Accompagnamento coattivo

Alessandra Testaguzza
23 Luglio 2015

L'accompagnamento coattivo, la cui disciplina generale è rinvenibile all'interno dell'art. 132 c.p.p., è un istituto attraverso il quale l'autorità giudiziaria esercita un potere di coercizione personale ai fini dell'accertamento di un fatto. Tale norma costituisce una specificazione dei poteri coercitivi del giudice previsti e disciplinati in via generale dall'art. 131 c.p.p.
Inquadramento

L'accompagnamento coattivo, la cui disciplina generale è rinvenibile all'interno dell'art. 132 c.p.p., è un istituto attraverso il quale l'autorità giudiziaria esercita un potere di coercizione personale ai fini dell'accertamento di un fatto. Tale norma costituisce una specificazione dei poteri coercitivi del giudice previsti e disciplinati in via generale dall'art. 131 c.p.p.

Ragionando sull'analogo istituto previsto nel codice di rito del 1930, la prevalente dottrina aveva ricondotto il fenomeno nel campo delle restrizioni della libertà personale, pur sottolineandone la limitata dimensione coercitiva derivante dalla temporaneità degli effetti e dal suo collegamento con esigenze processuali anziché cautelari o di esecuzione della pena. Poi, con la nuova formulazione dell'istituto, si tentò di superare ogni ambiguità, da un lato collocando la relativa disciplina in un contesto diverso rispetto a quello delle misure coercitive dall'altro disciplinando unitariamente il procedimento applicativo e le connesse garanzie onde evitare che la privazione delle libertà dell'imputato si trasformasse in una forma di criptocustodia, del tutto avulsa dalla sua ratio giustificativa

Casi applicativi

L'accompagnamento coattivo può essere disposto nei casi previsti dalla legge: si è quindi scelto di demandare la loro individuazione mediante rinvio alla disciplina di dettaglio. Nel codice di rito, infatti, sono diverse le norme che facoltizzano (e talvolta impongono) il ricorso al summenzionato istituto. Prima fra tutte quella di cui all'art. 132 c.p.p. che, avuto riguardo alla sola persona dell'imputato, consente al giudice, fatte salve le limitazioni procedurali previste dal comma 2 e ove occorra anche con la forza, di condurre l'imputato alla sua presenza con proprio decreto motivato.

Ove si tratti di persona diversa dall'imputato, il giudice, ai sensi dell'art. 133 c.p.p., ha la facoltà di ordinarne l'accompagnamento coattivo, statuendo eventualmente anche in relazione alle sanzioni applicabili ed alle spese processuali scaturite dalla mancata comparizione, nel caso in cui, nonostante la regolarità della citazione o della convocazione, ometta di comparire nel luogo, giorno ed ora stabiliti senza addurre un legittimo impedimento. Anche in questi casi sono fatte salve le limitazioni processuali previste dall'art. 132 c.p.p.

Il richiamo all'art. 132 c.p.p. contenuto nel comma 2 comporta, infatti, l'estensione ai soggetti contemplati nella norma delle garanzie che l'articolo precedente introduce in favore dell'imputato, in primo luogo mediante l'imposizione della forma del decreto motivato al provvedimento applicativo, il che consente una forma di controllo in ordine alla legittimità dell'atto del giudice; in secondo luogo, viene riconosciuto in modo esplicito il divieto di prolungare lo stato di soggezione dei destinatari dell'ordine oltre i limiti temporali prefissati.

Il comma 1 prevede, accanto al potere per il giudice di ordinare l'accompagnamento coattivo, quello di condannare i soggetti medesimi al pagamento di un'ammenda ed alle spese cui la mancata comparizione ha dato causa. Quest'ultimo provvedimento è preso nella forma dell'ordinanza, la quale, a norma dell'art. 47 disp. att. c.p.p., può essere revocata dal giudice qualora ritenga fondate le giustificazioni addotte in seguito alla mancata comparizione dell'interessato.

In giurisprudenza si è evidenziato il nesso tra i poteri disciplinati dall'art. 133 c.p.p. e l'eventuale violazione dell'obbligo di comparizione per i soggetti ivi contemplati: si è così affermato che non integra il reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti, previsto dall'art. 366, comma 2, c.p., la condotta del perito che, nominato dal giudice per l'espletamento di un incarico, non compaia all'udienza fissata per il giuramento senza giustificare il motivo dell'assenza, non potendo essere equiparata la mancata comparizione al rifiuto di assumere l'incarico, in quanto tale comportamento non determina una situazione di ostacolo al funzionamento della giustizia, potendo il giudice disporre in base all'art. 133 c.p.p. l'accompagnamento coattivo del perito (Cass. pen., Sez. VI, 26 maggio 2005, n. 26925).

Proseguendo nella lettura delle disposizioni codicistiche, la possibilità per il giudice di ordinare l'accompagnamento coattivo durante la fase dibattimentale è prevista anche nei riguardi delle persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12, comma 1, lett. a), nei confronti delle quali si procede o si è proceduto separatamente e che non possono assumere l'ufficio di testimone. Queste, infatti, hanno l'obbligo di presentarsi dopo esser state ritualmente citate secondo quanto previsto per la citazione dei testimoni (art. 210, comma 2, c.p.p.). Parallelamente il codice prevede la possibilità per il pubblico ministero di interrogare le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell'art. 12 sui fatti per i quali si procede o imputate di un reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b) nelle forme previste dal richiamato art. 210, commi 2, 3, 4 e 6, c.p.p. e, dunque, ordinandone eventualmente l'accompagnamento ove non si presentino dinnanzi l'autorità procedente (art. 363 c.p.p.). Nei casi di dichiarazioni rese dalle persone indicate dall'art. 210, comma 1, c.p.p. durante il corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contradditorio. Soltanto ove non sia possibile ottenerne la presenza, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, l'art. 513 prevede l'applicazione dell'articolo 512 qualora l'impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni.

Anche nei casi in cui il giudice ritenga assolutamente indispensabile per la prova dei fatti ordinare una perizia coattiva, con le modalità ed i limiti di cui all'art. 224-bis c.p.p., l'ordinanza motivata di cui all'art. 224 deve contenere, tra l'altro, l'avviso alla persona da sottoporre all'esame del perito che, in caso di mancata comparizione non dovuta a legittimo impedimento, potrà esserne ordinato l'accompagnamento coattivo. Si applicano in tal caso le disposizioni di cui al comma 2 dell'art. 132 c.p.p.

Nei casi di urgenza, quando vi è fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare grave o irreparabile pregiudizio alle indagini, l'accompagnamento coattivo può essere disposto anche dal pubblico ministero. Tuttavia, il provvedimento del P.M. necessita in questi casi della convalida da parte del giudice per le indagini preliminari il quale deve provvedervi, con ordinanza, al più presto e comunque entro le quarantotto ore successive, dandone avviso immediatamente al pubblico ministero e al difensore. Per una parte della dottrina, se la disciplina contenuta nel nuovo articolo 359-bis c.p.p. sembra militare verso un pieno rispetto della riserva di giurisdizione, è il principio della riserva di legge a presentare alcuni problemi di “tenuta” sul piano della tipicità dell'atto di accompagnamento coattivo: ciò non tanto nelle ipotesi in cui il destinatario del potere coercitivo risulti l'indagato, quanto nel caso in cui il soggetto passivo del “trattenimento” sia un terzo. Di recente, tuttavia, la Cassazione è intervenuta affermando che: «In tema di accertamenti tecnici su materiale biologico, ove nell'attività di estrazione dei campioni sia necessario l'intervento coattivo sulla persona, al prelievo può provvedere direttamente il pubblico ministero attraverso la nomina di un consulente tecnico, previa autorizzazione del giudice ai sensi dell'art. 359-bis c.p.p. oppure il perito nominato dal giudice, nel caso in cui all'analisi estrattiva e comparativa del profilo genetico si proceda nelle forme dell'incidente probatorio» Cass. pen., Sez. II, 20 gennaio 2015, n. 2476.

L'inosservanza delle prescrizioni normative comporta l'inutilizzabilità delle informazioni eventualmente acquisite, rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento.

In evidenza

Parte della dottrina ha ritenuto che la norma di cui all'art. 359-bis c.p.p., costruita attraverso la tecnica del rinvio all'art. 224-bis c.p.p., rechi tuttavia un apparato sanzionatorio autonomo e talora divaricato rispetto a quello dalla stessa previsto. Il comma 3, infatti, prevede la nullità delle operazioni a fronte della violazione dei divieti stabiliti dall'art. 224-bis c.p.p. nonché l'inutilizzabilità delle informazioni acquisite. Il riferimento simultaneo alle due sanzioni è stato aspramente criticato in quanto ritenuto frutto di una enfasi lessicale resa, tuttavia, innocua dal riferimento espresso all'art. 191, comma 2 dal quale deve evincersi inequivocabilmente la sanzione comminata.

L'accompagnamento coattivo, ai sensi dell'art. 376 c.p.p., può essere disposto dal pubblico ministero, previa autorizzazione del giudice, anche laddove debba procedersi ad atti di interrogatorio o di confronto. In tali circostanze, l'intervento del giudice è giustificato dalla loro natura di “atti partecipati”, implicanti necessariamente la presenza di un difensore d'ufficio o di fiducia. La giurisprudenza considera il provvedimento di rigetto della richiesta di accompagnamento coattivo dell'imputato da parte del giudice ex art. 376 c.p.p. non impugnabile. L'eventuale respingimento – perché spirati i termini delle indagini preliminari – deve considerarsi illegittimo ma non abnorme atteso che detto provvedimento non determina una anomala regressione del procedimento né uno stallo processuale non altrimenti superabile (Cass. pen., Sez. VI, 16 dicembre 2005, n. 7458; Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2010, n. 3422).

L'avviso che, in caso di mancata presentazione non supportata da un legittimo impedimento, potrà disporsi l'accompagnamento coattivo a norma dell'art. 132 c.p.p., è contenuto altresì nell'invito a presentarsi adottato dal P.M., ai sensi dell'art. 375 c.p.p., ove debba procedersi ad atti che richiedono la presenza della persona sottoposta alle indagini.

In dottrina è stata rilevata una contraddittorietà logica tra lo ius tacendi riconosciuto all'imputato e il potere del pubblico ministero di disporre tale misura. È del tutto evidente, infatti, che ove l'intimato decida di avvalersi della facoltà di non rispondere, l'interrogatorio non potrà comunque avere corso; né appare verosimile che colui che abbia già deciso liberamente di non comparire, intenda poi – in un secondo momento – collaborare con l'autorità procedente, rispondendo alle sue domande

Analogo avvertimento è contenuto nel decreto di citazione di persone informate sui fatti emesso dal P.M. qualora si renda necessario procedere ad atti che richiedono la presenza della persona offesa, del consulente tecnico, dell'interprete, del custode delle cose sequestrate nonché di tutti coloro che siano in grado di riferire su circostanze utili ai fini delle indagini (art. 377 c.p.p.).

L'accompagnamento coattivo può essere ordinato dal giudice anche nel caso in cui la persona sottoposta alle indagini, la cui presenza si renda necessaria per compiere un atto da assumere con l'incidente probatorio, non compaia senza addurre un legittimo impedimento (art. 399 c.p.p.).

La Cassazione sul punto ha avuto modo di rilevare che l'erronea indicazione da parte del giudice delle disposizioni di legge – in specie degli artt. 399 e 490 c.p.p. – ai fini della disposizione dell'accompagnamento coattivo dell'indagato la cui presenza si renda necessaria per compiere un atto da assumere con l'incidente probatorio, non costituisce ex se motivo di ricusazione ai sensi dell'art. 37, comma 1, lett. b), c.p.p. in quanto l'erroneo riferimento normativo non ha alcuna incidenza sulla legittimità del potere effettivamente esercitato dal giudice (Cass. pen., Sez. V, 17 marzo 2005, n. 16216).

Norma speculare all'art. 399 c.p.p. è, infine, quella di cui all'art. 490 c.p.p., così come modificato dall'art. 10, comma 2, l. 28 aprile 2014, n. 67, ai sensi del quale “il giudice, a norma dell'articolo 132, può disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato assente, quando la sua presenza è necessaria per l'assunzione di una prova diversa dall'esame”. Vien meno, pertanto, il riferimento all'imputato contumace previsto dal dettato normativo ante- riforma.

La ratio della norma è quella di assicurare, anche forzosamente, l'assunzione di prove che non implichino un contenuto dichiarativo dell'imputato. Proprio perché l'esame – al pari dell'interrogatorio – presuppone una rinuncia da parte dell'imputato allo ius tacendi, risulterebbe illogico nonché superfluo disporre l'accompagnamento lì dove l'imputato – con la propria assenza – abbia implicitamente, ma inequivocabilmente, inteso non fornire alcun contributo dichiarativo.

In evidenza

È stato precisato da parte della dottrina come, in forza del divieto di ordine generale all'impiego di metodi idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione della persona, la coercizione non possa essere estesa sino al punto di imporre all'imputato un facere. Peraltro, la giurisprudenza ha precisato che l'art. 188 è finalizzato ad evitare l'ingresso nel processo di prove ottenute con il ricorso a metodiche tali da vanificare l'attitudine della persona alla autodeterminazione ed all'esercizio delle facoltà mnemoniche e valutative vietando, dunque, il ricorso a tutti quei metodi e a quelle tecniche capaci di influire su di un comportamento attivo della persona.

Ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. 22 settembre 1988, n. 448, fermo quanto previsto dagli articoli 420-bis e 420-terc.p.p., il giudice può disporre l'accompagnamento coattivo dell'imputato minorenne non comparso.

Nei casi di dichiarazioni rese dalle persone indicate dall'art. 210, comma 1, c.p.p. durante il corso delle indagini preliminari o nell'udienza preliminare, il giudice, a richiesta di parte, dispone, secondo i casi, l'accompagnamento coattivo del dichiarante o l'esame a domicilio o la rogatoria internazionale ovvero l'esame in altro modo previsto dalla legge con le garanzie del contradditorio. Soltanto ove non sia possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all'esame in uno dei modi suddetti, l'art. 513 prevede l'applicazione dell'articolo 512 qualora l'impossibilità dipenda da fatti o circostanze imprevedibili al momento delle dichiarazioni.

Il procedimento

L'art. 132 c.p.p. disciplina alcuni aspetti del procedimento a cominciare dalla forma del relativo provvedimento, ossia quello del decreto motivato.

Già sotto la vigenza del codice del 1930 la dottrina e la giurisprudenza si presentavano divise sul tema della sua autonoma impugnabilità. Un primo filone interpretativo escludeva tale possibilità sulla scorta dell'assunto che l'accompagnamento coattivo, in quanto preordinato al compimento di singoli atti istruttori, non poteva essere considerato alla stregua di un provvedimento restrittivo della libertà personale. Altra corrente di pensiero riteneva, al contrario, possibile l'impugnazione del mandato di accompagnamento in quanto ricompreso fra i provvedimenti sulla libertà personale ai quali l'art. 190, comma 2, c.p.p. 1930 esplicitamente estendeva la ricorribilità per cassazione.

In evidenza

Le Sezioni unite (25 novembre 2010, n. 27918) si sono pronunciate anche sulla disciplina dell'acquisizione delle dichiarazioni rese da persone residenti all'estero (art. 512-bis c.p.p.), prospettando un'interpretazione restrittiva dei requisiti previsti dalla predetta norma al fine di garantire il rispetto del principio del contraddittorio e delle relative eccezioni così come scandite dalla Carta fondamentale e dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo. Così hanno affermato che le uniche deroghe consentite al principio del contraddittorio nella formazione della prova sono quelle stabilite dall'art. 111, comma 5, Cost. ed è proprio tale norma che deve ispirare una lettura costituzionalmente orientata della disciplina de qua. Da una simile esegesi si ricava che l'assoluta impossibilità di ripetizione dell'esame non può consistere in una impossibilità di tipo giuridico rappresentata dalla mera circostanza che al giudice italiano non è consentito ordinare l'accompagnamento coattivo di persona residente all'estero, anche perché esistono strumenti alternativi idonei a reiterare l'acquisizione di dichiarazioni.

Il nuovo c.p.p. non ha preso posizione sull'argomento. Tuttavia la giurisprudenza in materia ha affermato che il decreto del tribunale che dispone l'accompagnamento coattivo dell'imputato per essere sottoposto a perizia psichiatrica in dibattimento incide sulla libertà personale. Ne consegue che avverso tale provvedimento, non essendo previsto alcun mezzo di impugnazione, è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 comma Cost. Anche se non sfugge come tale strumento si riveli in concreto poco funzionale, esaurendosi prevedibilmente il “trattenimento” prima che la decisione sul ricorso stesso possa intervenire. Quanto a mezzi di tutela più “immediati”, si è detto, si potrebbe immaginare la possibilità di presentare un'istanza di revoca da parte dell'interessato alla stessa autorità procedente che ha emesso il provvedimento, oppure l'operatività della situazione scriminante di cui all'art. 4 del d.l. it. 228 del 1944 a favore del soggetto che “resista” all'esecuzione da parte del pubblico ufficiale allorché tale misura si riveli sguarnita dei requisiti previsti dal codice di rito

Infine il comma 2 disciplina in modo rigoroso l'efficacia temporale del decreto stabilendo un doppio limite: l'imputato o l'indagato che ne sia destinatario, infatti, non può essere trattenuto se non per il più breve tra il termine di 24 ore ed il tempo strettamente necessario all'espletamento istruttorio per il quale si rende necessaria la sua presenza.

In evidenza

Ai sensi dell'art. 46 norme att. c.p.p. il provvedimento che dispone l'accompagnamento coattivo è trasmesso, a cura della cancelleria o della segreteria della autorità giudiziaria che lo ha emesso, all'organo che deve provvedere alla esecuzione. Copia del provvedimento è consegnata all'interessato

Casistica

L'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato

L'ordinanza con cui il giudice di primo grado disponga l'accompagnamento coattivo dell'imputato ai fini dell'esame e l'assunzione di esso senza il preventivo avvertimento della facoltà di non rispondere (in violazione degli articoli 490 e 210 c.p.p.) è illegittima e comporta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dall'imputato ex art. 526 c.p.p. ma non anche la nullità e l'inutilizzabilità di tutte le altre prove, legittimamente acquisite nel dibattimento in modo autonomo e nelle forme consentite, non sussistendo tra queste ultime e l'atto nullo un rapporto di dipendenza effettiva ovvero un nesso per cui l'atto dichiarato nullo costituisca la ineliminabile premessa logica e giuridica di quello successivo (Cass. pen., Sez. VI, 18 febbraio 2002, n. 7765).

Nullità del giudizio

La nullità del giudizio dovuta alla nullità della notificazione del decreto di citazione all'imputato non può essere sanata dalla successiva presenza di quest'ultimo al dibattimento determinata dalla esecuzione di accompagnamento coattivo disposto nei suoi confronti (Cass. pen., Sez. V, 22 giugno 2001).

Artt. 399 e 490 c.p.p.

Deve escludersi la configurabilità di un'ipotesi di ricusazione ai sensi dell'art. 37, comma 1, lett. b), c.p.p. nel caso in cui il G.I.P. abbia disposto l'accompagnamento coattivo dell'indagato la cui presenza è necessaria per compiere un atto da assumere con incidente probatorio, in quanto trattasi dell'esercizio di un potere legittimo riconosciuto dall'art. 399 c.p.p., a nulla rilevando che il giudice, errando, abbia citato l'art. 490 c.p.p. che prevede analogo potere del giudice nei confronti dell'imputato (Cass. pen., Sez. V, 17 marzo 2005, n. 16216).

Ricorribilità per cassazione

Il decreto del tribunale che disponga l'accompagnamento coattivo dell'imputato per essere sottoposto a perizia psichiatrica in dibattimento incide sulla libertà personale; ne consegue che avverso tale provvedimento, non essendo previsto alcun mezzo di impugnazione, è ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. (Cass. pen., Sez. IV, 14 giugno 1996, n. 2443).

L'accompagnamento coattivo ai fini della perizia psichiatrica

Il potere di ordinare l'accompagnamento coattivo dell'imputato per essere sottoposto a perizia psichiatrica in dibattimento rientra tra quelli attribuiti al giudice dal codice di rito. A norma dell'art. 224, comma 2, il giudice dispone la citazione del perito e la comparizione delle persone sottoposte al suo esame e adotta tutti gli altri provvedimenti che si rendano necessari per l'esecuzione delle operazioni peritali; in quest'ottica, conseguentemente, deve essere letto il primo comma dell'art.132 c.p.p. che attribuisce al giudice il potere di ordinare l'accompagnamento coattivo dell'imputato ma solo se la misura è specificamente prevista dalla legge. La norma va poi collegata all'art. 490 c.p.p. il quale prevede che l'accompagnamento coattivo possa essere disposto quando occorra assicurare la presenza dell'imputato per una prova diversa dall'esame: e tale è indubbiamente la perizia, finalizzata ad acquisire dati che richiedono specifiche competenze tecniche e disciplinata tra i mezzi di prova (Cass. pen., Sez. VI, 14 giugno 1996).

Invito a rendere chiarimenti della Polizia giudiziaria

L'invito ad una persona che aveva presentato alcune denunzie ad essere sentito per chiarimenti in merito ad esse, rivolto dalla polizia giudiziaria su delega della procura della Repubblica, non costituisce un invito a comparire per testimoniare rientrante nella previsione di cui all'art. 133 c.p.p. che fa riferimento ad una situazione in cui il dominus è il giudice e che, a differenza dell'art. 131 dello stesso codice, relativo all'intervento della polizia giudiziaria ed all'uso della forza pubblica, non è richiamato dal successivo art. 378 che disciplina i poteri coercitivi del pubblico ministero durante le attività di indagine. Tale invito, invece, si qualifica come provvedimento dato dall'Autorità per ragioni di giustizia e la sua inosservanza integra il reato previsto dall'art. 650 c.p.

La motivazione nella richiesta ex art. 376 c.p.p.

Il controllo di legittimità della richiesta demandato all'organo giudicante non è affatto formale e limitato alla verifica della inottemperanza dell'indagato all'invito a comparire, bensì sostanziale e di merito. La natura non meramente formale di tale controllo, invero, si desume agevolmente dall'art. 132, comma 1, c.p.p., ai sensi del cui disposto il decreto con il quale il giudice dispone l'accompagnamento deve essere motivato, trattandosi di un provvedimento da un lato limitativo della libertà personale e dall'altro in potenziale conflitto con il diritto di difesa dell'indagato.

Sicché si palesa evidente che l'accompagnamento può essere disposto solo nei casi in cui sia consentito dalla legge in relazione a particolari esigenze di natura processuale o delle indagini e, pertanto, la richiesta del P.M. deve esplicitare le ragioni di natura processuale o investigativa che giustificano detta richiesta, mentre non è sufficiente il rilievo della mancata ottemperanza dell'indagato all'invito precedentemente emesso, in quanto tale verifica non giustifica neppure l'obbligo di una specifica motivazione come richiesta dalla legge (Cass. pen., Sez. III, 24 giugno 2010, n. 34224).

Omessa comparizione e sanzioni.

I rapporti con l'art. 650 c.p.

Nel caso di comparizione disposta su incarico del pubblico ministero come consentito dall'art. 370, comma 1, c.p.p., i poteri della Polizia giudiziaria traggono la loro origine dalla delega ricevuta e non possono essere più ampi di quelli attribuiti all'organo delegante; in particolare, trattandosi di invito finalizzato all'interrogatorio, in caso di mancata comparizione l'ordinamento appresta uno specifico rimedio costituito dalla facoltà, se del caso, di procedere – previa autorizzazione del giudice – all'accompagnamento forzato (art. 375 c.p.p.). Tale diversificata disciplina trova la sua ratio nella prevalenza della funzione di garanzia su quella investigativa. Ne consegue, in tal caso, l'inapplicabilità della sanzione di cui all'art. 650 c.p. nei confronti dell'indagato non comparso. Infatti, per costante giurisprudenza, l'ipotesi contravvenzionale di cui all'art. 650 c.p., in quanto contemplata da una norma penale “in bianco” di carattere sussidiario, è operante solo quando la violazione di un obbligo imposto da un ordine autorizzato da una disposizione di legge o di regolamento ovvero da un legittimo provvedimento dell'autorità non trovi nell'ordinamento una sua specifica sanzione, la quale – propriamente intesa come reazione apprestata ad un comportamento inosservante - non deve necessariamente rivestire il carattere dell'obbligatorietà né quello penale, ben potendo essere di natura amministrativa o processuale. Poiché la mancata comparizione è, nella fattispecie, sanzionata tramite l'accompagnamento forzato, resta esclusa l'applicazione della norma sanzionatoria sussidiaria (Cass. pen., Sez. I, 25 maggio 2006, n. 30772).