Capacità del giudiceFonte: Cod. Proc. Pen. Articolo 133
22 Agosto 2016
Inquadramento
La nozione di capacità del giudice trae il suo fondamento dalle disposizioni in tema di ordinamento giudiziario e le norme processuali sono solo complementari alla sua definizione. L'art. 33 c.p.p., dunque, deve essere letto in collegamento con l'art. 102, comma 1, Cost., secondo cui la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull'ordinamento giudiziario. In base all'art. 33 c.p.p., sono condizioni di capacità del giudice quelle stabilite dalle leggi sull'ordinamento giudiziario. L'espressione capacità del giudice indica, pertanto, il complesso dei requisiti indispensabili per un legittimo esercizio della funzione giurisdizionale.
Capacità di acquisto e capacità di esercizio. Capacità generica e capacità specifica. Si distingue, comunemente tra la capacità di acquisto e quella di esercizio della funzione giurisdizionale. La prima riguarda il possesso di tutti i requisiti necessari alla assunzione della qualità di giudice e postula una valutazione che investe l'esistenza stessa dell'organo giurisdizionale. La sua mancanza si concretizza in particolare nelle situazioni caratterizzate da usurpazione del potere di decidere da parte di un soggetto che non abbia avuto mai conferita alcuna investitura della potestà giurisdizionale o che essendone stato precedentemente in possesso, ne sia rimasto successivamente privo. Tutte ipotesi, dunque, che delineano la figura del non iudex (cittadinanza, età, titolo di studio). La capacità di esercizio della funzione riguarda, invece, l'esistenza delle condizioni richieste per il valido esercizio del potere giurisdizionale. Essa si distingue, a sua volta, in capacità generica, la quale si acquista con la nomina e con l'ammissione alle funzioni e a seguito del superamento del concorso e del necessario periodo di tirocinio, e in capacità specifica, che si riferisce alla regolare costituzione del giudice nell'ambito di un determinato processo, prendendo in considerazione le disposizioni in tema di competenza e le previsioni di carattere ordinamentale che consentono, in un determinato ufficio giudiziario, l'assegnazione di ogni singolo affare a una determinata sezione, collegio e giudice.
Ambito di operatività. Va precisato come non tutte le disposizioni finalizzate a regolare l'attribuzione e lo svolgimento della funzione giurisdizionale integrino capacità in senso normativo, nel senso di essere cioè previste a pena di nullità secondo quanto asserito dall'art. 178, lett. a), c.p.p., alla stregua del quale è sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessari per costituire i collegi stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario. La sanzione della nullità correlata alla incapacità del giudice è codicisticamente posta a fondamento della sola capacità generica e non anche di quella specifica, che presuppone la regolare costituzione del giudice nell'ambito di un determinato processo.
L'individuazione dell'organo giudicante chiamato ad esercitare le sue funzioni nei diversi segmenti e nei diversi momenti del procedimento, deve necessariamente rispondere a regole e criteri che escludano la possibilità di arbitrio anche rispetto all'articolazione dell'ufficio cui, nel rispetto delle regole sulla competenza sia rimesso il giudizio. In questa prospettiva, le norme per l'adeguamento dell'ordinamento giudiziario al nuovo processo penale (approvate con d.P.R. 22 settembre 1988, n. 449), hanno inteso dare risposta alle esigenze disparate, anche mediante la disciplina della predisposizione di tabelle degli uffici giudicanti ripartiti in sezioni, della destinazione dei singoli magistrati ad esse, della formazione dei collegi giudicanti, dei criteri per l'assegnazione degli affari penali e per la sostituzione dei giudici impediti (artt. 3 e 4 d.P.R. 449/1988). Conseguentemente, l'art. 33, comma 1, c.p.p. che pure riconduce il concetto di capacità ai requisiti stabiliti dalle leggi di ordinamento giudiziario e identifica la capacità del giudice con l'idoneità a rendere il giudizio, vale a dire con la riferibilità del giudizio ad organi titolari, consente in realtà di rilevare come i criteri di assegnazione degli affari nell'ambito di tali organi esulino invece dalla nozione generale della loro capacità che, riguardando la titolarità della funzione, non comprende quanto attiene all'esercizio della funzione stessa, in relazione alla organizzazione interna all'organo che ne é titolare. Nel descritto disegno normativo é pertanto evidente la differenza tra le condizioni di capacità del giudice ed i criteri di assegnazione degli affari, correlandosi le medesime ad aspetti assolutamente e radicalmente diversi e non sovrapponibili. Su queste basi, è stato affermato che il carattere normativo della nozione di incapacità del giudice rende ragione dell'esclusione della rilevanza, ai fini delle nullità previste dall'art. 178, lett. a), c.p.p. di tutte quelle disposizioni dell'ordinamento giudiziario riguardanti la sussistenza delle specifiche condizioni per l'esercizio della giurisdizione nel singolo processo; così, laddove, a norma dell'art. 178, comma 1, lett. a), prima parte, c.p.p., è sempre prescritta a pena di nullità l'osservanza delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice, appare rispondente alla distinzione sopra richiamata la mancata correlazione della nullità assoluta, insanabile e rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento che ne deriva (art. 179, comma 1, prima parte, c.p.p.) alle ipotesi di violazione delle disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici giudiziari e alle sezioni e sulla assegnazione dei processi a sezioni, collegi, giudici. Disposizioni che, coerentemente alla impostazione descritta, ai sensi del secondo comma dell'art. 33 c.p.p. non si considerano attinenti alla capacità del giudice. In tale quadro normativo si inserisce l'orientamento giurisprudenziale maggioritario (tra le tante, Cass. pen., Sez. VI, 46244/2012), secondo il quale l'individuazione del giudice, in relazione alle esigenze di assegnazione dei giudici ai diversi uffici e di ripartizione degli affari all'interno di ciascun ufficio giudiziario (artt. 110 e 7-bis del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12 e successive modifiche), rileva esclusivamente sotto il profilo tabellare e non da luogo alla nullità prevista dall'art. 178, lett. a), c.p.p., non attenendo, secondo la previsione espressa dell'art. 33 c.p.p. complessivamente considerato alla capacità generica del giudice (la sola cui può conseguire la nullità degli atti compiuti) ma solo alla sua capacità specifica. Ne deriva che le violazioni di tali previsioni producono mere irregolarità, prive di conseguenze processuali di carattere sanzionatorio. I principi evincibili dalla giurisprudenza costituzionale
Questi assunti devono essere vagliati alla luce delle pronunce di legittimità e del giudice delle leggi in tema di compatibilità della medesima con la disciplina in tema di precostituzione del giudice. In particolare, la garanzia del giudice naturale precostituito per legge ex art. 25, comma 1, Cost. rientra di sicuro tra i diritti fondamentali dei cittadini, garantendo che la competenza degli organi giudiziari sia sottratta ad ogni possibilità di arbitrio.
Sulla base di argomenti di analogo tenore, è stata dichiarata non fondata, in riferimento all'art. 25, comma 1, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 33, comma 2, nella parte in cui stabilisce che non rientrano tra le regole attinenti alla capacità del giudice, la cui inosservanza è sanzionata con la nullità assoluta, quelle relative alla assegnazione dei processi alle sezioni degli uffici giudiziari (Corte cost., 3 novembre 2000, n. 467). In particolare, dopo avere richiamato la propria giurisprudenza, secondo cui l'individuazione dell'organo giudicante deve rispondere a regole che escludano la possibilità di arbitrio anche nella specificazione dell'articolazione interna dell'ufficio cui sia rimesso il giudizio, la Corte ha chiarito che la capacità del giudice si identifica con la riferibilità del giudizio ad organi titolari, secondo il disegno dell'ordinamento giudiziario, della funzione giurisdizionale e che i criteri di assegnazione degli affari esulano dalla nozione generale della capacità del giudice, che riguarda la titolarità della funzione e non comprende quanto attiene all'esercizio della stessa, con la conseguenza, per la quale, alla stregua del complesso sistema normativo, deve trarsi la conseguenza che il principio costituzionale della precostituzione del giudice non implica che i criteri di assegnazione dei singoli procedimenti nell'ambito dell'ufficio giudiziario competente, pur dovendo essere obiettivi, predeterminati o comunque verificabili, siano necessariamente configurati come elementi costitutivi della generale capacità del giudice, alla cui carenza il Legislatore ha collegato la nullità degli atti, anche se ciò non significa che la violazione delle regole, qualora in concreto leda direttamente garanzie costituzionali, sia priva di rilievo e che non vi siano, o che non debbano essere prefigurati, appropriati rimedi dei quali le parti possano avvalersi. Alla stessa linea di pensiero è riconducibile la pronuncia (Corte cost., 17 luglio 1998, n. 272) con cui – sempre a proposito dell'esigenza di contemperare il principio di precostituzione del giudice con quello di efficienza e di funzionalità degli uffici giudiziari – è stato precisato che la connessione tra imparzialità e, appunto, la precostituzione, che si ricava dall'art. 25, comma 1, Cost., nell'escludere che i poteri organizzativi dei capi degli uffici possano essere esercitati in modo assolutamente libero o addirittura arbitrario, consente di ritenere che l'esplicitazione di criteri per l'assegnazione degli affari, in quanto espressivi di un'esigenza costituzionale che opera in tutti i settori della giurisdizione, possa avere luogo proprio nell'ambito di detti poteri discrezionali, quale manifestazione ed esercizio dei medesimi, senza necessità di un'esplicita previsione legislativa, purché detti criteri vengano predeterminati in modo tale da garantire, comunque, la verifica ex post della loro osservanza. Verosimilmente, proprio in ragione della sostanziale vuotezza dei moniti costituzionali, nella giurisprudenza di legittimità e di merito è consolidato l'indirizzo che esclude che possa dare origine ad incapacità del giudice e, quindi, a nullità assoluta la violazione dei criteri tabellari relativi alla destinazione dei giudici agli uffici giudiziari, alla formazione dei collegi e alla assegnazione dei processi a sezioni, collegi e giudici. Solo un orientamento minoritario ha affermato che l'adozione di atti e provvedimenti tabellari extra ordinem incidenti sulla capacità del giudice, che stravolgono le regole di ordinamento giudiziario, nonché quelle processuali in tema di giusto processo, integrano una violazione degli artt. 178, primo comma, lett. a), 179, trattandosi di disposizioni che devono essere lette anche e soprattutto alla luce dei principi costituzionali, tra loro strettamente correlati, della imparzialità e della precostituzione del giudice naturale, da inquadrare a loro volta nel contesto delle garanzie costituzionali espressamente previste per assicurare al cittadino un giusto processo (art. 111) (Cass. pen., Sez. I, n. 27055/2003, secondo cui nell'ambito delle condizioni di capacità del giudice rientra l'imparzialità degli organi giudiziari, a sua volta strettamente collegata al principio di precostituzione del giudice naturale (art. 25 Cost.) nel quadro della garanzie costituzionali espressamente previste per assicurare al cittadino un giusto processo. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio l'ordinanza adottata da un collegio appositamente costituito da un presidente di sezione, in assenza di delega del Presidente del tribunale o della Corte d'appello, in vista della specifica trattazione, nell'ambito di un'udienza straordinaria all'uopo fissata, di diciotto richieste di riesame avverso un'ordinanza impositiva di misure cautelari personali, nonostante che nello stesso periodo di tempo i collegi del riesame precostituiti tabellarmente presso il medesimo tribunale funzionassero regolarmente e che non si fosse resa necessaria alcuna sostituzione, supplenza, applicazione)). In particolare, si è sottolineato come, se è vero che, a mente dell'art. 33, comma 2, c.p.p., la violazione delle disposizioni sulla composizione dei collegi e sulla destinazione dei giudici alle sezioni siano di regola ininfluenti sulla capacità del giudice, è altrettanto vero che vi sono violazioni alle quali deve invece riconoscersi rilevanza, come nel caso [...] della costituzione di un collegio ad hoc, per decidere su una determinata vicenda processuale. Di conseguenza, non si può, da un lato, attribuire all'art. 33, comma 2, valore “assorbente'' in ogni caso e, dall'altro, considerare la previsione di cui agli artt. 178, comma 1, lett. a), 179, c.p.p. esaustiva e, quindi, rigidamente chiusa, in quanto, diversamente argomentando, ci si porrebbe in contrasto con i princìpi costituzionali sopra richiamati, i quali restano sempre le linee direttrici fondamentali alla luce delle quali tutte le altre norme vanno lette ed interpretate per dare compiuta attuazione al principio del ‘giusto processo' (Cass. pen., Sez. VI, n. 33519/2006). In dottrina, è diffusa l'opinione che, pur non coincidendo la sfera dell'art. 25 Cost. con quella dell'art. 178, lett. a),c.p.p. del codice di rito, sarebbe tuttavia possibile e, anzi doveroso, ricostruire il concetto di capacità del giudice mantenendo il collegamento con il requisito della precostituzione del giudice imposto dalla norma costituzionale e riconoscendo, quindi, l'esistenza di una nullità assoluta, e non di una semplice irregolarità, ogni volta che detto requisito venga meno in dipendenza della violazione delle disposizioni sulla destinazione dei giudici, sulla formazione dei collegi o sull'assegnazione dei processi e l'organo giudicante sia formato proprio per decidere una determinata regiudicanda, giacché in tali casi sulla regola di esclusione di cui all'art. 33, comma 2, c.p.p. prevale il precetto inderogabile sancito dall'art. 25 Cost. Volgendo lo sguardo a talune problematiche specifiche della prassi, va ricordato che la carenza di organico negli uffici giudiziari, correlata alla stratificazione normativa prodotta negli ultimi anni sull'assegnazione delle funzioni ai magistrati ordinari all'esito del tirocinio, ha spesso comportato che le funzioni di giudice dell'udienza preliminare siano state conferite a magistrati privi dello specifico requisito del pregresso esercizio delle funzioni di giudice del dibattimento per un tempo pari a quello previsto dalla legge (cfr. l'art. 7, comma 2-bis, ord. giud.). Nondimeno, secondo le coordinate ermeneutiche fatte proprie dall'elaborazione di legittimità, il difetto di tale requisito non determina nullità della decisione adottata per mancanza delle condizioni di capacità, in quanto l'inosservanza delle disposizioni relative alla destinazione interna dei giudici ed alla distribuzione degli affari incide sulla capacità soltanto in caso di stravolgimento dei principi e canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario, ad esempio in caso di violazione di norme quali la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti. Anche la trattazione in dibattimento da parte del giudice onorario di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall'art. 43-bis, comma 3, lett. b), dell'ordinamento giudiziario, ossia in relazione a reati non previsti nell'art. 550 c.p.p., non è da ritenersi causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce, come si evince dalla sua formulazione letterale, un mero criterio organizzativo dell'assegnazione del lavoro tra i giudici ordinari e quelli onorari (Cass. pen., Sez. III, 21772/2011 e Cass. pen., Sez. VI, 2402/1992). Il giudice onorario può anche partecipare alla composizione di un collegio giudicante (Cass. pen., Sez. III, 21772/2011), dal momento che le varie circolari emanate dal Consiglio superiore della magistratura in tema di limitazione della utilizzazione dei giudici onorari di tribunale non afferiscono alla nozione di capacità, esplicando il loro fine ultimo verso la ricerca di un tendenziale corretto funzionamento degli uffici giudiziari (compatibilmente con le risorse a disposizione), da attuarsi dal punto di vista normativo mediante una sapiente organizzazione del c.d. diritto tabellare. Tale partecipazione non è quindi causa di nullità assoluta, ai sensi del combinato disposto degli art. 178, comma 1, lett. a), e 179, comma 1, c.p.p., non incidendo sulle condizioni di capacità del giudice. In argomento, il referente normativo diretto è dato dall'art. 7-bis dell'ordinamento giudiziario (come da ultimo innovato dalla l. 111/2007), il quale significativamente evidenzia che la violazione dei criteri per l'assegnazione degli affari, salvo il possibile rilievo disciplinare, non determina in nessun caso la nullità dei provvedimenti adottati. Il tema delle variazioni tabellari, che risulta di notevole interesse alla luce delle recenti indicazioni da parte del Consiglio superiore della magistratura, riverbera nondimeno i suoi effetti in maniera decisamente limitata con riguardo all'assetto normativo delle nullità processuali penali, giusta le suesposte indicazioni della Corte costituzionale. Sì è stabilito – fra l'altro – che non implica supplenza a norma dell'art. 97, comma 4, r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, il fatto che durante il periodo feriale un magistrato venga preventivamente assegnato, in forza di apposito provvedimento di modifica tabellare, a sezione o collegio diversi da quelli ove presta servizio nei restanti periodi dell'anno (Cass. pen., Sez. II, 6505/2011).
Su di un piano distinto rispetto a quello della capacità del giudice si collocano le norme che regolano le cause di incompatibilità: si tratta di un sistema articolato, mirante a scongiurare che la funzione giurisdizionale sia esercitata da un giudice che, pur astrattamente capace, versi in talune situazioni tipizzate tali da incrinarne l'imparzialità in concreto o la propria immagine concreta di soggetto imparziale. Secondo quanto ha tradizionalmente insegnato la Corte europea dei diritti dell'uomo (ex multis, Corte Edu, 22 aprile 2004, Cianetti c. Italia), il giudice, in uno Stato democratico, deve non solo essere ma anche apparire imparziale agli occhi dei consociati: da qui l'esigenza che il sistema fissi una griglia di situazioni integrandosi le quali il giudice-persona fisica, pur possedendo una piena capacità in astratto, diviene incompatibile a svolgere le proprie funzioni con riguardo alla singola regiudicanda. Su queste basi, un'attenta dottrina (DELL'ANNO, Giudice (Capacità del), in Digesto pen., Torino, 2013, 80 ss.) ritiene che le norme in tema di incompatibilità rilevino anche in termini di requisiti di capacità del giudice valutata in concreto. La capacità del giudice dovrebbe dunque essere accertata non solo in astratto ma anche in concreto, con riguardo alle condizioni di indipendenza e di imparzialità dell'organo giudicante. Si richiamano, in particolare, le ipotesi, in cui il giudice, versando in situazione di incompatibilità ha l'obbligo di non esercitare la sua funzione giurisdizionale (astensione) e, contestualmente, le parti hanno diritto di chiederne l'estromissione (ricusazione). La rilevanza quantitativa dei casi di incompatibilità di cui all'art. 34 c.p.p., rende di notevole rilievo il quesito se gli atti compiuti dal giudice in situazione di incompatibilità debbano o no ritenersi inficiati da nullità assoluta ex art. 178, comma 1, lett. a), c.p.p. in quanto integranti altrettante cause di incapacità del giudice.
Va in ogni caso rilevato che la giurisprudenza (Cass. pen., Sez. II, n. 12896/2015; Cass. pen., Sez. V, n. 13593/2010) si è da sempre orientata negando la categoria dell'incapacità in concreto: le cause di incompatibilità convergono e si risolvono, in chiave processuale, nei meccanismi dell'astensione e della ricusazione dello judex suspectus trattandosi di materie regolate da normative distinte e autonome, e che essa non rappresenti una causa di nullità del provvedimento ex artt. 178 e 179, c.p.p.; conseguentemente, devono essere fatte valere tempestivamente con la procedura di cui all'art. 37 c.p.p. È, cioè, assolutamente maggioritario, l'indirizzo giurisprudenziale che esclude le cause di incompatibilità dalle condizioni di capacità del giudice, sul presupposto, che le prime non attengono ai requisiti prescritti per l'esercizio della funzione giurisdizionale e non sono, quindi, colpite dalla sanzione della nullità ex art. 178, lett. a), c.p.p. potendo giustificare unicamente la dichiarazione di astensione o di ricusazione e rendere inefficaci gli atti compiuti ex art. 42, comma 2, in caso di accoglimento dell'istanza. Sicché, esclusa la sanzione della nullità degli atti compiuti dal giudice incompatibile, operano in tal caso i congegni previsti dagli artt. 36 ss. c.p.p., con le rispettive cadenze temporali di attivazione. Ciò significa, in altri termini, che, correlandosi la nullità assoluta determinata dalla violazione delle disposizioni concernenti le condizioni di capacità del giudice, soltanto ai difetti di capacità generica all'esercizio della funzione giurisdizionale, conseguentemente, le situazioni di incompatibilità, non privano il giudice della capacità generale di giudicare ma incidono soltanto sulla capacità specifica e, pertanto, costituiscono motivi di astensione e di ricusazione. Si è sottolineato in dottrina (DELL'ANNO, cit.), invece, in contrapposizione con la tesi giurisprudenziale dominante, come le situazioni di incompatibilità integrino un difetto di capacità del giudice, sanzionabile con la nullità ex art. 178, comma 1, lett. a), c.p.p. poiché riguardano le condizioni di imparzialità e indipendenza del giudice che costituiscono l'essenza stessa della sua fisionomia, posto che il giudice è tale solo in quanto rigorosamente imparziale e indipendente. A supporto dell'impostazione che colloca il tema della capacità del giudice nella materia delle incompatibilità, si richiama altresì la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che considera l'incompatibilità, anche solo oggettivamente apparente, come prova della carenza di imparzialità del giudice, conseguentemente determinante un vizio essenziale della sua capacità, che può farsi valere non solo oltre i termini di decadenza previsti dalla normativa interna, ma anche dopo la formazione del giudicato. Del resto, per come noto, la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha da tempo elaborato sul punto il principio di imparzialità oggettiva, secondo cui il giudice deve non solo essere imparziale, ma anche apparire tale (Corte Edu, 27 gennaio 2011, Krivoshapkin c. Russia; Corte Edu, 22 aprile 2004, Cianetti c. Italia; Corte Edu, 28 gennaio 2003, Dell'Utri c. Italia). In definitiva, secondo attenta dottrina (DELL'ANNO, cit.) anche le norme convenzionali e pattizie, dunque, avendo specifico riguardo alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, enucleati i caratteri minimi della giurisdizione, individuati nella naturalità, terzietà ed imparzialità del giudice, statuiscono che l'assenza di cause di incompatibilità rileva come condizione attinente alla capacità generica dell'esercizio delle funzioni giurisdizionali. Casistica
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