Peculato

Antonio Corbo
03 Gennaio 2017

L'art. 314 c.p., nel prevedere il delitto di peculato, sanziona, al primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropria.Si tratta di una fattispecie incriminatrice che appartiene al catalogo dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, che trova il suo principale fondamento nell'esigenza di tutelare sia il patrimonio della pubblica amministrazione, sia il buon andamento ...
Inquadramento

L'art. 314 c.p., nel prevedere il delitto di peculato, sanziona, al primo comma, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui, se ne appropria.

Si tratta di una fattispecie incriminatrice che appartiene al catalogo dei reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, che trova il suo principale fondamento nell'esigenza di tutelare sia il patrimonio della pubblica amministrazione, sia il buon andamento e l'imparzialità di questa (art. 97 Costituzione), e che è costruita come reato proprio, di mera condotta, implicante, sotto il profilo dell'elemento psicologico, il dolo generico.

La fattispecie prevista dall'art. 314, comma 1, c.p. è ben distinta da altre due figure di illecito penale anch'esse descritte dal legislatore sotto il nomen iuris di peculato, e cioè dal peculato d'uso, di cui all'art. 314, comma 2, c.p., e dal peculato mediante profitto dell'errore altrui, di cui all'art. 316 c.p.

Il bene giuridico tutelato

Il bene giuridico protetto dalla disposizione che sanziona la condotta di peculato si identifica non solo nella tutela del patrimonio della pubblica amministrazione ma anche del buon andamento e dell'imparzialità della stessa.

In evidenza

Secondo la giurisprudenza delle Sezioni unite, il peculato si configura anche quando l'appropriazione della res o del danaro da parte dell'agente non arreca, per qualsiasi motivo, danno patrimoniale alla P.A., perché detta condotta è comunque lesiva dell'ulteriore interesse tutelato dall'art. 314 c.p. che si identifica nella legalità, imparzialità e buon andamento del suo operato (così Cass. pen., Sez. unite, 25 giugno 2009, n. 38691).

La tesi della plurioffensività eventuale e della recessività dell'interesse patrimoniale è condivisa da parte della dottrina sul rilievo che l'oggetto materiale della condotta di appropriazione deve essere altrui ma non necessariamente della pubblica amministrazione (così, ad esempio, di recente, STORTONI, 127). Altri opinione, invece, ritiene che il profilo patrimoniale risulti centrale nella fattispecie, in quanto questa sanziona specificamente condotte di appropriazione (FIANDACA-MUSCO), semmai precisando che la nozione di patrimonio deve essere intesa in senso strumentale, come insieme dei beni che presentano una utilità per il buon funzionamento della pubblica amministrazione (MAGNINI, 7)

La precisazione sull'oggettività giuridica tutelata non è priva di ricadute pratiche.

Proprio muovendo dalla premessa della natura plurioffensiva del reato di peculato, la giurisprudenza assolutamente prevalente ritiene che:

  • il reato è integrato anche quando l'appropriazione del denaro avviene a titolo di autotutela di ragioni creditorie dell'agente (Cass. pen., Sez. unite, 25 giugno 2009, n. 38691 e, successivamente, Cass. pen., Sez. VI, 22 febbraio 2011, n. 20940), ovvero quando la cosa è priva di valore commerciale (Cass. pen., Sez. VI, 4 giugno 2015, n. 30141);
  • l'attenuante del risarcimento del danno non può essere riconosciuta per effetto della semplice restituzione della somma sottratta, essendo necessaria pure la riparazione dell'offesa alla legalità, all'efficienza ed all'imparzialità della pubblica amministrazione (Cass. pen., Sez. VI, 19 giugno 2013, n. 41587);
  • persona offesa del reato può essere anche il privato direttamente danneggiato dalla condotta appropriativa (Cass. pen., Sez. VI, 6 ottobre 2015, n. 46797).
Soggetti attivi del reato e presupposti della condotta

Soggetti attivi del reato sono i pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio, nonché i soggetti aventi corrispondenti qualifiche pubblicistiche nell'ambito dell'Unione europea, di Stati esteri membri dell'Unione europea o della Corte penale internazionale, a norma dell'art. 322-bis c.p.

In evidenza

Non è però sufficiente, ai fini della integrazione del reato, che il soggetto rivesta una delle indicate qualifiche soggettive: è anche necessario che lo stesso ponga in essere la sua condotta avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o altra cosa mobile altrui.

Le nozioni di possesso e di disponibilità sono diverse da quelle proprie del diritto civile (si osserva che il possesso in senso civilistico spetta sola alla pubblica amministrazione e non al funzionario pubblico: STORTONI, 131) ed evocano non solo la disponibilità materiale del denaro o della cosa mobile ma anche la disponibilità giuridica di questa, al di fuori della sfera di vigilanza di chi ha sulla res un potere giuridico maggiore, come, ad esempio, la disponibilità derivante dalla possibilità di acquisire beni a mezzo di mandati di pagamento o di atti amministrativi che consentono di impartire comandi a soggetti in posizione subordinata (cfr., in dottrina, PELLISSERO, 90 s., nonché in giurisprudenza, tra le tante, Cass. pen., Sez. VI, 15 dicembre 2015, n. 50758, nonché Cass. pen., Sez. VI, 11 dicembre 2015, n. 3913).

Il possesso o la disponibilità del bene assumono rilievo ai fini della configurabilità del delitto di peculato, in quanto derivanti da ragioni di ufficio o servizio. La giurisprudenza tende generalmente a ritenere che il possesso o la disponibilità per ragioni di ufficio o di servizio è anche quello derivante da prassi e consuetudini invalse in un ufficio determinato, che consentono al soggetto di avere di fatto la disponibilità della cosa mobile della P.A. (cfr., tra le tante Cass. pen., Sez. VI, 30gennaio 2013, n. 34489, nonché Cass. pen., Sez. I, 17 gennaio 2008, n. 9179). La dottrina, però, è critica su questa interpretazione estensiva, osservando che in senso contrario militano sia il dato letterale, quando esige il possesso o la disponibilità per ragioni del suo ufficio o servizio, sia esigenze di coerenza con la tutela dell'oggettività giuridica, sia considerazioni di ordine sistematico, connesse alla necessità di distinguere il peculato dall'appropriazione indebita aggravata ex art. 61, n. 9, c.p. (v., per queste osservazioni, PELLISSERO, 93 s.).

L'oggetto materiale e la condotta di appropriazione

L'oggetto materiale del delitto di peculato può essere costituito sia dal denaro, sia da ogni altra cosa mobile, caratterizzata da “corporeità”.

Tra le cose mobili possono rientrare anche le energie ma solo se abbiano un valore economico, atteso quanto esplicita l'art. 624, comma 2, c.p. in relazione al delitto di furto, e siano distinguibili dalla fonte che le produce (così, ad esempio, PAGLIARO-PARODI-GIUSINO, 67). Proprio in ragione della necessità che l'energia debba poter essere posseduta separatamente dalla cosa da cui promana e debba avere una sua autonomia rispetto a questa, sì da essere “immagazzinata” al fine di un impiego pratico misurabile in termini economici, è ormai consolidata in giurisprudenza la tesi della non configurabilità del delitto di peculato sia con riferimento alle energie lavorative (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 17 febbraio 2015, n. 18465; e Cass. pen., Sez. VI, 9 giugno 2010, n. 35150), sia con riferimento alle onde elettromagnetiche che permettono la trasmissione della voce (Cass. pen., Sez. unite, 20 dicembre 2012, n. 19054, che ha enunciato il principio avendo riguardo all'uso abusivo del telefono pubblico).

Possono costituire oggetto di peculato anche le cose mobili in sé prive di valore economico ma suscettibili di acquisirlo a seguito di un'ulteriore condotta, come i valori bollati già utilizzati ma indebitamente riutilizzati attraverso la vendita a terzi e la ricezione del corrispettivo (Cass. pen., Sez. VI, 14 dicembre 2011, n. 25571), ovvero i timbri ministeriali (Cass. pen., Sez. VI, 4 febbraio 2014, n. 8650).

La condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio è costituita dall'appropriazione.

Secondo diffusa opinione, costituiscono condotte di appropriazione: l'alienazione della cosa a qualsiasi titolo, la distruzione, l'uso consumante, la mancata restituzione (in dottrina, v., tra gli altri, GROSSO, 194 nonché SEGRETO-DE LUCA, 112 ss.). In questa prospettiva, in giurisprudenza, si è ritenuto integrare la fattispecie di peculato:

  • la condotta dell'ufficiale di polizia giudiziaria che, subito dopo aver rinvenuto della sostanza stupefacente e senza provvedere alla redazione di formale verbale di sequestro, proceda alla sua distruzione mediante dispersione (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 25 febbraio 2010, n. 12611);
  • la condotta del curatore del fallimento che, prima di consegnare canoni di pertinenza della procedura a seguito di pressanti e formali richieste del nuovo curatore e negando di aver ricevuto gli stessi, abbia trattenuto per lungo tempo i relativi importi senza mai riversarli sul libretto intestato alla procedura (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 18settembre 2013, n. 41094);
  • la condotta del soggetto autorizzato alla riscossione delle tasse che omette di versare le somme di denaro ricevute nell'adempimento della funzione pubblica di riscossione, atteso che quel denaro entra nella disponibilità della P.A. nel momento stesso della consegna all'incaricato dell'esazione (così Cass. pen., Sez. VI, 1 ottobre 2015, n. 45082, nonché Cass. pen., Sez. VI, 27 marzo 2008, n. 17616).

In evidenza

Controverso è se la nozione di appropriazione comprenda anche quella di distrazione.

Secondo un'opinione, sostenuta soprattutto in dottrina, restano estranee all'area dell'appropriazione tutte le condotte di distrazione, anche se la destinazione dei beni è effettuata al di fuori dei fini istituzionali (cfr., in particolare, GROSSO, 193, nonché SEGRETO-DE LUCA, 111). Questo orientamento, che richiama anche la giurisprudenza costituzionale (precisamente, Corte cost., n. 448 del 1991), si pone dichiaratamente in linea con l'intenzione del Legislatore del 1990, il quale, modificando la fattispecie del delitto di peculato, aveva inteso ricondurre tutti i fatti di distrazione nell'alveo del delitto di abuso d'ufficio, ove ne sussistano i presupposti, anche attraverso l'eliminazione di ogni riferimento a condotte di distrazione.

Altra opinione, diffusa nella più recente giurisprudenza, tende invece a ritenere che, nel delitto di peculato il concetto di appropriazione comprende anche la condotta di distrazione in quanto imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e, quindi, impadronirsene (così Cass. pen., Sez. VI, 4 giugno 2014, n. 25258, e Cass. pen., Sez. VI, 17 luglio 2013, n. 1247; per identiche conclusioni, in dottrina, v. PAGLIARO-PARODI GIUSINO, 48 ss.), tra l'altro in linea con la nozione di appropriazione accolta in relazione al reato di appropriazione indebita.

A sostegno della soluzione che ritiene ammissibile la compatibilità tra distrazione ed appropriazione, si è rilevato che: la sentenza della Corte costituzionale n. 448 del 1991 non è dirimente, perché la pronuncia, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 215 del codice penale militare di pace, limitatamente alle parole ovvero lo distrae a profitto proprio o di altri, non afferma che tutte le condotte di distrazione, dopo la riforma del 1990, sono riconducibili al delitto di abuso di ufficio ma solo molte di esse; il riferimento alla volontà del Legislatore storico non può ritenersi vincolante a detrimento di una ricostruzione sistematica orientata secondo criteri di omogeneità di disvalore tra i fatti; la recente ordinanza della Corte costituzionale n. 96 del 2013, nel pronunciarsi sulla legittimità del reato di malversazione a danno di militari di cui all'art. 216 del codice penale militare di pace, ha osservato che possono essere indicate come distrattive solo le condotte che si connotano per la destinazione di risorse alla realizzazione di fini pubblici diversi da quelli istituzionali (v., per queste osservazioni, PELLISSERO, 106 s. e 111).

Secondo questa impostazione, il delitto di peculato può essere configurabile non solo in caso di distrazione a profitto proprio ma anche in caso di distrazione a profitto altrui e quindi a beneficio di un terzo, quando il bene venga definitivamente sottratto alla finalità pubblica (così, da ultimo, PELLISSERO, 109 s.).

In evidenza

Si discute, inoltre, se l'appropriazione implica necessariamente la perdita irreversibile del bene per la pubblica amministrazione, o se invece è integrata anche da un uso sistematicamente arbitrario e fuori controllo della cosa.

La tesi che ritiene sufficiente un uso sistematicamente arbitrario e privatistico del bene valorizza il rapporto tra la fattispecie del peculato ordinario e quella del peculato d'uso, evidenziando che questa seconda figura – la quale deve ritenersi una sottofattispecie di quella prevista dal primo comma dell'art. 314 c.p. – punisce meno severamente la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio esclusivamente quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo, l'uso momentaneo, è stata restituita. L'opposta opinione, invece, rileva che il legame individuato tra le due fattispecie di cui all'art. 314 c.p. e cioè l'impiego nel secondo comma del termine colpevole, è troppa formalistico e trascura l'eterogeneità tra l'uso momentaneo e l'appropriazione, ed ipotizza, per l'ipotesi di un uso del bene non momentaneo, la configurabilità del delitto di abuso di ufficio.

Un ambito nel quale il problema dell'individuazione della fattispecie applicabile si presenta con particolare evidenza è quello concernente l'uso indebito delle automobili dell'ufficio.

L'elemento psicologico

L'elemento soggettivo richiesto per la configurabilità del delitto di peculato è il dolo generico (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 7 aprile 2016, n. 17686), non essendo invece necessaria la finalità dell'agente di perseguire un ingiusto profitto (v., specificamente in proposito, Cass. pen., Sez. VI, 10 giugno 1993, Ferolla). Per la precisione, è necessario che l'agente si rappresenti di rivestire la qualifica di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio e di avere il possesso o la disponibilità di una cosa mobile altrui per ragioni inerenti alla funzione o al servizio, e che, inoltre, si rappresenti e voglia compiere un atto di disposizione del bene incompatibile con il titolo che giustifica la propria disponibilità di quest'ultimo (PELLISSERO, 112).

La presenza di molteplici elementi normativi nella fattispecie pone il problema della rilevanza dell'errore sulle leggi e le disposizioni normative che delimitano i poteri del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio sul bene. In giurisprudenza, si ritiene che l'errore del pubblico ufficiale circa la propria facoltà di disposizione di un bene pubblico per fini diversi da quelli istituzionali o circa i tempi del versamento delle somme riscosse per conto della pubblica amministrazione non configura un errore di fatto su legge diversa da quella penale, atto ad escludere il dolo ma costituisce errore o ignoranza della legge penale il cui contenuto è integrato dalla norma amministrativa che disciplina la destinazione del bene pubblico. (così, Cass. pen., Sez. VI, 10 marzo 2016, n. 13038, relativamente a fattispecie in tema di uso indebito dell'autovettura di servizio, nonché Cass. pen., Sez. VI, 3 ottobre 1996, n. 10020, in ordine a vicenda di ritardato versamento di denaro).

Forme di manifestazione del reato: circostanze, tentativo, concorso di persone

Al delitto di peculato si applica la circostanza attenuante speciale ad effetto comune, relativa anche ad altri reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, prevista dall'art. 323-bis c.p. quando i fatti … sono di particolare tenuità.

Il tentativo del reato di peculato è configurabile (cfr., in giurisprudenza, Cass. pen., Sez. VI, 20marzo 2006, n. 14625, nonché in dottrina, di recente, MAGNINI, 42 s.).

Il concorso di persone nel reato è possibile anche in relazione a soggetti privi della qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

Inoltre, il concorso nel peculato può essere integrato anche dalla condotta omissiva del pubblico ufficiale che ha l'obbligo giuridico di impedire il reato come, ad esempio, quella del ragioniere del comune che omette il controllo su appropriazioni dell'esattore del servizio di cassa e di tesoreria, anche senza concerto con quest'ultimo (v. Cass. pen., Sez. VI, 22 settembre 1994, n. 10813, nonché per esempi analoghi, in dottrina, PELLISSERO).

In evidenza

Si discute se sia configurabile il delitto di peculato nel caso di induzione in errore del pubblico ufficiale ex art. 48 c.p.

La giurisprudenza ha più volte ammesso la sussistenza del reato in questione quando i beni siano nella disponibilità di più pubblici ufficiali e l'attività ingannatoria sia riferibile ad alcuni di essi in danno degli altri (cfr., di recente, Cass. pen., Sez. VI, 16 gennaio 2015, n. 15951 e Cass. pen., Sez. VI, 15 aprile 2013, n. 39039), anche se non mancano pronunce in senso contrario (per questa differente soluzione, v. Cass. pen., Sez. VI, 4 aprile 2014, n, 31243); vi sono poi precedenti risalenti favorevoli alla tesi della configurabilità del delitto di peculato a carico dell'extraneus che, traendo in inganno il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, si appropria per tramite di questi di una cosa dagli stessi posseduta per ragioni del loro ufficio (v. Cass. pen., Sez. VI, 1 marzo 1996, n. 4411).

La dottrina si mostra, invece, decisamente contraria a ritenere configurabile il peculato quando l'intraneus sia stato indotto in errore dal privato, perché i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione sono reati d'obbligo, nei quali il disvalore del fatto è connotato dall'abuso delle funzioni o del servizio esercitato, che impone come elemento imprescindibile la partecipazione dolosa dell'intraneus, sicché, al più, potrebbe essere configurabile il delitto di truffa aggravata del privato ex art. 640, comma 2, n. 1, c.p. (cfr., da ultimo, PELLISSERO, 116).

Rapporti con altri reati

Problematiche sono, da un lato, l'individuazione della linea di confine con alcune figure di reato e, dall'altro, la definizione in termini di concorso formale o di consunzione dei rapporti con altre fattispecie.

In particolare, il problema dell'individuazione della linea di confine tra il peculato e altre fattispecie di reato si pone:

  • con l'abuso di ufficio, specie con riferimento alle condotte di distrazione, ovvero quando l'uso dei beni pubblici non determina una perdita definitiva degli stessi per la pubblica amministrazione; si ritiene, generalmente, avendo riguardo a fatti di distrazione, che sia configurabile il peculato se l'atto abusivo costituisce lo strumento per appropriarsi del denaro (cfr., da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 21 ottobre 2014, n. 4959);
  • con la truffa, quando la condotta di impossessamento del pubblico ufficiale è accompagnata da artifici e raggiri; costituisce principio generale quello secondo cui sussiste il peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio ha già la disponibilità del bene e gli artifici o raggiri servono ad occultare il fatto o per assicurare l'impunità all'agente, mentre è integrata la truffa quando gli artifici o raggiri costituiscono lo strumento per acquisire la disponibilità del bene (cfr., tra le tantissime, Cass. pen., Sez. VI, 6 febbraio2014, n. 15795, nonché Cass. pen., Sez. VI, 10 aprile 2013, n. 39010);

Il problema dei rapporti del peculato con altre figure di reato in termini di concorso formale o di consunzione si pone:

  • con i delitti di falso, in relazione al supporto materiale su cui è realizzato l'atto mendace; l'orientamento consolidato ritiene che il falso assorbe in sé l'intero disvalore della condotta, ora osservandosi, con specifico riferimento al falso ideologico, che l'azione non implica un uso del supporto (nel quale si incorpora il mendacio) diverso da quello istituzionale (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 12aprile 2006, n. 19270), ora rilevandosi, in linea generale, che l'oggetto materiale del fatto illecito è un bene di valore estremamente esiguo (v. Cass. pen., Sez. VI, 7 giugno 2000, n. 10543, in relazione a falso ideologico, nonché Cass. pen., Sez. VI, 22 marzo 2001, n. 21867, con riguardo a falso materiale)
  • con il reato di violazione della pubblica custodia di cose (art. 351 c.p.); la giurisprudenza tende a ritenere la condotta di appropriazione, se temporalmente limitata, come antefatto non punibile, destinato ad essere assorbito nella più complessa condotta unitaria, finalisticamente individuata dallo scopo unico, che animava ab initio la volontà e la coscienza dell'agente (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 28 aprile 1999, n. 10733);
  • con il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 c.p.); l'orientamento consolidato è nel senso del concorso formale di reati, osservandosi che la clausola se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, contenuta nell'art. 616 c.p., va interpretata con riferimento al fatto tipico della presa di cognizione del contenuto di una corrispondenza, ovvero della sua sottrazione, distrazione, distruzione o soppressione, eventualmente descritto in una norma penale diversa, e che queste condotte non sono specificamente richiamate dal legislatore nel descrivere la fattispecie del peculato, la quale ha inoltre diversa oggettività giuridica rispetto all'altra figura delittuosa (cfr. Cass. pen., Sez. VI, 16 novembre 2005, n. 11654 e Cass. pen., Sez. VI, 14 ottobre 1998, n. 11360).
Aspetti processuali

In relazione al reato di peculato di cui all'art. 314, comma 1, c.p.:

  • la procedibilità è di ufficio;
  • la competenza appartiene al Tribunale in composizione collegiale;
  • l'arresto facoltativo in flagranza è consentito;
  • il fermo di indiziato di delitto è consentito;
  • le misure cautelari personali di tipo coercitivo, ivi compresa la custodia in carcere, sono consentite;
  • le misure cautelari interdittive sono consentite;
  • le intercettazioni telefoniche e ambientali sono consentite.
Casistica

Soggetto attivo

L'amministratore di sostegno riveste la qualifica di pubblico ufficiale e perciò integra il delitto di peculato la condotta con cui si appropria delle somme di denaro giacenti sui conti correnti intestati alle persone sottoposte all'amministrazione (In motivazione la Corte ha precisato che il reato di peculato non è ravvisabile a seguito del mero mancato rispetto delle procedure previste per l'effettuazione delle spese nell'interesse dell'amministrato ma solo in presenza di una condotta appropriativa o, comunque, che si risolva nell'uso dei fondi o dei beni per finalità estranee all'amministrato) (Cass. pen., Sez. VI, n. 29617/2016).

Ai fini della configurazione del reato di peculato, i soggetti inseriti nella struttura organizzativa e lavorativa di una società per azioni possono essere considerati pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, allorquando la ragione d'essere della società medesima risieda nel generale perseguimento di finalità connesse a servizi di interesse pubblico, a nulla rilevando che dette finalità siano realizzate con meri strumenti privatistici (Fattispecie nella quale la Corte ha riconosciuto la qualifica di incaricato di pubblico servizio al presidente di una società per azioni, operante secondo le regole privatistiche ma partecipata interamente da un comune, avente ad oggetto la gestione di servizi di manutenzione del verde pubblico e dell'arredo urbano) (Cass. pen., Sez. VI, n. 1327/2016).

I titolari di tabaccheria autorizzati alla riscossione di valori per conto dell'Erario vanno considerati incaricati di pubblico servizio poiché essi, per le incombenze loro affidate, subentrano nella posizione della P.A. e svolgono mansioni che ineriscono al corretto e puntuale svolgimento della riscossione medesima. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto configurabile il delitto di peculato nei confronti di gestore di tabaccheria, autorizzata alla riscossione di valori bollati e generi di monopolio, che si era appropriato di somme destinate all'Erario) (Cass. pen., Sez. VI, n. 36656/2015).

Presupposti della condotta

Integra il delitto di peculato la condotta del funzionario doganale che si appropria di merci prelevate da containers per l'effettuazione di controlli a campione, in quanto ha di esse la disponibilità giuridica per ragioni del suo ufficio (Cass. pen., Sez. VI, n. 20972/2016).

In tema di peculato, è irrilevante per la consumazione del reato che l'agente sia entrato nel possesso del bene nel rispetto o meno delle disposizioni organizzative dell'ufficio, potendo lo stesso derivare anche dall'esercizio di fatto o arbitrario di funzioni, dovendosi escludere il peculato solo quando esso sia meramente occasionale, ovvero dipendente da evento fortuito o legato al caso. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto corretta la sentenza impugnata che aveva ravvisato la configurabilità del peculato nell'appropriazione, da parte di un'impiegata comunale, delle somme ricevute, in contrasto con le disposizioni normative ed organizzative dell'ufficio, da cittadini cui era stata comminata una sanzione amministrativa) (Cass. pen., Sez. VI, n. 18015/2015).

In tema di peculato, il possesso qualificato dalla ragione dell'ufficio o del servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale specifica del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio ma anche quello che si basa su un rapporto che consenta al soggetto di inserirsi di fatto nel maneggio o nella disponibilità della cosa o del denaro altrui, rinvenendo nella pubblica funzione o nel servizio anche la sola occasione per un tale comportamento (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto corretta la decisione impugnata che aveva qualificato in termini di peculato la condotta di appropriazione del danaro contenuto in un portafogli smarrito dal titolare, posta in essere dal carabiniere che aveva ricevuto in consegna il portafogli dall'autore del rinvenimento) (Cass. pen., Sez. VI, n. 9660/2015).

Oggetto materiale

Integra il delitto di peculato la condotta del titolare di un impianto di cattura ed inanellamento di specie aviarie a scopo scientifico che si impossessa a fini privati di esemplari di volatili catturati, in occasione dell'esercizio dell'attività scientifica autorizzata (Cass. pen., Sez. VI, n. 17677/2016).

Integra il delitto di peculato la condotta del pubblico ufficiale che, utilizzando abusivamente il mezzo di servizio, consuma una significativa quantità di carburante arrecando un apprezzabile danno patrimoniale all'Amministrazione. (Cass. pen., Sez. VI, n. 35676/2015).

Condotte appropriative

È configurabile il delitto di peculato quando il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio eroga denaro pubblico di cui possa disporre attraverso l'adozione di atti amministrativi di sua competenza non sottoposti a controllo di altre componenti dell'ufficio per effetto di consolidate prassi illecite o sistematicamente neghittose, anche nel caso in cui sia stata predisposta documentazione fittizia, ove tale artifizio non sia necessario all'acquisizione della suddetta disponibilità (Fattispecie relativa alla sistematica appropriazione, da parte di un dirigente della Provincia cui era attribuita la gestione dei contributi da assegnare a seguito di eventi calamitosi, posta in essere riconoscendo, con apposite delibere adottate all'esito di istruttorie fittizie o inesistenti, il diritto al contributo in favore di compiacenti beneficiari, ed emettendo poi i relativi decreti di liquidazione, cui faceva seguito il mandato di pagamento dell'ufficio finanziario della Provincia) (Cass. pen., Sez. VI, n. 3913/2016).

Integra il delitto di peculato la condotta del medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l'onorario dovuto per le prestazioni, omette poi di versare all'azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all'esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non in ragione di un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae, ovvero scaturito da una situazione contra legem, priva di relazione legittima con l'oggetto materiale della condotta (In applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata ritenendo che, pur essendo stata accertata l'illecita percezione di denaro e lo svolgimento dell'attività al di fuori delle regole prescritte per l'attività professionale intra moenia, non fosse stato chiarito se l'imputato avesse un titolo di legittimazione in base al quale, operando all'interno di un ospedale pubblico, aveva riscosso le somme di denaro dai pazienti) (Cass. pen., Sez. VI, n. 35988/2015).

Commette il reato di peculato il concessionario titolare dell'attività di raccolta delle giocate del lotto che ometta il versamento all'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato delle somme riscosse per le giocate, atteso che il denaro incassato dall'agente - che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio - è, sin dal momento della sua riscossione, di pertinenza della P.A., ed il reato si consuma allo spirare del termine fissato dalla legge o dal contratto di concessione (In motivazione, la S.C. ha precisato che non ha, al riguardo, giuridica rilevanza la circostanza che i ricevitori abbiano la facoltà di disporre del denaro riscosso per le percentuali d'aggio in proprio favore o per il pagamento immediato di talune vincite) (Cass. pen., Sez. VI, n. 46954/2015).

Differenze con alti reati

Integra il reato di peculato, e non già quello di peculato d'uso, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che utilizza reiteratamente l'autovettura di servizio per finalità attinenti alla vita privata, atteso che tale condotta si risolve nell'appropriazione di un bene della pubblica amministrazione. (In motivazione la Corte di cassazione ha precisato che si configura una condotta appropriativa ogni qual volta l'agente esercita sul bene un potere uti dominus tale da sottrarlo alla disponibilità dell'ente).. (Cass. pen., Sez. VI, n. 13038/2016).

Integra il delitto di peculato e non quello di truffa aggravata, la condotta dell'incaricato di pubblico servizio, dipendente di una ASL, che, preposto all'intero procedimento per il pagamento delle prestazioni ai medici ambulatoriali interni - comprensivo sia della fase accertativa della prestazione da riconoscere ai singoli professionisti, sia di quella dispositiva del denaro da erogare - fa confluire su conti bancari nella propria disponibilità parte del denaro, in quanto, per la natura ripetitiva delle voci di spesa e la tipologia delle verifiche di fatto demandate esclusivamente allo stesso, tale attività è sottratta ad una reale possibilità di controllo da parte della P.A. erogatrice e, dunque, è realizzabile senza la necessità di carpirne la volontà con artifizi e raggiri. (Cass. pen., Sez. VI, n. 50758/2016).

Integra il delitto di truffa aggravata dall'abuso di poteri o dalla violazione di doveri inerenti una pubblica funzione, e non quello di peculato, la condotta del curatore dell'eredità giacente il quale incassa più volte l'importo di un mandato di pagamento regolarmente emesso in suo favore su autorizzazione del giudice delegato prelevando le somme dal conto corrente intestato alla procedura. (Cass. pen., Sez. VI, n. 13800/2016).

Integra il delitto di abuso d'ufficio, e non quello di peculato, la condotta dell'agente della Polizia di Stato che, utilizzando il fax in dotazione dell'ufficio (nella specie il posto fisso presso un ospedale), riceva e trasmetta alla società privata con la quale collabora gli atti relativi alle pratiche infortunistiche dei propri clienti, destinando, di fatto, l'ufficio a succursale di detta società. (Cass. pen., Sez. VI, n. 22800/2016).

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