Competenza
18 Gennaio 2016
Inquadramento
La competenza – definita autorevolmente come la misura della giurisdizione attribuita in concreto a ciascun giudice (Chiovenda) – è un complesso di regole che disciplinano la distribuzione dei procedimenti all'interno della giurisdizione ordinaria o speciale. In conformità al principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1 Cost.), tali regole devono essere previste da una legge entrata in vigore prima della commissione del fatto di reato e devono avere un contenuto preciso, al fine di non concedere spazio a scelte discrezionali nell'individuazione del giudice competente. Gli elementi necessari per individuare quale sia il giudice competente sono quattro: 1) l'età dell'imputato con riguardo all'epoca in cui avrebbe commesso il reato. Invero, per i reati attribuiti ai minori degli anni diciotto è competente in via esclusiva, in primo grado, il tribunale per i minorenni; 2) l'indole e la gravità del reato per cui si procede (competenza per materia); 3) il luogo nel quale si ritiene commesso il reato (competenza per territorio); 4) l'esistenza di particolari legami, previsti dalla legge, con altri procedimenti penali (competenza per connessione). La competenza per materia
Le regole sulla competenza per materia sono volte ad individuare l'organo giurisdizionale competente con riferimento all'indole e alla gravità del reato. La competenza per materia in primo grado è ripartita tra la corte di assise, il giudice di pace e il tribunale. Il legislatore a volte assegna in modo espresso alcune specifiche fattispecie incriminatrici al singolo organo giudicante (c.d. criterio qualitativo), altre volte fa riferimento soltanto alla specie e all'entità della pena (c.d. criterio quantitativo), altre volte ancora ricorre a entrambi i criteri.
La Corte di assise, giudice collegiale composto da due giudici di carriera e da sei giudici popolari, è competente a giudicare soltanto su quei fatti di reato che turbano maggiormente la coscienza collettiva, di cui i giudici popolari sono i naturali interpreti. Sotto il profilo quantitativo, la corte di assise giudica in ordine ai delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo edittale a ventiquattro anni (art. 5, comma 1; ad es., omicidio volontario e strage: artt. 575 e 422 c.p.). Sono previste alcune importanti eccezioni: i delitti comunque aggravati di tentato omicidio, di rapina, di estorsione e di associazione di tipo mafioso anche straniere (d.l. 10/2010 conv in l. 52/2010) e i delitti, comunque aggravati, previsti dal testo unico sugli stupefacenti n. 309 del 1990 rientrano nella competenza del tribunale. Il legislatore, inoltre, attribuisce alla Corte di assise la cognizione di alcune specifiche fattispecie delittuose: i delitti consumati di omicidio del consenziente, di istigazione al suicidio e di omicidio preterintenzionale (artt. 579, 580, 584 c.p.); ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone (es., sequestro di persona a scopo di estorsione seguìto da morte - art. 630, comma 2 c.p.), escluse le seguenti fattispecie: morte o lesioni come conseguenza di altro delitto, rissa, omissione di soccorso (artt. 586, 588, 593 c.p.); i delitti di ricostituzione del partito fascista (legge 645 del 1952) e di genocidio (legge 962 del 1967); i delitti che concernono la personalità dello Stato (titolo I del libro II del c.p.), sempre che per tali delitti sia stabilita nel massimo la pena della reclusione non inferiore a dieci anni (es., associazione con finalità di terrorismo - art. 270-bis c.p.). i delitti consumati o tentati di riduzione in schiavitù (art.600 c.p.), tratta di persone (art.601 c.p.), acquisto e alienazione di schiavi (art.602 c.p.), di associazione a delinquere non mafiosa (art. 416, comma 6, c.p.), finalizzata a commettere i delitti di riduzione in schiavitù (art.600 c.p.), tratta di persone (art.601 c.p.), acquisto e alienazione di schiavi (art.602 c.p.), o di favoreggiamento pluriaggravato dell'immigrazione clandestina di cui all'articolo 12, comma 3-bis, Tu immigrazione; i delitti comuni commessi con finalità di terrorismo, puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione.
Il giudice di pace è competente a conoscere una ampia serie di fattispecie attribuite espressamente dalla legge. Si tratta in gran parte di reati di scarsa offensività sociale e di non particolare complessità di accertamento. Rientrano nella competenza del giudice di pace alcuni reati procedibili a querela, come le lesioni volontarie che abbiano cagionato una malattia non superiore ai venti giorni, o le percosse (art. 581 c.p.), ma anche reati procedibili d'ufficio, come ad esempio, la somministrazione di bevande alcoliche a minori degli anni sedici (art. 689, comma 1, c.p.) nonché un'ampia serie di contravvenzioni previste dalla legislazione speciale in materia di pubblica sicurezza, di navigazione, di medicinali. Il tribunale è competente a giudicare quei reati che sono stati commessi dai maggiorenni e che non appartengono alla competenza della corte di assise né del giudice di pace (art. 6 c.p.p.). Oltre a questa competenza residuale, il tribunale ha una competenza qualitativa a giudicare specifici reati: si pensi ai reati commessi a mezzo cinema, stampa, radio e televisione. Infine, il tribunale conosce i reati che appartengono alla competenza del giudice di pace, se ricorre una delle aggravanti ad effetto speciale in materia di terrorismo, mafia e discriminazione razziale. In seguito al d.lgs. 51 del 1998 il tribunale giudica alcuni reati in composizione monocratica (un solo giudice), altri reati in composizione collegiale (tre giudici). Più precisamente, l'art. 48 dell'ord. giud. stabilisce che in materia civile e penale il tribunale giudica in composizione monocratica e, nei casi stabiliti dalla legge, in composizione collegiale. La particolarità sta nel fatto che le norme sulla corretta composizione del tribunale non attengono alla competenza bensì alla cognizione. Al tribunale in composizione collegiale sono devoluti i reati consumati o tentati puniti con la sanzione detentiva superiore nel massimo a dieci anni ma inferiori a ventiquattro anni, purché non rientrino nella competenza qualitativa della corte di assise (art. 33-bis, comma 2, c.p.p.); inoltre, il tribunale in formazione collegiale conosce una serie di fattispecie indicate nominativamente all'art. 33-bis, comma 1, c.p.p. Pertanto, tra gli altri, appartengono alla cognizione del tribunale collegiale i reati riconducibili all'associazione per delinquere, con l'eccezione di cui all'art. 416, comma 6, c.p. Merita ricordare, inoltre, che sono devoluti al tribunale collegiale tutti i reati previsti dal codice civile in materia di società e di consorzi (titolo XI del libro V, del codice civile come modif. dal d.lgs. 2002 n. 61) La cognizione del tribunale in composizione monocratica comprende: a) i delitti di produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti, previsti dall'art. 73 d.P.R. 309 del 1990, salvo che siano contestate le aggravanti disciplinate dall'art. 80 del medesimo d.P.R. (art. 33-ter, comma 1, c.p.p.); b) i reati puniti con pena detentiva fino a dieci anni nel massimo (art. 33-ter, comma 2, c.p.p.), purché non siano di competenza del giudice di pace. La dottrina (Tonini) ha evidenziato che, per effetto delle riforme della fine degli anni '90, si è venuta a perdere la garanzia della collegialità per un'ampia categoria di reati. La competenza per territorio
Dopo aver individuato il tipo di organo competente per materia, occorre stabilire quale sia il singolo ufficio competente per territorio. In base alla regola generale (art. 8, comma 1, c.p.p.), la competenza per territorio è determinata con riferimento al luogo di consumazione del reato, ossia al luogo in cui si realizza l'ultimo elemento costitutivo dell'illecito: l'azione o l'omissione nei reati formali, l'evento nei reati materiali. Tuttavia, se si tratta di un fatto dal quale è derivata la morte di una o più persone, è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta l'azione o l'omissione (art. 8, comma 2, c.p.p.). Se si tratta di un reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone (art. 8, comma 3, c.p.p.). Se si tratta di un delitto tentato, è competente il giudice del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto (art. 8, comma 4, c.p.p.). La disciplina, nel suo complesso, trova giustificazione nella maggiore facilità e rapidità di raccolta delle prove nonché nella opportunità di celebrare il processo nel medesimo luogo in cui la convivenza sociale è stata turbata. Quando la competenza per territorio non può essere determinata sulla base delle disposizioni generali, si deve ricorrere alle regole suppletive seguendo la scansione progressiva indicata dalla legge. La prima regola suppletiva fa riferimento al luogo nel quale è avvenuta una parte dell'azione o della omissione (art. 9, comma 1 c.p.p.). La frazione di condotta rilevante a questi fini è soltanto quella che si presenta come essenziale per l'integrazione della fattispecie. Se tale criterio non è risolutivo, occorre prendere in considerazione, nell'ordine, la residenza, la dimora o il domicilio dell'imputato (art. 9, comma 2, c.p.p.). Se neppure così è possibile determinare la competenza, troverà applicazione il criterio residuale del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che per primo ha provveduto a iscrivere la notizia di reato nell'apposito registro (c.d. criterio della prevenzione: art. 9, comma 3, c.p.p.). Le regole generali e quelle suppletive si applicano anche quando il reato sia stato commesso in parte all'estero (art. 10, comma 3, c.p.p.). Nel caso di reato commesso interamente all'estero, la competenza è determinata, nell'ordine, dal luogo della residenza, della dimora, del domicilio, dell'arresto o della consegna dell'imputato. In caso di pluralità di imputati, deve procedere il giudice competente per il maggior numero di reati. Se il ricorso a tali criteri non risulta determinante, la competenza spetta al giudice del luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha iscritto per primo la notizia di reato nell'apposito registro (art. 10, commi 2 e 3, c.p.p.). Una importante deroga alle norme ordinarie sulla competenza territoriale è prevista nei procedimenti in cui un magistrato (giudice o pubblico ministero) assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato. Per assicurare l'imparzialità del giudizio il legislatore ha previsto che, in questi casi, il processo si svolga in un distretto di corte di appello diverso da quello nel quale il magistrato esercita le sue funzioni ovvero le esercitava al momento del fatto. Più precisamente, il processo si svolgerà dinanzi al giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello individuato mediante la tabella A allegata alle norme di attuazione del codice di rito (art. 1 disp. att. c.p.p.). La competenza per territorio è determinata sulla base della medesima tabella anche nei seguenti casi: a) procedimenti connessi a quelli in cui un magistrato assume la qualità di imputato, indagato, persona offesa o danneggiata dal reato (art. 11, comma 3, c.p.p.); b) procedimenti in cui la qualità di imputato, persona offesa, danneggiato è assunta da un magistrato della direzione nazionale antimafia (art. 11-bis c.p.p.); c) procedimenti in materia di responsabilità civile dei magistrati e per le cause civili nelle quali un magistrato sia parte. Nonostante il carattere eccezionale dell'art. 11 c.p.p., la giurisprudenza ha esteso il meccanismo di spostamento del processo anche quando sia coinvolto un magistrato onorario, dato che la ratio della norma è quella di assicurare il principio costituzionale di imparzialità del giudice (Cass. pen., Sez. unite, 15 dicembre 2004, n. 292).
La competenza per connessione
Nel codice di rito vigente la connessione è un criterio che consente di individuare, in via originaria, quale sia l'organo giudiziario competente quando si tratti di giudicare più fatti di reato uniti da particolari vincoli oppure un unico fatto di reato commesso da una pluralità di persone. Pertanto, sotto il profilo sistematico, la connessione si colloca sullo stesso piano della competenza per materia e per territorio. Dalla connessione va concettualmente tenuta distinta la riunione dei processi, che è un effetto eventuale - anche se auspicabile - della competenza per connessione, il cui fine primario è quello di permettere lo svolgimento di un unico giudizio (simultaneus processus), che soddisfi ad un tempo le esigenze di un più completo accertamento e quelle di economia processuale. Il legislatore del 1988 aveva inteso limitare al massimo i casi di connessione allo scopo di evitare gli inconvenienti derivanti dall'esperienza dei c.d. maxiprocessi. In seguito, i casi di connessione sono stati dapprima ampliati e poi di nuovo ridotti dalla legge 63 del 2001. Nei procedimenti dinanzi ai giudici ordinari professionali la connessione si verifica ai sensi dell'art. 12 c.p.p.: a) quando il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso o cooperazione tra loro, o da più persone con condotte indipendenti; b) quando una persona è imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione (concorso formale di reati) ovvero con più azioni od omissioni esecutive del medesimo disegno criminoso (reato continuato); c) quando si procede per più reati, se gli uni sono stati commessi per eseguire od occultare gli altri (c.d. connessione teleologica: ad es. occultamento di cadavere in seguito ad omicidio). Quando vi è connessione, un solo giudice è competente a giudicare tutti i reati connessi. L'individuazione avviene in base a criteri predeterminati, in ossequio al principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, comma 1, Cost.). Se la connessione interessa reati che appartengono ad organi giudicanti di tipo diverso (c.d. connessione eterogenea), la regola è quella della prevalenza del giudice superiore: in particolare, la Corte di assise prevale sul Tribunale (art. 15 c.p.p.). Se più giudici sono egualmente competenti per materia ma hanno una diversa competenza per territorio (c.d. connessione omogenea), prevale il giudice competente per il reato più grave, sulla base degli indici elencati nell'art. 16, comma 3, c.p.p.; in caso di pari gravità, prevale il giudice competente per il reato commesso per primo (art. 16, comma 1, c.p.p.). Tuttavia, se dal reato commesso da più persone è derivata la morte e le condotte sono state poste in essere in luoghi diversi, è competente il giudice del luogo in cui si è verificata la morte (art. 16, comma 2, c.p.p.).
Merita ricordare che: a) se qualcuno dei procedimenti connessi appartiene alla competenza della Corte costituzionale, quest'ultima è competente per tutti i procedimenti (art. 13, comma 1, c.p.p.); b) fra reati comuni e reati militari la connessione opera soltanto se il reato comune è più grave di quello militare, nel qual caso sarà competente il giudice ordinario; c) la connessione non opera quando via siano imputati che al momento del fatto erano minorenni e, analogamente, la connessione non opera tra reati commessi prima e reati commessi dopo che l'imputato ha compiuto gli anni diciotto. La connessione produce effetti anche sulla composizione del tribunale e sulle forme procedurali da seguire. Invero, se alcuni procedimenti connessi appartengono alla cognizione del tribunale monocratico e altri a quella del tribunale collegiale, tutti i procedimenti connessi sono attribuiti al giudice collegiale, con conseguente applicazione delle relative disposizioni procedurali (art. 33-quater c.p.p.). Diversa è l'ipotesi in cui tutti i procedimenti connessi sono attribuiti alla cognizione del tribunale monocratico ma soltanto per alcuni si deve procedere con citazione diretta. In questo caso il pubblico ministero è tenuto a presentare la richiesta di rinvio a giudizio per tutti i procedimenti (art. 551 c.p.p.).
La competenza funzionale
La dottrina e la giurisprudenza hanno elaborato l'ulteriore categoria della competenza funzionale. Essa indica la ripartizione delle attribuzioni del giudice in relazione alle diverse fasi e ai diversi gradi del procedimento. Così, ad esempio, nella fase delle indagini preliminari relativa a procedimenti per reati di competenza della Corte d'assise o del tribunale, l'organo legittimato a pronunciarsi sulle richieste delle parti è il giudice per le indagini preliminari. Tuttavia, quando si procede per uno dei delitti di criminalità organizzata indicati nell'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate da un magistrato del capoluogo del distretto di corte di appello nel cui ambito ha sede il giudice competente (art. 328, comma 1-bis, c.p.p.). Si parla di competenza funzionale anche con riferimento agli organi collegiali, per indicare il riparto delle attribuzioni tra il presidente (es. art. 506 c.p.p.) e l'organo nel suo complesso (es. art. 507 c.p.p.). Un'ipotesi particolare riguarda i reati addebitati al Presidente del Consiglio dei Ministri e ai Ministri nell'esercizio delle loro funzioni: la competenza a giudicare su di essi spetta al tribunale ubicato nel capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio (art. 11, l. cost. 16 gennaio 1989 n. 1). Casistica
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