per disciplinare l'uso dei beni in relazione all'interesse generale», consistente nell'impedire «un uso illecito e pericoloso per la società di beni la cui provenienza lecita non è stata dimostrata».

L'ingerenza è proporzionata al legittimo scopo perseguito, rappresentato da una politica di prevenzione della criminalità per la cui attuazione il legislatore deve avere un ampio margine di manovra sia sull'esistenza di un problema di interesse pubblico, sia sulla scelta delle modalità applicative di quest'ultima (recentemente, Corte Edu, 26 luglio 2011, Pozzi c. Italia; 17 maggio 2011, Capitani c. Italia).

Le misure personali: i presupposti

Tre i presupposti di applicabilità delle misure personali:

a) la riconducibilità della persona a una delle categorie di pericolosità delineate dal legislatore all'art. 4, comma 1, d.lgs. 159/2011 e che possono suddividersi in:

  • pericolosità qualificata, rappresentata dalle persone indiziate di partecipazione ad associazione mafiosa o della commissione di gravi delitti in “materia di mafia” (art. 4. lett. a) e b)). Occorre la certezza della commissione dei reati indicati (esistenza di un'associazione di tipo mafioso, con le caratteristiche previste dall'art. 416-bis c.p., o degli altri delitti elencati), secondo il tipico standard penalistico, ma l'utilizzo del termine indiziati comporta che nel procedimento di prevenzione, a differenza di quello penale, non si richiedono elementi tali da indurre a un convincimento di certezza, essendo sufficienti circostanze di fatto, oggettivamente valutabili e controllabili, che conducano a un giudizio di ragionevole probabilità circa l'appartenenza del soggetto al sodalizio criminoso o la commissione dei reati previsti (Cass. pen., Sez. I, 3 febbraio 2010, n. 7937; Cass. pen., Sez. II, 30 aprile 2013, n. 26774);
  • pericolosità comune, costituita principalmente dalle persone che vivono anche in parte di traffici delittuosi e del provento di delitti (artt. 4 lett. c) e 1 lett. a) e b)) ovvero che, con continuità, sono aduse a realizzare condotte riferibili a delitti (e non a mere contravvenzioni), seppur non tali da integrare estremi di reati specificamente indicati, (artt. 4 lett. c) e 1 lett. c));
  • pericolosità diretta a prevenire fenomeni sovversivi o di terrorismo specificata in numerose ipotesi (art. 4, lett. da d) a h)), per le quali la l. 161/2017 ha previsto alcune estensioni;
  • pericolosità diretta a prevenire la violenza nelle manifestazioni sportive (art. 4, lett. i));
  • pericolosità diretta a prevenire fenomeni corruttivi associativi e truffe in pubbliche erogazioni (art. 4, lett. i-bis)). La l. 161/2017 ha previsto queste nuove categorie relative agli indiziati per i delitti di cui all'art. 640-bis c.p. e all'art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di alcuni delitti contro la pubblica amministrazione (artt. 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis c.p.).

Il termine indiziati consente di richiamare i principi esposti in precedenza con riferimento alla cd. pericolosità qualificata: a) la certezza della commissione del reato richiamato dalla norma; b) a qualificata probabilità di commissione del reato da parte del proposto; per alcuni tali da integrare gravi indizi di colpevolezza;

  • pericolosità diretta a prevenire atti persecutori (art. 4, lett. i-bis)). La l. 161/2017 ha introdotto un'ulteriore categoria di pericolositàchetrova origine nell'accresciuta sensibilità per la repressione del delitto di stalking.

Nella giurisprudenza di merito si registrano recenti applicazioni di misure di prevenzione per delitti che manifestano forme di violenza ai danni delle donne (trib. Roma 3 aprile 2017, trib. Palermo 29 maggio 2017, trib. Milano 29 giugno 2017), anche mediante l'applicazione provvisoria e urgente con provvedimento presidenziale ex art. 9, comma 2, d.lgs. 159/2011.

L'appartenenza alle categorie di pericolosità va desunta esclusivamente da “elementi di fatto”, vale a dire da circostanze obiettivamente identificabili, controllabili, con esclusione di elementi privi di riscontri concreti, quali meri sospetti, illazioni e congetture (Cass. pen., Sez. II, 28 maggio 2008, n. 25919; Cass. pen. Sez. un., 25 marzo 2010, n. 13426);

b) la pericolosità sociale della persona, richiamata dall'art. 6, comma 1, d.lgs. 159/2011. («Alle persone indicate nell'articolo 4, quando siano pericolose per la sicurezza pubblica può essere applicata […]»). Pericolosità intesa “in senso lato”, comprendente l'accertata predisposizione al delitto, anche nei confronti di persona nei cui confronti non si sia raggiunta la prova di reità. Occorre una valutazione globale dell'intera personalità del soggetto risultante da tutte le manifestazioni sociali della sua vita e in un accertamento di un comportamento illecito e antisociale – persistente nel tempo – tale da rendere necessaria una particolare vigilanza da parte degli organi di pubblica sicurezza (Cass. pen., Sez. VI, 6 febbraio 2001, n. 12511; Cass. pen, Sez. V, 11 luglio 2006, n. 40731).

Si precisa che «Il giudizio di pericolosità espresso in sede di prevenzione va scisso – nelle sue componenti logiche – in una prima fase di tipo “constatativo” rapportata all'importazione di dati cognitivi idonei a rappresentare l'avvenuta condotta contraria alle ordinarie regole di convivenza tenuta – in passato – dal soggetto proposto (tra cui, ovviamente, ben possono rientrare i pregiudizi penali derivanti dall'accertamento di fatti costituenti reato) cui si unisce una seconda fase di tipo essenzialmente “prognostico”, per sua natura alimentata dai risultati della prima, tesa a qualificare come probabile il ripetersi di condotte antisociali, inquadrate nelle categorie criminologiche di riferimento previste dalla legge. L'esistenza di tale duplice profilo consente – anche in chiave di rispetto dei valori costituzionali di tutela dell'individuo – di adottare le limitazioni alla sfera di libertà del soggetto raggiunto da tale prognosi» (Cass. pen. Sez. I, 11 febbraio 2014, n. 23641).

La valutazione, anche in questo caso, va compiuta sulla base di elementi di fatto, che siano sintomatici e rivelatori di tale pericolosità;

c) l'attualità della pericolosità, non potenziale ma concreta e specifica, desunta da comportamenti in atto nel momento in cui la misura di prevenzione deve essere applicata (Cass. pen, Sez. I, 10 marzo 2010, n. 17932; Cass. pen., Sez. I, 11 febbraio 2014, n. 23641).

Le misure personali: la sorveglianza speciale, gli effetti

L'art. 6 d.lgs. 159/2011 prevede l'applicazione della misura della sorveglianza speciale (semplice) che può essere “aggravata” con l'obbligo di soggiorno e/o il divieto di soggiorno.

La sorveglianza speciale (semplice), irrogabile da 1 a 5 anni (art. 8, comma 1. d.lgs. 159/2011), comporta una particolare vigilanza da parte dell'autorità di polizia, consentendo gli opportuni controlli della persona. Costituisce la misura di prevenzione principale, presupposto per l'applicabilità dell'obbligo e del divieto di soggiorno, che rappresentano un sostanziale aggravamento.

Il contenuto della misura è specificato dalle prescrizioni – obbligatorie o facoltative – che integrano la misura per l'intera durata. La portata precettiva e stringente delle prescrizioni è confermata dalla sanzione penale comminata per la loro violazione dall'art. 75, comma 1, d.lgs. 159/2011.

Le prescrizioni obbligatorie, espressamente indicate (art. 8, commi 3 e 4, d.lgs. 159/2011), sono particolarmente afflittive: non rincasare la sera più tardi e non uscire la mattina più presto di una data ora; non allontanarsi dalla dimora senza preventivo avviso all'autorità locale di pubblica sicurezza.

La Corte europea (Grande Camera 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia) ha ritenuto prive del requisito della prevedibilità alcune prescrizioni, in particolare quella di vivere onestamente e rispettare le leggi. Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza 40076/2017, proponendo una stringente interpretazione convenzionalmente orientata, hanno affermato che la violazione di questo obbligo generico non integra la fattispecie del reato di cui all'art. 75 d.lgs. 159/2011, consentendo solo l'aggravamento della misura ai sensi dell'art. 11 del medesimo decreto. Successivamente la II Sezione, nell'affrontare il tema dell'estensione degli effetti favorevoli derivanti dall'interpretazione abrogatrice proposta dalle Sezioni Unite anche ai casi in cui la condanna per art. 75 cit. è divenuta irrevocabile, ha proposto alla Corte costituzionale il quesito se l'art. 75 in esame, nella parte in cui sanziona penalmente la violazione dell'obbligo di «vivere onestamente e di rispettare le leggi», sia compatibile con gli artt. 25 e 117 Cost. in relazione agli artt. 7 Cedu e 2 prot. n. 4, interpretati alla luce della sentenza della Grande camera, De Tommaso c. Italia (Cass. pen., n. 49194/2017).

Quanto alla prescrizione di non partecipare a pubbliche riunioni, che per la Corte europea appare vaga e indeterminataper i motivi sopra esposti, la giurisprudenza dimerito ha delimitato il divieto alle sole riunioni, contemplatenel secondo capoverso dell'art. 17 Cost., in luogo

Le prescrizioni facoltative sono imposte per esigenze di difesa sociale (art. 8, comma 5, d.lgs. 159/2011). Per ricondurre la disposizione nei limiti previsti dall'art. 13 della Costituzione, occorre che il provvedimento sia adeguatamente motivato con riferimento alla necessità di adottare quella determinata prescrizione in relazione alla pericolosità manifestata.

Alla sorveglianza specialepossono essere aggiunti:

  • ildivieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province diverse da quelle di residenza o di dimora abituale «ove le circostanze del caso lo richiedano» (art. 8, comma 2, d.lgs. 159/2011). L'aggravamento è consentito solo nei confronti dei c.d. pericolosi qualificati (art. 4, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 159/2011);
  • l'obbligo di soggiorno nel comune di residenza applicabile nei casi in cui le altre misure di prevenzione non sono ritenute idonee alla tutela della sicurezza pubblica.
Le misure patrimoniali: la retroattività

Il Titolo II del Libro I d.lgs. 159/2011 disciplina le “misure patrimoniali”:

a) sequestro e confisca, cui sono dedicate la gran parte delle disposizioni (artt. 16-30 d.lgs. 159/2011), trattandosi delle “principali” misure patrimoniali;

b) cauzione (e garanzie reali), con finalità di remora alla violazione degli obblighi di natura personale (artt. 31 e 32d.lgs. 159/2011);

c) amministrazione giudiziaria di beni personali (art. 33 d.lgs. 159/2011);

d) amministrazione connessa ad attività economiche e alle aziende (art. 34 d.lgs. 159/2011);

e) controllo giudiziario (art. 34-bis dlgs. 159/2011, introdotto dalla l. 161/2017).

Pur i presenza di contrarie opinioni della dottrina, la giurisprudenza afferma la natura preventiva e la retroattività della confisca (Cass. pen., Sez. unite, 26 giugno 2014, n. 4880): «la precipua finalità della confisca di prevenzione è, dunque, quella di sottrarre i patrimoni illecitamente accumulati alla disponibilità di determinati soggetti, che non possano dimostrarne la legittima provenienza […] nel caso di beni illecitamente acquistati, il carattere della pericolosità si riconnette […] alla qualità soggettiva di chi ha proceduto al loro acquisto. Si intende dire che la pericolosità sociale del soggetto acquirente si riverbera eo ipso sul bene acquistato […]. Siffatta conclusione discende […] dalla ragionevole presunzione che il bene sia stato acquistato con i proventi di attività illecita (restando, così affetto da illiceità per così dire genetica o, come si è detto in dottrina, da "patologia ontologica")». Ne consegue l'applicabilità non dell'irretroattività della legge penale, prevista dagli art. 25 Cost. e art. 2 c.p., bensì delle norme in materia di misure di sicurezza che, in base al disposto degli artt. 200 e 236 c.p., sono «regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione».

Il sequestro e la confisca: i presupposti soggettivi, l'applicazione disgiunta

Per applicare sequestro e confisca devono ricorrere presupposti soggettivi e oggettivi.

Ai sensi dell'art. 16, comma 1, d.lgs. 159/2011 il sequestro e la confisca si applicano nei confronti di tutti i soggetti che rientrano nelle categorie di pericolosità descritte dall'art. 4.

L'estensione generalizzata, frutto della scelta operata dalla legge delega 136/2010 sulla base della quale veniva emanato il d.lgs. 159/2011, può destare qualche perplessità con riferimento a categorie di pericolosità in cui l'accumulazione illecita non costituisce una specifica caratteristica (persone dedite alla commissione di reati contro la sicurezza pubblica, sanità e minori, indiziati del delitto di cui all'art. 612-bis c.p.) ma non per gli indiziati del delitto associativo finalizzato alla commissione di reati contro la pubblica amministrazione, categoria introdotta dalla l. 161/2017 con alcune critiche. La Corte europea ha riconosciuto la compatibilità convenzionale di misure patrimoniali fondate sull'indizio di commissione di meri delitti di corruzione (non con riferimento ad associazione per delinquere), indipendentemente dal procedimento penale, previste da altri ordinamenti, quadro giuridico internazionale di prevenzione e contrasto alla corruzione (sent. 12 maggio 2015, Gogitidze e altri c. Georgia).

Il presupposto soggettivo, rappresentato nel passato dall'irrogazione della misura prevenzione personale in virtù del principio di accessorietà (pur se la Corte di cassazione aveva nel tempo “creato” alcune ipotesi in cui poteva prescindersi dalla misura personale), consiste oggi nella mera “applicabilità” della misura personale, avendo il d.l. 92/2008, conv. dalla l. 125/2008 (oggi art. 18 d.lgs. 159/2011), introdotto il principio di applicazione disgiunta. È stata anche prevista la prosecuzione del procedimento nel caso di morte del proposto e la possibilità di avanzare la proposta nei cinque anni dalla morte di colui che poteva essere proposto.

Il nuovo principio consente il sequestro e la confisca in tutte le ipotesi non previste normativamente in cui la misura personale, pur in presenza di una persona pericolosa – perciò rientrante in una delle categorie di pericolosità delineate dal legislatore e di cui risulta accertata la pericolosità sociale a una certa data – non può essere irrogata: per mancanza di attualità della pericolosità (o per altra ragione); per cessazione della pericolosità; per qualunque altra ragione. Si richiede, dunque, l'accertamento, sia pure incidentale, della pericolosità del proposto (o di chi poteva essere proposto per l'applicazione della misura personale). Secondo la Corte di cassazione «la nuova regola è, quindi, quella dell'autonomia tra misure di prevenzione personali e reali; il procedimento di prevenzione patrimoniale può, pertanto, essere avviato a prescindere da qualsiasi proposta relativa all'adozione di misure di prevenzione personali» (Cass. pen., Sez. I, 13 gennaio 2011, n. 5361; Cass. pen., Sez. VI, 10 ottobre 2012, n. 1282) pur se occorre l'imprescindibile previo accertamento, anche incidentale, dei presupposti della misura personale (Cass. pen.,Sez. I, 18 ottobre 2012, n. 10153; Cass. pen., Sez. I, 17 maggio 2013, n. 39204).

Il sequestro e la confisca: i presupposti oggettivi

I presupposti oggettivi per procedere a sequestro (prima) e a confisca (poi) sono delineati dagli artt. 20 e 24 d.lgs. 159/2011:

  • disponibilità, diretta o indiretta, del bene da parte del proposto;
  • sufficienza indiziaria della provenienza illecita.

La disponibilità va intesa in senso sostanziale e di essa va data la prova.

La disponibilità diretta non presenta particolari problemi, desumendosi dalla formale titolarità del bene.

Per la disponibilità indiretta occorre la prova che il proposto determini la destinazione o l'impiego del bene. Il proposto deve risultare l'effettivo dominus in quanto il concetto di disponibilità non può ritenersi limitato alla mera relazione naturalistica o di fatto con il bene ma deve essere esteso, al pari della nozione civilistica del possesso, a tutte quelle situazioni nelle quali il bene medesimo ricada nella sfera degli interessi economici del soggetto, anche se costui eserciti il proprio potere per il tramite di altri che pure ne godano direttamente (Cass. pen, Sez. II, 9 febbraio 2011, n. 6977). La prova della disponibilità indiretta deve essere rigorosa, anche se può essere fornita sulla base dei requisiti della gravità, precisione e concordanza, che avallino concretamente l'ipotesi del carattere puramente formale dell'intestazione e, corrispondentemente, del permanere della disponibilità dei beni nell'effettiva ed autonoma disponibilità di fatto del proposto, idonei a costituire prova indiretta della disponibilità (Cass. pen., Sez. V, 23 gennaio 2013, n. 14287).

La giurisprudenza non differenzia la natura dell'onere probatorio nel momento del sequestro o della confisca, pur se in quest'ultima fase, col pieno esplicarsi del contraddittorio, a fronte della prova offerta dall'organo proponente e ritenuta idonea dal tribunale in sede di sequestro, i terzi intestatari (apparenti titolari) possono fornire elementi diretti a inficiare la ricostruzione accusatoria (esercitando la "facoltà di difendersi") attraverso l'introduzione nel procedimento non della prova di elementi a discolpa ma di temi o tracce di prova la cui indicazione ritengano utile a fini difensivi (Cass. pen, Sez. II, 9 febbraio 2011, n. 6977).

In taluni casi sono previste presunzioni iuris tantum, sulla base delle persone coinvolte o della natura degli atti (art. 26, comma 2, d.lgs. 159/2011 che ha recepito la modifica del 2008). In altri casi gli elementi univoci, precisi e concordanti della disponibilità si possono trarre dai rapporti che legano il proposto e l'apparente titolare del bene. La Corte di cassazione ha configurato una presunzione iuris tantum per i terzi che abbiano vincoli lato sensu di parentela o di convivenza con il proposto, che, ai sensi dell'art. 19, comma 3, d.lgs. 159/2011, impongono indagini patrimoniali: coniuge, figli e coloro che nell'ultimo quinquennio hanno convissuto con il proposto. La giurisprudenza, dopo l'introduzione dell'ipotesi legislativa di presunzione d'intestazione fittizia (art. 26 d.lgs. 159/2011), ha confermato il proprio orientamento: il rapporto esistente tra detti terzi e il proposto costituisce, anche fuori dei casi delle presunzioni di cui all'art. 26, comma 2, cit., circostanza di fatto significativa, con elevata probabilità, dell'apparente formale disponibilità giuridica in capo alle persone di maggior fiducia dei beni dei quali il proposto non può dimostrare la lecita provenienza, laddove il terzo familiare convivente è sprovvisto di effettiva capacità economica (Cass. pen., Sez. I, 5 marzo 2013, n. 23520; Cass. pen., Sez. I, 7 marzo 2014, n. 17743).

Quanto alla provenienza illecita, occorre accertare l'esistenza di sufficienti indizi, primo tra tutti la sproporzione tra il valore dei beni e i redditi dichiarati o l'attività svolta, tali da far ritenere che i beni stessi siano frutto di attività illecita o ne costituiscano il reimpiego. Tale requisito presenta uno standard probatorio inferiore alla prova, ed è costituito da quegli indizi che, in misura sufficiente, conducano alla genesi illecita dei beni o al loro reimpiego. La sufficienza indiziaria è data soprattutto dall'elemento, che non è l'unico ma certamente è il principale, della sproporzione tra il valore dei beni nella disponibilità (diretta o indiretta) del proposto e i suoi redditi e le attività da lui svolte. Il principio, pacifico fino alle modifiche del 2008, poi sottoposto a vaglio critico da parte della dottrina e dalla giurisprudenza, è stato recentemente ribadito (Cass. pen., Sez. unite, 26 giugno 2014, n. 4880).

Numerose le questioni applicative in materia di provenienza illecita che possono essere solo sintetizzate.

Non occorre l'individuazione di un nesso causale tra condotta di vita (illecita) accertata, che ha consentito di collocare il prevenuto in una delle categorie di pericolosità, e illecito profitto (utilizzato per l'acquisto del bene), essendo sufficiente la dimostrazione dell'illecita provenienza dei beni, qualunque essa sia (Cass. pen., Sez. I, 17 maggio 2013, n. 39204).

Il proposto può allegare elementi per giustificare la legittima provenienza del bene sequestrato offrendo elementi precisi e riscontrabili, in primo luogo sulla disponibilità del denaro utilizzato per l'acquisto. Non è, però, idonea la giustificazione fondata sul provento dell'evasione fiscale di attività economica lecita, anche sulla base dell'espressa previsione introdotta dalla l. 161/2017 che ha modificato l'art. 24 d.lgs. 159/2011.

Sono oggetto della misura patrimoniale i soli beni acquisiti nel periodo in cui il proposto ha espresso la pericolosità (c.d. correlazione temporale), trattandosi di conseguenza che deriva dalla natura giuridica della confisca; principio oggi affermato con chiarezza nel caso di c.d. pericolosità semplice e con qualche distinguo per la cd pericolosità qualificata (Cass. pen., Sez. un., 26 giugno 2014, n. 4880).

L'accertamento della sproporzione va operato su ogni singolo bene, occorrendo la dimostrazione cronologica e logica della provenienza del bene dall'illecita attività o dal suo reimpiego (Cass. pen., Sez. VI, 17 settembre 2008, n. 37166). Per le medesime ragioni qualora nel circuito illecito del bene si inseriscano somme di sicura provenienza lecita che arricchiscano il valore del bene (o del suo reimpiego) la confisca potrà riguardare solo quella quota del bene ricollegabile alla provenienza da attività illecita ovvero dal suo reimpiego (Cass. pen., Sez. I, 4 luglio 2007, n. 33479).

Per i complessi aziendali la giurisprudenza ritiene che non sia possibile una scissione tra eventuali “componenti sane”, riferibili a lecita iniziativa imprenditoriale, ed apporto di capitali illeciti, dovendo procedersi a confisca dell'impresa mafiosa (Cass. pen., Sez. V, 23 gennaio 2014, n. 16311).

Le misure patrimoniali diverse dal sequestro e dalla confisca

Solo un cenno alle ratio delle misure previste dagli artt. 34 e 34-bis d.lgs. 159/2011 all'esito dell'intervento della l. 161/2017, rinviando per i presupposti al testo delle norme.

Le modifiche all'art. 34 (amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche e delle aziende) e l'introduzione dell'art. 34-bis, d.lgs. 159/2011 (controllo giudiziario delle aziende) trovano origine nella esigenza di intervenire nei confronti delle imprese criminali o contaminate da fenomeni criminali. Si delinea un intervento giudiziario diretto a recidere i collegamenti tra imprese inquinate e criminalità mafiosa, in vista di un rapido reinserimento delle imprese nel normale circuito economico all'esito di un'adeguata opera di legalizzazione. Questa linea di tendenza si inserisce nel solco della valorizzazione degli istituti diretti a evitare provvedimenti traumatici in presenza di imprese occasionalmente criminali.

L'amministrazione giudiziaria disciplinata dall'art. 34 d.lgs. 159/2011, è applicata se insussistenti gli elementi di altra misura patrimoniale in presenza di sufficienti indizi per ritenere che l'esercizio (libero) di

determinate attività economiche, comprese quelle di carattere imprenditoriale:

  • sia direttamente o indirettamente sottoposto alle condizioni di intimidazione o di assoggettamento previste dall'art. 416-bis c.p.;
  • o possa comunque agevolare l'attività di persone nei confronti delle quali è stata proposta o applicata una misura di prevenzione (personale o patrimoniale) ovvero di persone sottoposte a procedimento penale per taluno dei delitti di cui all'articolo 4, comma 1, lettere a), b) e i-bis) nonché di cui agli articoli 603-bis, 629, 644, 648-bis e 648-ter c.p.

Il controllo giudiziario, previsto dall'art. 34-bis d.lgs. 159/2011, è applicato nel caso in cui l'agevolazione prevista dal comma 1 dell'articolo 34 sia di natura occasionale, sempre che sussistano «circostanze di fatto da cui si possa desumere il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose idonee a condizionarne l'attività»

Aspetti processuali

L'autonomia dell'azione di prevenzione personale rispetto al processo penale discende dalle loro profonde differenze funzionali e strutturali. Il processo penale è ricollegato a un determinato fatto costituente reato, mentre il procedimento di prevenzione riguarda la valutazione di pericolosità di un soggetto, desunta da condotte che non necessariamente costituiscono illecito penale. Una diversa “grammatica probatoria” sostiene i rispettivi giudizi che si riferiscono esclusivamente al “modo d'essere” degli elementi di apprezzamento del merito ma non al valore probatorio degli elementi valutabili (Cass. pen., Sez. un., 25 marzo 2010, n. 13426).

L'autonomia dell'azione di prevenzione patrimoniale è delineata dall'art. 29 d.lgs. 159/2011 secondo cui «L'azione di prevenzione può essere esercitata anche indipendentemente dall'esercizio dell'azione penale ». L'autonomia tra le due azioni comporta che, come per i corrispondenti procedimenti personali, possano esservi diverse valutazioni con riferimento ai medesimi fatti, pur con lo specifico onere di esplicitare le ragioni della scelta (Cass. pen., Sez. II, 30 aprile 2013, n. 26774). I rapporti tra concomitante procedimento di prevenzione e penale sono oggi disciplinati dall'art. 30 d.lgs. 159/2011 che ribalta il principio previgente prevedendo la prevalenza del sequestro di prevenzione che interviene sui medesimi beni oggetto del sequestro penale.

Le autorità proponenti sono indicate dagli artt. 5 e 17 d.lgs. 159/2011: procuratore nazionale antimafia; procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo di distretto ovvero del circondario; direttore della Direzione investigativa antimafia, questore.

La competenza è individuata sulla base del luogo “ove dimora la persona”, vale a dire dove il proposto ha tenuto comportamenti sintomatici della sua pericolosità (Cass. pen.,Sez. un., 29 maggio 2014, n. 33451).

La competenza ad applicare la misura è attribuita al tribunale del capoluogo di distretto e ai tribunali di Santa Maria Capua Vetere e Trapani n cui la persona dimora (art. 5, comma 4).

Prima delle modifiche introdotte dalla l. 161/2017 la competenza era attribuita ai Tribunali capoluogo di provincia. Rimane ferma la competenza di questi Tribunali per le proposte depositate prima dell'entrata in vigore della l. 161/2017 (19 novembre 2017).

Il tribunale fissa l'udienza per l'applicazione della misura personale (art. 7) ovvero, nel caso di proposta patrimoniale (congiunta o disgiunta dalla personale), svolte eventualmente ulteriori indagini (art. 19, comma 5), decide sul sequestro.

Nel caso in cui venga disposto il sequestro di beni il tribunale nomina il giudice delegato e l'amministratore giudiziario (art. 35, comma 1) che provvedono all'amministrazione dei beni nel sub procedimento che si svolge fine alla revoca del sequestro o alla confisca definitiva (artt. 35 e ss.), quindi anche nelle ulteriori fasi di giudizio. Contestualmente (dopo la confisca di primo grado) si svolge l'ulteriore sub procedimento di verifica dei crediti (art. 52 e ss.). In queste fasi interviene anche l'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (artt. 38 ss.).

L'udienza per l'applicazione della misura personale e/o patrimoniale si svolge con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore del proposto e con la partecipazione eventuale, oltre che dello stesso proposto, anche dei terzi formali intestatari dei beni e di altri interessati (artt. 7 e 23).

L'udienza si svolge senza la presenza del pubblico sempre che non sia richiesta la forma pubblica (art. 7, comma 1 e art. 23, comma 1, d.lgs. 159/11), col tribunale che gode di ampi poteri istruttori.

Il decreto decisorio del tribunale, con valore di sentenza (Cass. pen., Sez. un., 29 ottobre 2009, n. 600), nel caso di confisca deve intervenire in termini espressamente previsti a pena d'inefficacia (art. 24, comma 2).

Il decreto applicativo della misura personale è immediatamente esecutivo ed è trasmesso al questore che ne cura l'esecuzione (artt. 10, comma 1, e 11, comma 1)

Il decreto è appellabile dagli interessati entro 10 giorni dalla notifica (artt. 10, comma 3, e 23, comma 1). Decide la Corte d'appello con provvedimento ricorribile per cassazione, entro dieci giorni, solo per violazione di legge (artt. 10, comma 3, e 23, comma 1).

Il giudicato rebus sic stantibus include le sole questioni dedotte, non anche quelle deducibili. È condizionato dalla situazione di fatto esaminata che, solo se immutata, rende applicabile il principio del ne bis in idem. Sulla base di nuovi elementi si può instaurare un nuovo procedimento con nuova considerazione della situazione fattuale sotto entrambi i profili, personale e patrimoniale (Cass. pen., Sez. I, 21 settembre 2006, n. 33077).

Con la confisca definitiva i beni sono acquisiti al patrimonio dello Stato liberi da oneri e pesi (art. 45). I terzi creditori in buona fede trovano tutela nell'apposito procedimento di verifica (artt. 52 ss.). I diritti dei titolari di diritti reali o personali di godimento (rispettivamente estinti o “sciolti”) e dei comproprietari sono tutelati con e modalità previste dall'art. 52, commi da 4 a 9.

La destinazione dei beni confiscati è disciplinata, in modo articolato, dall'art. 48, prevedendosi la destinazione a fini sociali dei beni immobili.

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