Concorso apparente di normeFonte: Cod. Pen Articolo 15
04 Settembre 2015
Inquadramento
Il “concorso apparente di norme” ricorre quando un unico fatto concreto sia riconducibile ad una pluralità di norme incriminatrici, una sola delle quali applicabile. Ricorre altresì nei casi in cui si realizzino più fatti concreti cronologicamente separati, ciascuno dei quali sia riconducibile ad una norma incriminatrice, ma una sola di tali norme troverà applicazione, con la conseguente impunità del fatto antecedente (es. antefatto non punibile) o susseguente, rispetto a quello che viene punito (post factum non punibile). Nel caso in cui un fatto concreto (azione o omissione) sia riconducibile a più fattispecie incriminatrici, il legislatore ha elaborato il criterio di specialità, art. 15 c.p. secondo il quale “quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale regolano la stessa materia, le legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che si altrimenti stabilito”. La regola è dunque quella secondo la quale quando uno stesso fatto è riconducibile a due diverse norme penali, se tra le due norme ricorre un rapporto di specialità, la norma speciale prevale sulla generale, così da essere applicata in via esclusiva. Laddove il legislatore abrogasse la norma speciale, troverebbe sempre applicazione la norma generale. Secondo la più recente giurisprudenza, il criterio di specialità è da intendersi in senso logico-formale; si ritiene infatti che il presupposto di convergenza delle norme possa dirsi integrato solo in presenza di un determinato rapporto di continenza tra le stesse, alla cui verifica deve procedersi attraverso il confronto strutturale tra le fattispecie astratte rispettivamente configurate, mediante la comparazione tra gli elementi costitutivi che concorrono a definire le fattispecie stesse (Cass. pen., Sez. unite, n. 1235/2010). Per quanto concerne la formula “salvo che sia altrimenti stabilito” che apre l'art. 15 c.p., essa va interpretata nel senso che, alla prevalenza della norma speciale, può derogarsi solo nel caso di “applicabilità congiunta di entrambe le norme concorrenti”, cioè sia di quella generale che di quella speciale. In tale caso ricorrerà non un concorso apparente di norme, ma un concorso formale di reati. In questo ambito si collocano le norme che prevedono clausole come “ferme restando le sanzioni previste” da un'altra previsione normativa. In tale ipotesi le sanzioni previste da tali previsioni si applicheranno congiuntamente con quelle previste dalla norma che contiene la clausola di riserva (es. illeciti amministrativi di cui agli artt. 187-bis e ter Tuf) Una norma è speciale rispetto ad un'altra quando descrive un fatto che presenta tutti gli elementi della norma speciale, con l'aggiunta di uno o più elementi specializzanti. L'elemento specializzante può essere: un elemento che specifica un elemento del fatto previsto dalla norma generale (specialità per specificazione) oppure un elemento che si aggiunge a quelli previsti all'interno della norma generale (specialità per aggiunta). Ad esempio, la fattispecie dell'infanticidio può dirsi “speciale” rispetto alla fattispecie dell'omicidio doloso comune, in quanto presenta elementi specializzanti per “specificazione” (“madre”, rispetto al soggetto attivo “chiunque” di cui all'art. 572 c.p.; “feto” o “neonato”, rispetto al soggetto passivo “uomo” di cui all'art. 572 c.p.), e “per aggiunta” (quanto alle circostanze relative alla “madre”). La relazione di specialità tra fattispecie può essere di tipo unilaterale oppure bilaterale (o reciproca). Ricorre la specialità unilaterale (Cass. pen., Sez. un., n. 1963/2010) quando la specialità concerna una soltanto delle fattispecie penalmente sanzionate. Essa può assumere il carattere di specialità per specificazione, nel caso di specificazione dei requisiti dell'altra fattispecie (es. violenza sessuale e violenza privata) o di specialità per aggiunta, nel caso di aggiunta di elementi rispetto all'altra fattispecie (es. sequestro di persona e sequestro di persona a scopo di estorsione). Se si elimina la specificazione o l'aggiunta, si ricade nella fattispecie generale. Ricorre la specialità bilaterale quando l'aggiunta o la specificazione si verificano con riferimento sia all'ipotesi generale, che a quella specifica (Cass. pen., Sez. un., n. 1963/2010). Nel caso di specialità bilaterale entrambe le fattispecie presentano rispetto all'altra elementi di specialità (Cass. pen., Sez. VI, n. 8191/1999), così che l'individuazione della norma speciale appare meno agevole. In tale ipotesi, i criteri per determinare la norma da applicare sarebbero da individuare nella specificità del soggetto cui esse sono destinate, o nella prevalenza quantitativa degli elementi specializzanti di una fattispecie rispetto all'altra. Le SS.UU, hanno affermato come l'individuazione della norma applicabile vada operata con riferimento al criterio della maggiore specialità, secondo il quale in presenza di elementi specializzanti bilaterali, deve essere attribuita la prevalenza a quello che sia più conforme e idoneo alle esigenze di tutela delle fattispecie in raffronto (Cass. pen., Sez. un., n. 10/1976, a proposito del rapporto tra gli artt. 336 e 337 c.p. e art. 186 c.p. militare) Nei casi di specialità bilaterale o reciproca, a volte è la stessa legge a indicare quale sia la norma prevalente, attraverso il ricorso ad una “clausola di riserva”, che può essere determinata (“al di fuori delle ipotesi previste dall'art. ...”); relativamente determinata (si individua una categoria: “se il fatto non costituisce più grave reato); indeterminata (quando il rinvio è del tipo “se il fatto non è previsto come reato da altra disposizione di legge”) (Marinucci - Dolcini, Manuale di diritto penale, Giuffré).
La nozione della locuzione “stessa materia” registra interpretazioni diverse. La si è intesa come identità di bene giuridico alla cui tutela le norme in concorso sono finalizzate (Cass. pen., Sez. un., n. 9568/1995), limitando così l'applicazione del criterio di specialità ai soli casi in cui la norma speciale tuteli lo stesso bene giuridico protetto dalla norma generale. In senso critico rispetto a tale orientamento, si è osservato come il riferimento all'interesse tutelato dalle norme incriminatrici non abbia immediata rilevanza ai fini dell'applicazione del principio di specialità, perché si può avere identità di interesse tutelato tra fattispecie del tutto diverse, come il furto e la truffa, offensive entrambe del patrimonio; e diversità di interesse tutelato tra fattispecie in evidente rapporto di specialità, come l'ingiuria, offensiva dell'onore, e l'oltraggio a magistrato in udienza, offensivo del prestigio dell'amministrazione della giustizia (Cass. pen., Sez. un., n. 1963/2010). L'orientamento prevalente in giurisprudenza, cui aderisce anche la prevalente dottrina, intende la locuzione “stessa materia” come fattispecie astratta (c.d. specialità in astratto) e non quale episodio verificatosi in concreto (c.d. specialità in concreto) sussumibile in più norme (Cass. pen., Sez. un., n. 16568/2007; Cass. pen., Sez. un., n. 1235/2010; Cass. pen., Sez. un, n. 1963/2010). Dello stesso avviso, la Corte Cost. nella sentenza n. 97/1987. La nozione di “stesso fatto”, quale fatto astrattamente previsto come illecito dalla norma, si contrappone all'indirizzo interpretativo che intende tale locuzione quale fatto naturalisticamente inteso (c.d. specialità in concreto), ricomprendente i casi in cui uno stesso fatto sia riconducibile a più figure criminose, anche se tra le stesse non sussista in astratto un rapporto di genere a specie. In tale ipotesi il rapporto di specialità andrebbe risolto applicando la norma che si adatta meglio al caso concreto, normalmente individuata in quella che prevede il trattamento sanzionatorio più severo”. Tale indirizzo, benché non accolto in sede applicativa dalla giurisprudenza di legittimità, trova applicazione esclusiva presso le giurisdizioni sovranazionali – CEDU e Corte di Giustizia UE – in cui il principio di specialità, in materia di concorso tra sanzioni penali ed amministrative e ne bis in idem, viene ordinariamente ed univocamente inteso come stesso fatto “concreto”. L'identità per materia ricorre sempre nel caso di “specialità unilaterale per specificazione”, perché l'ipotesi speciale è ricompresa in quella generale; così anche nel caso di “specialità reciproca per specificazione” (artt. 581 e 572 c.p.). Essa è compatibile anche con la “specialità unilaterale per aggiunta” (art. 605 e 630 c.p.) e con la “specialità reciproca” parte per specificazione e parte per aggiunta (art. 641 c.p. e art. 218 l. fall.) (Marinucci - Dolcini, Manuale di diritto penale, Giuffré, 2004, p. 295). Si esclude l'identità di materia nella “specialità reciproca bilaterale per aggiunta” nei casi in cui ciascuna delle fattispecie presenti, rispetto all'altra, un elemento aggiuntivo eterogeneo (es. violenza sessuale e incesto: violenza e minaccia nel primo caso; rapporto di parentela o affinità nel secondo). Il concorso apparente di norme ricorre anche nel caso in cui le norme siano tra loro in rapporto di sussidiarietà; in tale ipotesi la norma di rango maggiore, in quanto più gravemente sanzionata, prevale su quella di rango minore. Il criterio della sussidiarietà è alla base della previsione in talune norme incriminatrici, di clausole c.d. di riserva (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”), che qualificano la norma che le contiene come norma sussidiaria, così da escluderne l'applicazione nel caso in cui il fatto concreto possa ricondursi ad altro reato, più gravemente sanzionato. In sede di legittimità si è tuttavia precisato come la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” non sempre sia connessa con il problema del concorso apparente di norme e, in particolare, con il principio di specialità di cui all'art. 15 c.p. o con quello di consunzione, tendendo detta clausola nella maggior parte dei casi ad escludere il concorso formale di reati. Il concetto di “fatto” di cui alla clausola di riserva, può non coincidere con quello di “stessa materia” di cui all'art. 15 c.p. Mentre infatti la nozione di “stessa materia” ricomprende anche le norme incriminatrici, e si riferisce alla omogeneità degli elementi costitutivi delle fattispecie astratte e dei beni-interessi tutelati; la nozione di “fatto” concerne l'avvenimento concretamente verificatosi, che prescinde dalla omogeneità delle fattispecie astratte ed ha riguardo al profilo concreto delle ipotesi criminose disciplinate da più norme, sia in concorso apparente, sia in concorso effettivo o reale (Cass. pen., Sez. V, n. 2817/1986)
Perché operi il meccanismo di assorbimento del reato più grave in quello meno grave, è necessario che il reato più grave sia posto a tutela del medesimo bene giuridico tutelato dal reato meno grave, che deve essere assorbito (Cass. pen., Sez. II, n. 36365/2013). In sede dottrinale si ritiene altresì che il rapporto di sussidiarietà ricorra non solo quando la norma principale reprima un grado di offesa più grave allo stesso bene tutelato dalla norma secondaria, ma anche laddove essa tuteli accanto al bene giuridico protetto dalla norma secondaria, un altro bene giuridico. Ricorre una relazione di sussidiarietà tra norme anche quando una norma contiene clausole del tipo “fuori dai casi indicati nell'art. …”, “fuori dai casi di concorso nel reato ...”. In tale ipotesi, se il fatto concreto, oltre ad integrare la norma che contiene la clausola di riserva, realizza anche gli estremi dell'altro reato, troverà applicazione la sola norma cui fa rinvio la clausola di riserva, in quanto di rango più elevato, come si deduce dalla più grave sanzione prevista (Marinucci - Dolcini, Manuale di diritto penale, Giuffré, 2004, p. 297). Parte della dottrina ravvisa l'esistenza di una “sussidiarietà tacita” in presenza di fattispecie apparentemente entrambe applicabili al fatto concreto, in cui l'una prevede una tutela più intensa del medesimo bene giuridico o di un bene ulteriore (come, ad esempio, nei rapporti tra reati di danno e reati di pericolo; salvo, tuttavia, per le norme che impongono l'adozione della misure cautelari finalizzate alla tutela dell'integrità fisica dei lavoratori e le norme che puniscono le lesioni e l'omicidio colposi) (Marinucci - Dolcini, Manuale di diritto penale, Giuffré, 2004, p. 297). Principio di assorbimento/consunzione
Più discusso l'accoglimento del principio di “consunzione”, a tenore del quale la commissione di un reato, che sia strettamente funzionale ad altro e più grave reato, comporta l'assorbimento del primo reato nel reato più grave. Il principio di consunzione è stato fatto oggetto di profonde riserve. In senso contrario all'ipotesi di una sua utilizzazione quale criterio di risoluzione dei casi di concorso apparente di norme, si è osservato che si tratterebbe di un principio legato a giudizi di valore, in contrasto con il principio di legalità accolto nel nostro ordinamento (Cass. pen., Sez. un., n. 1235 del 2010). Si aggiunge, altresì, come l'esigenza di determinatezza in campo penale, non possa essere soddisfatta dal criterio della maggiore significatività della sanzione inflitta per il reato consumato o assorbente. Vi sono infatti dei casi in cui, in presenza di fattispecie omogenee, prevale l'applicazione della norma di favore. Così che il riferimento alla gravità della sanzione non attribuisce di per sé carattere di oggettività alla scelta interpretativa di applicazione del criterio di consunzione, posto che non può affermarsi in linea di principio che il disvalore del fatto sanzionato più gravemente abbia sempre e comunque carattere assorbente nel rapporto tra due fattispecie incriminatrici (Cass. pen., Sez. un., n. 23427 del 2001). Si nega dunque autonomia al principio di consunzione, osservando come la giurisprudenza (Cass. pen., Sez. un., n. 23427/2001; Cass. pen., Sez. un., n. 22902/2001) lo utilizzi ad integrazione o a conferma delle conseguenze applicative del principio di specialità, e in funzione garantistica rispetto al destinatario della norma penale; ed altresì come, l'esigenza del rispetto del principio del ne bis in idem, che spesso ne motiva il richiamo, possa essere assicurata da un'applicazione del principio di specialità secondo un approccio strutturale, che non trascuri l'utilizzo dei normali criteri di interpretazione concernenti la ratio delle norma, le loro finalità, il loro inserimento sistematico, al fine di ottenere che il risultato interpretativo sia conforme ad una ragionevole prevedibilità, come intesa dalla Corte Edu (Cass. pen., Sez. un., n. 1235/2010).
Antefatto e postfatto non punibile
Nell'ambito del riscontro della configurabilità del concorso apparente di norme ovvero del concorso di reati, si collocano anche le ipotesi di antefatto e postfatto non punibile. Si tratta di ipotesi che si inscrivono anch'esse nella logica della sussidiarietà, in quanto si è in presenza di più norme che prevedono gradi di offesa dello stesso bene giuridico. Anche per esse prevale come norma principale e di esclusiva applicazione, la norma che descrive il grado più intenso e avanzato di offesa al bene. Le ipotesi di antefatto non punibile descrivono solitamente fatti strumentali, qualificabili come reati di pericolo, che perdono autonomo rilievo quando l'attività criminosa sia arrivata ad uno stadio ulteriore (Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2005, p. 533).
Ipotesi tacite di antefatto non punibile vengono ravvisate in presenza di casi di c.d. progressione criminosa, cioè nel caso di un reato che rappresenti uno stadio anteriore e meno grave di offesa al medesimo bene o a un bene meno importante, ricompreso nel bene offeso dal fatto susseguente (es. lesioni dolose cui segue l'omicidio doloso). La ratio delle norme che stabiliscono la non punibilità di chi abbia realizzato un reato cronologicamente precedente, viene ravvisata nella logica della “consunzione”: la repressione del fatto antecedente esaurisce il disvalore complessivo, posto che, il fatto successivo, rappresenta un normale sviluppo della condotta precedente, attraverso la quale l'agente o consegue i vantaggi perseguiti attraverso il primo fatto ovvero ne mette al sicuro i risultati (Marinucci - Dolcini, Manuale di diritto penale, Giuffré, 2004, p. 303). Ricorrono i casi di postfatto non punibile “espresso” nei casi in cui il legislatore sancisca la punibilità di un fatto “fuori dai casi di concorso” in un delitto antecedente (ricettazione, favoreggiamento, falsità in monete).
A proposito delle ipotesi “tacite” di postfatto non punibile, esse vengono rinvenute nei casi in cui si ritenga il reato susseguente non punibile, in quanto “normale sviluppo” della condotta precedente, con il quale l'agente consegue o sfrutta i vantaggi derivanti dal primo reato (così per le norme che incriminano l'appropriazione indebita e il danneggiamento nel caso in cui tali condotte seguano il furto). Il concorso tra illecito penale e illecito amministrativo
Il concorso di norme tra fattispecie penali e violazioni amministrative è disciplinato dall'art. 9, l. 24 novembre 1981 n. 689, in base al quale, se uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale. Differenze tra l'art. 9, l. n. 689/1981 e l'art. 15 c.p.:
Anche in questa sede, il concorso tra fattispecie penali e violazioni amministrative va valutato effettuando una comparazione tra fattispecie astratte e non tra fattispecie concrete. La conferma viene individuata nel tenore dell'art. 9, che, facendo riferimento al fatto punito, non può che richiamare quello astrattamente previsto come illecito dalla norma, e non certo al fatto naturalisticamente inteso (Cass. pen., Sez. un., n. 1963 del 2010). Concorde la Corte costituzionale, secondo la quale, per risolvere il concorso apparente di norme, vanno confrontate le fattispecie astratte che a prima vista paiono convergere su un fatto naturalisticamente inteso (Corte cost., n. 97/1987). L'orientamento consolidato che fonda sul confronto in astratto tra le fattispecie l'applicazione del principio di specialità, non viene condiviso dalla giurisprudenza sovranazionale, che invece identifica la locuzione “medesimo fatto” con lo stesso “fatto concreto”, a proposito dei casi di concorso di sanzioni penali ed amministrative e del divieto del ne bis in idem. Aspetti processuali
Questioni processuali di particolare interesse in materia di concorso apparente, sono quelle che concernono il tema del concorso tra illecito penale ed illecito amministrativo, con riguardo alla questione del divieto del ne bis in idem. Relativamente all'applicazione del divieto del secondo giudizio, di cui all' art. 649 c.p.p. , si è affermato come non sussista la violazione del principio del ne bis in idem, qualora alla condanna per illecito tributario (art. 10 d. lgs. n. 74/2000 , occultamento e distruzione di documenti contabili), faccia seguito la condanna per bancarotta fraudolenta documentale, stante la diversità delle suddette fattispecie incriminatrici (Cass. pen., Sez. V, n. 16360/2011 ).Il “ne bis in idem” è stato altresì escluso in relazione ad una vicenda che vedeva un soggetto ricevere, in un unico contesto temporale, una pluralità di cose di provenienza delittuosa: rispetto ad alcune di esse, costui si rendeva responsabile del reato di cui all' art. 648 c.p. , rispetto ad altre, del delitto di cui all'art. 648- bis c.p. La Suprema corte ha affermato la ricorrenza di una pluralità di eventi giuridici, dunque di reati, escludendo pertanto il concorso apparente di norme, così da ritenere non integrato il divieto di cui all'art. 649 c.p.p. in relazione al reato di ricettazione, già giudicato (Cass. p en., Sez. VI, n. 1472/1998 ).Sul ruolo dell' art. 649 c.p.p. nei casi problematici di ne bis in idem in materia di sanzioni amministrative, “sostanzialmente penali”, secondo le valutazioni della giurisprudenza Cedu.Casistica
|