Stato di necessità
23 Febbraio 2016
Inquadramento
L'art. 54 c.p. esclude la punibilità del soggetto che ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona. Il pericolo non deve essere stato da lui volontariamente causato, né poteva essere altrimenti evitabile, ed il fatto commesso deve essere proporzionato al pericolo. La punibilità non è esclusa per chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo. Lo stato di necessità, perciò, sotto il profilo strutturale consta di due elementi: la situazione di pericolo di un danno grave alla persona (situazione necessitante) e l'azione lesiva necessitata, che deve essere costretta, assolutamente necessaria per salvarsi e proporzionale al pericolo. La scriminante non trova applicazione in relazione ad attività giuridicamente disciplinate da norme specifiche e dai principi generali dell'ordinamento, quale l'attività funzionale dei pubblici poteri. Il fondamento giuridico
In merito al fondamento giuridico dello stato di necessità vi sono orientamenti diversi. Secondo quello maggioritario, che lo qualifica come causa di giustificazione, la ratio si individua nella mancanza di danno sociale e nel criterio oggettivo del bilanciamento degli interessi contrapposti. Posto che nella situazione di pericolo un bene è destinato a soccombere, l'ordinamento:
Secondo i sostenitori di una tesi minoritaria, che ricostruisce lo stato di necessità come scusante, cioè come causa di esclusione della colpevolezza, il fondamento si ravvisa nella carenza di una volontà rimproverabile per l'impossibilità di esigere un comportamento diverso da quello che l'uomo medio avrebbe probabilmente tenuto. Il concetto di pericolo attuale
Il concetto di pericolo esprime la seria possibilità che si verifichi il danno grave alla persona contemplato dall'art. 54 c.p. La fonte del pericolo può essere una forza naturale o animale o un fatto dell'uomo, a condizione, però, che in quest'ultima ipotesi la reazione sia diretta contro il terzo e non contro l'aggressore (diversamente si avrebbe legittima difesa). L'art. 54 c.p. definisce il pericolo attuale, nel senso che il rischio di un grave danno alla persona deve sussistere al momento del fatto, potendo altrimenti far fronte ad esso con mezzi leciti, quali, ad es., il ricorso agli organi dello Stato. In merito all'interpretazione del requisito dell'attualità sono state formulate due tesi:
L'orientamento maggioritario aderisce alla seconda, per la quale attuale, dunque, è il pericolo presente, concetto intermedio tra i due estremi dell'imminenza del danno e della mera previsione circa il possibile futuro insorgere di una situazione di pericolo. La giurisprudenza ha chiarito che l'attualità non deve essere intesa in senso assoluto, come se dovesse esserci contemporaneità tra il pericolo e l'azione necessitata. Tuttavia esige che nel momento in cui l'agente ponga in essere il fatto costituente reato, sussista, secondo una valutazione ex ante che tenga conto di tutte le circostanze concrete e contingenti di tempo e di luogo, la ragionevole minaccia di una causa imminente e prossima del danno. Pertanto pericolo attuale è soltanto quello reale ed effettivo e non quello meramente eventuale e potenziale, quale è quello costituito dal timore di future rappresaglie, specialmente quando non è neppure minacciato (Cass. pen., Sez. VI, 24 maggio 2004, n. 39529). La sussistenza della situazione di pericolo, come requisito oggettivo di fattispecie, va accertata riportandosi al momento del fatto e tenendo conto di tutte le circostanze effettivamente esistenti, anche se non conosciute né conoscibili dall'agente, ma accertate ex post. Va, però, osservato che, in virtù dell'art. 59, comma 4, c.p., l'erronea opinione circa l'esistenza di una situazione di pericolo in realtà insussistente esclude ugualmente la punibilità a titolo di dolo, residuando la responsabilità per il delitto colposo eventualmente previsto dalla legge, ove l'errore sia determinato da colpa. La giurisprudenza di legittimità spesso ha negato la sussistenza della scriminante in virtù di una lettura associata dei due requisiti dell'attualità e della inevitabilità del pericolo, come nel caso di occupazione abusiva di immobili. Il danno grave alla persona
Oggetto del pericolo deve essere un danno grave alla persona. Pertanto a differenza della legittima difesa, riferibile alla tutela di qualsiasi diritto proprio o altrui, non costituisce danno grave alla persona quello patrimoniale, anche se gravissimo. Inizialmente si è ritenuto che l'azione lesiva fosse giustificata solo se diretta alla tutela della vita e della integrità fisica, propria od altrui. Ciò perché nello stato di necessità si agisce contro un terzo che, diversamente da quanto accade nella legittima difesa, non è l'aggressore. Di conseguenza i suoi beni devono essere salvaguardati il più possibile da sacrifici che non siano evitabili. Poi la dottrina, con interpretazione estensiva, ha ricompreso nell'ambito dei diritti garantiti anche quelli attinenti alla personalità morale del soggetto, come la libertà personale, fisica o morale, la libertà sessuale, la riservatezza, il pudore, l'onore (vedi anche Cass. pen., Sez. III, 21 marzo 2014, n. 20425). Infine ha identificato il concetto di danno grave alla persona con la violazione dei diritti dell'individuo costituzionalmente garantiti. In tal modo rientrano nell'ambito di applicazione della norma non solo il diritto alla salute ex art. 32 Cost. ma anche il diritto al lavoro, all'abitazione, a una vita dignitosa, sul fondamento del principio solidaristico statuito dall'art. 2 Cost., purché sussistano tutti i requisiti richiesti dalla norma. La gravità del danno può essere determinata secondo un duplice criterio che si riferisce all'intrinseca intensità dell'offesa (e non alla probabilità della lesione): qualitativo, che attiene al rango del bene minacciato, e quantitativo, che considera il "grado" del pericolo che incombe sul bene. Quando, però, un bene di rango elevato, come la salute, è minacciato di un danno essenzialmente temporaneo o comunque superabile senza un sacrificio particolarmente gravoso spetta al giudice valutare in concreto la sussistenza del requisito della gravità nel contesto particolare. Anche la giurisprudenza di legittimità, contemperando la tutela dei diritti fondamentali della persona con il principio di legalità, ha ammesso la riferibilità all'art. 54 c.p. a tutte le situazioni che minacciano la complessa sfera dei bisogni primari della persona, ricomprendendo le ipotesi in cui il reato è commesso per fronteggiare uno stato di bisogno che si concreti in un pericolo di una compromissione, anche indiretta e strumentale, della salute, come nel caso di occupazione abusiva di immobile. In queste ultime ipotesi, però, ha evidenziato che sarà necessario procedere ad una più attenta e penetrante indagine giudiziaria, diretta a circoscrivere la sfera di azione della esimente ai soli casi in cui siano indiscutibilmente presenti gli altri elementi costitutivi della stessa, quali i requisiti della necessità e della inevitabilità del pericolo, tenuto conto delle esigenze di tutela dei diritti dei terzi, involontariamente coinvolti, diritti che non possono essere compressi se non in condizioni eccezionali e chiaramente comprovate (Cass. pen., Sez. II, 27 giugno 2007, n. 35580). In tema di bisogno di alimenti, cure mediche, abitazione, la Corte suprema circoscrive l'applicabilità dell'esimente ai casi in cui la indilazionabilità e cogenza del bisogno non lascia all'agente alternativa diversa da quella di violare la legge. Ciò perché la moderna organizzazione sociale, venendo incontro, con i mezzi più disparati a coloro che possono trovarsi in pericolo di vita, per il non soddisfacimento dei predetti bisogni, ha modo di evitare il possibile, irreparabile danno alla persona (Cass. pen., Sez. I, 11 novembre 1986). L'illecita occupazione di un bene immobile è scriminata dallo stato di necessità conseguente al danno grave alla persona, che ben può consistere anche nella compromissione del diritto di abitazione ovvero di altri diritti fondamentali della persona riconosciuti e garantiti dall'art. 2 Cost., sempre che ricorrano, per tutto il tempo dell'illecita occupazione, gli altri elementi costitutivi della scriminante, quali l'assoluta necessità della condotta e l'inevitabilità del pericolo (Cass. pen., Sez. VI, 5 luglio 2012, n. 28115).
La non volontaria causazione del pericolo
L'art. 54 c.p. richiede che il pericolo non deve essere stato volontariamente causato dall'agente. Ciò significa che la scriminante non opera se l'agente ha posto in essere la causa del pericolo, cioè la condotta che crea quella situazione pericolosa che costringe ad agire, mentre si applica quando ha volontariamente causato una situazione antecedente dalla quale poi sia successivamente scaturita la situazione di pericolo. La non volontarietà, infatti, si riferisce alla situazione da cui deriva direttamente la minaccia di danno e non ai suoi antecedenti. Esclude l'esimente non qualsiasi condotta che è stata conditio sine qua non della situazione di pericolo, bensì soltanto quella condotta che è stata condizione diretta e immediata del pericolo.
L'interpretazione dell'avverbio volontariamente è controversa in dottrina:
La giurisprudenza prevalente ritiene che in considerazione della ratio che ha indotto il legislatore a richiedere l'involontarietà del pericolo lo stato di necessità non sussiste ogni qual volta chi lo invoca abbia contribuito, anche con semplice colpa incosciente, a provocare la situazione di pericolo. Del requisito della non volontaria causazione del pericolo è fatta frequente applicazione in materia di circolazione automobilistica, allo scopo di escludere l'applicazione dell'esimente a chi, per l'esecuzione ovvero l'omissione di una manovra di emergenza, cagioni danni a terzi, quando la necessità di tale manovra scaturisca dalla precedente condotta colposa (Cass. pen., Sez. III, 5 maggio 1988).
La costrizione ricorre quando il soggetto deve scegliere tra agire o subire un danno grave alla persona. Il concetto di costrizione è stato ricostruito diversamente:
In giurisprudenza il costretto di cui all'art. 54 c.p. significa che l'agente deve aver agito in forza di una necessità cogente e imperiosa che non gli lasciava alternative diverse rispetto a quelle di violare la legge ovvero di subire il danno (Cass. pen., Sez. VI, 10 dicembre 1987, n. 12655). Il requisito dell'inevitabilità del pericolo postula che il soggetto potrà ledere l'interesse del terzo solo quando non ha a disposizione altri mezzi per salvarsi. Lo stato di necessità è escluso, pertanto, quando l'azione lesiva è evitabile con la fuga (che in questo caso non è disdicevole, ma doverosa) o quando il pericolo possa essere sicuramente paralizzato attraverso il compimento di altre condotte lecite, ovvero attraverso rimedi civilistici o amministrativistici (Cass. pen., Sez. IV, 9 gennaio 2015, n. 15167), o con un maggior rischio personale per l'agente. Vi è, invece, contrasto in ordine alla ammissibilità dello stato di necessità quando la condotta diversa da quella lesiva non sia valutabile come certamente impeditiva, perché presenta minori possibilità di salvaguardia del bene in pericolo rispetto alla condotta lesiva del bene. Secondo un orientamento dottrinale per risolvere il problema è necessario ricostruire lo stato di necessità in modo elastico, tenendo conto del grado di efficacia della condotta alternativa rispetto all'obiettivo di salvaguardare il bene in pericolo e del rapporto di proporzione in concreto esistente tra il bene sacrificato e il bene salvaguardato. Se il primo è di rango modesto e il secondo ha grande valore, lo stato di necessità dovrebbe essere riconosciuto anche quando la condotta lesiva avrebbe soltanto maggiori possibilità di salvaguardare il bene rispetto alla condotta alternativa lecita. Questa tesi, però, elaborata principalmente per fornire giustificazione alle occupazioni abusive degli alloggi, è stata criticata perché rischia di confondere tra loro i requisiti della inevitabilità e della proporzionalità, finendo per sottoporre il primo a una interpretatio abrogans.
La proporzione tra fatto e pericolo
Anche lo stato di necessità, come la legittima difesa, contiene espressa menzione del requisito della proporzione. Mentre, però, nella legittima difesa la relazione è istituita tra la difesa e l'offesa, nello stato di necessità essa corre tra il fatto e il pericolo. L'orientamento maggioritario concepisce la proporzione come relazione tra i beni in conflitto, nel senso che il bene sacrificato dall'azione necessitata non può mai avere un rilievo maggiore rispetto a quello salvaguardato (e, quindi, deve essere inferiore o, al massimo equivalente). Nell'ipotesi in cui ci si trovi di fronte a beni ugualmente meritevoli di protezione, la proporzione va apprezzata in modo più rigoroso rispetto alla legittima difesa. Secondo un'altra impostazione il giudizio dovrebbe essere condotto tenendo conto della misura complessiva del fatto perché la norma non parla di equivalenza tra i beni ma di proporzione tra l'intero fatto e la situazione di pericolo. I beni in conflitto non devono essere considerati delle unità statiche, ma bisogna considerare anche il livello di rischio che incombe su di essi e tutti gli altri elementi che caratterizzano la situazione in concreto (le modalità di realizzazione del fatto, il grado di pericolo che minaccia il bene e quello di probabilità di porlo in salvo a mezzo dell'azione necessitata). Tale tesi, integrando il criterio del valore dei beni con quello dei rischi postula che quando il rischio maggiore è quello gravante sul bene del terzo incolpevole il rapporto di proporzione richiede che il bene da salvaguardare sia di valore molto superiore rispetto a quello da sacrificare; se, invece, il bene di maggior peso coincide con quello aggredito il rapporto tra i rischi deve proporzionalmente pendere a vantaggio di quello salvaguardato. Si è, però, osservato che tale impostazione rischia di annullare, attraverso una dilatazione eccessiva dei termini relativi al rapporto di proporzionalità, il requisito della inevitabilità del pericolo, e non considera che il giudizio di proporzione interviene dopo, e non prima, che sia stata accertata l'assoluta indispensabilità della condotta lesiva per salvaguardare il bene. Il particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo
L'art. 54, comma 2, c.p. precisa espressamente che la disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. Fonte del dovere giuridico può essere la legge o un regolamento, il contratto, come avviene per alcune categorie professionali sia in ambito pubblicistico (in relazione al militare, all'agente o al funzionario di polizia, al vigile del fuoco, al soggetto inquadrato nella protezione civile), sia in ambito privatistico (in forza di private convenzioni o dei doveri ricollegati all'esercizio di professioni, arti o mestieri: il comandante di nave, il bagnino, la guida alpina). La ratio della disposizione si rinviene nella circostanza che non è possibile operare, come per il cittadino comune, una rinuncia all'incolpazione, nei confronti di chi abbia consapevolmente assunto la posizione di garante, rispetto a determinate categorie di pericoli, nei confronti della collettività o anche di un soggetto particolare. La dottrina ha individuato alcuni criteri limitativi del dovere giuridico di esporsi al pericolo per cui lo stato di necessità si applica:
L'art. 54 c.p., all'ultimo comma stabilisce che la norma si applica anche quando lo stato di necessità deriva dall'altrui minaccia. Quest'ultima consiste nella prospettazione di un male futuro il cui verificarsi dipende dalla volontà dell'agente e viene prospettata come alternativa alla commissione del reato. A differenza della violenza fisica o assoluta, dove il soggetto diventa strumento materiale di chi lo costringe (agitur sed non agit), nella costrizione morale egli ha ancora di un margine di libertà: decidere se sottostare alla volontà del minacciante e, quindi, commettere il fatto a danno del terzo, o subire il male minacciato. Se sussistono tutti gli elementi richiesti dall'art. 54 e, in particolare, quello della la proporzione tra il male minacciato e quello arrecato al terzo, risponderà del reato chi ha posto in essere la minaccia e non l'autore materiale. Ciò in coerenza con altre disposizioni del c.p. dove la responsabilità si concentra in capo alle persone che sono causa mediata dell'evento, con esclusione della punibilità nei confronti dell'agente immediato (artt. 46, 48, 86, 111 c.p.). Il minacciante risponderà, altresì, per il reato di cui all'art. 611 e saranno applicabili, ove ne ricorrano i presupposti, le circostanze aggravanti di cui all'art. 112, nn. 3 e 4, c.p.
La giurisprudenza ha precisato che il pericolo causato dall'altrui minaccia deve avere a oggetto un danno grave alla persona, e non un mero pregiudizio di tipo patrimoniale (Cass. pen., Sez. VI, 25 settembre 1987 in cui è stata esclusa l'esimente in relazione a deposizione compiacente per il datore di lavoro resa sotto minaccia di licenziamento) e non deve essere evitabile con il compimento di un'azione diversa, ad es. con mezzi leciti quali il ricorso all'autorità (Cass. pen., Sez. IV, 9 gennaio 2015, n. 15167; Cass. pen., Sez. V, 30 gennaio 2004, n. 8855 che escludono l'esimente perché il soggetto avrebbe potuto rivolgersi all'Autorità). La scriminante si applica anche a chi compie l'azione necessitata non per salvare dal pericolo se stesso, ma una terza persona. Il soccorso di necessità è facoltativo e presuppone l'assenza dell'obbligo di soccorso del terzo di cui all'art. 593 c.p. In merito al soccorso di necessità si pongono due questioni, concernenti rispettivamente l'ampiezza della previsione e i confini dell'intervento soccorritore in caso di dissenso dell'interessato. In merito alla prima si è osservato che la disposizione sembrerebbe consentire a chiunque di mutare secondo il proprio arbitrio il corso degli avvenimenti a favore o a sfavore di un soggetto piuttosto che di un altro (ad es. il medico A potrebbe staccare il respiratore del ferito gravissimo B, per potervi attaccare il ferito C, che ha qualche chance di salvezza in più). Al riguardo, però, si è obiettato che se il soggetto modifica arbitrariamente la situazione di pericolo, si rende egli stesso causa volontaria dell'evento di danno che la sua condotta cagionerà. Il conflitto d'interessi, invece, si risolve valorizzando la costrizione, elemento essenziale dell'azione lesiva necessitata, che ha una funzione limitativa dei casi d'intervento scriminato: si avrà soccorso di necessità, ad es., solo quando l'agente ha un particolare rapporto con il terzo (ad es. familiare) o il bene salvato è superiore a quello scriminato. Per quanto riguarda alla seconda problematica ci si è interrogati se il soccorso di necessità scrimina la condotta dell'agente volta a salvaguardare un bene (la vita, la salute, l'integrità fisica) di un terzo senza che vi sia il suo consenso o in caso di dissenso. La tesi prevalente distingue tra diritti disponibili e indisponibili: quando il bene è indisponibile, la coazione integrante i reati di violenza privata o di sequestro di persona sarebbe giustificata ex art. 54 c.p., perché l'ordinamento avrebbe un interesse diretto alla conservazione del bene, indipendentemente dalla volontà contraria del titolare, sempre che sia ravvisabile un obbligo di garanzia in capo all'agente ai sensi dell'art. 40 c.p. Secondo altra impostazione l'art. 54 c.p. può scriminare, in presenza di un dissenso, solo il trattamento coattivo salvifico, cioè diretto a salvare la vita umana, essendo la tutela di quest'ultima l'unico limite che incontra la libertà del singolo di autodeterminarsi. Per un'altra teoria, infine, la coazione a fin di bene non può mai essere giustificata ai sensi dell'art. 54 c.p. neanche quando sia in pericolo la vita del soggetto dissenziente. Il tema è stato affrontato in diverse pronunce aventi ad oggetto lo sciopero della fame nelle carceri e l'alimentazione coattiva (con soluzioni spesso discordanti: Trib. Padova, ord., 10 gennaio 1983; Trib. Padova, ord., 21 dicembre 982; Trib. Venezia, ord., 16 dicembre 1982; Trib. Padova, ord., 2 dicembre 1982; Trib. Milano, ord., 14 dicembre 1981; Trib. Milano, ord., 13 novembre 1981) e il trattamento riabilitativo coatto di tossicodipendente in comunità terapeutica (Trib. Rimini 16 febbraio 1985, che ha escluso l'esimente e condannato gli imputati per i reati di sequestro di persona e maltrattamenti; App. Bologna 28 novembre 1987 che ha, invece, riconosciuto, in una serie di casi, l'esimente, e, in un'altra serie di casi, l'eccesso colposo in stato di necessità, assolvendo gli imputati; Cass. pen., Sez. V, 29 marzo 1990).
La scriminante opera a favore di chi commette il fatto nell'erronea convinzione di trovarsi in stato di necessità ma in realtà ne difettano i requisiti obiettivi e purché si tratti di errore logicamente scusabile. Oggetto dell'errore possono essere soprattutto le condizioni di attualità e inevitabilità del pericolo (Cass. pen., Sez. VI, 30 settembre 2014, n. 14037): in tali casi, quando l'agente agisca nel ragionevole convincimento che un grave pericolo, in realtà inesistente, lo sovrasti, ovvero che egli non possa sfuggire a esso se non attraverso la condotta lesiva, rappresentandosi come assolutamente impraticabili altre vie di salvezza (per es., il rivolgersi all'Autorità, in situazioni di minaccia incombente da parte di un'organizzazione mafiosa), va applicato l'art. 59, comma 4, c.p. che esclude il dolo, facendo salva la punibilità a titolo di colpa, quando il fatto sia previsto come reato colposo. L'art. 54 c.p. non si applica, invece, quando l'agente ritiene per errore che la legge prevede come scriminante una situazione che non è tale perché in questa ipotesi ricorre un errore sulla portata del divieto, che non scusa in virtù dell'art. 5 c.p. Nel caso di eccesso colposo è ravvisabile una divergenza tra la realtà effettiva e quella ritenuta dal soggetto, ma la causa dell'errore è diversa: nel caso dell'art. 59, comma 4, c.p. il soggetto erra sulla situazione esterna mentre in quello dell'art. 55 c.p. egli oltrepassa con il suo agire colposo i confini del comportamento scusato. Anche in riferimento all'eccesso colposo è necessario che il soggetto si trovi effettivamente nell'ambito di una situazione scriminata e ne oltrepassi per colpa i limiti (errore sul fatto). Se, invece, egli agisce oltre i limiti perché crede che gli siano consentiti interventi più incisivi rispetto a quelli previsti dalla legge, l'eccesso non è scusato, siccome fondato su un errore di diritto. Aspetti processuali e civilistici
Nell'ordinamento processuale penale, non è previsto, come per tutte le esimenti, un onere probatorio dello stato di necessità a carico dell'imputato, modellato sui principi propri del processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale l'imputato è tenuto a fornire all'ufficio le indicazioni e gli elementi necessari all'accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore (Cass. pen., Sez. V, 19 maggio 2014, n. 32937). Secondo la Cassazione, perciò, l'imputato ha un onere di allegazione avente per oggetto tutti gli estremi della causa di giustificazione, sì che egli deve allegare di avere agito per insuperabile stato di costrizione, avendo subito la minaccia di un male imminente non altrimenti evitabile, e di non aver potuto sottrarsi, nemmeno putativamente, al pericolo minacciato, con la conseguenza che il difetto di tale allegazione esclude l'operatività dell'esimente (Cass. pen., Sez. VI, 2 luglio 2014, n. 45065). Lo stato di necessità, a differenza della legittima difesa e delle altre scriminanti, non esime dalla responsabilità per l'illecito civile commesso. L'art. 2045 c.c. rimette al giudice la determinazione a favore della parte danneggiata di un equo indennizzo. Si tratta di una sanzione civile, sia pure attenuata, che il giudice pronuncia in relazione alla situazione concreta, tenendo conto dell'esigenza di ristorare il terzo aggredito, ma anche di gravare il meno possibile sul patrimonio di colui che ha agito in situazione scusabile. Casistica
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