19 Gennaio 2017

La sentenza nel processo penale è un atto decisorio formale, emesso a seguito della ricostruzione di una vicenda dedotta in giudizio - giudizio inteso come contesa tra ipotesi concorrenti dal quale scaturisce la decisione. L'istituto è disciplinato dagli articoli 529-543 del codice di procedura penale con previsione di vari tipi di sentenza: sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.); sentenza di proscioglimento; sentenza di assoluzione (art. 529 e 530 c.p.p.); sentenza di condanna (art. 533 c.p.p) ...
Inquadramento

La sentenza nel processo penale è un atto decisorio formale, emesso a seguito della ricostruzione di una vicenda dedotta in giudizio - giudizio inteso come contesa tra ipotesi concorrenti dal quale scaturisce la decisione.

L'istituto è disciplinato dagli articoli 529-543 del codice di procedura penale con previsione di vari tipi di sentenza:

  • sentenza di non luogo a procedere (art. 425 c.p.p.)
  • sentenza di proscioglimento
  • sentenza di assoluzione (art. 529 e 530 c.p.p.)
  • sentenza di condanna (art. 533 c.p.p)

La sentenza è pronunciata in nome del popolo italiano e reca l'intestazione: Repubblica Italiana.

Essa deve contenere a pena di nullità (art. 546 c.p.p.)

  1. l'indicazione del giudice che l'ha pronunciata;
  2. l'indicazione delle parti e dei loro difensori;
  3. le conclusioni del pubblico ministero e quelle delle parti;
  4. la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione;
  5. il dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati,
  6. la data della deliberazione e la sottoscrizione del giudice.

La sentenza emessa dal giudice collegiale è sottoscritta soltanto dal presidente e dal giudice estensore. Se il presidente non può sottoscrivere per morte o per altro impedimento, la sentenza viene sottoscritta dal componente più anziano del collegio, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento; se l'estensore non può sottoscrivere la sentenza per morte o altro impedimento è sufficiente la sottoscrizione del solo presidente, purché prima della sottoscrizione sia menzionato l'impedimento (artt. 426, 567, 615c.p.p.)

Sentenza di proscioglimento

Art. 129 c.p.p.: In ogni stato e grado del processo, il giudice, quando riconosce che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, ovvero che il reato è estinto, o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara d'ufficio con sentenza.

Quando ricorre una causa di estinzione del reato (art. 150 ss. c.p.) ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste, o che l'imputato non lo ha commesso, o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere.

L'espressione immediata declaratoria, presente nella rubrica dell'art. 129, evidenzia l'assoluta rilevanza e particolarità che tale decisione deve avere, ove ne ricorrano le condizioni. Il giudice, individuata - allo stato degli atti - la causa di non punibilità, non necessita di ulteriore attività istruttoria, neppure per accertare la sussistenza di un'altra eventuale causa di proscioglimento che possa essere preliminare o addirittura più favorevole all'imputato. La norma impone in via prioritaria, la definizione anticipata ed immediata del processo, sempre che la documentazione presente agli atti, consenta una decisione nel rispetto dell'indicazione normativa.

Il procedimento prevede che, successivamente alla richiesta del P.M. di rinvio a giudizio dell'imputato e, fissata l'udienza preliminare, se il giudice rileva - nel corso di tale udienza - una causa di non punibilità emergente dagli atti, dovrà necessariamente emettere una sentenza di proscioglimento, senza necessità di attivare i poteri istruttori conferitigli dall'art. 422 c.p.p. e neppure di quelli che gli sono trasmessi dall'art. 421-bis c.p.p.

La cognizione è limitata allo stato degli atti esistente al momento processuale della rilevata causa di non punibilità, con preclusione di un ulteriore approfondimento del thema decidendum.

Lo stesso presupposto processuale vale per il dibattimento, con tutte le applicazioni delle norme previste per tale fase.

L'art. 469 c.p.p. consente, in via eccezionale e tassativa, il proscioglimento prima del dibattimento soltanto nell'ipotesi in cui sussista una causa d'improcedibilità dell'azione penale o di estinzione del reato, e sempre che il P.M. e l'imputato, sentiti in camera di consiglio, non si oppongano (anche in tale ipotesi eccezionale, si garantisce il contraddittorio). Non residua altro spazio per una sentenza predibattimentale di proscioglimento, allo stato degli atti, ai sensi dell'art. 129, norma che, con riferimento ai più ampi poteri di declaratoria di cause di non punibilità estesi anche al merito, deve trovare - dopo l'avvenuto rinvio a giudizio - fisiologicamente applicazione nella fase dibattimentale, ove ben altra è la capacità cognitiva del giudice (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 19 dicembre 2001, Angelucci).

Da sottolineare la previsione di cui agli art. 68 e 69 c.p.p., secondo cui, in caso di errore sull'identità fisica dell'imputato o di morte di costui, il giudice sentiti il P.M. e il difensore, pronuncia sentenza a norma dell'art. 129.

La regola di cui all'art. 129 c.p.p., opera in ogni stato e grado del processo, nella fase intermedia che va dalla ricezione della richiesta di rinvio a giudizio allo svolgimento dell'udienza preliminare, non può il giudice emettere la sentenza ex art. 129 c.p.p. senza il regolare contraddittorio tra le parti, ma deve dare impulso al rito camerale dell'udienza preliminare e solo nell'ambito di questa può emettere, ricorrendone le condizioni, la detta declaratoria.

L'unica disposizione che consente invece al giudice per le indagini preliminari, di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 senza necessità della celebrazione del rito camerale, è quella prevista dall'art. 459, comma 3, c.p.p. della richiesta di emissione del decreto penale di condanna da parte del P.M.

Trattasi chiaramente di norma particolare del sistema, giustificata dalla tipologia del rito che governa il procedimento per decreto, in questo caso non può esserci contraddittorio (previsto solo in caso di opposizione al decreto penale di condanna).

Tale previsione è stata più volte sottoposta all'attenzione della Corte costituzionale, ma senza esito positivo, allorché è stato sottolineato dalla Consulta che: il dettato costituzionale, da un lato, non impone che il contraddittorio si esplichi con le medesime modalità in ogni tipo di procedimento e, soprattutto, che debba essere collocato nella fase iniziale del procedimento stesso, dall'altro non esclude che il diritto dell'indagato di essere informato nel più breve tempo possibile dei motivi dell'accusa a suo carico possa essere variamente modulato in relazione alla peculiare struttura dei singoli riti alternativi" (Corte cost. ord, n. 8 del 2003).

La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito negli ultimi venti anni, quanto indicato dalle Sezioni unite n. 18 del 9 giugno 1995, Cardoni e precisamente che il giudice per le indagini preliminari, successivamente alla richiesta di emissione di un decreto penale di condanna da parte del PM, può pronunziare sentenza di proscioglimento solo quando sussista una delle cause tassativamente indicate nell'art. 129 c.p.p., e non anche quando la prova risulti mancante, insufficiente o contraddittoria ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.

Qualora fosse necessario un approfondimento del quadro probatorio, il Gip dovrebbe restituire gli atti al P.M., ai sensi dell'art. 459, comma 3, c.p.p.

Sentenza di non luogo a procedere

Il provvedimento viene pronunciato dal giudice al termine dell'udienza preliminare, dopo la discussione delle parti, quando sussiste:

  • una causa che estingue il reato;
  • una causa per la quale l'azione penale non doveva essere proseguita;
  • il fatto non è previsto dalla legge come reato;
  • il fatto non sussiste;
  • l'imputato non lo ha commesso;
  • il fatto non costituisce reato;
  • l'imputato è persona non punibile.

Qualora il giudice dell'udienza preliminare, ritenga di non emettere sentenza di non luogo a procedere, emette il decreto che dispone il giudizio, indicando il giudice che dovrà celebrare il dibattimento e la data.

È certamente il principio del contraddittorio inteso non solo come metodo di formazione della prova ma anche come diritto delle parti all'ascolto che impone la fissazione dell'udienza preliminare, atteso che è soltanto in tale contesto che potranno trovare sfogo pretese di diverso tipo, non azionabili prima: si pensi all'esigenza dell'imputato, in presenza di cause estintive rinunciabili, di essere posto in grado di manifestare la volontà di vedere valutata nel merito la propria posizione, al diritto del medesimo imputato di chiedere il giudizio abbreviato o il giudizio immediato, alla facoltà di tutte le parti di presentare memorie e produrre documenti (artt. 121, 419 commi 2 e 3, 421, comma 3, c.p.p.), di richiedere un incidente probatorio (Corte cost. n. 77/1994), di sollecitare una sia pure limitata integrazione probatoria su temi nuovi o incompleti al fine di meglio precisare il thema decidendum, nonché all'esclusiva potestà del P.M. di modificare l'imputazione. Prescindere dall'udienza preliminare significherebbe anche privare la persona offesa, della quale è legislativamente prevista la citazione (art. 419, comma 1, c.p.p.), della possibilità di costituirsi parte civile in tale udienza, di rappresentare la propria valutazione della vicenda per fare valere le sue legittime aspettative.

È la particolare forza propulsiva della richiesta di rinvio a giudizio a rendere incompatibile una pronuncia di non luogo a procedere adottata de plano. Detta richiesta, infatti, prima che domanda di instaurazione del giudizio, è domanda di fissazione dell'udienza preliminare, quale momento di garanzia per tutte le parti e, in particolare, per l'imputato, unico soggetto abilitato, ex art. 419, comma 5, c.p.p., a rinunciarvi (Cass. pen., Sez. VI, 20 gennaio 1998, Palpacelli).

La sentenza di non luogo a procedere è impugnabile ma occorre esserne legittimati ed avervi interesse ai sensi dell'art. 591, comma 1, lett. a) c.p.p.

Il pubblico ministero può impugnarla in ogni caso, l'imputato può impugnarla se ha interesse ad ottenere una formula di proscioglimento più favorevole di quella emessa, può essere impugnata dalla parte civile.

Sentenza di non doversi procedere

Se l'azione penale non doveva essere iniziata o non proseguita, il giudice adotta la formula dichiarativa non doversi procedere qualora manchi o sia insufficiente e contraddittoria una delle condizioni di procedibilità quali:

  • querela;
  • istanza;
  • richiesta di procedimento;
  • autorizzazione a procedere;
  • altra situazione atipica, che si risolva in causa di improcedibilità;
  • sussiste una causa estintiva del reato.

Il Legislatore con decreto legislativo del 16 marzo 2015 n. 28 ha recentemente inserito nel codice penale l'art. 131-bis c.p. prevedendo una ulteriore causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, dalla quale possono discendere diversi provvedimenti decisori: il decreto di archiviazione ex art. 411 c.p.p., la sentenza il non luogo a procedere ex art. 420 c.p.p., il proscioglimento predibattimentale ex art. 469 c.p.p., nonché la sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p.,

Ai sensi del nuovo art. 411 c.p.p. il P.M. chiede il provvedimento di archiviazione anche quando la persona sottoposta alle indagini non è punibile ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale per particolare tenuità del fatto.

Per la qualifica della particolare tenuità del fatto, è sempre necessario prima verificare che quel fatto si sia configurato, o sia stato commesso dall'indagato e non da ultimo che quello stesso fatto rientri nel novero dei reati previsti dal codice penale.

A differenza della previsione normativa dell'art. 459, comma 3, c.p.p., (decreto penale di condanna) nel caso di non punibilità per particolare tenuità, il giudice, deve accertare tutti gli elementi costitutivi del reato e la sua offensività - valutare se l'offesa per come accertata sia o meno tenue.

A differenza della declaratoria delle altre cause di non punibilità, il nuovo istituto produce una conseguenza negativa, quella che il provvedimento di archiviazione per non punibilità sia iscritto nel casellario giudiziario (ex art. 3, comma 3, lett. f), d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313).

Ulteriore elemento distintivo della norma prevista dall'art. 131-bis c.p., rispetto agli altri provvedimenti decisori, riguarda la possibilità per il giudice, qualora non condivida la valutazione relativa all'esistenza della causa di non punibilità, di ordinare l'imputazione coatta; ha la possibilità inoltre di non emettere il provvedimento di archiviazione, qualora non condivida la prospettazione pregiudiziale offerta dal P.M. relativa alla fondatezza della notizia di reato rispetto gli altri punti (valutazione che può essere sollecitata dall'indagato nella procedura camerale).

La causa di esclusione della punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p.p. può essere anche pronunciata ai sensi dell'art. 425, comma 1, c.p.p. all'udienza preliminare.

Nella fase camerale vi è la possibilità di depositare atti difensivi e il giudice può, anche d'ufficio, assumere le prove necessarie per emettere la sentenza di non luogo a procedere. La sentenza è impugnabile in Cassazione, in tale sede si potrà far valere sia il vizio della motivazione della decisione, sia il vizio della motivazione dell'ordinanza che ha escluso l'ammissione delle prove richieste dalla parte, sia – procedendo a questo punto ad una necessaria un'interpretazione estensiva – il vizio della mancata assunzione di una prova contraria decisiva, perché dal punto di vista strutturale la prova eventualmente richiesta ai sensi dell'art. 422 c.p.p. dalle parti è corrispondente in tutto a quella prevista dall'art. 495, comma 2, c.p.p.

Il riconoscimento e il conseguente provvedimento decisorio per particolare tenuità del fatto può essere emesso anche nella fase predibattimentale, tant'è che all'art. 469 c.p.p. è stato aggiunto il comma 1-bis: La sentenza di non doversi procedere è pronunciata anche quando l'imputato non è punibile ai sensi dell'articolo 131-bis del codice penale, previa audizione in camera di consiglio anche della persona offesa, se compare.

La sentenza di assoluzione conclusiva del giudizio è emessa ai sensi dell'art. 530 c.p.p., articolo al quale non sono state apportate modifiche, è stata però prevista la necessaria non opposizione delle parti a tale pronuncia assolutoria, il consenso alla rinuncia al contraddittorio nella formazione delle prove che hanno accertato la responsabilità deve risultare quale elemento indefettibile.

Sentenza di assoluzione

Il giudice pronuncia sentenza di assoluzione (art. 530 c.p.p.) indicandone la causa nel dispositivo quando:

  • il fatto non sussiste;
  • l'imputato non lo ha commesso;
  • il fatto non costituisce reato;
  • il fatto non è previsto dalla legge come reato;
  • difetta l'imputabilità e la punibilità dell'imputato;
  • il reato è stato commesso da persona non imputabile;
  • il reato è stato commesso da persona non punibile.

La sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all'accertamento che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere, o nell'esercizio di una facoltà legittima, nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni e il risarcimento del danno promosso dal danneggiato o nell'interesse dello stesso, sempre che il danneggiato si sia costituito o sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile, salvo che il danneggiato del reato abbia esercitato l'azione in sede civile a norma dell'art. 75, comma 2, c.p.p.

La stessa efficacia ha la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a norma dell'art. 442 se la parte civile ha accettato il rito abbreviato.

Nel caso di esercizio autonomo dell'azione risarcitoria o restitutoria, a norma dell'art. 75, comma 2, c.p.p. è espressamente specificato che l'effetto di giudicato della sentenza di assoluzione non opera, posto che il danneggiato da reato ha optato per un giudizio risarcitorio autonomo da quello penale.

Sentenza a seguito di giudizio abbreviato

Il comma dell'art. 652 si occupa del rapporto tra la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di giudizio abbreviato e il giudizio civile amministrativo per le restituzioni o il risarcimento del danno, prevedendo il vincolo del giudicato solo nel caso in cui la parte civile abbia accettato il rito abbreviato a norma dell'art. 442 c.p.p.

Nel caso in cui la parte civile non abbia accettato il rito, il giudizio risarcitorio o restitutorio non può essere pregiudicato dalla sentenza assolutoria.

Sentenza di condanna

La sentenza di condanna emessa ai sensi dell'art. 533 c.p.p., è il provvedimento con il quale giudice afferma la colpevolezza dell'imputato e vi giunge attraverso una ricostruzione del fatto collegata eziologicamente ai riscontri probatori, l'accertamento verrà indicato dal giudice, come l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio.

La certezza che deve connotare l'esito della cognizione penale deriva dal dettato costituzionale, che impone che non possono ritenersi legittime le condanne fondate su ragionamenti accettabili ma non del tutto persuasivi, in quanto mancanti di elementi fondamentali, quali - appunto - gli argomenti con cui si sia ritenuto di non considerare come ragionevoli le opzioni ricostruttive fornite dalla difesa.

Il giudice penale non può limitare l'analisi dei riscontri dibattimentali ad una valutazione statistica o probabilistica, il ragionamento a sostegno della decisione deve essere fondato su prove certe che siano dirimenti.

Obbligo di motivazione della sentenza

L'art. 111 Cost. stabilisce che […] tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati e che contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. La motivazione costituisce la condizione indispensabile per l'effettività del controllo dell'iter logico e giuridico seguito dal giudice di merito nella sua decisione ed il controllo della motivazione non può essere limitato alla applicazione della norma ma deve estendersi alla ricostruzione storica, alle prove valutate come decisive, a quelle valutate non decisive, a quelle non valutate.

Il giudizio deve essere corretto e legale, posto che la norma è applicata correttamente se la ricostruzione dei fatti, suffragati dalle prove ne giustificano l'adozione e il giudice può rendere ragione della decisione.

Una posizione centrale nel codice di procedura penale è occupata dall'art. 192, adottato dal legislatore per prevenire un insindacabile potere discrezionale da parte del giudice nella valutazione delle prove, articolo nel quale vengono enunciate specifiche regole di giudizio e sono precisati i limiti dell'impiego della prova indiziaria.

L'obbligo della motivazione trova ulteriore aggancio normativo negli artt. 125 e 292 c.p.p., l'art. 125 indica la necessità della indicazione dei motivi di fatto e di diritto su cui il giudice fonda la sua decisione, le prove assunte quali fondamentali e quali non attendibili; l'art. 292 intimamente connesso con l'art. 13 della Costituzione, concerne la motivazione delle ordinanze relative alle misure cautelari personali, nella quale deve essere presente “l'esposizione delle specifiche esigenze cautelari e gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta”.

La violazione dell'obbligo della motivazione della sentenza è disciplinato dall'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. e, la mancanza di motivazione ha rilevanti implicazioni non solo sul piano della preclusione dell'esame degli atti del procedimento, ma anche sotto il profilo dell'esperibilità del ricorso diretto in cassazione contro le sentenze (art. 560 c.p.p) e in materia di misure cautelari personali (art. 311, comma 2, c.p.p.) e reali (art. 325, comma 1, c.p.p.)

Nei giudizi di merito deve esserci una netta distinzione tra la sentenza di primo grado e quella di appello in punto di motivazione, posto che il ragionamento decisorio del giudice dell'impugnazione deve essere correlato alla qualità e alla consistenza delle censure rivolte dall'appellante. Se l'atto con il quale si impugna la sentenza ritenuta errata si limita alla mera riproposizione di questioni di fatto già esaminate e risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell'impugnazione può trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati. Quando invece le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante, sussiste il vizio di motivazione sindacabile ex art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., che se puntualmente argomentato nei motivi di impugnazione, dovrà essere attentamente valutato e motivato. E non è sufficiente una motivazione stringata, né tanto meno una forma implicita e sintetiche, generiche affermazioni di stile, secondo le quali il giudice boccia l'alternativa difensiva, quali non è da considerare ragionevole, perché non aderente ai dati processuali oppure perché contraddetta dai fatti di causa, ovvero non persuasiva per quanto esposto ai fini della condanna.

Un ulteriore parametro di riferimento sul punto potrebbe essere dato dal considerare che l'essenza della difesa è proprio quella di avanzare alternative specifiche sull'esistenza di ipotesi contrarie alla colpevolezza.

Sicché se è vero che la morale certezza discende dalla presunzione d'innocenza e dal principio di legalità penale, è pur vero che il dovere di vagliare le alternative della difesa è correlato all'inviolabilità della difesa (art. 24 Cost.), di modo che la consistenza della motivazione, con cui si nega il valore di "ragionevolezza" alla opzione difensiva, dovrà parametrarsi anche con le peculiarità proprie del sindacato avanzato dall'imputato.