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Delega delle posizioni di garanzia nelle organizzazioni complesse

03 Febbraio 2016

La complessità della struttura degli enti e delle imprese rende sovente problematica l'attribuzione della responsabilità penale ai soggetti che operano al loro interno. Si tratta, nondimeno, di un aspetto di cruciale interesse, in quanto le fattispecie criminose astratte si presentano come proprie prevedendo come soggetti agenti figure quali “l'imprenditore”, “il datore di lavoro”, “l'amministratore”, la cui sussistenza va accertata in concreto.
Inquadramento

La complessità della struttura degli enti e delle imprese rende sovente problematica l'attribuzione della responsabilità penale ai soggetti che operano al loro interno.

Si tratta, nondimeno, di un aspetto di cruciale interesse, in quanto le fattispecie criminose astratte si presentano come proprie prevedendo come soggetti agenti figure quali “l'imprenditore”, “il datore di lavoro”, “l'amministratore”, la cui sussistenza va accertata in concreto. Si tratta di qualifiche che riassumono i poteri di gestione e di controllo delle attività esplicate all'interno dell' ente o di un settore autonomo di esso, ed in ragione di ciò comportano l'attribuzione di particolari responsabilità.

Senonché, la molteplicità delle attività da svolgere e l'estrema varietà degli adempimenti connessi alla titolarità delle posizioni di vertice inducono i soggetti apicali ad avvalersi per le loro attività delle complesse articolazioni che oramai caratterizzano le moderne aziende, gli enti pubblici e persino gli enti non personificati o senza scopo di lucro: organizzazioni connotate da una sempre più capillare distribuzione orizzontale e verticale di funzioni e correlati poteri. Ne deriva la necessità di verificare se, in quale misura e a quali condizioni tale distribuzione organizzativa di compiti possa incidere sull'individuazione del soggetto cui ascrivere, nell'ambito delle organizzazioni complesse, la responsabilità penale.

Il problema dell'ammissibilità e della rilevanza penalistica della delega di funzioni nelle strutture organizzative complesse si pone sempre più frequentemente in considerazione della talvolta oggettiva impossibilità dei soggetti posti al vertice delle stesse di assolvere da soli alla molteplicità di obblighi che le numerose normative di settore prevedono in relazione allo svolgimento di talune attività, perseguendone penalmente l'inosservanza. Si fa riferimento agli obblighi – gravanti sul soggetto titolare del rapporto di lavoro, ovvero, su chi a seconda del tipo o dell'organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità della stessa ovvero della singola unità produttiva (c.d. preposto) – di adottare le necessarie misure volte a prevedere, prevenire ed evitare il verificarsi di eventi lesivi a carico sia dei dipendenti dell'impresa, sia di terzi, in ragione della natura dell'attività in concreto esercitata e dei rischi ad essa connessi.

Evidente la necessità di articolare l'organizzazione della struttura attendendo ad una ripartizione orizzontale e verticale dei compiti, assegnati a soggetti che, nella struttura organizzativa-gerarchica dell'ente, rivestono posizioni subordinate.

Il problema consiste quindi nel verificare se l'assegnazione ad altri di compiti fisiologicamente gravanti sul soggetto che riveste la posizione verticistica all'interno della struttura complessa (e alla cui titolarità la legge ricollega la sussistenza di obblighi la cui violazione è penalmente perseguita ed il riconoscimento quindi di una autentica posizione di garanzia a presidio di determinati beni) possa sortire effetto sul meccanismo di individuazione delle responsabilità penali, comportando la traslazione o, quanto meno, l'estensione delle stesse in capo al delegato.

La tematica va esaminata considerando che all'esigenza di tener fede al principio costituzionale di personalità della responsabilità penale si contrappone quella a che sia neutralizzato ogni tentativo volto a concentrare e scaricare verso i gradini più bassi della trama organizzativa le superiori responsabilità.

In questa ottica si inserisce il problema dei riflessi penalistici della ripartizione statutaria delle funzioni o della delega di esse da parte del titolare originario.

Volendo schematizzare, occorre esaminare, in ordine logico, le seguenti questioni:

  • individuazione del soggetto che, nella struttura complessa, assume la veste di garante originario dei beni presidiati dalla norma penale, del soggetto cioè su cui grava, in disparte ancora il problema dell'ammissibilità e della rilevanza della delega, l'obbligo penalmente sanzionato posto dalla disciplina di settore;
  • ammissibilità della delega e relative implicazioni nella distribuzione, tra delegante e delegato, delle responsabilità penali;
  • requisiti alla cui sussistenza è subordinato il funzionamento del meccanismo di delega idoneo a sortire effetti in ambito penale.
L'individuazione del soggetto responsabile nelle organizzazioni complesse

L'individuazione del destinatario del precetto penale è, in concreto, questione preliminare rispetto a quella della trasferibilità delle funzioni.

Diverse al riguardo le posizioni emerse nel dibattito.

Teoria formalista. Per la c.d. teoria formalista occorre fare riferimento alla astratta qualifica rivestita dal soggetto nell'organizzazione in base alla regolamentazione interna.

Si è tuttavia obiettato che, tenendo conto della sola qualifica formale, si corre il rischio di legittimare responsabilità di posizione di soggetti privi di fatto di poteri decisionali.

Si è anche osservato in senso critico come, tra gli stessi sostenitori di tale teoria, alcuni prendono in considerazione il potere di amministrazione, altri il potere di rappresentanza.

Senonché né l'uno né l'altro orientamento risulta idoneo da solo a focalizzare il centro di imputazione della responsabilità reale, non mancando attività illecite che possono essere svolte anche senza spendita del nome (ad esempio la mancata o inadeguata predisposizione di misure a tutela della sicurezza sul lavoro); parimenti, ve ne sono altre che, per quanto realizzate dal rappresentante, sono riconducibili alla volontà di soggetti diversi, dotati nell'organizzazione di maggiori poteri decisionali.

Teoria funzionale. È stata così elaborata la c.d. teoria funzionale che ha opposto al criterio formale quello sostanziale in forza del quale è necessario guardare alle mansioni concretamente svolte.

Anche tale impostazione si è tuttavia prestata a rilievi critici.

Si è osservato, infatti, come la stessa appaia basata su un'operazione interpretativa di tipo analogico ed in malam partem finendo per assecondare un'ingiusta prassi di slittamento verso il basso delle responsabilità penali in capo a soggetti che, pur svolgendo, di fatto, le funzioni rispetto alle quali viene posto il precetto penale, non sono nelle condizioni di governarle in concreto, perché privi dei poteri necessari, normativamente riservati solo ai titolari delle qualifiche formali.

Teoria organica intermedia. Secondo una nuova elaborazione, la c.d. teoria organica, si deve tenere conto sia della qualifica che della concreta distribuzione delle funzioni all'interno dell'ente organizzato.

Le qualifiche, indicate dal legislatore penale (“dirigente”, “datore di lavoro”, etc.), non si riferiscono ad entità naturalisticamente riconoscibili ma vanno tradotte in concreto, tenendo conto delle regole interne all'organizzazione.

Pertanto, per dare giusta applicazione alla norma penale, il soggetto attivo del reato dovrà essere riconosciuto in colui che abbia la possibilità concreta di ledere gli interessi tutelati ovvero di impedire il cagionarsi dell'evento dannoso.

Tale operazione non sarebbe possibile senza tenere conto delle norme che presiedono alla struttura organizzativa dell'ente; le stesse dovranno valere ad integrare la norma quali elementi extrapenali implicitamente richiamati, sempreché siano di natura statutaria, conformi ai requisiti richiesti dalla legislazione civile e adeguate al concreto assetto dell'organizzazione.

Anche la teoria organica è stata criticata per l'importanza dalla stessa riservata alla titolarità formale dei poteri e per il conseguente inevitabile coinvolgimento, nel meccanismo della responsabilità, dei vertici degli enti; si è tuttavia replicato che l'indagine sulla titolarità dei poteri non esaurisce quella sulla responsabilità dei soggetti attivi del reato e che i rischi di una responsabilità da posizione sono adeguatamente scongiurati dal successivo e indispensabile accertamento in ordine all'elemento psicologico, all'esigibilità della condotta e all'eventuale propagazione dei poteri verso altri soggetti secondo l'articolazione della struttura organizzata.

In evidenza

Sul punto va segnalata la posizione della giurisprudenza che, seppure oscillante, tende a mantenere ferma la responsabilità per omessa vigilanza in capo ai vertici dell'organizzazione, pure assegnando rilievo alla distribuzione statutaria o per delega dei poteri di fatto al fine di individuare altri soggetti responsabili.

In tema di infortuni sul lavoro, la delega di funzioni – ora disciplinata precipuamente dall'art. 16 Tu sulla sicurezza – non esclude l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite; tuttavia, detta vigilanza non può avere per oggetto la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato. Ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento delle singole lavorazioni. (In applicazione del principio di cui in massima la suprema Corte ha censurato la decisione con cui la Corte di appello –in riforma di quella assolutoria del Tribunale – ha affermato la responsabilità, in ordine al reato di omicidio colposo, dell'imputato, legale rappresentante di una società e datore di lavoro, pur in presenza di valida delega concernente la parte tecnica-operativà attribuita ad altro soggetto, separatamente giudicato). (Cass. pen., Sez. IV, n. 10702/2012).

L'ultima delle tesi illustrate ha ricevuto un avallo importante, prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2008, nel d.lgs. 19 settembre 1994 n. 626, riguardante la sicurezza sul lavoro, che, agli effetti delle proprie disposizioni, definiva datore di lavoro (nella nuova formulazione dovuta all'intervento del decreto legislativo correttivo 19 marzo 1996, n. 242) il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o comunque il soggetto che, secondo il tipo e l'organizzazione dell'impresa, ha la responsabilità dell'impresa stessa ovvero di una sua autonoma unità produttiva (...), in quanto titolare dei poteri decisionali e di spesa (art. 2, comma 1, lett. b), ora abrogato). La previsione è ora confluita nell'art. 2, comma 1, lett. b), d. lgs. n. 81 del 2008, a tenore del quale è datore di lavoro il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l'assetto dell'organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell'organizzazione stessa o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.

La disposizione non ripudia, quindi, il concetto formale di datore di lavoro come rappresentante legale dell'impresa ma ne autorizza il superamento a favore di un concetto sostanziale.

Tale ampia definizione ricomprende tutte le diverse nozioni di datore di lavoro:

1) quella tradizionale che ha riguardo alla formale titolarità del rapporto di lavoro ex art. 2082 c.c.;

2) quella sostanziale ancorata alla concreta responsabilità dell'impresa, secondo la statutaria ripartizione dei poteri;

3) quella, infine, del datore di lavoro di fatto ricavabile dall'avverbio comunque, con la quale si mette in rilievo che è essenziale verificare in capo al soggetto la disponibilità dei poteri inerenti alla funzione, a qualsiasi titolo acquisita (quindi anche in base ad una delega).

La scelta di attribuire centralità dirimente al principio di effettività ha trovato conferma anche nel d.lgs. 81/2008, il quale, agli artt. 2 e 299, enfatizza il rilievo dell'effettività dei poteri decisionali e di spesa, i quali possono determinare l'insorgenza della responsabilità penale anche in capo al preposto di fatto, ossia al soggetto che, pur essendo sprovvisto di regolare conferimento di incarico, abbia in concreto esercitato i poteri giuridici propri dei soggetti individuati come destinatari originari dei precetti penali dalla normativa (datore di lavoro, dirigente, preposto).

Del resto la giurisprudenza, già prima del d.lgs. 81/2008, aveva valorizzato il profilo dell'esercizio effettivo dei poteri, prescindendo dalla necessità della qualifica formale (Cass. pen., Sez. IV, 22 novembre 2006, n. 38428, secondo cui il responsabile della sicurezza sui luoghi di lavoro è anche il titolare di fatto dei poteri direttivi. Non importa, infatti, la qualifica formale rivestita all'interno della società, bensì il concreto ruolo svolto: pertanto è responsabile dell'incolumità dei lavoratori anche colui che, pur apparentemente preposto solo a funzioni dirigenziali, di fatto, provvede all'organizzazione del lavoro aziendale).

Stabilito, dunque, che:

  • il legislatore individua i soggetti destinatari degli obblighi derivanti dalla normativa antinfortunistica alla stregua di un criterio misto, attribuendo parimenti rilievo alla qualifica formale e alla effettività delle funzioni svolte;
  • tra i due caratteri, formale e sostanziale, la prevalenza viene comunque accordata a quello sostanziale, alla stregua del principio di effettività;
  • i destinatari originari della normativa de qua sono il datore di lavoro, il dirigente e il preposto, oltre che, alla luce del disposto dell'art. 299 del d.lgs. 81/2008, il preposto di fatto;
  • tali soggetti, ciascuno titolare di un'autonoma posizione di garanzia, sono ab origine ed ex lege investiti degli obblighi elencati nel provvedimento normativo e sono, di conseguenza, responsabili delle violazioni eventualmente commesse,

deve essere verificato se e in quale misura sia possibile per il destinatario originario del precetto trasferire negozialmente l'obbligo di prevenzione e la responsabilità conseguente in capo ad altro soggetto, attraverso l'istituto della delega di funzioni.

Ebbene, la giurisprudenza ha costantemente affermato che, anche a fronte di una delega valida ed efficace, il datore di lavoro non può andare esente da responsabilità ex art. 40 cpv c.p. per eventi dannosi che siano occorsi ai lavoratori, laddove sia dimostrato che essi hanno tratto origine da omissioni o violazioni di norme antinfortunistiche i cui obblighi ricadevano esclusivamente sul destinatario originario del precetto. Sul punto, costituisce affermazione consolidata che il datore di lavoro è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica. Ciò dovendolo desumere, anche a non voler considerare gli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro dal decreto legislativo in commento, dalla “norma di chiusura” stabilita nell'art. 2087 c.c., che integra tuttora la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi tout court garante dell'incolumità del lavoratore. In breve, si tende a mantenere ferma la responsabilità per omessa vigilanza in capo ai vertici dell'organizzazione, pure assegnando rilievo alla distribuzione statutaria o per delega dei poteri di fatto al fine di individuare altri soggetti responsabili. L'individuazione del soggetto titolare della posizione di garanzia assume particolare rilievo, quindi, agli effetti dell'art. 40, comma 2, c.p., che pone la regola secondo la quale non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo.

È da ritenere, quindi, senz'altro fermo l'obbligo per il datore di lavoro di intervenire allorché apprezzi che il rischio connesso allo svolgimento dell'attività lavorativa si riconnette a scelte di carattere generale di politica aziendale ovvero a carenze strutturali, rispetto alle quali nessuna capacità di intervento possa realisticamente attribuirsi al delegato alla sicurezza.

Ammissibilità ed effetti della delega di funzioni in ambito penale

Diverse le posizioni emerse, soprattutto in dottrina, in merito all'ammissibilità di una delega con rilievo in ambito penale, nonché, per chi la ammette, con riguardo e agli effetti dalla stessa implicati.

Una prima impostazione assume che, in ossequio al principio di legalità, non si può ammettere che il titolare degli obblighi, individuato dalla legge penale, li dismetta attraverso il loro trasferimento ad altro soggetto discrezionalmente scelto ed individuato con atto di autonomia privata. Finché il delegante avrà il ruolo al quale la legge correla la posizione di garanzia, egli non potrà disfarsene sulla base di un accordo con un suo dipendente o peggio in forza di un atto di privata autorità.

Secondo altro e contrapposto orientamento, la delega, oltre ad essere ammessa, avrebbe l'effetto di creare un nuovo titolare della posizione di garanzia: dal punto di vista obiettivo il trasferimento delle funzioni metterebbe il delegato nelle condizioni di apprestare adeguata tutela al bene protetto dalla norma penale, senza necessità alcuna dell'intervento del delegante. Sicché quest'ultimo non potrebbe essere ritenuto responsabile per l'adempimento del precetto penale, fin quando avrà vigenza la delega. L'esposto indirizzo afferma che la legge penale non può essere applicata guardando alla qualifica formale ma al dato della concreta assunzione di poteri e obblighi da parte di un soggetto.

Per una ulteriore tesi la ripartizione accurata delle funzioni tra soggetti in grado di esercitarle correttamente costituisce invece uno dei modi con i quali il responsabile può assolvere ai propri obblighi di garanzia, in considerazione della complessità dell'organizzazione o della specificità delle attività da svolgere.

Nascerebbero così delle posizioni derivate di garanzia in capo ai delegati, senza peraltro che vengano meno gli obblighi originariamente posti in capo al vertice dell'organizzazione.

Ha trovato consenso, al riguardo, la tesi secondo la quale gli obblighi dell'originario garante si trasformerebbero in doveri di vigilanza e di intervento su situazioni conosciute o comunque che si sarebbero dovute conoscere.

Si parla in particolare di residuo non delegabile, facendo riferimento non solo a questi doveri ma anche ad un generale (e non sempre sufficientemente definito) potere-dovere di organizzare l'impresa in modo adeguato alla salvaguardia degli interessi di terzi, messi in gioco dallo svolgimento dell'attività di impresa.

Alla stregua di questo orientamento, la delega avrebbe quindi effetti sul piano della colpevolezza, in quanto la responsabilità del delegante potrebbe essere esclusa quando lo stesso — anche grazie al conferimento dei poteri ad altro soggetto — dimostri di avere osservato diligentemente tutti i propri doveri.

Questo terzo orientamento è quello che, se da un lato consente di riconoscere rilievo penale alla delega, dall'altro, non si pone in contrasto con il principio di non derogabilità delle posizioni di garanzia.

Per altra posizione, ancora, giocherebbe un ruolo rilevante il principio dell'affidamento': il garante originario, nel far luogo alla ripartizione delle funzioni all'interno della sua organizzazione, limiterebbe i propri doveri e frazionerebbe quelli restanti, demandandoli ai suoi collaboratori.

In evidenza

In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa. (Cass. pen., Sez. un., n. 38343/2014).

Caratteri e requisiti della delega di funzioni: dall'elaborazione giurisprudenziale alla formulazione legislativa

Al di fuori dei compiti che la legge espressamente esclude possano essere delegati, l'adempimento e le responsabilità conseguenti agli altri obblighi possono essere trasferiti attraverso la delega, la quale, per poter essere valida ed efficace, deve rispondere a taluni requisiti e condizioni.

Già prima della positiva elencazione di cui all'art. 16 del Tu del 2008, la giurisprudenza di legittimità (tra le tante, Cass. pen., Sez. IV, n. 39158/2013), nell'elaborare una sorta di “decalogo”, ha preteso talune imprescindibili condizioni di validità ed efficacia della delega.

  1. La prima condizione richiesta dalla giurisprudenza è che la delega sia esplicita ed univoca, quindi espressa con contenuto chiaro e intellegibile. Sussistente dunque la responsabilità del delegante a fronte dell'inefficacia di una delega priva di sottoscrizione e di data certa, l'atto dovendo indicare con esattezza presupposti, contenuti e limiti del trasferimento di funzioni. La giurisprudenza non è però giunta a pretendere la forma scritta ad substantiam, avendola invece ritenuta necessaria ai soli fini probatori;
  2. è stata ritenuta necessaria l'accettazione da parte del delegato, essendo la delega atto recettizio, di cui occorre fornire la prova;
  3. fuori dei casi di delega di esecuzione, che non importa il trasferimento della competenza in merito a talune funzioni quanto piuttosto la mera legittimazione all'esecuzione di taluni atti, è stato richiesta ancora la specificità dei compiti oggetto di delega;
  4. si è preteso, quindi, il rilascio della delega a soggetto professionalmente idoneo e competente, in possesso delle conoscenze tecniche necessarie richieste per l'adempimento degli obblighi delegatigli, ciò che vale a provare l'effettività della delega, ossia che l'atto di conferimento non dissimuli una permanenza dei compiti nella diretta gestione del delegante;
  5. al delegato devono essere trasferiti autonomi poteri decisionali e di organizzazione, ciò che vale a rendere effettiva la sua facoltà di scelta in ordine al quomodo del suo intervento in materia antinfortunistica;
  6. l'incarico che il delegato deve assolvere in forza della delega deve essere esclusivo, non dovendo lo stesso essere investito di compiti ulteriori e diversi che valgano a distoglierlo dalle funzioni delegategli;
  7. il delegante non deve ingerirsi delle funzioni svolte dal delegato. Posto che l'ingerenza è cosa diversa dal controllo e postula un intervento e una diretta e penetrante influenza ed interferenza da parte del delegante nell'attività e nelle scelte del delegato, essa varrebbe quale atto di revoca della delega conferita, il che importa la riemersione della responsabilità del delegante;
  8. il delegato deve avere un autonomo potere di spesa, che, unitamente ai poteri decisori e di organizzazione di cui sub 5), valgono a conferire effettività alle sue mansioni;
  9. il delegante rimane destinatario/titolare di obblighi/poteri di controllo sull'attività del delegato e deve, pertanto, approntare un adeguato sistema di controlli, onde prevenire una responsabilità per omissione, perfettamente in linea con il sistema di responsabilità nei reati contravvenzionali omissivi;
  10. le misure precauzionali e preventive devono rispondere alla migliore scienza ed evoluzione tecnologica del determinato momento storico, in guisa da consentire al lavoratore di svolgere le sue mansioni nelle condizioni di maggiore sicurezza che la scienza e la tecnica consentono di raggiungere.

In evidenza

In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante a condizione che il relativo atto di delega sia espresso, inequivoco e certo ed investa persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento fermo restando, comunque, l'obbligo per il datore di lavoro di vigilare e di controllare che il delegato usi correttamente la delega, secondo quanto la legge prescrive. (Fattispecie in cui la Corte ha confermato la condanna per omicidio colposo dell'amministratore di una società, che si era difeso evidenziando di aver trasferito poteri di vigilanza ad altri soggetti, senza essere in grado di dimostrare il rilascio di una specifica delega di funzioni ad essi). (Cass. pen., Sez. IV, n. 39158/2013).

Le dimensioni della struttura organizzata.

La giurisprudenza tende a considerare la delega una forma di adempimento degli obblighi di diligenza del titolare delle posizioni di garanzia, rilevante in presenza di taluni presupposti oggettivi ed in assenza di taluni profili di carattere soggettivo implicanti la sussistenza di un atteggiamento colposo del delegante (Cass. pen., Sez. IV, n. 16465/2008; Cass. pen., Sez. IV, 12 ottobre 2007, n. 37610).

Preliminare importanza è data alle dimensioni dell'azienda, che, se apprezzabili, possono giustificare e far considerare legittimo il ricorso alla delega; se particolarmente notevoli, anzi, la ripartizione statutaria delle attribuzioni e l'assetto concreto della struttura assumono autonomo valore, senza che sia necessario alcun formale atto di trasferimento delle funzioni. La giurisprudenza tuttavia nega che la ripartizione concreta o formale delle funzioni faccia venire meno qualsivoglia responsabilità dei vertici dell'organizzazione.

Difatti, anche quando la regolamentazione interna o il concreto assetto prevedono l'esercizio delle funzioni da parte di altri soggetti, costoro sono sempre incaricati dal dirigente dell'impresa e sottoposti al suo controllo.

Pertanto costui dovrà rispondere per culpa in eligendo, qualora non abbia scelto una persona professionalmente e tecnicamente capace di assolvere ai compiti attribuitigli; dovrà rispondere per culpa in vigilando, qualora non abbia svolto la necessaria vigilanza e le opportune verifiche sul corretto svolgimento delle attività ad altri attribuite.

L'idoneità tecnica del delegato e conferimento effettivo di poteri

Si richiede, ancora, una rigorosa indagine circa la effettività della delega; al fine di distinguere dal corretto esercizio del potere di delega le negligenti scelte discrezionali in materia organizzativa dei vertici di una struttura o l'artificiosa devoluzione di responsabilità da parte dei titolari di posizioni di garanzia verso altri soggetti offerti come “capro espiatorio'' in caso di perseguimento di violazioni di legge, si ritiene necessario verificare: 1) l'idoneità tecnica del delegato; 2) il conferimento allo stesso di effettivi poteri correlati alle funzioni da esercitare.

Il delegato pertanto:

  • deve essere munito dei titoli di idoneità eventualmente prescritti dalla legge;
  • deve avere concreta capacità tecnica, qualità professionali ed esperienza specifica proporzionate al tipo di funzioni attribuite e alle modalità di svolgimento delle attività di competenza.

Trattasi di un requisito obiettivo della delega (le caratteristiche dell'incaricato devono essere oggettivamente valutate) ma con evidenti influenze sulla colpevolezza del delegante, che, ove avesse preposto all'esercizio delle funzioni un soggetto inadeguato, sarebbe responsabile per culpa in eligendo. La valutazione dei requisiti tecnici e professionali del delegato va pertanto operata, da parte del giudice, non sulla base dei risultati dell'attività di quest'ultimo e di quanto possa essere emerso dopo la commissione dell'illecito, ma ex ante, sulla base dei dati che il garante originario conosceva o avrebbe dovuto conoscere in ordine alle qualità dell'incaricato al momento del conferimento dell'incarico e durante il suo espletamento.

L'idoneità del delegato deve essere misurata in relazione alla sua affidabilità rispetto ai compiti di carattere organizzativo che rientrano nel paradigma dell'imprenditore (art. 2082 c.c.).

Anche l'altro elemento imposto in maniera concorde dalla giurisprudenza, cioè la devoluzione dei poteri connessi all'esercizio dei compiti conferiti, ha natura obiettiva. Occorre al riguardo in primo luogo circoscrivere con precisione l'oggetto dell'incarico devoluto dal titolare della posizione di garanzia; la delega deve difatti essere precisa, specifica e di ambito puntualmente delimitato, sì da evitare situazioni in cui, per l'oscurità o la genericità della distribuzione delle funzioni, ciascuno degli attori dell'organizzazione possa declinare la propria responsabilità, al contempo garantendo il delegato, facendogli conoscere anticipatamente con chiarezza i compiti che gli spettano e gli illeciti di cui può essere chiamato a rispondere.

È poi necessario attribuire al delegato tutti i poteri concretamente necessari per assolvere agli obblighi di garanzia connessi; tra questi la giurisprudenza valorizza in particolare la facoltà di organizzazione del relativo settore, in autonomia rispetto al delegante e con possibilità di iniziativa, nonché i poteri di spesa. Al delegato devono essere messi a disposizione strumentazioni adeguate e mezzi economici sufficienti a far fronte alle esigenze di tutela dei beni protetti dalla legge penale.

La mancanza di ulteriori condizioni imputabili al delegante ed in particolare la sua culpa in vigilando

Gli ulteriori presupposti perché sia data rilevanza alla delega con effetti di liberazione da responsabilità per il delegante attengono a profili soggettivi ed investono da un canto i poteri indelegabili del titolare dei poteri e d'altro canto gli eventuali condizionamenti sul delegato che possono derivare dalle ingerenze del delegante.

Anche la giurisprudenza considera investito il dirigente dell'organizzazione di un generale dovere, indelegabile, di orientare le politiche di gestione delle attività in maniera da evitare danni ai titolari dei beni che potrebbero essere da queste minacciati; per questa ragione, se l'illecito è derivato da cause strutturali dovute ad omissioni di scelte generali o a modelli organizzativi fissati dagli organi titolari delle funzioni, la delega non potrà avere rilievo scusante (Cass. pen., Sez. IV, n. 4968/2013). L'opera del delegato non potrebbe essere considerata, in ipotesi di questo genere, l'unica causa di verificazione del reato; si indagherà successivamente se l'azione a questi attribuibile costituisca concorso consapevole nell'illecito o si sia limitata alla mera esecuzione di direttive svolta senza che fossero prevedibili le conseguenze volute, lasciando in tal caso il preposto esente da responsabilità.

Altro aspetto funzionale indelegabile, anche ad avviso della giurisprudenza, è il dovere di vigilanza sull'organizzazione; pertanto la delega non ha l'effetto di liberare dalla responsabilità il delegante, se questi non abbia adottato efficaci sistemi di controllo delle attività degli incaricati. Le negligenze di costoro non sono imputabili ai deleganti, che non ne siano venuti a conoscenza e che non le abbiano potuto evitare nonostante la corretta predisposizione di attività di vigilanza, svolta pure — se il tipo di attività e la dimensione dell'organizzazione lo dovesse comportare — attraverso figure professionali ad hoc strutturalmente inserite nell'azienda.

A fortiori, la responsabilità al delegante va ammessa quando il delegato gli abbia chiesto di intervenire ed egli non si sia adeguatamente attivato.

Inoltre ed in via del tutto speculare si ritiene che, se il titolare della posizione di garanzia, nonostante la delega, non lasci autonomia al preposto anche solo in relazione alla specifica attività dalla quale scaturisce l'illecito, ma eserciti varie forme di ingerenza sulla sua sfera di attribuzioni, la devoluzione delle funzioni non può escludere la sua responsabilità penale.

L'opzione legislativa nel Tu 9 aprile 2008, n. 81.

I principi elaborati in dottrina e in giurisprudenza in tema di condizioni e limiti di efficacia della delega di funzioni sono stati recepiti dall'art. 16, d.lgs. n. 81 del 2008.

In particolare è possibile distinguere un requisito negativo costituito dall'assenza di un divieto espresso e dall'altra un requisito positivo costituito dal rispetto di determinati limiti e condizioni; deve risultare da atto scritto avente data certa (lett. a) e deve essere accettata in forma scritta dal delegato (lett. e). Con queste indicazioni il legislatore sembra indicare la struttura bilaterale del negozio la cui efficacia è condizionata all'accettazione del delegato. Si rileva tuttavia un'incongruenza perché da una parte viene richiesta la data certa della delega e dall'altra un'accettazione del delegato: in questo modo per risolvere tale aspetto occorre prendere in considerazione la data della delega al momento dell'accettazione perché è solo dal momento in cui il delegato ha coscienza del trasferimento dei poteri che può sussistere un esonero di responsabilità del delegante. Da questa interpretazione si evidenzia la natura effettiva del trasferimento di funzioni.

In questo senso appare priva di rilievo la contraddizione che taluno sostiene rispetto al requisito della forma scritta: quest'ultima non può essere dirimente per affermare l'esonero di responsabilità. Tale conclusione è facilmente evincibile dal testo normativo laddove nel richiedere l'accettazione del delegato vuole prescindere da un mero dato formalistico. In questo senso anche una delega effettiva ma priva del requisito formale potrà essere sufficiente ad esonerare da responsabilità il delegante. Al comma 2 è disposto che la delega deve avere adeguata e tempestiva pubblicità. Tale principio si raccorda con il criterio della lettera a) a dimostrazione delle inevitabili esigenze di certezza e di effettività dei rapporti e delle relative posizioni soggettive. La suprema Corte ha infatti stabilito che le evidenti esigenze di certezza connesse alla delicatezza e all'importanza della materia impongono, ai fini dell'efficacia liberatoria di un'eventuale delega, la sussistenza di un'adeguata pubblicità della stessa (Cass. pen., Sez. IV, n. 4968/2013). Il richiamo alla pubblicità non costituisce un necessario richiamo all'atto pubblico notarile perché si tratterebbe pur sempre di una pubblicità di fatto intesa nel senso di esigenza che l'atto sia conoscibile a tutti i dipendenti dell'azienda. Tale funzione potrà essere assolta mediante le modalità che appariranno più opportune per rendere effettiva la conoscenza da parte dei lavoratori. Ulteriore argomento a favore del principio di effettività è dato dalle lettere b) e c) in base ai quali il delegato deve possedere i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate e, inoltre, deve possedere i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate. In altri termini il delegato deve comportarsi come un vero e proprio alter ego del delegante in grado di agire con gli opportuni poteri a sua disposizione. Ulteriore requisito è quello fissato alla lettera d) in base al quale il delegato deve possedere un autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate. Questo requisito non è privo di rilievo al fine di considerare valida la delega di poteri perché la presenza di una disponibilità nel potere di spesa è strumentale a garantire i poteri di organizzazione, gestione e controllo di cui alla lettere c). Intanto il delegato potrà escludere la responsabilità del delegante in quanto vi sia pur sempre un rispetto da parte di quest'ultimo sia degli obblighi in eligendo che in vigilando. Il datore di lavoro non potrà esonerarsi da responsabilità se non laddove abbia correttamente selezionato il delegato che possegga quei requisiti di professionalità ed esperienza necessarie ad esercitare i poteri conferiti. Si vuole evitare che una mera nomina fittizia di personale non in grado di adempiere correttamente ai propri doveri possa, ciononostante, escludere una responsabilità del datore di lavoro. Quest'ultima sussiste laddove il datore di lavoro non adempia, anche successivamente alla nomina, ai propri doveri di vigilanza espressi al comma 3 dell'articolo in commento. Il principio liberatorio della delega può realizzarsi solo laddove vi sia un elemento integrativo costituito dalla presenza di una vigilanza del datore di lavoro. In altre parole non sarebbe sufficiente un mero trasferimento di funzione in quanto permarrebbe un obbligo di vigilanza e controllo di portata analoga a quello dell'obbligo trasferito. Il legislatore in questo modo ha aderito alla tesi più restrittiva nella giurisprudenza. In particolare si è sostenuta la necessità non solo di una delega di poteri quanto piuttosto della necessità di un elemento soggettivo in capo al datore di lavoro. In altre parole la delega non può costituire un metodo alternativo di adempimento ai propri doveri in quanto permarrebbero comunque un dovere di vigilanza e di controllo di portata analoga ai poteri attribuiti. Tuttavia, l'intervento correttivo del 2009 ha introdotto, al comma 3, un ulteriore periodo affermando che l'obbligo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'art. 30, comma 4. Il legislatore ha preso atto, pertanto, che spesso un controllo puntuale da parte del delegante svuota la stessa funzione della delega soprattutto laddove si tratti di organizzazioni complesse. In questo senso può considerarsi alternativo ad un controllo puntuale del datore di lavoro anche l'adozione di un modello di organizzazione e gestione che preveda, ad esempio, controlli a campione o periodici sull'attività del delegato oppure sul livello di inidoneità dello stesso delegato in presenza di mutamenti degli assetti organizzativi. In questo modo il legislatore configura una duplice modalità di assolvimento dei doveri datoriali: attraverso un modello di organizzazione dal quale si presume l'adempimento dei doveri di controllo e verifica oppure laddove quest'ultimo manchi mediante un effettivo controllo del datore di lavoro.

Alla delega di cui al comma 1 deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità.

Il successivo art. 17 prevede gli obblighi del datore di lavoro non delegabili per l'importanza e, all'evidenza, per l'intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del medesimo.

Trattasi: a) dell'attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dal cit. d.lgs. all'art. 28, contenente non solo l'analisi valutativa dei rischi, ma anche l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate; nonchè b) della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (R.S.P.P.).

Neppure delegabili sarebbero, secondo un orientamento dottrinale, gli obblighi tributari, attesa la natura pubblicistica del rapporto tributario e la natura personale del loro adempimento.

La non delegabilità di talune funzioni non implica però necessariamente che il datore debba provvedere personalmente all'adempimento di siffatti obblighi, atteso che egli potrebbe anche non disporre delle competenze tecniche specifiche richieste dalla materia: ciò significa che egli può attribuire a soggetti terzi, idonei e competenti, degli incarichi di esecuzione, che non valgono a spogliarlo della sua veste di garante, rimanendo sempre titolare della posizione di garanzia e dei conseguenti obblighi, di guisa che l'atto posto in essere dall'incaricato rimane del delegante ed egli conserva l'obbligo di controllare l'operato del delegato.

La responsabilità del delegato, quindi, ove sussistente, non si sostituirebbe a quella del delegante ma si aggiungerebbe ad essa.

A seguito delle modifiche operate sul testo unico dal d.lgs 106 del 2009, il legislatore ha espressamente recepito l'orientamento dottrinario e giurisprudenziale “intermedio”, prescrivendo, con la riformulazione del comma 3 dell'art. 16, che la delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. L'obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4 (comma così modificato dall'articolo 12, comma 1, del d.lgs. 3 agosto 2009, n. 106. Nella formulazione originaria, il comma 3 così recitava: la delega di funzioni non esclude l'obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. La vigilanza si esplica anche attraverso i sistemi di verifica e controllo di cui all'articolo 30, comma 4. Si rammenta che l'adozione dei modelli di gestione e di organizzazione costituiscono una delle condizioni essenziali per escludere la responsabilità amministrativa da reato degli enti a mente del d.lgs. 231/01).

L'ammissibilità della subdelega.

La subdelega costituisce una novità introdotta con il decreto correttivo del 2009. Il comma 3-bis introduce, infatti, la possibilità di realizzare due livelli di delega in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Viene, in sostanza, accolta l'opinione dottrinale che riconosceva ammissibile la possibilità di subdelegare le proprie funzioni di controllo laddove vi sia stata un intesa con il datore di lavoro. Il legislatore non si limita ad indicare il requisito dell'intesa con il ma richiede che vengano rispettate le medesime condizioni di cui ai commi 1 e 2. Ciò è dovuto all'esigenza di garantire un'adeguata tutela al lavoratore la cui sicurezza e salute verrebbero compromesse da una subdelega priva dei requisiti del comma 1 e 2. Il termine intesa adoperato per autorizzare la subdelega appare eccessivamente vago perché non indica né i limiti né le condizioni per realizzare l'accordo. Pur tuttavia l'accordo tra datore di lavoro e delegato dovrà contenere i limiti e il contenuto dell'eventuale subdelega: non sarà sufficiente una mera autorizzazione generica perché rimarrà pur sempre in capo al datore di lavoro l'esigenza di garantire un'adeguata vigilanza sull'attività del delegato. Solo pertanto una compiuta disciplina della subdelega potrà comportare un effettivo trasferimento di funzioni al delegato che a sua volta potrà svolgere l'obbligo di vigilanza nei confronti del subdelegato. In altre parole nell'ammettere la subdelega il legislatore non ha inteso abbassare il livello di tutela del lavoratore quanto piuttosto agevolare l'attività di organizzazione gestione e controllo mediante soggetti dotati di specifica esperienza e professionalità. In questo senso i subdelegati potranno essere molteplici in ragione delle specifiche funzioni trasferite. Tuttavia permarrà, da una parte, il delegante a svolgere la vigilanza sul corretto espletamento delle funzioni da parte del delegato e, dall'altra, anche il datore di lavoro che sarà tenuto, lui stesso o mediante modelli di organizzazione, a verificare il corretto rispetto dei requisiti e condizioni indicati nell'intesa sulla subdelega. Infine, la norma prevede il divieto di più di due livelli di delega al fine di evitare un'eccessiva frammentazione nell'espletamento degli obblighi di organizzazione, gestione e controllo.

Posizione di garanzia in materia di sicurezza sul lavoro e delega di funzioni nella più recente giurisprudenza. In particolare, il caso Thyssenkrupp

Il tema delle posizioni di responsabilità nell'ambito di organizzazioni industriali complesse è stato di recente affrontato in una fondamentale pronuncia delle Sezioni unite, intervenuta nella tristemente nota vicenda delle acciaierie Thyssenkrupp (Cass. pen., Sez. un., n. 38343/2014). La Corte, nella particolare composizione, al fine di delineare i requisiti essenziali per riconoscere la sussistenza di una posizione di garanzia penalmente rilevante, passa preliminarmente in rassegna le cariche ‘formali' selezionate dal legislatore e le peculiarità di ciascuna.

La prima e centrale figura è quella del datore di lavoro. Si tratta, secondo la Corte, del soggetto che ha la responsabilità dell'organizzazione dell'azienda o dell'unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. La definizione contenuta nel Tu 81/2008 si pone in linea di continuità con quella espressa nella normativa degli anni '90 e fatta propria dalla giurisprudenza, sottolineando il ruolo di dominus di fatto dell'organizzazione ed il concreto esercizio di poteri decisionali e di spesa. L'ampiezza e la natura dei poteri, sempre ad avviso della Corte, trovano riscontro indiretto anche nella trama dell'art. 16 Tu che, con riferimento alla delega di funzioni, si occupa del potere di organizzazione, gestione, controllo e spesa.

Viene poi in rilievo il ruolo del dirigente, che costituisce un livello di responsabilità intermedio: è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l'attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico conferitogli. Il dirigente, dunque, ai sensi della normativa in vigore, nell'ambito del suo elevato ruolo nell'organizzazione delle attività, è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell'assicurare l'osservanza della disciplina legale nel suo complesso; e, quindi, nell'attuazione degli adempimenti che l'ordinamento demanda al datore di lavoro. Tale ruolo, naturalmente, è conformato ai poteri gestionali di cui dispone concretamente. Le Sezioni unite, dunque, proseguendo la consolidata linea interpretativa della giurisprudenza di legittimità, invitano a soffermarsi non tanto sulla mera qualifica astratta, quanto soprattutto sulla funzione assegnata ed effettivamente svolta.

Infine, il preposto è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l'esecuzione, ma sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell'incarico.

Per ambedue le ultime figure occorre tener conto da un lato dei poteri gerarchici e funzionali che costituiscono base e limite della responsabilità; e dall'altro del ruolo di vigilanza e controllo. Si può dire, in breve, che si tratta di soggetti la cui sfera di responsabilità è conformata sui poteri di gestione e controllo di cui concretamente dispongono.

Naturalmente, specie nelle realtà aziendali particolarmente complesse, tali figure possono coesistere e addirittura sovrapporsi, tanto da rendere imprescindibile una accurata analisi delle diverse sfere di competenza gestionale ed organizzativa all'interno di ciascuna istituzione. Dunque, rilevano da un lato le categorie giuridiche, i modelli di agente, dall'altro i concreti ruoli esercitati da ciascuno, la cui verifica non può in alcun modo essere pretermessa. Solo un'analisi integrata della carica – un'analisi, cioè, che guardi al ruolo, alle competenze, alle possibilità operative effettive ed al rapporto con la sfera decisionale altrui – consentirà al giudice di definire il perimetro delle responsabilità.

La posizione di garanzia che discende dalla funzione, dunque, impone la gestione di un rischio specifico. Così si esprime la Corte: Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità dell'idea di rischio: tutto il sistema è conformato per governare l'immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. Il rischio è categorialmente unico ma, naturalmente, si declina concretamente in diverse guise in relazione alla differenti situazioni lavorative. Dunque, esistono diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare. Soprattutto nei contesti lavorativi più complessi, si è frequentemente in presenza di differenziate figure di soggetti investiti di ruoli gestionali autonomi a diversi livelli degli apparati; ed anche con riguardo alle diverse manifestazioni del rischio. Ciò suggerisce che in molti casi occorre configurare già sul piano dell'imputazione oggettiva, distinte sfere di responsabilità gestionale, separando le une dalle altre. Esse conformano e limitano l'imputazione penale dell'evento al soggetto che viene ritenuto "gestore" del rischio. Allora, si può dire in breve, garante è il soggetto che gestisce il rischio.

Riconosciuta la sfera di rischio come area che designa l'ambito in cui si esplica l'obbligo di governare le situazioni pericolose che conforma l'obbligo del garante, ne discende altresì la necessità di individuare concretamente la figura istituzionale che può essere razionalmente chiamata a governare il rischio medesimo e la persona fisica che incarna concretamente quel ruolo. La riconoscibilità del rischio, in altre parole, scolpisce la fonte della responsabilità. L'attività che l'uomo esercita, infatti, è connaturata all'insorgenza di un rischio – noto – che va gestito secondo la divisione dei ruoli. Singole porzioni di rischio determinano specifiche sfere di responsabilità.

Secondo le Sezioni Unite, tali considerazioni trovano pieno riscontro nella trama del Tu 81/2008. Di grande interesse è l'art. 299: l'acquisizione della veste di garante può aver luogo per effetto di una formale investitura, ma anche a seguito dell'esercizio in concreto di poteri giuridici riferiti alle diverse figure. Un'ulteriore indicazione normativa per individuare in concreto i diversi ruoli deriva dall'art. 28, relativo alla valutazione dei rischi ed al documento sulla sicurezza, che costituisce una sorta di statuto della sicurezza aziendale e che fotografa la dimensione del rischio conosciuto,ovvero che si sarebbe dovuto conoscere. La valutazione riguarda tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. Il documento deve contenere la valutazione dei rischi, l'individuazione di misure di prevenzione e protezione, l'individuazione delle procedure, nonchè dei ruoli che vi devono provvedere, affidati a soggetti muniti di adeguate competenze e poteri. Si tratta quindi di una sorta di mappa dei poteri e delle responsabilità cui ognuno dovrebbe poter accedere per acquisire le informazioni pertinenti.

Mettendo insieme le indicazioni che pervengono dalle norme fin qui indicate, che recepiscono indirizzi della prassi ed attingono alla sfera della sensatezza, secondo la Corte si può concludere che ruoli, competenze e poteri segnano le diverse sfere di responsabilità gestionale ed al contempo definiscono la concreta conformazione, la latitudine delle posizioni di garanzia, la sfera di rischio che deve essere governata.

La sfera di responsabilità organizzativa e giuridica così delineata è per così dire originaria. Essa è generata dall'investitura formale o dall'esercizio di fatto delle funzioni tipiche delle diverse figure di garanti. Nell'individuazione del garante, soprattutto nelle istituzioni complesse, occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi rivestiva. Solo la valutazione concreta del ruolo consente di armonizzare la disciplina extrapenale con il principio di colpevolezza, e dunque fa assurgere la normativa in questione a fonte della posizione di garanzia ai sensi dell'art. 40, comma 2, c.p.

In conclusione, nell'ambito di organizzazioni complesse, d'impronta societaria, la veste datoriale non può essere attribuita solo sulla base di un criterio formale, magari indiscriminatamente estensivo, ma richiede di considerare l'organizzazione dell'istituzione, l'individuazione delle figure che gestiscono i poteri che danno corpo a tale figura.

Quanto alla delega di funzioni, le Sezioni unite ribadiscono i connotati di validità della delega: questa deve essere specifica, deve conferire poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa ben definiti, ad un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza.

Subito dopo, però, la Corte offre un'interessante precisazione, che è bene riproporre integralmente: è diffusa l'opinione (…) che i poteri e le responsabilità del dirigente e del preposto nascano necessariamente da una delega. Al contrario, le figure dei garanti hanno una originaria sfera di responsabilità che non ha bisogno di deleghe per essere operante, ma deriva direttamente dall'investitura o dal fatto. La delega è invece qualcosa di diverso: essa, nei limiti in cui è consentita dalla legge, opera la traslazione dal delegante al delegato di poteri e responsabilità che sono proprie del delegante medesimo. Questi, per così dire, si libera di poteri e responsabilità che vengono assunti a titolo derivativo dal delegato. La delega, quindi, determina la riscrittura della mappa dei poteri e delle responsabilità. Residua, in ogni caso, tra l'altro, come l'art. 16 del T.U. ha chiarito, un obbligo di vigilanza "alta", che riguarda il corretto svolgimento delle proprie funzioni da parte del soggetto delegato. Ma ciò che qui maggiormente rileva è che non vi è effetto liberatorio senza attribuzione reale di poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa pertinenti all'ambito delegato. In breve, la delega ha senso se il delegante (perchè non sa, perchè non può, perchè non vuole agire personalmente) trasferisce incombenze proprie ad altri, cui attribuisce effettivamente i pertinenti poteri.

Il criterio dell'effettività, dunque, informa anche il giudizio sulla delega di funzioni. Questa, per essere tale, deve accompagnarsi ad una reale, cogente, cessione di potere, tale da consentire al delegato di adempiere al ruolo che gli è conferito. La Corte, così facendo, ribadisce il carattere derivato della responsabilità del delegato (che dunque si distingue dalle ipotesi di responsabilità originaria connesse alla funzione formale), ed insiste sulla necessità che questa – proprio perché non proviene direttamente dalla legge – sia frutto di una scelta consapevole, effettiva ed opportuna degli uomini. La delega, in conclusione, è uno strumento operativo nella realtà aziendale che per meritare riconoscimento giuridico agli occhi dell'ordinamento penale deve rispettare specifiche condizioni, prima fra tutte l'effettività dell'esercizio del potere cui si accompagna la responsabilità devoluta.

Casistica

Individuazione del dirigente pubblico con funzioni datoriali. Distinzioni tra funzioni delegabili e funzioni non delegabili

Il Sindaco, ove abbia provveduto all'individuazione dei soggetti cui attribuire la qualità di datore di lavoro, risponde per l'infortunio occorso al lavoratore solo nel caso in cui risulti che egli, essendo a conoscenza della situazione antigiuridica inerente alla sicurezza dei locali e degli edifici in uso all'ente territoriale, abbia omesso di intervenire, con i propri autonomi poteri, atteso che con l'atto di individuazione, emanato ai sensi dell'art. 2, comma primo, lett. b) d.lgs. 9 aprile 2008 n. 81, vengono trasferite al dirigente pubblico tutte le funzioni datoriali, ivi comprese quelle non delegabili, il che rende non assimilabile detto atto alla delega di funzioni disciplinata dall'art. 16 del medesimo decreto legislativo (Cass. pen., Sez. IV, n. 22415/2015).

Delega in materia di infortuni sul lavoro: requisiti e individuazione

In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro, possono essere trasferiti con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al delegante, a condizione che il relativo atto di delega ex art. 16 del d.lgs. n. 81 del 2008 riguardi un ambito ben definito e non l'intera gestione aziendale, sia espresso ed effettivo, non equivoco ed investa un soggetto qualificato per professionalità ed esperienza che sia dotato dei relativi poteri di organizzazione, gestione, controllo e spesa (Cass. pen., Sez. un., n. 38343/2014).

Direttore di struttura aziendale

In tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il direttore generale di una struttura aziendale è destinatario "iure proprio", al pari del datore di lavoro, dei precetti antinfortunistici, indipendentemente dal conferimento di una delega di funzioni, in quanto, in virtù della posizione apicale ricoperta, assume una posizione di garanzia in materia antinfortunistica a tutela della incolumità e della salute dei lavoratori dipendenti (Cass. pen., Sez. IV, n. 22249/2014).

Gli eventi riconducibili a disfunzioni aziendali

In tema di individuazione delle responsabilità penali all'interno delle strutture complesse, la delega di funzioni esclude la riferibilità di eventi lesivi ai deleganti solo se tali eventi siano il frutto di occasionali disfunzioni mentre, nel caso in cui siano determinati da difetti strutturali aziendali ovvero del processo produttivo, permane la responsabilità dei vertici aziendali. (In applicazione del principio la Corte ha riconosciuto la responsabilità del legale rappresentante della società, pur in presenza di una delega in materia di prevenzione sugli infortuni e sull'igiene del lavoro conferita ad altro componente del consiglio di amministrazione, in quanto le lesioni occorse al lavoratore erano dipese dalla violazione delle disposizioni antinfortunistiche afferenti un aspetto strutturale e permanente del processo produttivo, mai sottoposto ad adeguata considerazione e neanche considerato nel documento di valutazione dei rischi). (Cass. pen., Sez. IV, n. 4968/2013)

La forma della delega

In tema di reati nel settore degli alimenti, l'efficacia devolutiva della delega di funzioni è subordinata all'esistenza di un atto traslativo dei compiti connessi alla posizione di garanzia del titolare, che sia connotato dai requisiti della chiarezza e della certezza, i quali possono sussistere a prescindere dalla forma impiegata, non essendo richiesta per la sua validità la forma scritta né ad substantiamad probationem (Cass. pen., Sez. III, n. 3107/2013).

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