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Rapina

18 Aprile 2016

Il delitto di rapina è disciplinato dall'art. 628 c.p. base al quale è punito chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene» ed inoltre «chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.L'art. 628 c.p. prevede, quindi, due diverse forme di rapina, tradizionalmente dette propria ed impropria. La differenza tra le due figure di rapina si fonda precipuamente sulla diversa direzione della violenza alla persona o della minaccia.
Inquadramento

Il delitto di rapina è disciplinato dall'art. 628 c.p. base al quale è punito Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene» ed inoltre «chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.

L'art. 628 c.p. prevede, quindi, due diverse forme di rapina, tradizionalmente dette propria ed impropria.

La differenza tra le due figure di rapina si fonda precipuamente sulla diversa direzione della violenza alla persona o della minaccia; queste ultime nella rapina propria (art. 628, comma 1, c.p.) sono indirizzate a realizzare la sottrazione e l'impossessamento della cosa, mentre nella rapina impropria (art. 628, comma 2, c.p.) sono intese ad assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa medesima ovvero a procurare a sé o ad altri l'impunità.

Si tratta di un reato di danno, di carattere commissivo, perpetrabile soltanto mediante azione. È un classico esempio di reato complesso, del quale sono elementi costitutivi il furto e la violenza personale o la minaccia: fatti, cioè, considerati per sé ciascuno come reato.

Quale reato composto o complesso in senso stretto la rapina è un tipico reato plurioffensivo. Lede innanzitutto l'interesse al pacifico possesso e disposizione della cose mobili, come dimostra anche la sistemazione legislativa del reato tra i delitti contro il patrimonio; inoltre viola la libertà fisica e/o interiore dell'individuo, cioè l'interesse a determinare autonomamente il proprio comportamento senza dover subire aggressioni, coercizioni o intimidazioni altrui.

Questi interessi, specificamente tutelati dalla norma incriminatrice, sono strettamente connessi nel delitto in esame, di modo che la loro lesione è in rapporto di mezzo (violenza personale o minaccia) a fine (il furto, l'assicurazione del possesso o l' impunità).

Il soggetto attivo

Soggetto attivo del delitto di rapina può essere chiunque, purché sia persona diversa da quella che possiede attualmente la cosa.

In evidenza

Deve evidenziarsi che l'eventuale esistenza, tra soggetto attivo e passivo, di alcuno dei rapporti di parentela o di affinità indicati nell'art. 649 c.p., non ha influenza sulla punibilità e sulla perseguibilità dei fatti costituenti rapina, come dichiara espressamente l'ultimo comma dello stesso art. 649 c.p. L'orientamento della giurisprudenza di legittimità prevalente è nel senso dell'applicabilità della causa di non punibilità alle fattispecie di tentativo di rapina, estorsione e sequestro a scopo di estorsione in ragione dell'autonomia del tentativo dalla corrispondente ipotesi di reato consumata.

Il soggetto passivo

La rapina è un reato complesso plurioffensivo.

Essendo essa un furto a cui si aggiunge la violenza alla persona o la minaccia, l'offesa colpirà sia il patrimonio che la sfera della libertà fisica e morale della vittima. La violenza e la minaccia che caratterizzano il delitto di rapina – come si desume dalla stessa formulazione della relativa norma – possono infatti essere rivolte anche contro persona diversa dal detentore.

In tale ipotesi anche detta persona è soggetto passivo del reato, in relazione alla violenza o alla minaccia subita

In evidenza

Si è posto il problema della unicità o pluralità di rapine, quando, per esempio, alla vittima siano sottratte più cose o quando vengano contestualmente rapinate più persone, o in qualsiasi caso intermedio o ibrido tra questi. Nella prima ipotesi offeso dal reato è un solo individuo e, purché le sottrazioni avvengano con una condotta unica, unica resta pure la rapina. Nel secondo caso, invece, una fattispecie completa di rapina viene integrata nei riguardi di ogni soggetto, ognuno derubato con violenza o minaccia: più condotte, più eventi; dal che consegue la pluralità dei reati.

È stato così affermato (Cass. pen., Sez. II, n. 639/1985; Cass. pen., Sez. II, n. 6362/1996) che nell'ipotesi di rapina commessa in un unico contesto in danno di più persone (nella specie rapina in danno di undici persone che si trovavano all'interno di un esercizio pubblico), malgrado la rapidità della successione temporale tra le singole sottrazioni, si configura un'ipotesi di reato continuato, stante la pluralità di delitti commessi in numero incontestabilmente pari a quello degli eventi antigiuridici prodottisi in danno di ciascuna delle persone rapinate.

L'oggetto materiale del reato

Oggetto materiale della rapina è una cosa mobile altrui. Innanzitutto deve trattarsi di una cosa, cioè di un oggetto corporale ovvero di un'altra entità naturale che abbia valore economico o più genericamente patrimoniale e sia suscettibile di appropriazione .

È necessario, inoltre, che la cosa abbia un valore patrimoniale, cioè faccia parte del patrimonio di qualcuno. Al riguardo occorre sottolineare che il patrimonio, ai fini del diritto penale, è costituito non solo dalle cose aventi valore di scambio sul piano economico ma anche da quelle cose che, pur prive di valore di scambio, abbiano per colui che le possiede valore affettivo o sentimentale. È vero che la rapina è indirizzata in genere verso una cosa per il suo valore economico; tuttavia, è configurabile tale delitto anche quando si riferisce ad oggetti (ad esempio, una ciocca di capelli, una particolare immagine religiosa, un portafortuna), che, pur sprovvisti di valore economico, facciano parte del patrimonio di una persona a causa del loro valore ideale, tanto più se si tiene conto che il "profitto" avuto di mira dall'agente può anche non essere economico.

La cosa deve essere altresì mobile. La nozione di bene mobile ricavata dagli artt. 812 e 814 c.c. vale senza dubbio anche nell'ambito penale, ai cui fini, però, interessa tenere presente che non si considerano più immobili le cose che siano distaccate dal complesso immobiliare a cui aderiscono e per tal modo rese mobili.

Possono, pertanto, essere oggetto materiale della rapina le cose immobili una volta che vengano "mobilizzate", quali le pertinenze di beni immobili, gli immobili per incorporazione, le parti di immobile.

La cosa, infine, per costituire oggetto del delitto in esame deve essere altrui nel senso di cosa di proprietà di altri.

La rapina propria

L'elemento oggettivo: la violenza alla persona e la minaccia - L'azione esecutiva del delitto in esame si configura in modo assai differente nelle due diverse ipotesi previste dai primi due commi dell'art. 628 c.p.

La rapina propriaconsiste nell'impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, mediante violenza alla persona o minaccia, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto (art. 628, comma 1, c.p.).

L'elemento oggettivo della rapina propria, quindi, implica:

a) l'impossessamento della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene;

b) l'uso di violenza alla persona o di minaccia.

La violenza alla persona o la minaccia che, nella rapina propria, deve essere precedente o concomitante all'impossessamento della cosa mobile altrui, va considerata come mezzo rispetto al fine costituito dall'impossessamento medesimo.

Per violenza personale si intende l'estrinsecazione di energia fisica, adoperata dall'agente sul paziente, per annullarne o limitarne la capacità di autodeterminazione e di azione. Essa non è soltanto la vis corporis corpori data, e cioè il mettere le mani addosso, lo spingere, il togliere la libertà di movimento (legare, imbavagliare, ecc.), ma anche qualsiasi mezzo fisico impiegato per tale scopo.

La violenza personale comprende, altresì, l'uso di quei mezzi che pur non attentando alla incolumità corporea, si traducono sempre in un pregiudizio fisico della persona, in quanto la privano della possibilità dell'azione, dell'esterna condotta. Si tratta della cosiddetta violenza impropria, concretantesi in tutte quelle attività insidiose, con cui il soggetto passivo viene posto, totalmente o parzialmente, nell'impossibilità di volere o di agire: ipnotizzazione, narcotizzazione, uso di sostanze stupefacenti o alcooliche, impiego di sostanze fumogene o lacrimogene, ecc.

Anche la minaccia intende coartare la volontà della persona. Tuttavia, mentre la violenza personale realizza un costringimento fisico, la minaccia opera un'intimidazione morale che vulnera la libertà di autodeterminarsi, in modo da sostituirvi il passivo adeguamento ad un comando esterno .

La minaccia consiste nella prospettazione di un male futuro e ingiusto, che è nel potere dell'agente di cagionare e che è posto in alternativa all'osservanza di una determinata condotta da parte del soggetto passivo. A differenza della violenza personale, con cui viene violata la sfera della libertà fisica della vittima, la minaccia agisce sulla libertà interiore, tentando di turbarla, condizionarla, manipolarla per i propri fini.

Occorre, innanzitutto, che sia prospettato un male, cioè la effettiva lesione o l'esposizione a pericolo di un interesse o di un bene individuale di qualsiasi natura sia personale che patrimoniale.

Il male prospettato deve, altresì, essere futuro. È, poi, necessario che il male minacciato sia ingiusto. Non occorre, tuttavia, che tale ingiustizia sia assoluta ed intrinseca: basta che il male minacciato risulti ingiusto o in sé stesso ovvero in relazione allo scopo cui la minaccia serve di mezzo.

La realizzazione del male deve dipendere dall'agente in via diretta o indiretta; non può ravvisarsi minaccia, qualora la realizzazione della lesione prospettata risulti totalmente al di fuori dei poteri dell'agente stesso.

Inoltre, il male deve essere presentato come conseguenza alternativa all'osservanza, da parte del soggetto passivo, di un preciso comportamento voluto dall'agente.

Non occorre, invece, che sia minacciato un male determinato, essendo sufficienti anche generiche intimidazioni miranti ad impaurire la persona.

La minaccia può essere esplicita ed implicita, diretta ed indiretta, reale e simbolica, e la sussistenza di essa si ha ogni volta che, mediante la prospettazione di un male, fatta in qualsiasi modo, verbalmente od anche per mezzo delle stesse modalità dell'azione, si coarti la volontà del soggetto.

In evidenza

La violenza o la minaccia, pur dovendo essere sempre rivolte contro una persona, possono essere esercitate anche contro un terzo, purché l'effetto coercitivo o intimidatorio sia risentito dal depredato a causa dei particolari vincoli che lo legano con colui che venga sottoposto alla violenza o alla minaccia . L'idoneità va valutata secondo un duplice criterio oggettivo e soggettivo.

Deve considerarsi idonea la violenza o la minaccia sufficiente a costringere o ad influenzare un uomo comune, ovviamente tenendo presenti tutte le modalità e le circostanze concrete nelle quali si è estrinsecata la condotta (tempo, luogo, età, sesso dell'aggredito, ecc.). Può darsi che la vittima, per la sua notevole fermezza morale, non sia rimasta intimidita, ma ciò non esclude la sussistenza della minaccia (della violenza), se questa era mediamente sufficiente a perseguire lo scopo. È necessario, però, tener conto, ai fini dell'idoneità, anche della situazione soggettiva concreta della vittima.

La violenza potrà essere minima: una spinta, un urto, uno strattone, il semplice mettere le mani addosso, il divincolarsi ; l'importante è che si ottenga il risultato di coartare la libertà di azione del soggetto.

In evidenza

Solo il reato di percosse resta assorbito nella rapina, per la precisa lettera dell'art. 581, comma 2, c.p.; le eventuali lesioni ed a maggiore ragione l'omicidio costituiranno delitti concorrenti con la rapina medesima.

Il momento consumativo e il tentativo – Il reato di rapina si consuma nel momento e nel luogo in cui si verificano l'ingiusto profitto e l'altrui danno patrimoniale, ed a nulla rileva il protrarsi di tali eventi nel tempo, ovvero la mera temporaneità o momentaneità del possesso conseguito, quando esso si sia concretizzato nell'autonoma disponibilità della refurtiva da parte dell'agente, con correlativo spossessamento del legittimo detentore.

Per aversi consumazione, occorre che l'agente abbia avuto la disponibilità piena della cosa oggetto materiale del reato, avendo vinto le altrui resistenze.

La configurazione del tentativo di rapina propria sarà, quindi, limitata all'eventualità che il soggetto attivo, pur avendo fatto uso di idonea violenza o minaccia, non sia riuscito a pervenire all'impossessamento o, a maggior ragione, alla sottrazione di alcunché.

Per aversi consumazione non occorre che l'agente si sia appropriato dell'intero bottino, ma è sufficiente che si sia impossessato di alcuni beni, anche se l'azione criminosa prosegua per sottrarre altre cose.

In evidenza

Il reato non viene meno se, successivamente, l'agente abbandoni spontaneamente la refurtiva, trattandosi di delitto a consumazione istantanea.

Non si configura un reato impossibile nel caso in cui il bene, oggetto del delitto di rapina, abbia un modesto valore patrimoniale, in quanto l'inesistenza dell'oggetto materiale del reato acquista rilevanza giuridica, ed esclude la sussistenza del delitto, soltanto quando esso sia inesistente in rerum natura oppure sia assoluta ed originaria.

Casistica

In giurisprudenza si è affermato che in tema di tentata rapina la non punibilità dell'agente per inesistenza dell'oggetto può aversi solo quando l'inesistenza sia assoluta, cioè quando manchi qualsiasi possibilità che in quel contesto di tempo la cosa possa trovarsi in un determinato luogo e non, invece, quando essa sia puramente temporanea e accidentale.

  • Fattispecie nella quale è stato affermata la sussistenza del reato di tentata rapina, benché risultasse non determinato l'importo della somma che doveva essere sottratta (Cass. pen. n. 3189/2009)

  • Fattispecie nella quale è stato affermata la sussistenza del reato di tentata rapina, benché risultasse non determinato l'importo della somma che doveva essere sottratta (Cass. pen. n. 8026/2013

Per la configurabilità del tentativo rilevano non solo gli atti esecutivi veri e propri ma anche quegli atti che, pur classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l'agente, avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia iniziato ad attuarlo, che l'azione abbia la significativa probabilità di conseguire l'obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso, salvo il verificarsi di eventi non prevedibili indipendenti dalla volontà del reo.

Casistica

È affermato in giurisprudenza che in tema di rapina, le diverse condotte di violenza o minaccia finalizzate a procurarsi un ingiusto profitto mediante impossessamento di cose mobili altrui, sottraendole a chi le detiene, costituiscono autonomi tentativi di rapina, unificabili sotto il vincolo della continuazione,quando singolarmente considerate in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e all'elemento temporale, appaiano dotate di una propria completa individualità; si ha, invece, un unico tentativo di rapina,pur in presenza di molteplici atti di violenza o minaccia, allorché gli stessi siano sorretti da un'unica volontà e continua determinazione, che non registri interruzioni o desistenze in modo da costituire singoli momenti di una sola azione (Cass pen., n. 9952/2003; Cass. pen., n. 41167/2013; Cass. pen., n. 2542/2015).

L'elemento soggettivo – La rapina richiede, da un lato, il dolo generico consistente nella coscienza e volontà di impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene ma tale requisito soggettivo deve essere accompagnato da quello, specifico, rappresentato –nella rapina propria – dalla coscienza e volontà di adoperare a tale scopo la violenza o la minaccia, al fine di trarre, per sé o per altri, un ingiusto profitto.

Il profitto può consistere in qualsiasi vantaggio o soddisfazione che l'agente si procuri o miri a procurarsi, non essendo necessaria una effettiva locupletazione. Quindi, profitto non è soltanto il vantaggio economico e, più in generale, l'incremento del patrimonio, ma qualunque soddisfazione o piacere che l'agente si riprometta dalla sua azione criminosa. Senza dubbio, di regola, il profitto consiste in una utilità pecuniaria, ma ciò non è indispensabile: l'utilità può essere anche di natura diversa.

In ogni caso il profitto deve sempre derivare dalla cosa sottratta in modo diretto o indiretto.

In tale prospettiva finalisticamente orientata, è ben possibile ritenere, come la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di sottolineare, che il reato può essere integrato anche dal cosiddetto dolo concomitante o sopravvenuto, in quanto la coscienza e volontà del soggetto attivo, dovendo cadere sulla funzione e sulla efficacia della minaccia o della violenza, strumentali rispetto all'impossessamento, non devono necessariamente preesistere all'inizio della attività integratrice dal reato, ma possono insorgere anche in un secondo momento, peraltro durante il compimento degli atti di violenza o di minaccia.

In tale senso deve dunque leggersi l'affermazione giurisprudenziale secondo la quale ai fini della sussistenza del delitto di rapina, è sufficiente che l'agente ponga in essere l'impossessamento, allorché la minaccia è già in atto, non essendo necessario che la minaccia sia finalizzata a tale scopo fin dal primo atto (Cass. pen., Sez. II, 9 ottobre 1987, Del Perciò, mass. uff. n. 178144).

Casistica

Perché, tuttavia, la violenza o la minaccia possa ritenersi soggettivamente orientata al conseguimento della cosa attraverso lo spossessamento, al fine ultimo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, è ontologicamente necessario che il proposito sottrattivo insorga non dopo l'esaurimento della condotta coattiva, giacché, altrimenti, al di là dello iato temporale, che pure può distinguere tra loro le due fasi in cui si articola il fatto tipico (uso della violenza o minaccia e condotta sottrattiva), mancherebbe l'elemento della concatenazione finalistica, sul piano soggettivo, che qualifica ed integra la fattispecie di cui qui si tratta.

In tale prospettiva è stato affermato che nella ipotesi di sottrazione di una cosa già appartenuta a persona uccisa, si configura il delitto di rapina e non quello di furto, qualora l'idea della sottrazione sorga e si formi prima della attuazione della violenza omicida, sempre che sussista un nesso di causalità apparente tra violenza ed impossessamento, nel senso che il secondo sia conseguenza della prima; mentre si configura, invece, il delitto di furto, qualora l'idea della sottrazione sorga soltanto dopo la consumazione dell'omicidio (Cass. pen., Sez. I, 28 aprile 1986, Furari, mass. uff. n. 173779).

Deve aggiungersi che la temporaneità o transitorietà del profitto è irrilevante. Anche un vantaggio temporaneo o provvisorio, infatti, rappresenta un profitto. Questo può riguardare altresì una persona diversa dall'agente (per sé o per altri si legge nella norma).

Non è, invece, necessario, perché il delitto in esame sia perfetto, che l'agente consegua il profitto avuto di mira, trattandosi di un elemento non richiesto dalla norma e successivo all'impossessamento, che, come si è detto, contrassegna il momento consumativo della rapina propria.

Il profitto avuto di mira dall'agente deve possedere il carattere dell'ingiustizia. È da escludersi, a questo proposito, che sia giusto solo il profitto a cui corrisponda un vero e proprio diritto soggettivo e più precisamente una pretesa che può essere azionata davanti all'autorità giudiziaria, e ciò perché nel nostro ordinamento esistono pretese, che, sebbene prive d'azione, ricevono tuttavia una tutela giuridica (ad esempio, le obbligazioni naturali). Quindi, è da considerare ingiusto il profitto che non è in alcun modo, e cioè né direttamente né indirettamente, tutelato dall'ordinamento giuridico. In particolare, il profitto non patrimoniale deve ritenersi ingiusto tutte le volte che sia in contrasto con l'ordinamento giuridico.

In evidenza

Comunque, va rilevato che la sostanziale corrispondenza a giustizia del profitto avuto di mira, se vale ad escludere il delitto in questione, non significa sempre impunità, potendo residuare, a causa della violenza o minaccia esercitata, una responsabilità per un reato diverso e precisamente per il delitto di violenza privata (art. 610 c.p.) e, nel caso di pretesa che può essere fatta valere davanti all'autorità giudiziaria, per il minore delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni (artt. 392 e 393 c.p.)

È chiaro, poi, che per l'esistenza del dolo non basta l'obiettiva ingiustizia del profitto ma occorre, altresì, che chi agisce ne abbia consapevolezza.

La rapina impropria

La rapina impropria consiste nell'adoperare violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità (art. 628, comma 2, c.p.).

La rapina impropria si compone degli stessi elementi della rapina propria, con la sola differenza che essi si estrinsecano in una cornice inversa, nel senso che la violenza o la minaccia, anziché essere precedente o concomitante al furto, lo segue. Ossia la violenza o la minaccia è in questo caso posta in essere non per impossessarsi della cosa ma per assicurare il possesso della cosa medesima, od evitare la punizione per la sottrazione effettuata .

Le due azioni, pur distinte, devono prospettarsi come una condotta unitaria diretta ad impedire al derubato di tornare in possesso della cosa sottratta, ovvero a procurare l'impunità.

Difetta il requisito della immediatezza, qualora, tra il momento della sottrazione e quello dell'uso della violenza o della minaccia sia intercorso un sensibile intervallo di tempo, ovvero si sia verificato un evento idoneo a rompere il nesso di unitarietà della condotta complessiva .

In evidenza

La giurisprudenza ha affermato (Cass. pen., n. 43337/2007; Cass. pen., n. 40421/2012) che in tema di rapina impropria il requisito della immediatezza della violenza o della minaccia va riferito esclusivamente agli aspetti temporali della flagranza o quasi flagranza e non va interpretato letteralmente nel senso che violenza o minaccia debbono seguire la sottrazione senza alcun intervallo di tempo.

La violenza o la minaccia finalizzata all'assicurazione del possesso o dell'impunità non necessariamente deve essere usata contro la persona derubata e nel medesimo luogo della sottrazione.

È sufficiente, quindi, che l'azione violenta o minacciosa sia mezzo idoneo ai raggiungimento degli scopi indicati dalla legge e avuti di mira dall'agente, cioè non è necessario il conseguimento del possesso o dell'impunità .

In evidenza

La giurisprudenza di legittimità, pronunciatasi anche a Sezioni unite, ritiene configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l'agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui, non portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l'impunità (Cass. pen., Sez. unite, n. 34952/2012).

Se la violenza o la minaccia sia esercitata nei confronti di un pubblico ufficiale, avendo la condotta realizzato gli estremi di due reati (rapina impropria e resistenza a pubblico ufficiale), che hanno una diversa e autonoma individualità giuridica, sono applicabili le disposizioni concernenti il concorso di reati.

Il dolo nella rapina impropria è specifico, come per la rapina propria, in quanto ne costituisce elemento essenziale lo scopo di assicurare, a sé o ad altri, il possesso della cosa sottratta, o di procurare, a sé o ad altri, l'impunità .

La giurisprudenza della Corte di cassazione evidenzia che nella rapina impropria lo scopo di procurarsi l'impunità ricorre ogniqualvolta la violenza o la minaccia sia commessa al fine di sottrarsi a tutte le conseguenze processuali e penali del commesso delitto.

Circostanze aggravanti speciali

Per effetto dell'art. 628, comma 2, c.p. la rapina – sia propria che impropria – è aggravata:

1) se la violenza o minaccia è commessa con armi o da persona travisata, o da più persone riunite;

2) se la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire;

3) se la violenza o minaccia è posta in essere da persona che fa parte dell'associazione di cui all'articolo 416-bis c.p.;

3-bis) se il fatto è commesso nei luoghi di cui all'articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa;

3-ter) se il fatto è commesso all'interno di mezzi di pubblico trasporto;

3-quater) se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro;

3-quinquies) se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne;

Le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'articolo 98 c.p., concorrenti con le aggravanti di cui al terzo comma, numeri 3), 3-bis), 3-ter) e 3-quater), non possono essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto a queste e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità della stessa risultante dall'aumento conseguente alle predette aggravanti.

Dette circostanze aggravanti fanno aumentare la pena autonomamente dalla pena principale: sono cioè circostanze autonome o ad effetto speciale. Nell'ipotesi di concorso trova applicazione l'art. 63 c.p.

Casistica

Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno affermato che il semplice uso o porto fuori della propria abitazione di un giocattolo riproducente un'arma sprovvisto di tappo rosso non è previsto dalla legge come reato. L'uso o porto fuori della propria abitazione di un tale giocattolo assume però rilevanza penale soltanto se mediante esso si realizzi un diverso reato del quale l'uso o porto di un'arma rappresenti elemento costitutivo o circostanza aggravante, come avviene quando il giocattolo riproducente un'arma, sprovvisto di tappo rosso, sia usato nella commissione dei delitti di rapina aggravata (art. 628, comma 3, n. 1, prima ipotesi, c.p.)

La seconda ipotesi prevista, alternativamente con le altre, nel n. 1 del comma 3 dell'art. 628 c.p. si ha quando la violenza o la minaccia è commessa da persona travisata.

È persona travisata quella il cui aspetto esteriore è alterato in qualsiasi modo purché atto ad impedirne o renderne difficoltoso il riconoscimento .

L'aggravante sussiste anche se la rapina sia commessa da una sola persona travisata; se più persone concorrono nel delitto, è sufficiente che una sola di esse sia travisata.

Casistica

La circostanza aggravante speciale delle più persone riunite richiede la simultanea presenza di non meno di due persone nel luogo ed al momento di realizzazione della violenza o della minaccia (Cass. pen., Sez. unite, n. 21837/2012)

Non è necessario che tutte le persone riunite assumano un atteggiamento violento o minaccioso, è sufficiente che la violenza o la minaccia sia esercitata da una sola di esse .

Allorché è applicabile l'aggravante in discorso, rimane necessariamente esclusa quella dell'art. 112 n. 1 c.p.

In evidenza

L'uso delle armi e il travisamento nel corso di una rapina sono condotte che si diversificano reciprocamente per il contenuto, configurando così distinte circostanze aggravanti che devono essere autonomamente considerate ai fini della prescrizione, il cui calcolo deve dunque essere effettuato applicando la disciplina generale dettata nell'art. 63, comma 4, c.p., per il concorso di aggravanti ad effetto speciale. (Cass. n. 135 del 2000; Cass. pen., 27748/2007)

L'art. 628, comma 3, n. 2 c.p. prevede distintamente, come circostanza aggravante, il caso della violenza consistente nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire.

L'incapacità di volere si ha quando, con l'uso di mezzi idonei, si è posto il soggetto passivo in uno stato che non gli permetta di manifestare una volontà contraria al fatto del reo. Così è, ad esempio, nel caso dell'uso di narcotici o di altri stupefacenti, di alcoolici, o della suggestione ipnotica o in veglia. Anche i mezzi traumatici, che producono svenimento o altro stato simile, sono idonei.

L'incapacità di agire è, invece, la fisica, materiale impossibilità di comportarsi secondo quanto detta volontà ed è prodotta da espedienti quali l'uso di legami o di bavagli, la costrizione in un locale chiuso, la somministrazione di sostanze chimiche temporaneamente paralizzanti, ecc.

Lo stato di incapacità di volere o di agire, nel quale l'agente ha posto il soggetto passivo, può anche essere momentaneo, purché di esso si sia giovato l'agente stesso per sottrarre la cosa o per altro dei fini indicati nell'art. 628 c.p.

In evidenza

La durata dello stato d'incapacità di agire qualifica l'aggravante rispetto all'eventuale reato concorrente di sequestro di persona. Qualora, infatti, la limitazione della libertà di movimento risulti strumentale alla consumazione della rapina come mezzo esecutivo del reato e perduri per il solo tempo necessario alla perpetrazione del reato medesimo, il delitto di sequestro di persona rimane assorbito dall'aggravante in esame . Se, invece, questo si protragga anche dopo la consumazione della rapina, la condotta posta in essere successivamente ha una propria distinta autonomia e concorre materialmente con il delitto di rapina .

L'aggravante di cui trattasi assorbe il delitto previsto dall'art. 613 c.p.

La circostanza aggravante prevista dall'art. 628, comma 3, n. 3, c.p. si concreta nel solo fatto dell'appartenenza del rapinatore a un sodalizio criminoso del tipo descritto dall' art. 416 bis c.p. e non richiede che costui per commettere il reato manifesti o faccia intendere alla vittima tale sua qualità e si avvalga, quindi, della forza intimidatrice di tali associazioni. Che l'aggravante di cui al comma 3, n. 3, dell'art. 628 c.p. sia integrata dalla mera appartenenza all'associazione di tipo mafioso – rilevante come fatto storico –, non essendo richiesto l'accertamento in concreto dell'uso della forza intimidatrice derivante dalla predetta appartenenza, è stato chiarito dalla suprema Corte già da prima che l'emergenza della lotta alla criminalità organizzata conducesse al varo della normativa di cui al d.l. 152 del 1991 (Cass. pen., Sez. VI, 26 ottobre 1989, Casaroli).

In evidenza

Le Sezioni unite della Corte di cassazione con sentenza n. 10 del 2001 hanno precisato che in tema di rapina ed estorsione, la circostanza aggravante di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203 (impiego del metodo mafioso nella commissione dei singoli reati o finalità di agevolare, con il delitto posto in essere, l'attività dell'associazione per delinquere di stampo mafioso) può concorrere con quella di cui all'art. 628, comma 3, n. 3 e 629, comma 2, c.p. (violenza o minaccia poste in essere dall'appartenente a un'associazione di stampo mafioso)

La circostanza aggravante prevista dal n. 3-bis) si applica se il fatto è commesso nei luoghi di cui all'articolo 624-bis o in luoghi tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. La nozione di privata dimora nella fattispecie di cui all'art. 624-bis c.p. è più ampia di quella di abitazione e comprende ogni luogo ove la persona si trattenga per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata (Cass. pen., Sez. IIn. 28045/2012; Cass. pen.,Sez. V, n. 30957/2010; Cass. Pen., Sez. IV, n. 37908/2009; Cass. pen., Sez. V, n. 43089/2007; Cass. pen., Sez. IV, n. 43671/2003). La commissione di una rapina in edificio o altro luogo destinato a privata dimora configura, dopo l'introduzione del n. 3-bis del comma 3 dell'art. 628 c.p., un reato complesso, nel quale resta assorbito il delitto di violazione di domicilio (Cass. pen., n. 40382/2014).

Casistica

È stato ritenuto che ai fini della circostanza aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 3-bis c.p. è sufficiente che la rapina sia commessa in uno dei luoghi previsti dall'art. 624-bis c.p., non essendo rilevante che la vittima abbia o meno prestato il consenso all'ingresso in essi. (Nella specie è stata ritenuta la sussistenza della circostanza aggravante della rapina in luogo di privata dimora a carico di un uomo introdottosi nell'abitazione di una donna, consenziente all'ingresso, con il pretesto di consumare un rapporto sessuale. Cass. pen., Sez. II, n. 48584/2011)

L'aggravante di cui all'art. 628, comma 2, n. 3-ter), c.p. si applica se il fatto è commesso all'interno di mezzi di pubblico trasporto. Quella di cui all'art. 628, commi 3, 3-quater) c.p. si applica se il fatto è commesso nei confronti di persona che si trovi nell'atto di fruire ovvero che abbia appena fruito dei servizi di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro e quella di cui al n. 3-quinquies) se il fatto è commesso nei confronti di persona ultrasessantacinquenne.

In tema di concorso di circostanze, il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti su quelle aggravanti, previsto dall'art. 628, comma 4, c.p., a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 251 del 2009, è formulato in modo generale ed assoluto per cui riguarda sia le circostanze attenuanti comuni, sia le circostanze attenuanti generiche che le circostanze attenuanti speciali. (Fattispecie nella quale la Corte di cassazione con sentenza n. 47030/2013 ha annullato con rinvio la sentenza impugnata in cui le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 62 n. 6 c.p., erano state ritenute prevalenti rispetto alle aggravanti di cui all'art. 628, comma 3, c.p.).

Nel caso di concorso di circostanze aggravanti trova applicazione la disciplina generale dettata nell'art. 63, comma 4, c. p., per il concorso di aggravanti ad effetto speciale.

Il concorso di persone

Per aversi concorso non è necessario che un soggetto partecipi a tutte le attività criminose ma è sufficiente che egli ne compia una parte con la consapevolezza che altri ne compiranno il rimanente. In particolare, si afferma che, nella rapina impropria, risponde del reato anche chi, non avendo partecipato alla sottrazione della cosa, usi violenza o minaccia per assicurare all'autore della sottrazione il possesso della cosa sottratta o l'impunità. È necessario, tuttavia, che le due azioni siano almeno legate da un nesso psicologico, cioè di partecipazione almeno morale da parte del secondo agente all'azione delittuosa del primo.

In tema di varianti individuali al piano comune si domanda se, allorché uno o alcuni soltanto dei concorrenti, che avevano progettato un furto, ricorrano alla violenza o alla minaccia, tutti debbano rispondere di rapina ovvero alcuni di rapina e altri di furto.

Per la giurisprudenza la soluzione del quesito è dettata dall'art. 116 c.p.: la responsabilità del compartecipe ex art. 116 c.p. può essere configurata solo quando l'evento diverso non sia stato voluto neppure sotto il profilo del dolo indiretto (indeterminato, alternativo od eventuale) e, dunque, a condizione che non sia stato considerato come possibile conseguenza ulteriore o diversa della condotta criminosa concordata. (cfr, ex aliis, Cass. pen., Sez. II, n. 49486/2014; Cass. pen., Sez. II, n. 3167/2013; Cass. pen., Sez. VI, n. 20667/2008).

Differenza da reati affini

La rapina presenta analogie con alcune forme di furto aggravato.

Essa si distingue:

dal furto aggravato dalla circostanza prevista dall'art. 625 n. 2 c.p., perché in questa figura criminosa la violenza è usata esclusivamente sulle cose e non anche sulla persona; dal furto aggravato dalla circostanza di cui all'art. 625 n. 3 c.p. (se il colpevole porta indosso armi), perché in questa ipotesi è carente la violenza ed il mero porto delle armi non ha di per sé effetto intimidativo e non concreta quindi minaccia.

Maggiori difficoltà, invece, crea la distinzione tra rapina e furto commesso strappando la cosa di mano o di dosso alla persona, comunemente denominato "scippo". Il criterio discretivo viene comunemente individuato nel fatto che nella rapina la violenza fisica o psichica è esercitata sulla persona, mentre nel furto con strappo la violenza è esercitata esclusivamente sulla cosa, per staccarla e sottrarla al detentore.

La differenza tra rapina ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza alle persone (art. 393 c.p.) non risiede nella materialità del fatto, che può essere identico in ciascuna di dette fattispecie, bensì nell'elemento psicologico.

Problemi di definizione di ambito di operatività rispetto all'estorsione si pongono solo con riferimento alla rapina propria e sono stati risolti ponendo attenzione alla condizione in cui in concreto si è trovato a versare il “soggetto passivo del reato": in presenza, cioè, di un suo comportamento lato sensu “collaborativo” , occorre accertare se egli aveva o no margini ragionevoli per compiere una scelta differente; nel primo caso si avrà estorsione, nel secondo caso invece alla rapina, null'altro essendo stato il soggetto se non un “mero strumento”, totalmente controllato dall'agente senza alcuna (seppur limitata) possibilità di scelta.

Il delitto di violenza privata ha carattere generico e sussidiario e resta escluso, in base al principio di specialità, qualora sussista il fine di procurarsi un ingiusto profitto (dolo specifico) che rende configurabile una ipotesi delittuosa più grave, quale quella di rapina.

In evidenza

Il criterio differenziale tra il delitto di rapina mediante minaccia e quello di truffa aggravata dall'ingenerato timore di un pericolo immaginario consiste nel diverso modo in cui viene prospettato il danno; in particolare, si ha truffa aggravata quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dall'agente, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà, ma si determina all'azione od omissione versando in stato di errore; viceversa ricorre il delitto di rapina mediante minaccia quando il danno viene prospettato come certo e sicuro, ad opera del reo o di altri ad esso collegati, di modo che l'offeso è posto nella alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento voluto o di incorrere nel danno minacciato. (Cass. pen., Sez. II, n. 51732/2013; Cass. pen., n. 10182/1988)

Casistica

Non è riconoscibile la circostanza della partecipazione di minima importanza a colui che, nel corso di una rapina, abbia ricoperto il ruolo di "palo" e, successivamente, si sia posto alla guida della vettura utilizzata dai rapinatori per la fuga. (Cass. pen., n. 46588/2011)

La circostanza aggravante di cui all'art. 628, comma 3, n. 1, c.p., esclude l'applicazione della circostanza aggravante comune dell'art. 112, n. 1, cod. pen., in forza del principio di specialità sancito dall'art. 15 c.p. (Cass. pen., n. 16515/2010).

Ricorre la circostanza aggravante della violenza o minaccia commessa da più persone riunite di cui all'art. 628, comma 3, n. 1, terza ipotesi, c.p., anche se la vittima non abbia avvertito la presenza delle più persone nel luogo e al momento della commissione del fatto, e non abbia, quindi, subito una maggiore intimidazione. (Nella specie, uno dei concorrenti era rimasto all'esterno del locale teatro della rapina alla guida dell'auto che sarebbe servita alla fuga sua e dei correi. Cass. pen., n. 36474/2011)

È configurabile il tentativo e non la desistenza volontaria nel caso in cui la condotta delittuosa si sia arrestata prima del verificarsi dell'evento non per volontaria iniziativa dell'agente ma per fattori esterni che impediscano comunque la prosecuzione dell'azione o la rendano vana. (In applicazione del principio la Corte ha ritenuto configurabile il tentativo di rapina in un caso in cui l'imputato, dopo essere entrato in un esercizio commerciale con il volto travisato e con un grosso coltello da cucina in mano, intimando ai gestori di consegnargli quanto incassato, si era allontanato avendo verificato che nel registratore di cassa non vi era denaro. Cass. pen., n. 51514/2013)

In tema di tentata rapina, la non punibilità dell'agente per inesistenza dell'oggetto può aversi solo quando l'inesistenza sia assoluta, cioè quando manchi qualsiasi possibilità che in quel contesto di tempo la cosa possa trovarsi in un determinato luogo e non, invece, quando essa sia puramente temporanea e accidentale. (Fattispecie nella quale è stato affermato il delitto di tentata rapina per avere il soggetto rovistato nella borsa della vittima al cui interno non vi era denaro. Cass. pen., n. 3189/2009)

Aspetti processuali

La verifica dattiloscopica è dotata di piena efficacia probatoria senza bisogno di elementi sussidiari di riscontro, purché sia individuata la sussistenza di almeno 16 punti caratteristici uguali (Fattispecie, in cui è stata ritenuta provata la disponibilità da parte dell'imputato del furgone utilizzato per una rapina, sulla base del rinvenimento sul mezzo dell'impronta della sua mano sinistra, senza che questi avesse fornito alcuna spiegazione del dato obiettivo acquisito. Cass. pen.,n. 46410/2014; Cass. pen.,n. 44561/2014)

Ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p., deve aversi riguardo, in caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, all'aumento di pena massimo previsto dall'art. 63, comma 4, c.p. per il concorso di circostanze della stessa specie. Infatti, anche la nuova formulazione dell'art. 157 c.p. non prevede alcuna riserva circa l'affermata influenza delle circostanze ad effetto speciale sui termini di prescrizione per il caso che ne sia contestata più d'una, salvo il necessario coordinamento con la previsione dell'art. 63, comma 4, c.p., nel senso della limitazione dell'aumento di pena, a nulla rilevando, data l'autonomia della disciplina della prescrizione, la facoltatività dell'ulteriore aumento di pena una volta applicato quella per la circostanza più grave, o, nel caso di pari gravità, per una delle circostanze ad effetto speciale (Cass. pen., n. 31065/2012)

È stato affermato che integra il tentativo di rapina impropria la condotta dell'agente che, dopo aver sottratto merce dai banchi di vendita di un supermercato ed averla occultata sulla propria persona, al fine di allontanarsi, usa violenza nei confronti dei dipendenti dell'esercizio commerciale che lo hanno colto in flagranza e trattenuto per il tempo necessario all'esecuzione della consegna agli organi di Polizia, poiché anche i privati cittadini hanno, in simili circostanze, il potere di procedere all'arresto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 380, comma 2, lett. f) e 383, comma 1, c.p.p., e, pertanto, la reazione violenta dell'autore del fatto non può configurarsi come difesa da un'azione illecita a norma dell'art. 52 c.p.(Cass. pen., n. 50662/2014).

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