Obbligo di presentazione alla P.G.Fonte: Cod. Proc. Pen. Articolo 282
06 Agosto 2015
Inquadramento
L'obbligo di presentazione alla P.G. è la misura cautelare con cui il giudice prescrive alla persona indagata o imputata di presentarsi in un determinato ufficio di polizia, nei giorni e nelle ore predeterminate con l'ordinanza impositiva. A questo fine, il giudice – per non rendere inutilmente gravoso l'obbligo imposto – terrà conto sia dell'attività lavorativa dell'imputato, sia del luogo nel quale è fissata l'abitazione. L'art. 282 c.p.p. ha riconosciuto al giudice ampia discrezionalità circa le modalità esecutive della misura, il cui contenuto dipende dalle eventuali prescrizioni concretamente imposte con il provvedimento. Il richiamo alla considerazione del luogo di abitazione e delle esigenze lavorative dovrebbe comunque fungere da limite alla predetta discrezionalità e soprattutto dovrebbe impedire che, per il tramite di una indicazione troppo rigorosa delle ore di presentazione, la misura in parola si trasformi – di fatto – nell'obbligo di dimora di cui al successivo art. 283 c.p.p. Il giudice è libero di individuare anche l'ufficio di polizia presso il quale l'interessato è tenuto a presentarsi; si ritiene, tuttavia, che tale ampia discrezionalità sia sindacabile in sede di riesame o di appello in quanto trattasi di un profilo che incide sul grado di afflittività della misura.
L'obbligo di presentazione alla P.G. si esegue tramite notificazione dell'ordinanza che dispone la misura cautelare; nel silenzio della legge, si ritiene che anche in questo contesto operi il disposto contemplato dall'art. 283, comma 6, c.p.p. e che dunque sia necessaria una comunicazione del provvedimento all'autorità di polizia competente alla predisposizione dei controlli sulla misura. Considerando che il principio della domanda cautelare vige non solo al momento della adozione della misura ma anche quando, per l'aggravamento delle esigenze cautelari, vengano in rilievo le modalità esecutive della stessa, si è ritenuta illegittima l'iniziativa del giudice che, in assenza di richiesta da parte del P.M., abbia impartito ex officio modalità più gravose di applicazione (Cass. pen., Sez. VI, 14 febbraio 1992). La cautela in esame non è applicabile agli imputati minorenni sia in considerazione della tassatività delle misure che possono essere adottate nei loro confronti sia in ragione delle finalità educative delle prescrizioni che possono essere loro impartite a norma dell'art. 20, d.P.R. 22 settembre 1988, n. 488 (Cass. pen., Sez. II, 14 febbraio 1990; nello stesso senso, più di recente, Cass. pen., Sez. IV, 23 maggio 2013, n. 27352). Nessun ostacolo all'operatività della misura discende, invece, dal divieto di adozione di un provvedimento cautelare quando sia ipotizzabile, con la sentenza, la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, perché questo deve essere riferito esclusivamente alla detenzione in carcere e agli arresti domiciliari e non alle altre limitazioni della libertà personale, come, ad esempio, la presentazione periodica alla P.G. (Cass. pen., Sez. VI, 9 gennaio 2008, n. 18683). Cumulo con altre misure
Nonostante la ritenuta compatibilità dell'obbligo di presentazione alla P.G. con l'osservanza delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale (Cass. pen., Sez. I, 30 ottobre 2008, n. 42112), la misura in esame non può essere applicata cumulativamente ad altre misure cautelari fuori dai casi tassativamente previsti dalla legge, pena l'illegittimità del provvedimento per violazione di legge, sotto il profilo dell'eccesso di potere. Non è ammissibile, pertanto, l'applicazione simultanea di due diverse misure tipiche quali, ad esempio, quella contemplata dall'art. 282 c.p.p. e l'obbligo di dimora di cui all'art. 283 c.p.p. (Cass. pen., Sez. III, 4 maggio 2004, n. 37987). Non mancano, invero, posizioni diversificate. Si è affermato, infatti, che in tema di misure cautelari personali, l'applicazione congiunta di misure coercitive tra loro compatibili deve ritenersi consentita anche fuori dalle ipotesi disciplinate dagli artt. 276 c.p.p. (trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una misura precedentemente imposta) e art. 307 c.p.p. (provvedimenti in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini), poiché la legge impone l'adozione del trattamento meno afflittivo tra quelli idonei ad assicurare le esigenze cautelari, e la combinazione tra i vincoli derivanti da più misure può consentire la rinuncia a provvedimenti di tipo custodiale altrimenti necessari (Cass. pen., Sez. VI, 24 maggio 2000). A definitivo conforto della prima tra le prospettive considerate si pone, tuttavia, la soluzione offerta dalle Sezioni unite. La Suprema Corte, infatti, ha ritenuto che l'applicazione cumulativa di misure cautelari personali può essere disposta soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge agli artt. 276, comma 1, c.p.p. e art. 307, comma 1-bis, c.p.p.; è da escludere, invece, l'imposizione aggiuntiva di ulteriori prescrizioni non previste dalle singole disposizioni regolanti le singole misure, né l'applicazione congiunta di due distinte misure, omogenee o eterogenee, che pure siano tra loro astrattamente compatibili (Cass. pen., Sez. un., 30 maggio 2006, n. 29907). Revoca
Non operando la riparazione per l'ingiusta detenzione, la revoca della misura escluderà l'interesse al gravame (Cass. pen., Sez. un., 12 ottobre 1993). Di conseguenza è da considerarsi inammissibile, per carenza di interesse, l'impugnazione dell'indagato quando, nelle more del procedimento incidentale de libertate, la misura si stata revocata (Cass. pen., Sez. VI, 30 ottobre 2008, n. 43784). Successivamente alla condanna e prima che abbia inizio l'esecuzione della pena, la competenza a decidere sulla richiesta di revoca appartiene al giudice dell'esecuzione e non al magistrato di sorveglianza (Cass. pen., Sez. I, 15 luglio 2009, n. 31094).
Scomputo ai fini della della determinazione della pena o di sanzioni sostitutive
Considerando che l'obbligo di presentazione alla P.G. non è equiparato legislativamente alla custodia in carcere o in un luogo di cura, generalmente si esclude che sia scomputabile dalla determinazione della pena da eseguire il periodo in cui l'interessato sia stato sottoposto alla relativa misura cautelare (Cass. pen., Sez. VI, 23 marzo 1995, n. 1171). A tal proposito, si è ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 657 c.p.p. nella parte in cui non consente al pubblico ministero, ai fini della determinazione della pena da eseguire, di tenere conto del periodo in cui l'imputato è stato sottoposto all'obbligo di dimora ed all'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, per contrasto con gli artt. 3, 13, comma 2, e 27, comma 1, Cost.; ciò in quanto la possibilità che in seguito alle sentenze della Corte costituzionale 343/1987 e 282/1989 è data al magistrato di sorveglianza di tenere conto, ai fini della determinazione della residua pena nei casi di revoca dell'affidamento in prova e della liberazione condizionale, della durata delle limitazioni patite dal condannato nel periodo di prova o di libertà condizionale, trova la sua ragione nella particolare funzione svolta dal magistrato di sorveglianza, chiamato alla valutazione della persona e del suo comportamento ai fini del giudizio prognostico in ordine alla pericolosità ed alla possibilità di reinserimento nel tessuto sociale, nonché nelle finalità delle misure alternative alla detenzione, volte alla rieducazione del reo, ben diverse sia dalla funzione attribuita al pubblico ministero, chiamato in sede di esecuzione ad un mero esercizio di calcolo matematico che prescinde da valutazioni di tipo diverso, sia dalle finalità proprie delle anzidette misure cautelari (Cass. pen., Sez. VI, 23 marzo 1995, n. 1171). Nello stesso senso si è ritenuta manifestamente infondata, in relazione agli artt. 13 e 16 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli artt. 282 e 283 (recte: art. 657) c.p.p., nella parte in cui non equiparano le misure coercitive dell'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria e del divieto ed obbligo di dimora alla custodia cautelare in carcere ai fini della fungibilità sulla sanzione sostitutiva da espiare, in quanto, da un lato, si deve escludere che il legislatore abbia considerato la sottoposizione dell'indagato o imputato alle misure coercitive sopra indicate così limitativa della libertà del soggetto e così afflittiva da poterla far ritenere equivalente allo stato di custodia cautelare in carcere e, dall'altro, non risulta violata la garanzia del provvedimento motivato dell'autorità giudiziaria, posto che è il magistrato di sorveglianza a disporre circa le modalità di esecuzione della sanzione sostitutiva della pena (Cass. pen., Sez. I, 5 giugno 1995, n. 3372). Casistica
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