Processo minorileFonte: DPR 22 settembre 1988 n. 448
16 Luglio 2015
Inquadramento
I reati commessi da persone di minore età rientrano nella competenza del tribunale per i minorenni (art. 3, d.P.R. 448/1988), tribunale ordinario specializzato (Cass. 19 marzo 1991 n. 186668, CSM circ. 15098) istituito dal r.d. 1404/1934. Il quadro normativo di riferimento per le norme processuali penali è il d.P.R. 448/1988 che rimanda, per tutto quanto non previsto, all'impianto sistematico del c.p.p., secondo un principio di sussidiarietà che realisticamente rinvia non alla normativa in vigore nel 1988, ma al sistema processuale vigente al momento della celebrazione del processo. In qualità di organo preposto alla sorveglianza (l. 354/1975 e l. 663/1986) il tribunale per i minorenni ha competenza fino ai 25 anni del condannato per fatti commessi durante la minore età, come anche in materia di esecuzione in base al combinato disposto degli art. 665 c.p.p., che istituisce la competenza del tribunale per i minorenni in fase esecutiva, e art. 5 d.l. n. 92/2014 che, in modifica dell'art. 24 d. lgs. n. 272/1989, estende dai 21 ai 25 anni l'applicazione dell'ordinamento penitenziario minorile, quanto a tipologia, applicabilità e modalità di esecuzione di misure cautelari, misure alternative, sanzioni sostitutive, pene detentive e misure di sicurezza. Premesso che gli istituti tipici del rito minorile propri della fase della cognizione si applicano anche all'imputato divenuto maggiorenne, proprio a causa di questo tipo di competenza generale ed esclusiva in ragione dell'età, questioni si pongono per il reato permanente e per il reato continuato allorché parte della condotta sia posta in essere prima della maggiore età ed un'altra dopo il conseguimento della stessa. L'ipotesi del reato permanente non è regolata espressamente. Secondo la Cassazione (Cass. pen. 5 dicembre 1996, n. 206626; 20 luglio 1995, n. 202179; 9 ottobre 2003, n. 48516) se l'azione ha inizio prima della maggiore età e termina dopo che il soggetto è divenuto maggiorenne, la competenza spetta al giudice ordinario giacchè si tratta di condotta veramente unitaria, a differenza del reato continuato in cui l'unitarietà discende da una mera fictio iuris. Il reato continuato è espressamente normato dall'art. 14, comma, 2 c.p.p. che ne esclude la connessione che discenderebbe ex art. 12 , lett. b) c.p.p. Ai fini dell'accertamento del dato anagrafico, elemento fondante la competenza degli organi giudiziari minorili, il giudice minorile può disporre, anche d'ufficio, una perizia (art. 8 d.P.R. 448/1988). L'autorità giudiziaria ordinaria, sulla base del semplice dubbio, trasmette gli atti al PM minorile (Cass. pen., 10 dicembre 1990, n., 186094): è stato così interpretato l'art. 67 c.p.p. che regola la fattispecie. Il processo minorile non ha natura e funzione prioritariamente educativa: sarebbe incostituzionale una educazione/rieducazione che prescindesse dalla presenza di una condanna e di una pena ma, conformemente all'art. 27 Cost., persegue le finalitàtipiche della giurisdizione penale. Gli organi giudiziari
Specificità degli organi giudiziari del rito minorile è (art. 50 comma 2 ord. giud.) la presenza di una componente onoraria privata, due esperti, un uomo e una donna, aventi i requisiti richiesti dalla legge (art. 2 r.d. 1404/1934, modificato dalla l. 1441/1956), persone esperte nelle problematiche minorili chiamate ad integrare con gli apporti delle loro professionalità, quella giuridica dei magistrati togati, dandosi così attuazione al principio di partecipazione diretta del popolo all'amministrazione della giustizia (art. 102, commi 2 e 3, Cost.) e contribuendosi alla formazione del magistrato che si occupa di minori anche nel corso della decisione dei singoli casi. Allo stesso scopo di formazione pratica ed estesa del magistrato minorile mira l'assegnazione degli affari tale da favorire la diretta esperienza di ciascun giudice nelle diverse attribuzioni della funzione giudiziaria minorile. Il magistrato, attraverso la trattazione congiunta degli affari sia civili che penali, guadagna una visione completa della devianza minorile, sotto i profili della prevenzione e della repressione e si evitano carenze di specializzazione dell'organo giudiziario nel periodo feriale. A parte la mancata previsione (art. 71 ord. giud. Come modificato dall'art. 21 d. lgs. 51/1998) della figura di vice procuratori onorari nei tribunale per i minorenni, le differenze significative riguardano il Giudice per l'udienza preliminare, dinanzi al quale si definiscono la maggior parte dei procedimenti. Sempre monocratico nel rito ordinario, il GUP nel rito minorile è collegiale (art. 50-bis comma 2, ord. giud.) pur avendo composizione più snella del collegio dibattimentale: due membri togati e due onorari nel secondo caso, un togato e due onorari nel primo caso: lo scopo è quello di minimizzare le occasioni di incompatibilità fruendo però di un organo decisorio collegiale per una fase processuale che, in casi delimitati, può portare anche ad una condanna (v. Composizione dell'organo giudicante nel processo minorile in caso di giudizio abbreviato richiesto dall'imputato in seguito a decreto giudiziario immediato)
I soggetti
Sotto il profilo dei soggetti del processo minorile va detto anzitutto che è diverso l'approccio al protagonista della vicenda processuale. D'altro canto soggetti della vicenda processuale minorile sono anche i genitori o gli esercenti la responsabilità genitoriale dell'indagato/imputato come anche i rappresentanti dei servizi socioassistenziali incaricati di fornire valutazioni ed assistenza al minore. Di contro indebolito risulta il ruolo della persona offesa. Sotto il primo profilo, per accertare l'imputabilità e il grado di responsabilità del minore in relazione al fatto presumibilmente commesso, sono necessari (art. 8, d.P.R. 448/88) accertamenti sulla personalità del soggetto indagato/imputato, sulle sue condizioni personali, familiari, sociali, sul grado di sviluppo cognitivo ed emotivo.
L'art. 8 d.P.R. 448/88, dunque, deroga esplicitamente alla normativa del c.p.p. che vieta approfondimenti sulla moralità dell'imputato (art. 194, comma 1) e la perizia psicologica e criminologica nel processo di cognizione (art. 220, comma 2). Gli approfondimenti sulla personalità del minore sono necessari sia per garantire la piena conoscenza del soggetto minorenne, di per sé in evoluzione ed un processo guidato dal principio di individualizzazione che consenta di trovare le risposte più adeguate alle difficoltà personali e sociali che lo hanno portato alla devianza, sia per esaminare la sua maturità, cognitiva ed emotiva, ed il quantum di responsabilità, di comprensione del disvalore sociale del fatto e di autodeterminazione rispetto alla condotta tenuta, per giungere a dimostrarne l'imputabilità ex art. 98 c.p. A questo fine P.M. e giudice acquisiscono obbligatoriamente elementi da persone comuni che abbiano avuto rapporti col minore e da esperti, anche senza alcuna formalità. L'omissione degli approfondimenti da parte del P.M. può essere pacificamente sanata in fase di giudizio non essendo certo configurabile una nullità ex art. 179, comma 1, c.p.p., ma solo una nullità a regime intermedio. Vengono a tal fine richieste relazioni all'ufficio del Servizio Sociale ministeriale e ai servizi socio-sanitari territoriali facenti capo agli enti locali. Nei casi dubbi di sospetti disturbi di personalità o patologie psichiatriche del minore, si ricorre allo strumento della consulenza tecnica psicologica o psichiatrica di parte o di ufficio. Per minimizzare la conflittualità e concentrare l'attenzione sulla figura del reo, non è prevista la costituzione di parte civile e la sentenza penale non ha efficacia vincolante nel giudizio civile di danno (art. 10, d.P.R. 448/88). L'offeso però partecipa alla fase processuale (artt. 31, comma 5, e 33, comma 4, d.P.R. 448/1988) con valenza informativa circa la personalità dell'autore del reato e ruolo di impulso per i congegni di definizione anticipata del processo. La persona offesa può essere sentita in udienza preliminare e in alcuni momenti di definizione anticipata (art. 27 d.P.R. 448/88); anche se non chiamata a testimoniare in dibattimento, che nel rito minorile si svolge sempre a porte chiuse (d. lgs. 12/1991; Cass. 1 luglio 1991; Cass. pen. 3104/1992), ha diritto di assistere e può in ogni momento indicare elementi di prova e presentare memorie scritte.
Il coinvolgimento degli esercenti la responsabilitàgenitoriale è reso obbligatorio dalla previsione di notificare, a pena di nullità anche a loro atti significativi del procedimento (art. 7 e art. 12 d.P.R. 448/1988) al duplice scopo di garantire assistenza affettiva e psicologica al minore nel processo e integrare la sua capacitàdi difendersi provando (Corte cost. 99/1975; Cass. Sez. unite. 8 maggio 1965, R. pen. 66, II, 1100). Non a caso la prima disposizione fa riferimento all'esercente la responsabilitàgenitoriale e la seconda ai genitori o altra persona indicata dal minore.
Le misure cautelari
In ambito minorile, si applicano solo le misure cautelari tassativamente previste nel d.P.R. 448/1988, che non costituisce un sistema chiuso ed autonomo, rinviando esplicitamente in parte alle norme del codice di procedura penale, ma delinea una serie di deroghe in melius alla normativa ordinaria. Spesso non si limitano ad imporre obblighi negativi e passivi ma contengono obblighi di fare per sollecitare il minore verso un impegno sociale e personale. I termini di durata, sia massima che di fase, (art. 303 c.p.p.) sono ridotti della metà per gli ultrasedicenni e di due terzi per gli infrasedicenni. Nonostante il contenuto fortemente educativo di alcune misure, anche in ambito cautelare il processo penale è luogo di accertamento di responsabilità penali e non luogo di rieducazione tout court (Corte cost. 4/1992). Occorrono dunque i presupposti generali per l'applicazione di misure cautelari, ma anche presupposti speciali: la prognosi negativa sulla concedibilità di misure premiali quale il perdono giudiziale o l'irrilevanza del fatto e la prova dell'imputabilità del minore. Ricorrono limiti di pena più rigorosi, in particolare per le misure detentive, e criteri di scelta del tipo di misura (art. 19, d.P.R. 448/88) che, richiamando l'art. 275 c.p.p., eccetto che nel terzo comma, aggiungono ulteriori presupposti: l'esigenza di non interrompere i processi educativi in atto e la non obbligatorietàdella custodia in carcere. Nella determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelari si tiene conto dei criteri di cui all'art. 278 c.p.p. e della diminuente obbligatoria della minore età (art. 98 c.p.) pur nella misura minima di un giorno. Dottrina e giurisprudenza maggioritaria ritengono doveroso anticipare, seppure con maggiore sommarietà, il giudizio di bilanciamento delle circostanze attenuanti, sicuramente sussistenti (almeno la diminuente obbligatoria della minore età) con le aggravanti, anche alla fase precautelare e cautelare, essendo il bilanciamento l'unico metodo di calcolo della pena in caso di concorso di circostanze di segno opposto (Cass. 6 dicembre 1997, p.m. in c. Salkanovic, C 7.7.93, Gaini). In caso di gravi e ripetute violazioni della misura in atto, in deroga all'art. 276 c.p.p., è possibile al PM richiedere l'applicazione della misura immediatamente più afflittiva, con esclusione di un aggravamento per saltum e con esclusione dell'applicabilità dell'art. 650 c.p. in quanto norma in bianco e a valore sussidiario che cede di fronte a specifica disciplina “sanzionatoria”. La custodia in Istituto Penitenziario Minprile resta extrema ratio ed il collocamento in comunità vi è equiparato solo quanto ai termini di durata massima e alla computabilità del presofferto. Da preferire lo strumento precautelare parallelo dell'accompagnamento a seguito di flagranza (art. 18-bis d.P.R. 448/1988) in cui la condizione dell'accompagnato non è equiparabile allo status dell'arrestato: vige infatti solo l'obbligo dell'affidatario di tenere il minore a disposizione del P.M. e di vigilare sul suo comportamento, mentre non vige alcun obbligo in capo al minore ed il suo allontanamento non costituisce evasione.
Casistica
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