RevisioneFonte: Cod. Proc. Pen. Articolo 629
08 Settembre 2015
Inquadramento
La considerazione che anche le sentenze definitive possano contenere errori e che sia necessario porvi rimedio, ha indotto il legislatore a prevedere una impugnazione straordinaria (così definita, rispetto a quelle ordinarie, perché espletabile nei confronti delle decisioni irrevocabili). Peraltro, la consapevolezza che sono stati esperiti i mezzi di impugnazione ordinari e che è necessario stabilizzare i rapporti giuridici ha imposto allo stesso legislatore di delineare con chiarezza i presupposti, le condizioni, gli obiettivi del rimedio. Invero, la revisione è un mezzo che consente – in casi tassativi – di rimuovere gli effetti della cosa giudicata dando priorità alle esigenze di giustizia sostanziale rispetto a quelle di certezza dei rapporti giuridici. Come affermato dalle Sezioni Unite, la precipua funzione della revisione va ravvisata nella necessità di sacrificare il rigore delle forme alle esigenze insopprimibili della verità e della giustizia reale; al fondo del rimedio, dunque, non vi sarebbe tanto l'interesse del singolo, quando piuttosto l'interesse pubblico a porre rimedio all'ingiustizia sostanziale della condanna e alla riparazione degli errori giudiziari. Sotto questo profilo, l'istituto in discorso troverebbe una copertura costituzionale nell'art. 24, comma 4, Cost., con il quale il Costituente ha inteso garantire la riparazione pecuniaria, ma, ancor prima, ha voluto riconoscere la facoltà per il condannato di veder dichiarata la propria innocenza, attraverso un'impugnazione straordinaria. In altri termini, la regola dell'intangibilità del giudicato appare cedente rispetto alla necessità dell'eliminazione dell'errore giudiziario, dato che corrisponde al principio del favor innocentiae, che ha radici profonde in ogni società civile. Le decisioni suscettibili di revisione
Sulla scorta di questo elemento e del principio di stretta legalità, l'istituto opera in ogni tempo – quale rimedio straordinario – nei confronti delle sentenze di condanna e dei decreti penali di condanna, anche se la pena è già stata eseguita o è estinta (art. 629 c.p.p.). Vanno escluse, pertanto, le ordinanze da qualunque giudice emesse e le sentenze di non luogo a procedere e di proscioglimento, ivi comprese quelle applicative di amnistia. Parimenti, si esclude dall'ambito di operatività della revisione il caso dell'abolitio criminis (per il quale opera l'art. 673 c.p.p.), quello delle sentenze pronunciate dai giudici speciali (cfr., per le decisioni della Corte costituzionale, gli artt. 29 e 33 l. 25 gennaio 1962, n. 20, e, per le pronunce dei tribunali militari, l'art. 401 c.p.m.p.). Secondo quanto deciso dalle Sezioni Unite l'istituto non opera nei confronti dei provvedimenti applicativi di misure di prevenzione (Cass. Sez. un. 30 marzo 1998, Pisco, CP 1998, 1931). Se in termini generali non v'è dubbio che la sentenza straniera di condanna non è impugnabile con la revisione, a causa dei limitati effetti del riconoscimento, un problema si è posto, in linea teorica, per la sentenza riconosciuta in Italia ai fini dell'esecuzione ex art. 731 c.p.p. Si è sostenuta l'applicabilità della procedura incidentale di cui all'art. 666 c.p.p. La revisione potrà essere richiesta nei confronti delle sentenze di condanna pronunciate a seguito di rito abbreviato, in caso di concessione della sospensione condizionale della pena, rispetto ai singoli componenti del delitto continuato ovvero di un solo capo di una sentenza cumulativa oggettiva o soggettiva. In seguito dall'art. 3, l. n. 134 del 2003 è superata la questione relativa alla possibilità di ottenere la revisione anche nei confronti della sentenza di patteggiamento.
La prima ipotesi di revisione è costituita dall'inconciliabilità fra giudicati (art. 630, comma 1 lett. a) c.p.p.), non intesa quale semplice contraddittorietà logica tra le valutazioni effettuate nelle due decisioni a confronto, ma come oggettiva incompatibilità tra i fatti su cui si fondano le rispettive decisioni irrevocabili poste a confronto.
. La seconda ipotesi di revisione è costituita dalla revoca di una sentenza civile o amministrativa che abbia deciso una questione pregiudiziale di cui agli artt. 3 e 479 c.p.p., stante il venir meno della consequenzialità tra la decisione di condanna e il suo presupposto giuridico (art. 630 comma 1 lett. b) c.p.p.). La terza ipotesi di revisione è costituita dalla scoperta o dalla sopravvenienza di nuove prove. Sono esclusi i nuovi fatti normativi ed anche i nuovi fatti; deve infatti trattarsi di prova noviter reperta, anche di prova preesistente ma non introdotta (noviter producta), e di quella acquisita al processo, ma pretermessa dal giudice (noviter cognita) (art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p.). in altri termini potrà trattarsi sia di prove sopravvenute alla sentenza definitiva di condanna, sia di quelle scoperte successivamente ad essa, ma anche di quelle non acquisite nel precedente giudizio ovvero di prove acquisite, ma non valutate neanche implicitamente, sempre che non si tratti di prove dichiarate inammissibili o ritenute superflue dal giudice (Cass. Sez. un. 26 settembre 2001, n. 624 Pisano).
La quarta ipotesi di revisione è costituita dall'accertamento – con sentenza divenuta irrevocabile – che la condanna è conseguenza di una falsità in atti o in giudizio o di un altro fatto previsto dalla legge come reato (art. 630 comma 1 lett. d) c.p.p.). A seguito di un percorso complesso (per una prima decisione negativa: Corte. cost. n. 129 del 2008), condizionato dall'inerzia de legislatore, le situazioni suscettibili di legittimare una domanda di revisione sono state arricchite da una declaratoria di incostituzionalità dell'art. 630 c.p.p. nella parte in cui non prevede un diverso caso di revisione della sentenza o del decreto penale di condanna al fine di conseguire la riapertura del processo, quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46 § 1 della Cedu, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte edu (Corte. cost. n. 113 del 2011). Nel caso che ha dato origine alla decisione – caso Dorigo – si trattava della violazione del diritto al contraddittorio con i propri accusatori.
Non essendo prospettabile, di per sé, un nuovo giudizio e una nuova valutazione della vicenda ed essendo il gravame de quo finalizzato a rimuovere un errore giudiziario, il procedimento di revisione è condizionato – a pena di inammissibilità – dalla possibilità che gli elementi addotti dal richiedente siano suscettibili di condurre ad un esito processuale che si deve materializzare in una sentenza di assoluzione (compresa quella conseguente all'operatività della relativa regola di giudizio) o di proscioglimento (compresa l'ipotesi di estinzione del reato) ai sensi degli artt. 529, 530, 531, 631 c.p.p.
La competenza e la richiesta
La competenza -di natura funzionale- la cui violazione è pertanto sanzionata con la nullità assoluta – spetta alla Corte d'appello, individuata ai sensi dell'art. 11 c.p.p. e conseguentemente secondo la tabella allegata all'art. 1 disp. att. c.p.p. La richiesta deve essere proposta personalmente o a mezzo procuratore speciale; deve essere depositata nella cancelleria della Corte d'appello competente; può essere spedita per posta; può essere presentata dal detenuto al direttore della casa circondariale ex art. 123 c.p.p.; deve contenere le ragioni e le prove che la giustificano unitamente ad eventuali atti e documenti; possono essere prodotte a fondamento della richiesta anche indagini difensive se rispettose delle forme prescritte; nei casi di cui all'art. 630, comma 1, lett. a), b) e d) c.p.p., devono essere allegate le copie autentiche delle sentenze (art. 633 c.p.p.). Il procedimento
Preliminare al giudizio si configura la verifica di ammissibilità della richiesta. Ai sensi dell'art. 634 c.p.p., infatti, la Corte d'appello dichiara anche d'ufficio l'inammissibilità della domanda di revisione con eventuale condanna del soggetto privato istante ad una somma a favore della Cassa delle ammende, quando la stessa è stata proposta fuori dalle condizioni fissate dagli art. 629 c.p.p. (le decisioni suscettibili di revisione) e art. 630 c.p.p. (i casi di revisione), nonché senza l'osservanza di quanto previsto dagli art. 631 c.p.p. (i limiti decisori), art. 632c.p.p. (la legittimazione), art. 633 c.p.p. ( le formalità della richiesta), art. 641 c.p.p. (il contenuto d'una nuova richiesta).
La preliminare delibazione di ammissibilità si svolge de plano e, quindi, senza alcuno spazio alla dialettica tra le parti, cui non è prescritto alcun preavviso della data fissata per la camera di consiglio. Si ritiene possibile l'acquisizione del parere del p.m. Non si manca di sottolineare, al riguardo, una certa carenza di tutele difensive, forse rimediabili attraverso l'impugnazione dell' ordinanza; nella fase preliminare di verifica dell'ammissibilità di una richiesta di revisione non è ammissibile alcuna forma di intervento della persona offesa dal reato, anche se si era costituita parte civile nel procedimento conclusosi con la sentenza di condanna. La giurisprudenza è pressoché concorde nell'ammettere che la declaratoria di inammissibilità della richiesta di revisione possa aver luogo anche successivamente all'udienza camerale di cui all'art. 634 c.p.p. Il superamento del vaglio di ammissibilità della richiesta consente al condannato di richiedere ed alla Corte d'appello di disporre la sospensione dell'esecuzione della pena e della misura di sicurezza (art. 635 c.p.p.). Si tratta di un istituto di carattere eccezionale, in quanto derogatorio del principio dell'obbligatorietà dell'esecuzione, e presuppone l'esistenza di situazioni in cui appaia verosimile l'accoglimento della domanda di revisione e la conseguente revoca della condanna. Anche se il codice consente alla Corte d'appello di adottare il provvedimento di sospensione “in qualunque momento”, deve ritenersi che la sede “naturale” della sospensione sia costituita dalla fase del giudizio che segue al vaglio preliminare. Sussistendo le esigenze cautelari, la Corte d'appello può applicare una delle misure coercitive previste dagli artt. 281, 282, 283 e 284 c.p.p., cioè, il divieto di espatrio, l'obbligo di presentazione alla p.g., l'allontanamento dalla casa familiare, il divieto e l'obbligo di dimora e gli arresti domiciliari (art. 635, comma 1, c.p.p.). In relazione ai presupposti per l'applicazione di una misura coercitiva, la Cassazione ha precisato che la valutazione delle esigenze cautelari va condotta alla stregua dei criteri enunciati dall'art. 274 c.p.p. anche se, riguardando la posizione di persone già condannate, detto vaglio deve essere più rigoroso. Si tende ad escludere la rilevanza del pericolo di inquinamento probatorio e ad ammettere che le misure possano essere applicate anche in deroga ai presupposti edittali previsti dagli artt. 280 ss. c.p.p. In ogni caso di inosservanza della misura, la Corte d'appello revoca l'ordinanza e dispone l'esecuzione della pena o della misura di sicurezza.
Contro l'ordinanza che decide sulla sospensione dell'esecuzione, sull'applicazione delle misure coercitive, sulla revoca, il p.m. e il condannato possono ricorrere per Cassazione (art. 635, comma 2, c.p.p.). In caso di rigetto da parte della Corte di appello della richiesta di sospensione dell'esecuzione della pena, in pendenza di un procedimento di revisione, la Corte di cassazione non può disporre la sospensione stessa, dal momento che il suo sindacato è limitato all'esame del ricorso avverso l'ordinanza di diniego. Il giudizio e la decisione
Qualora la richiesta sia ammissibile, il presidente della Corte d'appello emette il decreto di citazione ai sensi dell'art. 601 c.p.p. (art. 636, comma 1, c.p.p.). a seguito della citazione il condannato riassume la qualifica di imputato (art. 60 c.p.p.); stante la possibile operatività dell'effetto estensivo andrà citato il coimputato, in presenza di situazioni giuridiche che li coinvolgano andranno citati il responsabile civile ed il civilmente obbligato nonché la parte civile. In caso di morte del condannato, dopo la presentazione della richiesta di revisione, i diritti del condannato sono esercitati da un curatore nominato dal presidente della Corte d'appello (art. 638 c.p.p.).
La deliberazione della sentenza seguirà le indicazioni di cui agli artt. 525, 526, 527 e 528 c.p.p. (art. 637, comma 1, c.p.p.). E' esclusa la possibilità di un esito proscioglitivo basato soltanto su di una diversa valutazione delle prove assunte nel precedente giudizio (art. 637, comma 3, c.p.p.). In caso di accoglimento della richiesta di revisione, il giudice revocherà la precedente decisione di condanna (art. 637, comma 2, c.p.p.); inoltre, anche nel caso previsto dall'art. 638 c.p.p., ordinerà la restituzione delle somme pagate in esecuzione della condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali, per quelle di mantenimento in carcere e per il risarcimento a favore della parte civile (citata nel giudizio di revisione); il giudice, altresì, ordina la restituzione delle cose confiscate, escluse quelle per le quali la confisca è obbligatoria (art. 639 c.p.p.). A richiesta dell'interessato, quale forma di “risarcimento” morale, la sentenza di accoglimento è affissa per astratto nel comune in cui la condanna era stata pronunciata, in quello dell'ultima residenza, nonché in un giornale (art. 642 c.p.p.). In caso di rigetto il giudice condannerà la parte privata al pagamento delle spese e disporrà, se è stata disposta la sospensione, la ripresa dell'esecuzione della pena e delle misure di sicurezza (art. 637, comma 4, c.p.p.). In caso di decisione di rigetto o di ordinanza di inammissibilità, i soggetti legittimati possono presentare una nuova richiesta, se fondata su elementi diversi (art. 641 c.p.p.).
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