Omicidio dolosoFonte: Cod. Pen Articolo 575
04 Agosto 2015
Inquadramento
L'art. 575 c.p. – “omicidio” – apre il Capo I, Titolo XII, Libro secondo del codice penale: delitti contro la persona e, in particolare, contro la vita e l'incolumità individuale di persone determinate. La fattispecie va necessariamente letta in combinato con gli artt. 42 e 43 c.p., sull'elemento soggettivo del reato, e con gli artt. 576 e 577 c.p., che prevedono alcune circostanze aggravanti speciali, influenti in maniera rilevante sul trattamento sanzionatorio. All'interno del Capo citato, il bene giuridico di categoria, la vita, viene tutelato anche con riferimento a figure delittuose ulteriori: infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale (reato proprio della madre, ex art. 578 c.p.), omicidio del consenziente (artt. 579 e 50 c.p., nonché art. 5 c.c.), istigazione o aiuto al suicidio (art. 580 c.p.), omicidio preterintenzionale (artt. 584 e 585 c.p.), morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.), omicidio colposo (art. 590 c.p.). Considerazioni introduttive e analisi della fattispecie
Il diritto penale moderno, fondato sui principi di materialità, offensività e colpevolezza, è necessariamente orientato verso la tutela di oggettività giuridiche aventi rilevanza costituzionale, anche implicita. Di esse, la vita umana è senz'altro posta al vertice della scala valoriale dell'ordinamento (cfr. artt. 2, 13, 32 Cost.; art. 2, comma 2 Grundgesetz tedesco; art. 3 Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; art. 2 Cedu; art. 2 Carta dei diritti fondamentali dell'UE) ed il sistema tende alla sua protezione contro ogni modalità aggressiva (reato c.d. a forma libera o causalmente orientato), in tutte le forme di imputazione soggettiva (dolo, colpa e preterintenzione). In questo senso trova conferma il rapporto di proporzionalità inversa intercorrente tra il rango dell'interesse tutelato e l'estensione del principio di frammentarietà tipico del diritto penale. Il bene-vita si caratterizza per la sua (relativa) indisponibilità da parte del titolare. La tutela garantitagli dall'ordinamento assume pertanto natura oggettiva, nel senso che essa opera indipendentemente ed a prescindere dall'individuo che ne è portatore: la vita, in altre parole, rappresenta un interesse rilevante anche per la collettività (cfr., in questo senso, art. 32 Cost.: ”[…] salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività”). L'omicidio, conclusivamente, rientra nei c.d. “reati naturali” o mala in se. La fattispecie presenta una struttura relativamente semplice da decodificare: l'intero disvalore è incentrato sull'evento – in senso naturalistico e giuridico - morte di un uomo, e la condotta tipica è espressa in maniera particolarmente ampia attraverso l'impiego del verbo cagiona. Si tratta di un reato comune, realizzabile da chiunque. Il delitto si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica l'evento-morte. Trattandosi di un tipico reato di evento è pienamente ammissibile il tentativo.
Il profilo dell'imputazione oggettiva implica il riferimento ulteriore agli artt. 40 e 41 c.p., in tema di causalità. A questo proposito, l'ampia portata semantica del verbo cagiona, utilizzato dal legislatore, consente di ricondurre al campo di applicazione della norma tanto le azioni quanto le omissioni cui la morte sia eziologicamente riconducibile. Assumono rilievo, pertanto, le condotte attivamente dirette a cagionare l'evento e quelle caratterizzate dal non impedimento dello stesso, giusta la previsione di cui al capoverso dell'art. 40 c.p. citato (c.d. tecnica del “raddoppio” delle previsioni incriminatrici). In tale ultima ipotesi il fatto sarà qualificabile come reato omissivo improprio o commissivo mediante omissione. Determinante, ad ogni modo, risulta la corretta individuazione del titolare della posizione di garanzia nel caso specifico, ovvero il soggetto che aveva l'obbligo giuridico di impedire l'evento morte. Il rapporto di causalità tra omissione ed evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, che a sua volta deve essere fondato, oltre che su un ragionamento di deduzione logica basato sulle generalizzazioni scientifiche, anche su un giudizio di tipo induttivo elaborato sull'analisi della caratterizzazione del fatto storico e sulle particolarità del caso concreto: Cass. pen., Sez. un., 10 luglio 2002, n. 30328, Franzese. Per l'identificazione dell'elemento soggettivo rilevante ai fini dell'integrazione della fattispecie sarà sufficiente fare ricorso agli ordinari criteri di interpretazione ed in particolare a quello sistematico (cfr. art 12, disposizioni sulla legge in generale). L'art. 42, comma 2, c.p. stabilisce che nessuno può essere punito per un delitto se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o colposo espressamente preveduti dalla legge. Ebbene, l'art. 575 c.p. (diversamente, ad esempio, dall'art. 589 c.p. “omicidio colposo”) non fornisce alcuna specificazione circa l'elemento psicologico del reato, di guisa che potrà farsi applicazione della regola generale sopra riportata, secondo la quale l'ordinario criterio di imputazione soggettiva per i delitti è il dolo. Quanto alla forma di dolo idonea e sufficiente ad integrare la fattispecie di cui all'art. 575 c.p. occorrerà svolgere alcune ulteriori considerazioni. In primo luogo appare utile soffermarsi sulla disciplina di cui all'art 364 del codice penale Zanardelli (1889), la quale prevedeva il fine di uccidere, unitamente al cagionare la morte di alcuno: l'inciso citato, per la verità, non deve essere ricondotto alla figura del dolo specifico, quanto piuttosto a quella del dolo intenzionale. Da siffatta considerazione emerge chiaramente come, ai fini dell'imputazione soggettiva del reato di cui all'attuale art. 575 c.p., sarà sufficiente il dolo generico, a sua volta compatibile con quello eventuale. L'accertamento dell'animus necandi, inteso come rappresentazione e volizione della propria condotta e della morte cagionata in conseguenza di essa, può essere agevolato dal ricorrere di alcuni elementi sintomatici dell'azione criminosa: il numero e la violenza dei colpi inferti, la micidialità dei mezzi usati, la parte del corpo presa di mira o raggiunta dall'azione, la distanza al momento del fatto, i rapporti tra le parti ed i relativi comportamenti antecedenti. Va infine segnalato che l'art. 579, comma 3, c.p. (consenso prestato da persona incapace, inferma o costretta), e l'art. 580, comma 2, c.p., secondo periodo (suicidio dell'incapace) considerano i fatti ivi descritti “alla stregua” di un delitto doloso, con conseguente applicazione delle relative disposizioni. In merito alla tematica dell'elemento soggettivo nel tentativo di omicidio, secondo l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, il dolo eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato mentrevi è compatibilità tra tentativo penalmente punibile e dolo alternativo (Cass. pen., Sez. II, 28 marzo 2012, n. 14034). Per distinguere il reato di lesione personale da quello di tentato omicidio, così come avviene in genere per tutti i casi di reato progressivo, occorre avere riguardo sia al diverso atteggiamento psicologico dell'agente sia alla differente potenzialità dell'azione lesiva. Non è infine configurabile la desistenza quando gli atti posti in essere integrano già gli estremi del tentativo; può, al più, in questo caso operare la diminuente per il cosiddetto recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l'evento (Cass. pen., Sez. I, 28 febbraio 2012, n. 11746). Di particolare rilievo sono anche gli ultimi approdi giurisprudenziali in tema di distinzione tra dolo eventuale e colpa con previsione ex art. 61, n. 3, c.p. (cfr. Cass. pen., Sez. un., 24 aprile 2014, n. 38343). Regime sanzionatorio
La pena prevista per l'omicidio doloso ai sensi dell'art. 575 c.p. è la reclusione non inferiore ad anni ventuno. Il termine di prescrizione è ventiquattro anni. Nell'impostazione originaria del codice la ricorrenza delle circostanze aggravanti di cui all'art. 576 c.p. comportava l'applicazione al colpevole di una pena di specie diversa, la pena di morte: siffatta sanzione è stata ormai definitivamente espunta dall'ordinamento giuridico italiano in seguito alla modifica dell'ultimo comma dell'art. 27 Cost. ad opera dell'art. 1, l. cost. 1/2007, che ha abrogato l'inciso ”se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra“. In generale, per i delitti previsti nel codice penale e in altre leggi diverse da quelle militari di guerra, la pena di morte è stata soppressa e sostituita con l'ergastolo dal d.lgs. 224/1944; successivamente, per i delitti previsti dalle leggi militari di guerra, la pena di morte è stata abolita e sostituita con quella ”massima prevista dal codice penale“ (l. 589/1994). Dal punto di vista formale, il riferimento alla pena di morte nella rubrica e nel testo dell'articolo 576 c.p. è stato sostituito con quello alla pena dell'ergastolo dalla l. 172/2012. Attualmente, tutte le circostanze speciali di cui agli artt. 576 e 577 c.p. comportano l'applicazione della pena – di specie diversa – dell'ergastolo (art. 22 c.p.) (in tal caso il reato diviene imprescrittibile), ad eccezione di quella di cui al comma 2 dell'art. 577 c.p. citato (omicidio contro il coniuge, il fratello o la sorella, il padre o la madre adottivi, il figlio adottivo – che ormai dovrebbe rientrare nell'ipotesi del figlicidio in quanto la filiazione adottiva è stata equiparata a quella legittima – o un affine in linea retta) che prevede la reclusione da ventiquattro a trenta anni (termine di prescrizione: trenta anni). In particolare, le aggravanti di cui all'art. 576 c.p. sono le seguenti:
L'art. 577 c.p. prevede quali aggravanti:
Ulteriori circostanze aggravanti dell'omicidio volontario sono previste dagli artt. 71, d.lgs. 159/2011 (c.d. codice antimafia), 36, l. 104/1992, in materia di assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate, 1, l. 107/1985 per la prevenzione e la repressione dei reati contro le persone internazionalmente protette, nonché 1150 cod. nav. (“omicidio del superiore”). L'aggravante c.d. del “metodo mafioso”, prevista dall'art. 7, d.l. 152/1991, convertito in l. 203/1991, è applicabile anche ai delitti astrattamente punibili con la pena edittale dell'ergastolo: essa pertanto può e deve essere validamente contestata anche con riferimento ad essi ma opera in concreto solo se, di fatto, viene inflitta una pena detentiva diversa dall'ergastolo, mentre, se non esclusa all'esito del giudizio di cognizione, esplica comunque la sua efficacia a fini diversi da quelli di determinazione della pena (Cass. pen., Sez. un., 18 dicembre 2008, n. 337). Aspetti processuali
La gravità del reato giustifica la procedibilità d'ufficio e la competenza per materia della Corte d'assise (art. 5, comma 1, lett. a), c.p.p.); nell'ipotesi di delitto tentato, comunque aggravato ex artt. 576 e 577 c.p., la competenza spetta al tribunale in composizione collegiale (art. 33-bis c.p.p.). L'arresto in flagranza è obbligatorio ai sensi dell'art. 380, comma 1, c.p.p. ed il fermo di indiziato di delitto (art. 384 c.p.p.) è consentito. L'applicazione di misure cautelari limitative della libertà personale è sottoposta ad una doppia garanzia di legalità: a norma degli art. 13 Cost. e art. 272 c.p.p. Con particolare riferimento alla custodia cautelare in carcere (artt. 285 c.p.p. - 286-bis c.p.p.) occorre avere riguardo, oltre alle condizioni generali di applicabilità delle misure (art. 273 c.p.p.) ed alle esigenze cautelari (art. 274 c.p.p.), ai criteri di scelta di cui all'art. 275 c.p.p. Casistica
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