RecidivaFonte: Cod. Pen Articolo 99
26 Luglio 2016
Inquadramento
La recidiva (lat., recidĕre, ricadere – nel reato) è una circostanza inerente alla persona del colpevole (art. 70 c.p.), codificata all'art. 99 del codice penale, suscettibile di estrinsecarsi in diverse forme: recidiva semplice, recidiva aggravata, recidiva pluriaggravata e recidiva reiterata. L'istituto ha subito nel corso del tempo tre rilevanti modifiche: la prima realizzata attraverso il d.l. 11 aprile 1974, n. 99, convertito con modificazioni nella legge 7 giugno 1974, n. 220; la seconda attuata attraverso la legge 5 dicembre 2005, n. 251 (c.d. legge ex Cirielli). Da ultimo, la Corte costituzionale, con sentenza 8 luglio 2015 – 23 luglio 2015, n. 185, ha dichiarato la parziale illegittimità del comma quinto dell'art. 99 c.p., delineando definitivamente l'istituto come di applicazione assolutamente facoltativa. La conseguenza principale dell'accertamento della recidiva è costituita, quantomeno in linea teorica, da un aumento di pena. Mentre gli effetti secondari del suo riconoscimento sono molteplici e concernono sia il diritto sostanziale, sia il diritto processuale, sia l'esecuzione della pena. La recidiva era già prevista agli artt. 80 e ss. del codice Zanardelli. Il Legislatore del ‘30 scelse di renderne l'applicazione in gran parte automatica, in ciò animato da chiare finalità criminal-preventive. Pertanto, il giudice era obbligato, per il solo fatto che l'imputato fosse stato precedentemente condannato con sentenza passata in giudicato, ad applicare la norma in commento. Unica eccezione all'applicazione automatica della recidiva era data dalla previsione di cui al successivo art. 100, ora abrogato. Tale norma conferiva al giudice la facoltà di escludere la recidiva fra delitti e contravvenzioni, ovvero fra delitti dolosi o preterintenzionali e delitti colposi, ovvero tra contravvenzioni, salvo si trattasse di reati della stessa indole. Successivamente, il Legislatore, allo scopo di mitigare l'estremo rigore sanzionatorio conseguente all'automatica applicazione della recidiva, procedette, con il d.l. 11 aprile 1974, n. 99, recante Provvedimenti urgenti sulla giustizia penale, convertito con modificazioni nella legge 7 giugno 1974, n. 220, a modificare l'art. 99 del codice penale. Tale intervento determinò l'applicabilità discrezionale della recidiva; l'istituto, quindi, perse le proprie connotazioni segnatamente preventive assumendo una funzione tipicamente retributiva. Ciò, come ovvio, determinò un'applicazione della recidiva più circoscritta; il che portò parte della dottrina a criticare la norma per eccessivo clemenzialismo. L'istituto venne quindi ulteriormente riformato con la legge 5 dicembre 2005, n. 251(c.d. ex Cirielli) che, oltre a riscrivere integralmente la norma di cui all'art.99 c.p., introdusse, con riferimento all'istituto della recidiva, rilevanti modifiche agli artt. 62 bis, 69, comma 4, 81 e 161, comma 2, del codice penale. Essa, inoltre, modificò l'art. 656, comma 9, del codice di rito tramite, fra l'altro, l'introduzione di una causa ostativa alla sospensione automatica dell'esecuzione nel caso di recidiva reiterata. Ancora, modificò in peius il trattamento riservato ai recidivi dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario). Infine, introdusse nel d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, l'art. 94-bis, recante Concessione dei benefici ai recidivi. Come evidenziato al paragrafo precedente, l'accertamento della recidiva comporta un effetto principale, connesso all'aggravamento della pena da erogare al colpevole, e molteplici effetti secondari. Tuttavia, prima di affrontare tali aspetti, occorre soffermarsi sulla definizione di recidiva contenuta all'art. 99, comma 1, c.p. Presupposto della recidiva
Ai sensi dell'art. 99, comma 1, c.p., è recidivo chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, commette un altro delitto non colposo. Presupposto per l'applicazione dell'istituto della recidiva è, pertanto, l'intervento di sentenza di condanna per delitto non colposo passata in giudicato (Cass. pen., Sez. III, 17 maggio 1994, n. 7302).
È opportuno rilevare come la giurisprudenza abbia stabilito che la concessione del perdono giudiziale, pur presupponendo un accertamento della colpevolezza dell'imputato, si sostanzi in una rinuncia da parte dello Stato alla condanna che avrebbe meritato per il reato commesso, e ne determina il proscioglimento, cosicché non può valere come sentenza di condanna agli effetti della recidiva (da ultimo, Cass. pen., Sez. V, 16 ottobre 2015, n. 2655). Anche la sentenza emessa a sensi del combinato disposto di cui agli artt. 464-septies, comma 1, e 531, comma 1, c.p.p., a seguito di positivo esito di messa alla prova, vista la sua natura di sentenza di proscioglimento, non può costituire presupposto per la successiva applicazione della recidiva. Atro aspetto di evidente interesse è quello relativo alle cause di estinzione del reato e della pena concernenti un provvedimento idoneo a costituire presupposto per il riconoscimento della recidiva. L'art. 106 c.p. stabilisce che, agli effetti della recidiva, si debba tener conto delle condanne per le quali è intervenuta una causa di estinzione del reato o della pena, salvo il caso in cui tale causa estingua anche gli effetti penali. Problematica è la questione relativa alla condanna in esecuzione della quale sia intervenuto l'affidamento in prova al servizio sociale con esito positivo. L'art. 47, comma 12, ord. pen., stabilisce che l'esito positivo del periodo di prova estingue la pena detentiva e ogni altro effetto penale. Stante il contrasto giurisprudenziale sul punto, sono intervenute le Sezioni unite della suprema Corte, con sentenza n. 5859 del 15 febbraio 2012, le quali hanno stabilito che l'esito positivo della misura alternativa comporta che della relativa condanna non possa tenersi conto agli effetti della recidiva. Peraltro, da tale sentenza si ricava, a contrariis, una conferma circa il tenore letterale della norma di cui all'art. 178 c.p., per cui può dirsi pacifico che qualora in relazione alla condanna presupposto sia intervenuta riabilitazione, di essa condanna non potrà tenersi conto per l'eventuale successivo riconoscimento della recidiva (cfr., Cass. pen., Sez. unite, 15 febbraio 2012, n. 5859).
Anche le sentenze penali straniere possono costituire presupposto della dichiarazione di recidiva qualora ad esse venga dato riconoscimento secondo la procedura di cui agli artt. 730 e ss. c.p.p. (cfr., art. 12, comma 1, n. 1), c.p.). Il riconoscimento, invece, non è necessario qualora la sentenza sia stata emessa da un'Autorità giudiziaria in Paese membro Ue. Il d.lgs. 12 maggio 2016, n. 73, recante Attuazione della decisione quadro 2008/675/Gai, relativa alla considerazione delle decisioni di condanna tra Stati membri dell'Unione europea in occasione di un nuovo procedimento penale, stabilisce infatti che le condanne pronunciate per fatti diversi da quelli per i quali procede l'autorità giudiziaria italiana, oggetto di informazioni nell'ambito delle procedure di assistenza giudiziaria o di scambi di dati estratti dai casellari giudiziari, sono valutate, anche in assenza di riconoscimento e purché non contrastanti con i principi fondamentali dell'ordinamento giuridico dello Stato, per ogni determinazione sulla pena, per stabilire la recidiva o un altro effetto penale della condanna ovvero per dichiarare l'abitualità o la professionalità nel reato o la tendenza a delinquere (cfr., art. 3, comma 1). Non è questa la sede ma numerosi interrogativi pone la formulazione della norma, atteso che l'assenza del requisito del riconoscimento determina un'ampia discrezionalità in capo al giudice ai fini dell'applicazione della recidiva. Infine, in relazione alle cause di estinzione della pena diverse dalla riabilitazione, occorre osservare come non possa, ovviamente, costituire ostacolo all'accertamento della recidiva l'intervenuta prescrizione della pena, né, a mente dell'art. 174, comma 1, c.p., la concessione della grazia e dell'indulto, atteso che tali istituti non estinguono gli effetti penali della condanna (cfr., Cass. pen., Sez. II., 30 aprile 2015, n. 34147). Una volta accertata la sussistenza del presupposto della recidiva, al giudice è data ampia discrezionalità nell'applicarla. In assenza di qualsiasi indicazione di diritto positivo, la giurisprudenza ha tentato di individuare il perimetro all'interno del quale va circoscritta tale discrezionalità. Essa trova un primo limite di natura formale, consistente nella necessità della contestazione della recidiva nel capo di imputazione e ciò a mente del principio di correlazione tra accusa e sentenza (Cass. pen., Sez. II, 07 luglio 2009, n. 37523). Sul punto si sono espresse le Sezioni unite della suprema Corte le quali hanno stabilito che la recidiva opera infatti nell'ordinamento quale circostanza aggravante (inerente alla persona del colpevole: art. 70 c.p.), che come tale deve essere obbligatoriamente contestata dal Pubblico Ministero in ossequio al principio del contradditorio (cfr., Cass. pen., Sez. unite, 5 ottobre 2010, n. 35738). Pertanto, in caso di mancata contestazione della recidiva, il giudice non potrà in alcun modo applicarla al caso concreto.
Sotto un profilo sostanziale, la giurisprudenza ha fatto ricorso, al fine di individuare il limiti alla discrezionalità nell'applicazione della recidiva, a concetti quali la capacità a delinquere, di cui all'art. 133, comma 2, c.p. (sul punto, Cass. pen., Sez. V, 7 ottobre 2015, n. 48341), e la pericolosità del reo.
L'applicazione della recidiva deve essere, poi, sempre adeguatamente motivata dal giudice; sul punto sono intervenute le Sezioni unite della suprema Corte le quali hanno precisato che sul giudice del merito incombe uno specifico dovere di motivazione sia quando ritiene sia quando esclude la rilevanza della recidiva (cfr; Cass. pen., 27 ottobre 2011, n. 5859). In proposito si veda, tra le altre, Cass. pen., Sez. II, 12 novembre 2015, n. 50146, che ha affermato quanto segue: è illegittima la decisione con cui il giudice applichi l'aumento di pena per effetto della recidiva, ritenuta obbligatoria ex art. 99, comma quinto, cod. pen., senza operare alcuna concreta verifica in ordine alla sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del reo, considerato che l'applicazione dell'aumento di pena per effetto della recidiva rientra nell'esercizio dei poteri discrezionali del giudice, che deve fornire adeguata motivazione, con particolare riguardo all'apprezzamento dell'idoneità della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo che giustifichi l'aumento di pena. Natura della recidiva
Estremamente controversa in dottrina è la natura della recidiva. Da un lato, facendo leva sul dato letterale della norma di cui all'art. 70, comma 2, c.p., si sostiene che essa costituisca una circostanza aggravante del reato inerente alla persona del colpevole; dall'altro, si osserva che la facoltatività circa l'applicazione della recidiva la equiparerebbe ad un indice di commisurazione della pena, alla stregua di quelli elencati all'art. 133 c.p. La giurisprudenza aderisce alla tesi della natura circostanziale dell'istituto. Le Sezioni unite hanno espresso il seguente principio di diritto: la recidiva è circostanza aggravante a effetto speciale quando comporta un aumento di pena superiore ad un terzo e pertanto soggiace, in caso di concorso con circostanze aggravanti dello stesso tipo, alla regola dell'applicazione della pena prevista per la circostanza più grave (Cfr., Cass. pen., Sez. unite, 24 febbraio 2011, n. 20798). Dalla natura circostanziale della recidiva discende l'applicabilità, alla materia, dell'art. 69 c.p. in tema di concorso di circostanze. L'art. 69, comma 4, c.p., è stato fatto oggetto di tre interventi da parte della Corte costituzionale che ne hanno sancito l'illegittimità, rispettivamente:
Forme della recidiva
A seguito dell'intervento della Corte costituzionale di cui alla sentenza del 23 luglio 2015, n. 185, la recidiva si coniuga in tre categorie principali: recidiva semplice, recidiva aggravata e recidiva reiterata. Essa è semplice nella previsione di cui al comma primo dell'art. 99 c.p., che facoltizza il giudice ad applicare un aumento di un terzo della pena a chi, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commetta un altro parimenti non colposo. La recidiva è aggravata, ai sensi del comma secondo dell'art. 99, quando il nuovo delitto non colposo sia della stessa indole del precedente (recidiva aggravata specifica) ovvero sia commesso nel termine di cinque anni dal passaggio in giudicato della precedente condanna (recidiva aggravata infraquinquennale) ovvero, ancora, qualora il nuovo delitto sia stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena (recidiva aggravata c.d. vera) nonché durante il tempo in cui il condannato si sia sottratto volontariamente all'esecuzione (recidiva aggravata c.d. finta). In tal caso, la pena può essere aumentata fino alla metà. È stato opportunamente osservato che la scelta di punire la recidiva semplice attraverso un aumento di un terzo della pena e di punire la recidiva aggravata con un aumento fino alla metà (e quindi potenzialmente anche di un solo giorno) sia del tutto irragionevole, potendo condurre ad effetti distonici. Infatti, la recidiva aggravata, nonostante il suo maggior disvalore intrinseco, può essere in concreto punita molto più lievemente rispetto alla recidiva semplice.
Sempre in tema di recidiva aggravata, il comma quinto dell'art. 99 c.p. prevede che qualora il nuovo delitto sia uno di quelli indicati all'art. 407, comma 2, lett. a), c.p.p. (recidiva aggravata qualificata), l'aggravamento della sanzione non possa essere inferiore ad un terzo della pena da infliggersi. Qualora la recidiva sia pluriaggravata, l'aumento di pena connesso al suo riconoscimento è pari alla metà. Il comma quarto dalla norma in esame prevede, poi, che la recidiva reiterata (consistente nella commissione di un delitto non colposo da parte di un recidivo) comporti un aumento di pena pari alla metà nel caso di recidiva reiterata semplice e di due terzi nel caso di recidiva reiterata aggravata. In tema di recidiva reiterata, si contrappongono due tesi in dottrina: la prima che ritiene necessario un precedente accertamento giudiziale della recidiva; la seconda che sostiene, invece, che la recidiva reiterata possa essere applicata, qualora correttamente contestata, anche in assenza di una precedente specifica dichiarazione. La giurisprudenza è pressoché univocamente orientata nel senso di ritenere che il giudice della cognizione possa accertare, a differenza di quello dell'esecuzione, i “ìpresupposti della recidiva reiterata, prevista dall'art. 99, comma quarto, cod. pen., anche quando in precedenza non sia stata dichiarata giudizialmente la recidiva semplice (cfr., Cass. pen., Sez. V, 13 giugno 2014, n. 47072). Il comma sesto dell'art. 99 pone un limite all'aumento di pena che può essere applicato per effetto della recidiva stabilendo che esso non possa superare il cumulo delle pene risultanti dalle condanne precedenti alla commissione del nuovo delitto non colposo.
Gli effetti secondari della recidiva
Accanto all'effetto principale costituito dall'aumento della pena, la recidiva può comportare ulteriori significative conseguenze.
Innanzitutto, i recidivi aggravati e reiterati non possono beneficiare dell'amnistia (art. 151 c.p.), della prescrizione della pena (art. 172, comma 7, c.p.), dell'indulto (art. 174, comma 3, c.p.). Ai recidivi aggravati e reiterati sono poste, inoltre, condizioni più gravose per accedere alla liberazione condizionale (art. 176, comma 2, c.p.) e per ottenere la riabilitazione (art. 179, comma 2, c.p.). Ancora, la recidiva aggravata e la recidiva reiterata determinano un significativo allungamento dei termini di prescrizione conseguenti ad atti interruttivi della medesima. In caso di recidiva aggravata, il prolungamento del termine prescrizionale potrà arrivare fino alla metà del termine ordinario; in caso di recidiva reiterata, invece, il prolungamento del termine prescrizionale potrà arrivare fino ai due terzi del termine ordinario (cfr., art. 161, comma 2, c.p.). Nel caso di recidiva reiterata qualificata, qualora si proceda per un delitto punito con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni, è inibito al giudice, ai fini del riconoscimento e dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62-bis, comma 1, c.p., di tener conto dei criteri di cui all'art. 133, comma 1, n. 3 (intensità del dolo), e di quelli di cui all'art. 133, comma 2, c.p. (capacità a delinquere), ad eccezione di quello ivi previsto al n. 3) e costituito dalla condotta contemporanea o susseguente al reato. Tale eccezione è dovuta all'intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 183 del 10 giugno 2011, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 62-bis, comma 2, c.p., nel punto in cui imponeva al giudice il divieto di considerare tale criterio ai fini del riconoscimento delle attenuanti generiche. In effetti, la condotta successiva alla commissione del reato è certamente uno degli indici principali della attuale capacità criminale del reo e della sua complessiva personalità. Talché, inibire la concessione delle circostanze attenuanti generiche al recidivo qualificato che invece abbia mostrato resipiscenza ponendo in essere, successivamente al reato, una condotta virtuosa, è apparso al Giudice delle leggi lesivo dei principi di cui agli artt. 3 e 27, comma 3, della Carta costituzionale. L'art. 69, comma 4, c.p., stabilisce l'applicabilità del giudizio di bilanciamento anche alle varie ipotesi di recidiva, ad esclusione della recidiva reiterata. Peraltro, tale disposizione è stata fatta oggetto di tre diversi interventi da parte della Corte costituzionale che ne hanno sancito la parziale illegittimità. Di essi si è fatta menzione nel precedente § 5, al quale pertanto si rinvia per ogni approfondimento. Anche la disciplina del concorso formale di reati e della continuazione, contenuta all'art. 81 c.p., è influenzata dall'istituto della recidiva. Infatti, il comma quarto di tale precetto prevede, in applicazione della disciplina ivi contenuta, un limite minimo all'aumento della pena in caso di recidiva reiterata: esso non può essere inferiore ad un terzo.
La recidiva assume rilievo anche in ambito processuale. Infatti, anche a mente dell'art. 444, comma 1-bis¸c.p.p., ai recidivi reiterati è inibito l'accesso al c.d. patteggiamento allargato. Il carattere trasversale dell'istituto in commento riverbera i propri effetti anche in tema di esecuzione della pena. Nell'ambito di tale materia, i recidivi risentono di restrizioni in tema di concessione di permessi premio (art. 30-quater ord. pen.), di semilibertà (art. 50-bis ord. pen.), di misure alternative alla detenzione (art. 58-quater, comma 7-bis, ord. pen.) ed in materia di stupefacenti in relazione alla sospensione della pena ex art. 90, d.P.R. 309/1990, nonché in caso di affidamento in prova in casi particolari, disciplinato dall'art. 94 del medesimo decreto.
Recidiva e diritto intertemporale
A mente dell'art. 673 c.p.p., nel caso di abrogazione o di dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto penale di condanna […] e adotta i provvedimenti conseguenti. Il recente indirizzo assunto dalle Sezioni unite della suprema Corte, con la nota sentenza n. 42858 del 29 maggio 2014 (ricorrente Gatto), permette, all'attualità, di ritenere pacifica la tangibilità in executivis del giudicato non solo nel caso di abrogatio criminis o declaratoria di illegittimità costituzionale di norma incriminatrice, ma anche nel caso in cui venga dichiarata l'illegittimità costituzionale di una norma non incriminatrice incidente sul trattamento sanzionatorio.
È il caso di segnalare come il recente intervento della Consulta che ha dichiarato costituzionalmente illegittima la recidiva c.d. obbligatoria determini, in concreto, la potenziale rivalutazione da parte del giudice dell'esecuzione di tutti i casi in cui l'aumento di pena connesso alla recidiva obbligatoria non sia stato adeguatamente motivato. Casistica
Si riportano tutti gli interventi delle Sezioni unite in materia di recidiva
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