Sequestro conservativo

Francesco Vergine
06 Agosto 2015

Da garanzia patrimoniale di esecuzione, qual era in passato, il sequestro conservativo è divenuto nel codice del 1989 una misura cautelare reale, la cui finalità è quella di impedire che l'imputato ed il responsabile civile (ove presente) possano disporre materialmente e/o giuridicamente dei propri beni
Inquadramento

Da garanzia patrimoniale di esecuzione, qual era in passato, il sequestro conservativo è divenuto nel codice del 1989 una misura cautelare reale, la cui finalità è quella di impedire che l'imputato ed il responsabile civile (ove presente) possano disporre materialmente e/o giuridicamente dei propri beni. Invero, l'eventuale alienazione (o, comunque, la loro dispersione sotto qualsiasi forma) potrebbe compromettere le ragioni creditorie del danneggiato e dello Stato.

Tale istituto, poi, in virtù del rinvio effettuato dalle norme sulla sua esecuzione alla disciplina del pignoramento, ha comportato un avvicinamento all'omologo istituto regolato dal codice di procedura civile. Nonostante i molteplici punti in comune, tuttavia, i due istituti si differenziano da un lato per la saldatura tra il fumus boni iuris con l'imputazione e dall'altro lato, per il fatto che la legittimazione ad agire è riconosciuta anche in capo al P.M.

Il sequestro conservativo, poi, differisce profondamente dal sequestro preventivo, anch'esso misura cautelare reale, il cui scopo è quello di impedire che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di quest'ultimo, ovvero agevolare la commissione di altri reati, nonché ad assicurare gli effetti della confisca.

I presupposti applicativi

L'individuazione dei presupposti applicativi del sequestro conservativo è stata rimessa, in virtù del silenzio del legislatore, all'elaborazione pretoria, la quale ha individuato come tali il fumus boni iuris e il periculum in mora, requisiti che andranno “calati” nella concretezza del momento processuale in cui detta misura può sorgere.

In effetti, negli artt. 316 e 317 c.p.p. non è rinvenibile alcun riferimento ai presupposti applicativi della misura cautelare reale, di talché la giurisprudenza ha provveduto a tracciarne i confini. Si è, così, osservato che, ai fini della concessione della misura, il giudice dovrà limitarsi ad accertare la pendenza del processo penale e la sussistenza dell'imputazione, senza poter effettuare alcuna analisi più approfondita, laddove sia intervenuto il rinvio a giudizio dell'imputato o addirittura una sentenza di condanna (Cass. pen., Sez. III, 16 giugno 2005, n. 22727; Cass. pen., Sez. un., 25 marzo 1993, n. 4). Tra l'altro, la stessa Corte costituzionale ha rilevato come il nuovo codice di rito, omettendo di operare un richiamo alle disposizioni generali sulle misure cautelari personali, abbia limitato il presupposto dei gravi indizi di colpevolezza a queste ultime, non consentendone l'estensione alle misure cautelari reali (Corte cost., 17 febbraio 1994, n. 48).

In senso contrario, si è assestato un orientamento minoritario della giurisprudenza di legittimità, secondo cui ai fini della concessione della misura è necessaria la verifica di tutti gli elementi, compresi i gravi indizi di colpevolezza (Cass. pen., Sez. VI, 17 maggio 1994, n. 707). Invero, se così non fosse, si rimetterebbe il potere di apporre il sequestro al solo titolare dell'azione penale e i poteri di controllo del giudice sarebbero quasi evanescenti.

La regolamentazione del periculum in mora, invece, appare definita, poiché il comma 1 dell'art. 316 c.p.p. fa riferimento alla “fondata ragione che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato”. In relazione alla sua ricorrenza è possibile riscontrare l'esistenza di un elemento oggettivo e di uno soggettivo. Il primo è ravvisabile nell'insieme di tutte le condizioni che possono concorrere al prodursi dell'evento pericoloso, mentre il secondo si realizza nel giudizio che riconduce tali condizioni all'evento temuto, stabilendo se sia possibile che si verifichi. Pertanto, si deve procedere ad una valutazione concreta, in relazione al pericolo che si disperdano le garanzie patrimoniali dell'imputato o del responsabile civile per le obbligazioni nascenti da reato. L'applicazione della misura, così, dovrà essere condizionata ad una prognosi ragionevole e motivata deducibile da diversi elementi, quali l'entità del credito, la natura del bene che si intende sottoporre a sequestro, la consistenza del patrimonio dell'obbligato, la sua capacità reddituale e la sua condotta processuale ed extraprocessuale. Si dovrà, cioè, considerare tutto ciò che potrebbe comportare un possibile depauperamento del patrimonio ovvero dell'eventuale intenzione dell'obbligato di sottrarsi al dovere di adempiere.

Invero, il periculum in mora può manifestarsi in due modi: la mancanza di idonee garanzie patrimoniali ovvero la loro insufficienza o inadeguatezza e la dispersione dei beni del debitore principale (ossia l'imputato) o del responsabile civile. Verificata la ricorrenza dei due presupposti, sarà necessario accertare che i beni sui quali si chiede l'apposizione del sequestro siano pignorabili, poiché al sequestro, dopo la condanna in fase di esecuzione, seguirà, appunto, il pignoramento.

Esso, poi, incontro dei limiti temporali per la sua operatività. In base a quanto previsto dal comma 1 dell'art. 316 c.p.p. il sequestro conservativo può essere richiesto in ogni stato e grado del processo di merito, con ciò stabilendo che potrà trovare applicazione soltanto dopo che sia stata formulata l'imputazione e, quindi, non nella fase investigativa. Tale misura cautelare reale non potrà, inoltre, mai trovare applicazione dopo il passaggio in giudicato della sentenza e nel corso del giudizio di legittimità (Cass. pen., Sez. VI, 21 maggio 1995, n. 1526); tuttavia, va ritenuta ammissibile nel caso in cui la Suprema Corte annulli la sentenza con rinvio.

L'oggetto

Il legislatore del 1988 ha previsto che il sequestro conservativo possa essere apposto su beni mobili ed immobili di proprietà dell'imputato e su somme o cose al medesimo dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento. Se istante è la parte civile, possono essere colpiti anche i beni e i diritti di credito del responsabile civile.

In un primo momento, la giurisprudenza di legittimità, facendo propria un'interpretazione strettamente letterale della disposizione, negava che la misura cautelare fosse applicabile su cose formalmente appartenenti a terzi. Di recente, però, tale approccio è mutato, essendosi osservato che non è rilevante l'intestazione dei beni a terzi, essendo sufficiente che l'imputato ne abbia la disponibilità uti dominus. (Cass. pen., Sez. II, 15 ottobre 2010, n. 44660)

In virtù del fatto che il sequestro si convertirà, durante la fase esecutiva, in pignoramento, è previsto che non possono essere colpiti da tale misura cautelare reale i beni mobili cc.dd. assolutamente impignorabili ex art. 514 c.p.c., mentre per quanto attiene i beni mobili relativamente impignorabili, compresi anche i beni mobili registrati, il sequestro conservativo potrà essere apposto alle condizioni previste dal codice di procedura civile. Non sequestrabili (per un debito contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia) perché non pignorabili sono, poi, i beni facenti parte di un fondo patrimoniale. Per quanto attiene l'azienda, invece, intesa come complesso di beni mobili ed immobili, si è assistito ad una mutazione interpretativa: ad un orientamento negativo è subentrato altro percorso esegetico che, valorizzando il dettato normativo, ne ha ammesso l'esecuzione.

Per quanto attiene, infine, alle somme giacenti su conti correnti bancari intestati a più persone, è stata considerata assoggettabile a sequestro conservativo soltanto la quota riferibile all'imputato, visto che sarebbe illegittima l'apposizione del sequestro sull'intero ammontare dei depositi. La solidarietà attiva e passiva, difatti, prevista dall'art. 1854 c.c. è limitata ai soli rapporti tra correntisti ed istituto e, pertanto, il creditore di uno dei cointestatari non può aggredire l'intera somma ma solo la quota di proprietà del debitore che, in mancanza di specificazioni, si presume uguale a quella degli altri cointestatari ex art. 1101 c.c. (Cass. pen., Sez. II, 30 ottobre 1997, n. 5967). Nel caso di coniugi in regime di comunione legale dei beni si deve considerare legittimo il sequestro conservativo di metà dei valori esistenti in conti correnti e depositi intestati esclusivamente al coniuge dell'imputato. Invero, il fatto che, in regime di comunione legale dei beni, contratti di conto corrente e depositi bancari siano intestati ad uno solo dei coniugi non fa venire meno la comunione sulle somme in via di presunzione assoluta ai sensi degli artt. 177 e 195 c.c., indipendentemente dalla provenienza delle stesse somme. (Cass. pen., Sez. II, 23 gennaio 1998, Airaldi, n. 6216).

La legittimazione

La legittimazione a proporre l'istanza di sequestro conservativo, in virtù dell'innovazione effettuata dal legislatore del 1988, è attribuita al pubblico ministero e alla parte civile, superando le rigidità di impostazione del codice previgente che ne assegnava l'iniziativa soltanto al primo.

Il pubblico ministero può chiedere il sequestro conservativo su beni mobili ed immobili dell'imputato o sulle somme a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento, qualora sussista la fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato.

Alla parte civile, poi, che può giovarsi della richiesta del pubblico ministero, è riconosciuta anche la possibilità di chiedere autonomamente l'applicazione del sequestro conservativo non solo sui beni dell'imputato ma anche del responsabile civile, nel caso in cui vi sia la fondata ragione di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie delle obbligazioni civili nascenti da reato.

Numerose sono le differenze esistenti tra la richiesta del pubblico ministero e quella della parte civile. Innanzitutto, la richiesta del pubblico ministero può riguardare soltanto i beni dell'imputato, mentre quella della parte civile può estendersi anche a quelli del responsabile civile. La richiesta della pubblica accusa, poi, si configura come un atto dovuto, che nasce dall'obbligo giuridico di tutelare gli interessi pubblici, dalla cui omissione può derivare una responsabilità non solo disciplinare ma anche contabile nella misura in cui l'omissione comporti un danno patrimoniale per l'erario. Ciò implica che la richiesta del pubblico ministero è irrevocabile, a meno che non vengano meno i presupposti che ne avevano consentito l'applicazione. La domanda di applicazione della misura cautelare reale della parte civile, invece, non è un atto dovuto ma una scelta libera di quest'ultima, che dovrà valutare l'opportunità di avanzare la richiesta. Tale distinzione si fonda sul tipo di interessi perseguiti: di natura pubblicistica quelli tutelati dal P.M., di stampo privatistico quelli riferibili alla parte civile.

Non sono legittimati alla richiesta né la persona offesa che non può nemmeno giovare della richiesta del pubblico ministero né la persona danneggiata dal reato prima dell'inizio del processo, visto che il comma 1 dell'art. 316 c.p.p. prevede che il sequestro conservativo possa essere chiesto in ogni stato e grado del processo di merito. Pertanto, prima di tale step, il danneggiato potrà agire solo ed esclusivamente in sede civile (eventualmente trasferendo, poi, tale azione in sede penale ex art. 75, comma 1, c.p.p., una volta che quest'ultima sia giunta al giusto grado di maturazione).

Come detto, il comma 3 dell'art. 316 c.p.p. consente alla parte civile di giovarsi della richiesta di applicazione della misura cautelare avanzata dal pubblico ministero; tuttavia, non è previsto il contrario, visto che la pubblica accusa potrà, dopo la richiesta avanzata dalla parte civile, avanzare una propria istanza che andrà soddisfatta limitatamente alle somme che residueranno dopo il risarcimento dei danni della parte civile (Cass. pen., Sez. IV, 9 dicembre 1992, n. 192770). Diversamente, nel caso in cui la parte civile intenda beneficiare della richiesta del pubblico ministero, vedrà soddisfatta la propria pretesa solo in via residuale, ossia dopo la soddisfazione delle ragioni dell'erario (Cass. pen., Sez. V, 14 aprile 2000, n. 2350).

Gli effetti del sequestro conservativo

L'applicazione della misura cautelare reale comporta l'indisponibilità giuridica e materiale dei beni sequestrati all'imputato o al responsabile civile e la costituzione di un privilegio, come previsto dal comma 4 dell'art. 316 c.p.p., sui crediti tutelati rispetto ad ogni altro credito non privilegiato sia di data anteriore che di data posteriore, fatti salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi.

La doppia indisponibilità impedisce al proprietario delle res di disporne e pertanto di depauperare il proprio patrimonio. La necessità di salvaguardare il diritto di credito si evince, altresì, dall'aver previsto una precipua fattispecie di reato all'art. 334 c.p., configurabile allorquando i beni avvinti dal vincolo siano soppressi, distrutti, dispersi o deteriorati. Il legislatore, poi, ha previsto anche strumenti di tutela di tipo civilistico, come quello previsto dall'art. 2913 c.c., laddove è stabilito che eventuali atti di cessione saranno inefficaci nei confronti del creditore sequestrante, mantenendo la loro validità tra le parti, fatti salvi gli effetti del possesso in buona fede per i mobili non iscritti in pubblici registri.

Gli effetti della misura cessano quando le sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere non saranno più soggette ad impugnazione. Pertanto, il sequestro conservativo non cesserà i suoi effetti a seguito della pronuncia della sentenza con cui si applica la pena su richiesta delle parti (Cass. pen., Sez. I, 16 maggio 2007, n. 22468), a meno che l'azione risarcitoria esercitata in sede penale non sia tempestivamente riassunta in sede civile.

La forma del provvedimento e competenza

Competente a decidere sulla richiesta di sequestro conservativo, in base a quanto stabilito dal comma 1 dell'art. 317 c.p.p., è il giudice che procede. In base a quanto previsto dal secondo comma della suddetta norma, tale è il giudice che ha pronunciato sentenza di condanna o di proscioglimento o di non luogo a procedere prima che gli atti siano trasmessi al giudice dell'impugnazione e, successivamente a ciò, il giudice dell'impugnazione. La giurisprudenza nomofilattica ritiene, poi pacificamente, che giudice competente a decidere sia anche il giudice per le indagini preliminari nel caso in cui sia intervenuto il provvedimento che disponga il giudizio e gli atti non siano stati ancora trasmessi al giudice competente (Cass. pen., Sez. II, 19 dicembre 2008, n. 2388).

Una parte della dottrina ritiene che il sequestro conservativo possa essere adottato anche nel corso del giudizio di rinvio in caso di annullamento da parte della Suprema Corte, fermo restando che la misura può essere adottata per tutta la fase di merito. Quest'ultima non si conclude con la lettura del dispositivo ma con il deposito della sentenza in grado d'appello; ciò implica che anche in tale lasso di tempo è consentito presentare istanza di sequestro conservativo al giudice presso il quale pende il processo (Cass. pen., Sez. IV, 16 giugno 2005, n. 22656). In tal caso, però, il soggetto danneggiato dal reato potrà costituirsi parte civile fuori udienza presentando la relativa dichiarazione in cancelleria ex art. 78 c.p.p. con conseguente possibilità di disporre la misura anche nel corso dell'udienza preliminare (Cass. pen., Sez. V., 16 febbraio 1994, n. 886).

Orientamenti a confronto

Un contrasto interpretativo è sorto in seno alla Suprema Corte in relazione alle conseguenze derivanti dall'adozione della misura da parte del giudice per le indagini preliminari nella fase delle indagini preliminari.

1. Secondo un primo orientamento, l'ordinanza con cui si applica la misura non è inesistente o abnorme ma annullabile; pertanto, il soggetto interessato è tenuto a proporre richiesta di riesame per rimuoverlo (Cass. pen., Sez. VI, 5 febbraio 1998).

2. In base al secondo orientamento, invece, il provvedimento è affetto dal vizio della nullità assoluta ex artt. 179 e 178, lett. a), c.p.p. poiché si tratta di incompetenza funzionale, che, quindi, riflette i propri effetti sulla idoneità specifica dell'organo all'adozione di uno specifico provvedimento (Cass. pen., Sez. V, 9 marzo 2006, n. 9531).

La seconda tesi sembra assistita da un maggior grado di aderenza sistematica.

Il provvedimento con cui si adotta il sequestro è un'ordinanza ed è un atto a sorpresa; ne deriva che il giudice competente vi provvederà inaudita altera parte. Per quanto attiene al suo contenuto, si ritiene che debba essere motivato a pena di nullità e che non sia suo elemento imprescindibile l'indicazione della somma per la quale viene disposto il sequestro a garanzia dell'erario per le spese di giustizia perché non connotato dai requisiti di liquidità ed esigibilità.

Custodia, distruzione e vendita di beni sottoposti a sequestro

Il giudice che ha disposto il sequestro può provvedere alla nomina e all'eventuale sostituzione del custode dei beni sottoposti a sequestro; pertanto, la designazione dello stesso custode da parte dell'ufficiale giudiziario ai sensi dell'art. 520, comma 2, e 678 c.p.c. ha carattere residuale e può essere revocata (Cass. pen., Sez. V, 19 settembre 2001, n. 43576).

Il custode provvede agli atti di ordinaria amministrazione, mentre per quelli di straordinaria amministrazione è necessaria l'autorizzazione del giudice. In particolare, la giurisprudenza ha precisato che quando il sequestro abbia ad oggetto azioni, quote sociali o aziende, il patrimonio non deve essere esposto ad atti che diminuiscano il valore e, quindi, spetta al custode l'esercizio del diritto di voto (Cass. pen., Sez. V, 12 maggio 2000, n. 2757). Qualora quest'ultimo diritto si manifesti in atti di straordinaria amministrazione, il custode dovrà necessariamente essere autorizzato dal giudice. Tuttavia, il controllo da parte del giudice sull'operato del custode deve rimanere in termini di stretta legalità, visto che si tratta di atti di natura imprenditoriale che non possono spettare al giudice; pertanto, i suoi interventi potranno soltanto tendere al divieto di quelle scelte del custode che si discostano da qualunque forma di discrezionalità tecnico – amministrativa, tipica delle gestioni imprenditoriali (Cass. pen., Sez. VI, 8 novembre 1993, n. 3197).

Il compenso per l'attività svolta dal custode, poi, deriva da un rapporto di natura pubblicistica con cadenza quotidiana e prescrizione decennale decorrente da ogni singolo giorno. Se, però, nel provvedimento con cui è stato conferito l'incarico, era prevista una periodicità nella corresponsione di tale compenso, troverà applicazione il termine di prescrizione stabilito nell'art. 2948, comma 4, c.c.

In base al rinvio operato dal comma 3 dell'art. 317 c.p.p. alle norme di procedura civile, si ritiene che i beni deteriorabili sottoposti a sequestro conservativo penale possono essere venduti con provvedimento del giudice ai sensi dell'art. 685, commi 1 e 2, c.p.c., nei modi stabiliti per le cose pignorate e con trasferimento al prezzo ricavato del vincolo di garanzia derivante dalla misura. Lo scopo della vendita, secondo quanto previsto dalla giurisprudenza nomofilattica, è quello di evitare che le cose sequestrabili perdano tutto il loro valore per effetto del tempo (Cass. pen., Sez. I, 6 febbraio 1984).

Il riesame dell'ordinanza di sequestro conservativo

L'art. 318 c.p.p. prevede che i soggetti interessati possano impugnare con riesame l'ordinanza con cui è disposto il sequestro conservativo. Soggetti legittimati non sono, sicuramente, il pubblico ministero e la parte civile, visto che è sulla base di una loro richiesta che viene adottato il provvedimento. Tali sono, invece, l'imputato, il responsabile civile e il terzo che vanti un diritto di proprietà o altro diritto reale sui beni sequestrati e, in via generale, riceva un pregiudizio dal provvedimento quale creditore dell'imputato (Cass. pen., Sez. V, 5 maggio 1995, n. 2196). Si ritiene, poi, che possano proporre riesame anche gli enti di cui al d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, secondo quanto previsto dall'art. 54.

Inoltre, sebbene la norma non preveda espressamente quale soggetto legittimato a proporre riesame il difensore, le Sezioni unite hanno provveduto a colmare la lacuna operando una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, stabilendo che il potere di impugnazione derivi direttamente dal comma 1 dell'art. 99 c.p.p., in virtù del quale il difensore possiede le stesse facoltà e diritti che la legge riconosce all'imputato e all'indagato, a meno che non siano riservati personalmente a questi ultimi (Cass. pen., Sez. un., 11 luglio 2006, n. 27777).

Per quanto attiene il procedimento la norma rinvia all'art. 324 c.p.p.

Infine, il comma 2 dell'art. 317 c.p.p. stabilisce che la richiesta di riesame non sospende l'esecuzione del provvedimento.

L'offerta di cauzione

La cauzione, prevista e disciplinata dall'art. 319 c.p.p., può assumere due forme: preventiva ed estintiva. Nel primo caso, la cauzione trova applicazione prima che la misura reale sia disposta e pertanto diviene ostativa all'adozione della cautela stessa, mentre nel secondo caso la cauzione si atteggia come causa di revocabilità del provvedimento adottato, qualora sia stato proposto riesame o in qualunque stato e grado del processo di merito.

Nel caso di cauzione preventiva il giudice dovrà valutare l'offerta tenendo conto della sua idoneità a garantire i crediti. Si considera, così, idonea la cauzione che sia pari all'ammontare, almeno approssimativo, del credito, visto che non si considera sufficiente che equivalga al prezzo della cosa per la quale è chiesto il sequestro.

Nel caso, invece, di cauzione estintiva il giudice dovrà verificare se sia commisurata al valore delle cose sequestrate e non a quello dei crediti, che potrebbe essere anche maggiore.

La giurisprudenza di legittimità ha statuito, poi, che, sebbene non sia indispensabile indicare nel provvedimento di sequestro la somma per la quale esso venga disposto, tuttavia, ciò non impedisce al soggetto interessato di prestare cauzione in sostituzione del bene sottoposto al vincolo, di chiedere al giudice competente di indicare il presumibile ammontare delle spese da garantire con il vincolo cautelare (Cass. pen., Sez. I, 8 febbraio 1993, n. 193327).

Qualora l'esame sui presupposti previsti dalla norma per l'offerta di cauzione sia positivo, secondo quanto previsto dalla dottrina, il giudice è obbligato a disporre che non si faccia luogo o si revochi il sequestro.

Il provvedimento con il quale il giudice decide di non autorizzare il sequestro conservativo in presenza di una idonea offerta di cauzione, assume la forma del decreto. La scelta effettuata dal legislatore di preferire il decreto all'ordinanza, in tal caso, non appare casuale, ma espressione dell'automatismo esistente tra la prestazione di una idonea cauzione e l'emissione del decreto. Invero, il giudice possiede un potere vincolato, vale a dire che di fronte ad una cauzione idonea, inutile sarebbe un contraddittorio tra le parti, essendo sufficiente la verifica dei suoi presupposti.

Ulteriore problematica correlata alla scelta del legislatore della forma del decreto attiene alla presenza o meno della motivazione. Difatti, secondo una parte della dottrina, maggiormente legata al tenore letterale, la decisione del giudice non deve essere motivata trattandosi appunto di decreto. Diversamente, altra parte della dottrina, sostiene che il decreto debba essere necessariamente motivato, visto che tale provvedimento è impeditivo di un procedimento già attivato e che, comunque, si deve dare contezza della idoneità della cauzione.

La dottrina, infine, ha ritenuto, considerando il principio di tassatività delle impugnazioni, che il decreto non sia suscettibile di impugnazione, mentre l'ordinanza di revoca è solo ricorribile per Cassazione. La giurisprudenza, invece, intervenendo sul punto, ha statuito che, nonostante la cauzione, l'interessato non perde interesse all'impugnazione del provvedimento cautelare e l'esito del gravame, ovviamente, non può non avere effetto sul provvedimento che dispone la cauzione stessa (Cass. pen., Sez. IV, 11 luglio 2001, n. 27964).

L'esecuzione sui beni sequestrati

L'art. 320 c.p.p. stabilisce che il sequestro conservativo si converte in pignoramento quando diventa irrevocabile la sentenza di condanna al pagamento di una pena pecuniaria ovvero quando diventa esecutiva la sentenza che condanna l'imputato e il responsabile civile al risarcimento del danno in favore della parte civile.

Si ritiene che nel caso di condanna conseguente all'applicazione della pena sull'accordo delle parti, il sequestro conservativo non perda efficacia, visto che non si tratta di una sentenza di proscioglimento o di non doversi procedere e si converte, quindi, in pignoramento (Cass. pen., Sez. I, 16 maggio 2007, n. 22468). L'azione, però, deve essere riassunta in sede civile entro i termini previsti dall'art. 669-octies c.p.c.

La Suprema Corte ha, poi, statuito che la conversione in pignoramento non possa verificarsi qualora si sia avuta una condanna generica, poiché non essendovi un credito liquido ed esigibile a causa della sua mancata determinazione, sarebbe manifestamente impossibile disporre una vendita all'incanto (Cass. pen., Sez. VI, 10 luglio 2008, n. 42698).

Dubbi interpretativi sono sorti, in dottrina e giurisprudenza, qualora sia intervenuta la condanna provvisoriamente esecutiva dell'imputato e del responsabile civile al pagamento di una provvisionale. La giurisprudenza di legittimità, accogliendo un principio presente nel codice del 1930, ritiene che tale provvedimento abbia natura provvisoria ed insuscettibile di passare in giudicato, visto che il suo destino è quello di essere assorbito dalla definitiva liquidazione dell'integrale risarcimento nella competente sede civile (Cass. pen., Sez. un., 19 dicembre 1990, n. 2246). Diversamente, la dottrina attribuisce alla provvisionale un valore di condanna parziale passibile di passare in giudicato, una volta che la sentenza con cui sia stata concessa sia divenuta irrevocabile. Invero, sarebbe davvero illogico pensare che nel giudizio civile per la determinazione integrale del danno possa essere messa in discussione una liquidazione che anche se parziale è fondata su precisi presupposti probatori. In effetti, la giurisprudenza civilistica riconosce alla provvisionale il valore di un provvedimento di condanna in senso proprio, che presuppone un accertamento positivo del giudice di merito circa il raggiungimento della prova in relazione all'ammontare del danno nei limiti corrispondenti al quantum della provvisionale stessa.

Il comma 2 della mentovata norma prevede che l'esecuzione forzata sui beni sottoposti a sequestro conservativo ha luogo nelle forme prescritte dal codice di procedura civile. Pertanto, la competenza a giudicare domande di terzi volte a contestare il vincolo imposto sul bene è del giudice civile, di fronte al quale la domanda va introdotta nelle forme dell'opposizione al pignoramento (Cass. pen., Sez. I, 27 giugno 2001, n. 37579).

Si ritengono applicabili al sequestro conservativo penale l'art. 156 disp. att. c.p.c. e l'art. 497 c.p.c.

La prima norma prevede che il sequestrante che abbia ottenuto sentenza di condanna esecutiva ne dovrà depositare una copia nella cancelleria del giudice competente per l'esecuzione nel termine perentorio di 60 gg dalla comunicazione, dovrà procedere alle notifica ai creditori con diritto di prelazione risultante dai pubblici registri e dovrà chiedere, sempre nello stesso termine perentorio, l'annotazione della sentenza esecutiva di condanna in margine alla trascrizione prevista dall'art. 679 c.p.c., se oggetto del sequestro sono beni immobili.

La seconda norma, poi, stabilisce che il pignoramento è inefficace quando dal suo compimento sono trascorsi 90 gg senza che sia stata chiesta l'assegnazione o la vendita.

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