Agente provocatore
05 Agosto 2015
Inquadramento
Non essendovi una specifica definizione normativa, dalla prassi si ricava che con la locuzione operazione sotto copertura s'intende un complesso di attività investigative mediante le quali una persona (un ufficiale della polizia giudiziaria o un privato cittadino) si infiltra, celando la propria identità, all'interno di organizzazioni criminali allo scopo di scoprirne la struttura, sottrarne risorse essenziali, denunciare i partecipanti. E così, lungi dal poter catalogare un'attività investigativa così complessa, si possono individuare e distinguere alcuni standard operativi: dall'intervento di colui che finge complicità, determinando, istigando, o cooperando nell'altrui attività illecita con l'obiettivo di veder cedere il provocato e assicurarlo all'autorità giudiziaria (il c.d. agente provocatore, cui assimilare la figura del fictus emptor, o acquirente simulato, figura tipica di provocatore circoscritta alla categoria dei reati-contratto) sino all'attività di colui che si inserisce nelle strutture criminose, studiandone passivamente le attività, e che non è destinato a provocare reati ma, viceversa, è spesso costretto a lasciarsi provocare alla commissione degli stessi, sia per non rivelare il proprio ruolo e la propria identità sia per accreditarsi agli occhi dei sodali e penetrare più a fondo nell'organizzazione (il vero e proprio agente infiltrato). L'esonero della pena per il c.d. agente provocatore (o, meglio, infiltrato) è previsto da una speciale causa di giustificazione ed è connesso all'infiltrazione ante delictum di un agente delle forze dell'ordine (o di un privato cittadino, Cass. pen., Sez. IV, n. 11634/2000) nel sodalizio criminale nonché alla sua partecipazione “passiva” alla scoperta dei reati ed alla cattura degli indagati. Il problema giuridico sotteso alle indagini sotto copertura involge sia un aspetto sostanziale, l'individuazione dei limiti entro i quali possono essere giustificate, sia uno processuale, l'uso che può farsi del materiale raccolto. La natura giuridica
La figura dell'agente provocatore è stata sempre caratterizzata dalla controversa natura giuridica al fine di giustificare, sul piano teorico, l'impunità. Dopo una serie di prospettazioni (anche tenendo conto della particolare qualifica soggettiva rivestita dall'agente, di privato o di appartenente alla polizia giudiziaria), alla fine lo scontro dottrinale si è attestato fra coloro che la interpretavano come causa di esclusione della antigiuridicità e quanti, invece, ritenevano integrasse una causa di esclusione dell'elemento soggettivo del concorso di persone nel reato. Il legislatore ha posto fine a questa disputa dommatica riconducendo, prima indirettamente con la riforma del 2006 e poi esplicitamente con la modifica del 2010, la speciale causa di non punibilità per le operazioni sotto copertura nel novero delle cause di giustificazione in senso stretto, senza distinzioni tra provocazione statale e provocazione privata. Se, infatti, la clausola di riserva con cui si apre il comma 1 dell'art. 9, l. 146/2006 (“fermo quanto disposto dall'art. 51 del codice penale”) implicitamente, indicando l'esistenza di un rapporto di specialità tra le due norme, lascia trasparire la sostanziale coincidenza – ad esclusione degli elementi specializzanti – dei loro rispettivi ambiti di operatività e, soprattutto, della loro natura giuridica di cause di esclusione dell'antigiuridicità, la definitiva e incontrovertibile prova di questa assimilazione della speciale causa di non punibilità in questione al genus delle cause di giustificazione in senso stretto è contenuta nel successivo comma 1-bis dell'art. 9 l. 146/2006 (come interpolato nel 2010) che, in apertura, testualmente si riferisce alla “causa di giustificazione di cui al comma“ (Amarelli). L'uso di una definizione così specifica solleva l'interprete dall'onere di ricercare la natura giuridica della speciale causa di non punibilità per l'infiltrato e non lascia spazio a dubbi in ordine alla volontà esplicita di qualificarla come causa di giustificazione. La nuova causa di giustificazione rientra, quindi, a pieno titolo nel modello tipico della scriminante dell'adempimento del dovere di cui all'art. 51 c.p., e trova la sua ragione giustificatrice nella prevalenza accordata in sede di giudizio di bilanciamento tra gli interessi in conflitto a quello alla scoperta dei reati da parte dello Stato, non in maniera incondizionata, bensì subordinata al rispetto della peculiare procedura in esso descritta. Il novellato testo dell'art. 9, comma 1, l. 146/2006, nel tentativo di preservare da eventuali rischi penali l'agente infiltrato (peraltro, già esposto ai pericoli per l'incolumità fisica derivanti dalle peculiarità delle suindicate operazioni), contiene l'elencazione completa e tassativa delle sole fattispecie delittuose di particolare gravità a ragione delle quali, sempre se siano realizzate in precedenza o sia possibile presumere la loro prossima commissione (sulla scorta di un quadro indiziario di una certa gravità), può essere disposto l'utilizzo della speciale tecnica investigativa in esame, a condizione che gli ordinari strumenti investigativi non siano efficaci o sufficienti per il loro accertamento. Diversamente, si correrebbe il rischio di accettare l'eventualità che questi – sui generis – atti d'indagine siano fonte autonoma di commissione di ulteriori reati non ancora realizzati, anziché strumento di scoperta di specifiche forme di criminalità già in essere (Bortolin). L'elenco di reati per i quali possono essere predisposte operazioni sotto copertura è tassativo, con la conseguente impossibilità di utilizzare le operazioni under cover anche per altri reati non espressamente annoverati in questo elenco chiuso (come ad esempio quelli contro la pubblica amministrazione o quelli della criminalità organizzata):
Desta più di una perplessità la scelta del legislatore di escludere dal novero dei reati elencati dal citato comma 1 dell'art. 9, l. 146/2006 il delitto di associazione di stampo mafioso di cui all'art. 416-bis c.p. (Auricchio), non solo perché si è prevista, per il solo personale dei servizi segreti, l'altra figura speciale di infiltrato introdotta nella legge 124/2007 ma anche perché il successivo comma 8 sembra contraddire siffatta esclusione. E infatti, quest'ultima disposizione, nel prevedere gli obblighi di informazione (“la comunicazione è trasmessa al procuratore nazionale antimafia”) circa le attività svolte dagli infiltrati anche per i delitti indicati all'art. 51, comma 3-bis, c.p.p., sembra rimandare per relationem ai detti delitti, fra cui, appunto, l'associazione di stampo mafioso. In realtà, sono le caratteristiche criminologiche del reato di associazione a delinquere di tipo mafioso a suggerire l'esclusione di questa fattispecie dal primo comma dell'art. 9, l. 146/2006, dal momento che le associazioni de quibus puntano sulle relazioni familiari e, comunque, di stretta colleganza per garantire il più alto grado di clandestinità alle operazioni del sodalizio, così impedendo che un soggetto esterno possa inserirsi nel tessuto associativo. Di conseguenza, la forma di contatto più opportuna con le organizzazioni criminali è l'approccio occasionale, proprio attraverso quelle condotte – tipiche o atipiche (come dare rifugio o prestare assistenza agli associati) – descritte dall'art. 9, l. 146/2006 come strumentali alla scoperta dei reati-scopo caratteristici dei sodalizi criminali, anche di stampo mafioso. Del resto, la quotidianità delle prassi ha dimostrato che le operazioni under cover, soprattutto quando sono disposte in materia di armi e per il reato di associazione dedita al traffico di stupefacenti di cui all'art. 74 d.P.R. 309/1990, consentono di avere spesso notizie ed informazioni utili anche rispetto al reato di associazione di stampo mafioso, attese le innegabili interconnessioni – se non addirittura sovrapposizioni – di tali fattispecie di reato. Vieppiù, l'art. 12-quater, d.l. 306/1992 (conv. con modif. l. 356/1992), ha previsto una nuova ipotesi di esimente per l'infiltrazione degli ufficiali di polizia giudiziaria finalizzata ad acquisire elementi di prova in ordine ai reati di riciclaggio (art. 648-bis c.p.) e di impiego di denaro, beni e utilità di provenienza illecita (art. 648-ter c.p.). Così opinando, in conclusione, sembra che l'omessa menzione dell'art. 51, comma 3 bis, c.p.p. nell'art. 9, comma 1, l. 146/2006 non sia il frutto di una svista legislativa: l'obbligo di comunicazione alla procura nazionale antimafia circa le notizie apprese in merito a tali reati da parte degli infiltrati si riferisce all'eventualità che, nel corso dell'operazione sotto copertura disposta in virtù di una delle fattispecie previste dal comma 1 dell'art. 9, l. 146/2006, l'infiltrato s'imbatta in condotte riconducibili alle fattispecie previste dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. che, sebbene non siano state inserite fra i reati che consentono quel tipo di operazione, costituiscono quelle notizie di reato che la polizia giudiziaria, nello svolgimento dell'attività disposta dall'autorità giudiziaria, acquisisce di propria iniziativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 55, commi 1 e 2, e 330 c.p.p., e trasmette, senza ritardo, al pubblico ministero (in questo caso al P.N.A.) per iscritto o immediatamente in forma orale (cui seguirà, senza ritardo, quella scritta), qualora ricorrano ragioni di urgenza e si tratti di un delitto previsto dall'art. 407, comma 2, lett. a), numeri da 1 a 6, c.p.p. (che ricomprende, peraltro, anche alcuni di quelli previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p.), così come previsto dall'art. 347, commi 1 e 3, c.p.p. Di talché, il comma 8 dell'art. 9, l. 146/2006 è norma speciale proprio rispetto a quest'ultima disposizione del codice di rito: il procuratore nazionale antimafia, svolge le funzioni di pubblico ministero per i reati previsti dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. e, in tale veste, avvierà le indagini sulla scorta della notizia di reato trasmessa in merito ad uno di quei delitti dall'agente infiltrato il quale continuerà la sua attività di agente sotto copertura solo in ragione del delitto presupposto, a meno che non si tratti di fatti costituenti uno dei reati ricompresi non solo dall'art. 51, comma 3-bis, c.p.p. ma anche dal comma 1 dell'art. 9, l. 146/2006, potendo in tal caso ottenere ulteriore specifica investitura – ancora una volta – come infiltrato. Il delitto associativo di tipo mafioso eventualmente emerso nel corso dell'indagine sotto copertura sarà, poi, investigato mediante gli altri strumenti di indagine, restando comunque salva la possibilità di utilizzare l'infiltrato per i reati-fine eventualmente perseguiti dall'associazione e rientranti nel novero indicato dall'art. 9, comma 1, l. 146/2006. I soggetti legittimati
Con la riforma, il legislatore ha inteso procedere all'individuazione analitica e tassativa dei soggetti legittimati a svolgere operazioni sotto copertura, unificando la disciplina anche in merito all'ambito soggettivo di operatività di questa speciale causa di giustificazione. E infatti, l'art. 9, comma 1, lett. a), l. 146/2006 annovera unicamente “gli ufficiali di polizia giudiziaria della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, appartenenti alle strutture specializzate o alla Direzione investigativa antimafia”, che agiscano – nel corso di specifiche operazioni di polizia – al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine alle fattispecie di reato ivi previste; al contempo, la lettera b) individua, per i reati con finalità di eversione o di terrorismo, “gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti agli organismi investigativi della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri specializzati nell'attività di contrasto al terrorismo e all'eversione e del Corpo della guardia di finanza competenti nelle attività di contrasto al finanziamento del terrorismo”. La novella del 2010 ha inserito, poi, il comma 1-bis dell'art. 9, l. 146/2006 secondo cui, stabilendo che non è sufficiente appartenere ad una delle categorie di soggetti tassativamente elencati nel comma precedente per compiere una delle attività tipiche o atipiche individuate dall'art. 9, l. 146/2006, ma è necessario anche che tali attività siano state previamente “autorizzate e documentate”: si tratta di un preciso requisito per la legittimazione dell'operazione sotto copertura. I commi 3 e 4 del citato art. 9, l. 146/2006 assegnano ai rispettivi vertici delle singole unità delle forze di polizia il compito di autorizzare e controllare lo svolgimento delle operazioni sotto copertura compiute da parte degli infiltrati e di darne preventiva comunicazione all'autorità giudiziaria competente per le indagini. Invece, il nominativo dell'ufficiale di polizia giudiziaria responsabile dell'operazione nonché degli eventuali ausiliari e interposte persone impiegati verrà indicato solo se necessario o se richiesto dal pubblico ministero. È previsto, infine, un residuale dovere, il capo al medesimo organo, di informare, senza ritardo, il pubblico ministero delle modalità e dei soggetti che partecipano all'operazione nonché dei risultati della stessa.
Secondo il combinato disposto dai commi 1 e 5 dell'art. 9, l. 146/2006, la scriminante speciale delle operazioni sotto copertura copre, innanzitutto, l'attività degli ufficiali di polizia ed è estesa, in secondo luogo, agli agenti di polizia giudiziaria, agli ausiliari e alle interposte persone di cui i suddetti ufficiali si avvalgono per l'esecuzione delle operazioni sotto copertura. Prima della novella, la partecipazione alle operazioni sotto copertura di un soggetto estraneo rispetto alla polizia giudiziaria, pur a volte indispensabile per accreditarsi agli occhi dei sodali e penetrare nelle organizzazioni criminali, non rientrava fra le condotte scusabili (Cass. pen., Sez. IV, 22 settembre 2000, n. 11634), salvo particolari condizioni (Cass. pen., Sez. IV, 17 dicembre 2008, n. 17025). La nuova norma, invece, prevede oggi la esplicita possibilità per gli ufficiali di polizia giudiziaria di farsi coadiuvare nell'espletamento delle loro attività sotto copertura, oltre che dagli agenti di polizia giudiziaria, anche da due diverse tipologie di soggetti non appartenenti alle forze dell'ordine, le persone interposte e gli ausiliari. Le prime rientrano fra quei soggetti che, unitamente all'agente infiltrato, partecipano alle attività sotto copertura autorizzate dalla legge e possono essere sia esterne alle forze di polizia, come nel caso dei confidenti, dei partecipi dell'organizzazione infiltrata, degli interpreti che accompagno l'agente per consentirgli di dialogare con interlocutori stranieri, sia interne ad esse, come nel caso degli agenti di polizia giudiziaria chiamati a coadiuvare gli ufficiali di polizia giudiziaria. La figura dell'ausiliario, diversamente, s'individua in coloro i quali – interni o esterni alle forze di polizia – aiutano in qualsiasi modo l'agente infiltrato nell'espletamento delle sue mansioni, senza però prendere materialmente parte al concreto svolgimento delle attività sotto copertura (si pensi al meccanico che smonti o rimonti i pezzi di un veicolo per consentire l'applicazione di una microspia o all'interprete che in tempo reale traduca i dialoghi stranieri sottoposti ad intercettazioni telefonica o ambientale: tutte persone dotate di competenze specialistiche estranee agli agenti infiltrati e necessarie per garantire il buon esito delle attività investigative). Quanto alla tipologia di attività che, sotto copertura, posso compiersi con la garanzia della speciale causa di giustificazione il legislatore, dopo aver individuato un elenco tassativo delle attività tipiche degli agenti infiltrati, sancendo la non punibilità di questi ultimi solo nel caso in cui “danno rifugio o comunque prestano assistenza agli associati, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano denaro, armi, documenti, sostanze stupefacenti o psicotrope, beni ovvero cose che sono oggetto, prodotto, profitto o mezzo per commettere il reato o altrimenti ostacolano l'individuazione della loro provenienza o ne consentono l'impiego”, prevede, altresì, un'estensione – ai limiti della indeterminatezza – di tale elenco alle “attività prodromiche e strumentali”, allo scopo di riservare una maggiore libertà e tranquillità di azione agli agenti infiltrati (Zappulla). Invero, se la previsione di un elenco tassativo di attività consente di limitare l'attività esegetica dell'interprete, la generica inclusione nel perimetro delle attività scriminate degli atti prodromici e strumentali destina al giudice il compito di decidere, discrezionalmente, quali azioni – in astratto penalmente rilevanti – ricomprendervi e rischia, per questo, di dilatare eccessivamente la speciale causa di non punibilità prevista. Vieppiù, l'art. 9, ai commi 2 e 5, l. 146/2006 individua una serie condotte che, pur non costituendo reato, possono essere autorizzate. Infine, il legislatore ha disposto, ai sensi dell'art. 9, comma 8, l. 146/2006, che l'autorità giudiziaria possa “affidare il materiale o i beni sequestrati in custodia giudiziale, con facoltà d'uso, agli organi di polizia giudiziaria che ne facciano richiesta per l'impiego nelle attività di contrasto di cui al presente articolo ovvero per lo svolgimento dei compiti d'istituto”.
Casistica
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