Abuso del diritto
08 Aprile 2016
Inquadramento
Con il decreto legislativo 158 del 2015 si è dato corpo alla riforma del diritto penale tributario, intervenendo sul contenuto del decreto legislativo 74 del 2000. Una delle principali novità introdotte in sede di riforma del diritto penale tributario è rappresentata dalla circostanza che il legislatore ha espressamente sancito l'irrilevanza penale delle condotte di elusione fiscale ed abuso del diritto. Per certi aspetti la previsione che dispone la non sanzionabilità dei predetti comportamenti non è contenuta nel decreto legislativo 158 del 2015 che ha riformato la disciplina degli illeciti fiscali, ma è inserita all'interno del decreto numero 128 del 2015, che a sua volta ha inserito nel cosiddetto Statuto del Contribuente di cui alla legge 212 del 2000 l'art. 10-bis, il cui comma 13 espressamente dispone che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. In realtà, a nostro parere, l'irrilevanza penale dell'abuso non può essere riconnessa a questa semplice affermazione del legislatore la quale si presenta oscura e discutibile sotto più profili, quanto piuttosto è da ritenersi che la riformulazione di alcune fattispecie criminose presenti nel decreto legislativo 74 del 2000 – ed in particolare dei reati di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione infedele – sia stata operata in modo tale che all'interno di tale figure criminose non possono più rientrare le condotte di elusione fiscale. Di ciò tuttavia si dirà in seguito, quando per l'appunto verranno passate in esame tanto le modifiche alle suddette fattispecie delittuose che la disciplina in tema di abuso del diritto e elusione fiscale dettata nel citato articolo 10-bis d.lgs. 74/2000. Infatti, prima di passare all'analisi di questo profilo è il caso di soffermarsi sui fenomeni dell'abuso del diritto in ambito fiscale e delle condotte di elusione di imposta, cercando di fornire una definizione delle stesse e di comprendere quali sono i problemi che si pongono con riferimento alla necessità di reprimere tali comportamenti. La nozione di abuso del diritto ed il diritto tributario
Come è noto, con l'espressione abuso del diritto si suole indicare le condotte di quanti utilizzano una loro posizione giuridica, che pure trae legittimazione da specifiche norme sostanziali o processuali, per farne conseguire effetti che, a seguito di una non superficiale considerazione delle concrete circostanze della vicenda, appaiono incongrui, o addirittura incompatibili, con la ratio sottesa al dettato legislativo. Il problema dell'abuso del diritto, dunque, può essere considerato come un'ipotesi in cui l'attribuzione di una certa facoltà giuridica, effettuata in via generale ed astratta dall'ordinamento, finisce per disattendere nel singolo caso proprio le finalità che giustificano tale titolarità, determinando così una situazione che l'ordinamento non dovrebbe e non può tollerare. Il settore tributario, in particolare, può considerarsi il vero e proprio “terreno di elezione” dell'istituto in parola. In ragione degli interessi economici e patrimoniali su cui la normativa erariale va ad incidere, da sempre i contribuenti – che non volessero essere semplicemente inottemperanti rispetto ai relativi adempimenti, con le conseguenze penali e comunque più in generale sanzionatorie che possono derivarne – hanno cercato di utilizzare istituti e previsioni normative in maniera tale che, all'osservanza formale delle norme impositive, si accompagnasse il raggiungimento di finalità assolutamente divergenti rispetto agli obiettivi che con quegli istituti e disposizioni il legislatore intendeva perseguire (LOVISOLO; CIPOLLINA; PIERLINGERI). Considerato sotto questo profilo il fenomeno dell'abuso del diritto (o, altrimenti detto, con espressione dal significato sostanzialmente analogo, la condotta di elusione di imposta) si presenta con connotazioni e caratteri assolutamente simili rispetto ad altri comportamenti del contribuente, quale ad esempio il risparmio o l'evasione d'imposta, da cui però al contempo si differenzia per aspetti di assoluto rilievo che giustificano un trattamento normativo di tali condotte del privato assolutamente divergente negli esiti finali (LUPI; DEL FEDERICO; D'AMICO,).
A proposito di quanto ora osservato, nell'ambito del settore tributario la nozione di elusione fiscale – intesa quale arbitrario esercizio del parte del contribuente delle facoltà che l'ordinamento tributario gli riconosce onde realizzare un abbattimento dell'obbligo di imposta è finalizzato l'arbitrario esercizio, da parte del contribuente – si differenzia rispetto ad altre due tipologie di condotta con cui il contribuente può scegliere di rapportarsi rispetto all'amministrazione fiscale ed agli obblighi tributari, ovvero l'evasione e risparmio di imposta (peraltro, tanto l'elusione che l'evasione ed il risparmio di imposta vengono qualificate come modalità di condotta passive rispetto alla posizione dell'Amministrazione finanziaria, in contrapposizione a quelli che possono definirsi come comportamenti positivi del contribuente, rinvenibili laddove questi sceglie di attivarsi per operare un trasferimento dell'onere tributario in capo ad un altro soggetto con il quale intercorre un rapporto di scambio, andando a configurare la cosiddetta traslazione di imposta). Evidentemente di particolare rilievo è la differenza fra l'elusione e la ben più grave condotta di evasione, non foss'altro perché a quest'ultima l'ordinamento nazionale replica con il ricorso alle sanzioni penali. La distinzione – che sul piano concreto ed operativo si presentata fortemente discussa e confusa – è chiara sul piano concettuale: ricorre un'ipotesi di elusione quando attraverso un determinato procedimento intenzionale fin dal principio venga posto in essere un patto che non integri i presupposti per l'imposizione oppure attenuti l'importo dell'imposta, mentre l'evasione fiscale è rinvenibile solo in presenza di un inadempimento colpevole e volontario della pretesa tributaria già validamente insorta a seguito della realizzazione della fattispecie negoziale sottoposta a tassazione (KRUSE). L'elusione è dunque una forma di risparmio fiscale attraverso la quale il contribuente, utilizzando la norma in maniera difforme dalla ratio della stessa ed in maniera funzionale a proprie finalità, evita il verificarsi del presupposto cui la legge ricollega l'insorgere dell'obbligazione tributaria ottenendo così l'applicazione di una tassazione meno onerosa. Il risparmio fiscale che così viene ad ottenersi non è giudicato illecito dal legislatore, né è sanzionato da una espressa disposizione normativa, ma è comunque incompatibile con l'ordinamento tributario perché per ottenerlo il singolo abusa di sue prerogative e di sue facoltà giuridiche ponendo in essere uno o più negozi civilisticamente validi ed efficaci ma con l'esclusivo o assolutamente preminente scopo di ridurre il carico fiscale altrimenti applicabile laddove avesse fatto ricorso ad altri schemi contrattuali o comportamentali. La fondamentale caratteristica del comportamento elusivo, quindi, è che la riduzione dell'onere fiscale che ne deriva non solo è ineccepibile sotto il profilo del diritto positivo, ma trova addirittura in esso la sua legittimazione, perché il beneficio economico che il contribuente matura non consegue – diversamente da quanto si verifica per l'evasione – all'assunzione di una condotta fraudolenta o alla falsa prospettazione della vicenda sottoposta a tassazione. Come indicato in più occasioni dalla Cassazione, si è in presenza di un'elusione di imposta quando ricorra a) un elemento oggettivo, rappresentato dal ricorrere di fatti o atti aventi valenza giuridica o negozi contrattuali anche collegati fra loro; b) un elemento soggettivo, rappresentato dalla sussistenza di un valido ed effettivo interesse economico che, in apparenza, il singolo intende perseguire con il suo comportamento sottoposto a tassazione; c) un elemento teleologico, rappresentato dalla finalità di aggirare obblighi o divieti previsti dall'ordinamento tributario o di ottenere riduzioni di imposta o rimborsi altrimenti indebiti, il tutto senza che all'Amministrazione finanziaria venga occultato il verificarsi del presupposto impositivo o che tale presupposto venga raffigurato in termini diversi dal reale ed in senso più favorevole per il singolo (Cass. civ., Sez. V, 21 aprile 2008, n. 10257. Più di recente, Cass. civ., Sez. V, 26 febbraio 2014, n. 4604; Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2014, n. 653; Cass. pen., Sez. V, 30 novembre 2012, n. 21390). Assolutamente diversa si palesa invece la nozione della condotta di evasione, con la quale il singolo assume un atteggiamento di assoluta inosservanza degli obblighi tributari e consapevolmente sceglie di porsi in contrasto con l'ordinamento. Tale comportamento del contribuente può assumere due diverse modalità: in primo luogo, e si tratta dell'ipotesi più grave e punita più severamente dal legislatore, il singolo non solo non adempie l'obbligazione fiscale, ma per ottenere tale risultato sceglie e si adopera per occultare – ovvero manifestare in maniera difforme dal reale - il verificarsi del fondamento reddituale dell'imposizione; in una seconda ipotesi, all'Amministrazione finanziaria non viene occultato il verificarsi del presupposto dell'imposizione, né se ne alterano le caratteristiche, bensì, una volta maturato l'obbligo di imposta, il contribuente non adempie allo stesso, mancando quindi di versare all'Erario quanto dovuto (Nello stesso senso si è più volte pronunciata la giurisprudenza, secondo la quale la nozione di elusione fiscale prescinde da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di un'operazione negoziale, nel senso di una prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in errore o rendere difficile all'ufficio di cogliere la vera natura dell'operazione … il proprium del comportamento abusivo consiste proprio nel fatto che, a differenza delle ipotesi di frode, il soggetto ha posto in essere operazioni reali, assolutamente conformi ai modelli legali, senza immutazioni del vero o rappresentazioni incomplete della realtà: Cass. civ., Sez. V, 29 settembre 2006, n. 21221). Il secondo polo da cui occorre differenziare il comportamento elusivo è rappresentato da quelle ipotesi di condotta – cui si è in precedenza accennato quali ipotesi assolutamente fisiologiche del rapporto fra amministrazione finanziaria e singolo che cerca di massimizzare i ricavi della sua attività economica, abbattendo all'uopo anche il carico fiscale su di essa gravante – con cui il contribuente riesce ad ottenere un lecito risparmio di imposta. Che tale situazione possa senz'altro verificarsi nell'ambito dell'ordinamento nazionale e che il perseguimento di tale risultato non sia assolutamente precluso all'imprenditore è dimostrato, fra l'altro, dalla circostanza che nella stessa Relazione ministeriale allo Schema di decreto del 12 settembre 1997 n. 358, può leggersi che la norma [fiscale] non può vietare la scelta, fra una serie di possibili comportamenti cui il sistema fiscale attribuisce pari dignità, di quello fiscalmente meno oneroso: di conseguenza deve ritenersi che non si può parlare di elusione quando ci si limita ad adottare una delle diverse modalità di comportamento o negoziali che l'ordinamento mette a disposizione del contribuente, anche se, così facendo, costui persegue ed ottiene un tassazione economicamente più vantaggiosa. Di contro, come può arguirsi anche da quanto detto in precedenza, nell'elusione non si assiste ad una scelta fra più opportunità di risparmio volutamente offerte dal legislatore, ma il singolo utilizza facoltà a lui attribuite e riconosciute per raggiungere – non le finalità che l'ordinamento fiscale riconnette all'esercizio del diritto in concreto esercitato, quanto – un risultato che il sistema nel complesso disapprova e di cui nega la legittimità. In ambito penalistico in più occasioni si è riconosciuta una rilevanza penale a condotte qualificabile in termini di elusione fiscale. In particolare, una volta che la Cassazione civile giunse – con tre contestuali decisioni delle Sezioni unite nel 2008 – ad una soddisfacente ricostruzione e definizione dei comportamenti elusivi o connotati da un abuso del diritto, la giurisprudenza di legittimità ha immediatamente affermato che nulla impedisse il riconoscimento di una qualificazione in termini di penale rilevanza di tali condotte assunte dal contribuente, giacché dai principi di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, dettati dall'art. 53 Cost., poteva desumersi che il privato non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo in maniera distorta di strumenti giuridici idonea ad ottenere un risparmio fiscale, in mancanza di ragioni economicamente apprezzabile che possono giustificare l'operazione. Conformemente a tale ricostruzione, la suprema Corte ha ad esempio ritenuto sussistente il fumus del reato di omessa dichiarazione con riferimento ad una condotta di estero-vestizione della società, avente residenza fiscale all'estero ma operante di fatto nel territorio nazionale italiano (Cass. pen.,Sez. IV, 20 novembre 2014, n. 3307) ed in altre occasioni si è affermato che i reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche dalle condotte elusive a fini fiscali che siano strettamente riconducibili alle ipotesi di elusione espressamente previste dalla legge – ovverosia quelle di cui agli artt. 37, comma 3, e 37-bis d.P.R. 600 del 1973 (Cass. pen., Sez. II, 28 febbraio 2012, Gabbana, in Mass. Uff., n. 252019), considerato che la fattispecie di cui all'art. 4 d.lgs. 74 del 2000 non richiederebbe la sussistenza di una dichiarazione fraudolenta ma soltanto la presentazione di una dichiarazione infedele e pertanto avrebbe integrato tale illecito anche la mera indicazione, pur senza l'uso di mezzi fraudolenti, di elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed elementi passivi fittizi, quando ricorressero le altre condizioni ivi previste in relazione all'ammontare dell'imposta evasa e degli elementi attivi sottratti all'imposizione e risultino superate le relative soglie di punibilità (Cass. pen, sez. V, 9 settembre 2013, Della Gatta, in Mass. Uff., n. 257190. In dottrina, MARCHESELLI; CORSO; BASILAVECCHIA; D'AVIRRO; DI SIENA; CARACCIOLI). Le superiori conclusioni della Cassazione penale non paiono però poter mantenere validità dopo l'entrata in vigore dell'art. 10-bis della legge 212 del 2000, il cui comma 13 dispone che le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. È a tale disposizione che ha fatto riferimento la Corte di cassazione (Sez. III, 1 ottobre 2015, Mocali, n. 40272) per annullare senza rinvio una precedente decisione di condanna per violazione dell'art. 4 d.lgs. 74 del 2000 riferita ad una operazione che poteva ritenersi avesse natura elusiva. In particolare nel caso deciso dalla suddetta decisione della Cassazione era contestato ad un amministratore di società di capitali di aver indicato nella dichiarazione IRES elementi passivi fittizi, conseguenza di un'operazione negoziale formalmente lecita (contratto di stock lending agreement), posta in essere al solo scopo di conseguire un risparmio d'imposta con superamento delle soglie di punibilità previste dalla norma penale tributaria. Secondo i giudici di merito l'operazione negoziale sopra menzionata aveva carattere elusivo in quanto connotata da elementi di evidente artificiosità tali che gli elementi passivi da essa scaturiti dovevano ritenersi solo apparenti. In particolare, la fittizietà di tali costi sarebbe stata desumibile dalla mera apparenza della operazione contrattuale, predisposta dalle parti in vista del vantaggio fiscale e già nota fin dall'inizio nel suo esito – come poteva ricavarsi da una serie di indicatori quali, fra l'altro, l'assenza di trasferimento effettivo delle azioni da una società all'altra, la sola apparente differente soggettività giuridica delle società coinvolte nell'operazione, la sola apparente aleatorietà del contratto, l'assenza sostanziale di area nella gravosa scommessa assunta da una delle società protagoniste dell'operazione. Stante dunque la connotazione elusiva della vicenda e la sostanziale inesistenza dei costi che dalla stessa erano scaturiti e considerato che tali costi erano stati indicati dall'imputato quale elementi passivi fittizi nella dichiarazione dei redditi da lui presentata per conto della persona giuridica, in sede di merito veniva pronunciata sentenza di condanna per il delitto di mendace dichiarazione, conformemente alla posizione della giurisprudenza di cui si è dato conto in precedenza. Come detto, però, la Cassazione ha annullato la decisione sostenendo che il fatto così come contestato non è più previsto dalla legge come reato e perviene a questa conclusione sulla base di due considerazioni: da un lato, come sostanzialmente riconosciuto gli stessi giudici di merito, la condanna dell'imputato si fondava essenzialmente su una qualificazione del comportamento negoziale da lui assunto in termini di abuso del diritto o di elusione fiscale, dall'altro per espressa previsione normativa contenuta nel comma 13 dell'art. 10-bisl. 212 del 2000 le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributari. In sostanza, secondo la Corte di legittimità, l'affermazione dei giudici di merito in base alla quale la predetta operazione andava qualificata come elusiva era corretta e rispondente alla definizione che di tale nozione viene data nel citato art. 10-bis l. 212 del 2000 Al contempo però in base allo stesso art. 10-bis la condotta contestata all'imputato deve ritenersi priva di rilevanza penale e ciò in quanto fra le condotte elusive e gli illeciti tributari corre un rapporto di mutua esclusione nel senso che l'abuso del diritto può essere configurato solo se i vantaggi fiscali non possono essere disconosciuti contestando la violazione di disposizioni del decreto legislativo 74 del 2000: ecco perché, una volta riconosciuta – come hanno fatto giudici di merito – la natura elusiva della condotta del contribuente, nei confronti dello stesso non possono muoversi rimproveri di rilevanza penale e ciò in quanto la disciplina dell'abuso del diritto ha una applicazione solo residuale rispetto le disposizioni concernenti la simulazione o i reati tributari, in particolare, l'evasione e la frode, … fattispecie [che] vanno perseguite con gli strumenti che l'ordinamento già offre. La posizione della Cassazione necessita di alcune precisazioni, potendosi altrimenti prestare a fraintendimenti. In primo luogo, come detto, la Cassazione motiva la sua conclusione in termini di irrilevanza penale dei fatti portati il suo esame facendo riferimento all'irrilevanza penale dell'abuso del diritto e delle condotte di elusione fiscale. Tuttavia, alle medesime conclusioni si può pervenire richiamando il contenuto della riforma del diritto penale tributario introdotta con il decreto legislativo 158 del 2015 – non ancora entrato in vigore al momento della decisione sopra citata e presumibilmente per tale ragione non espressamente richiamato dalla Cassazione. In particolare, le nuove formulazioni dei reati di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione mendace di cui agli artt. 3 e 4 d.lgs. 74 del 2000 e le innovative definizioni in tema di operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente e di mezzi fraudolenti di cui alle lettere g-bis) e g-ter) presenti nell'art. 1 d.lgs. 74 del 2000 consentono di pervenire comunque alla dichiarazione di non rilevanza penale della condotta contestata, a prescindere da una qualificazione della stessa quale abuso del diritto. Va considerato infatti come dopo la recente riforma del diritto penale tributario il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici presenti un terzo comma nel quale dalla nozione di mezzi fraudolenti sono esplicitamente esclusi la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali. Nell'art. 4 d.lgs 74/2000 invece è stato introdotto il comma 1-bis, il quale dispone che ai fini dell'applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi passivi reali; infine, il citato art. 1 definisce le operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente quali operazioni apparenti diverse da quelle disciplinate dall'art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti ed individua i mezzi fraudolenti nelle condotte artificiose attive nonché quelle omissive realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico, che determinano una falsa rappresentazione della realtà. Il significato di tali innovazioni è univoco e va individuato nella volontà del legislatore della riforma di sanzionare, nell'ambito dei delitti in materia di dichiarazione, le sole condotte maggiormente lesive degli interessi dell'Erario qualificate da comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione ed all'utilizzo di documentazione falsa. Per questa ragione non vi sarà possibilità di far ricorso alla sanzione penale quando il contribuente palesi la sua condotta, esterni chiaramente al Fisco le modalità con cui è pervenuto a definire l'imposta pagata e tale trasparenza consente all'Erario di contestare la dichiarazione fiscale, misconoscendo costi che – pur se realmente esistenti - ritiene ingiustificati e non deducibili, di attribuire ricavi che invece il contribuente aveva escluso di aver maturato ecc.. In conclusione, non è che l'abuso del diritto non ha rilevanza penale perché lo dice il legislatore. La ricostruzione corretta del nuovo quadro normativo è nel senso che nelle condotte di elusione fiscale mancano quei contenuti di fraudolenza ed inganno la cui presenza è oggi richiesta per la sussistenza delle nuove fattispecie di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione infedele. Ovviamente, con quanto si è fermato finora non si intende certo affermare che qualsiasi condotta di abuso del diritto o di elusione fiscale è inevitabilmente priva di rilevanza penale per cui, ad esempio, se un contribuente pone in essere un'operazione negoziale di transfer pricing, di estero-vestizione, di stock lending agremeent, tale vicenda non potrebbe mai assumere rilevanza penale in quanto ciò è espressamente escluso dal comma 13 del citato articolo 10-bis. In sostanza, non è corretto affermare che il rapporto di mutua esclusione fra contestazione di un'ipotesi di elusione fiscale e accusa di aver violato la legge penale cui fa menzione la Cassazione nella decisione più volte citata escluderebbe che in presenza di una vicenda di abuso del diritto possa ritenersi integrata alcuna fattispecie criminosa prevista nel titolo secondo del decreto legislativo 74 del 2000. Infatti, il confine fra condotte elusive, aventi rilevanza solo in sede amministrativa tributaria e comportamenti posti in essere in violazione della legge penale è segnato dalla circostanza che il contribuente abbia o meno, nella vicenda presa in esame, posto in essere comportamenti fraudolenti, ingannevoli, mendaci nei confronti del fisco: se tali circostanze non sono rinvenibili nel caso di specie, allora, alla luce delle nuove formulazioni di cui agli artt. 1, lett. g-bis) e g-ter), 3 e 4 d.lgs. 74 del 2000, deve escludersi comunque la sussistenza di una fattispecie criminosa, quale che sia in sede tributaria la qualificazione che voglia darsi dell'attività negoziale poste in essere dal privato; quando invece il contribuente abbia posto in essere comportamenti dotati di tale capacità ingannatoria ricettiva nei confronti della Amministrazione Finanziaria, allora è sicuramente possibile sostenere una sua responsabilità penale per i delitti di dichiarazione fraudolenta e dichiarazione mendace, anche laddove le vicende e le operazioni contrattuali falsamente rappresentate dal contribuente possano avere anche una valenza elusiva ed essere qualificate in termini di abuso del diritto in sede amministrativa. In sostanza, in presenza di condotte fraudolente e truffaldine tenute dal privato nei confronti dell'Erario, la previsione di cui al comma 13 più volte citato non opera e nonostante la valenza elusiva dell'operazione contrattuale considerata la stessa va qualificata come integratrice di una delle fattispecie penali disciplinate dal decreto legislativo 74 del 2000. BASILAVECCHIA, Quando l'elusione costituisce reato, in Riv. Giur. Trib., 2012, 381; CARACCIOLI, Imposta elusa e reati tributari di evasione nell'impostazione della Cassazione, ibidem, 92 CIPOLLINA, Elusione fiscale, in Dig. Comm., Agg. III, Torino 2007, 371; CORSO, Una elusiva sentenza della Corte di Cassazione sulla rilevanza penale dell'elusione, in Corr. Trib., 2012, 1074; D'AMICO, Libertà di scelta contrattuale e frode alla legge, Milano 1993, 81 D'AVIRRO, L'elusione entra a torto nell'illecito penale tributario, in Corr. Giur., 2012, 493 DEL FEDERICO, Elusione ed illecito tributario, in Corr. Trib., 2006, 310; DI SIENA, La criminalizzazione dell'elusione fiscale e la dissolvenza della fattispecie criminosa, in Riv. Dir. Trib., 2012, III, 86; LOVISOLO, Brevi riflessioni di un tributarista sul nuovo sistema degli illeciti penali tributari disegnato dal d.lgs. n. 74 del 2000, in AA.VV., (a cura di Santoriello), La riforma del diritto penale tributario. Questioni applicative, Torino 2000, 1; KRUSE, Il risparmio di imposta, l'elusione fiscale e l'evasione, in Trattato di diritto tributario, diretto da AMATUCCI, vol. III, Padova 1994, 207 LUPI, Elusione fiscale: modifiche normative e prime sviste interpretative, in Rass. Trib., 1995, 410; LUPI, L'elusione come strumentalizzazione delle regole fiscali, in Rass. Trib., 1994, 225; MARCHESELLI, Elusione, buona fede e principi del diritto punitivo, in Corr. Trib., 2009, 411; MARCHESELLI, Elusione e sanzioni: un'incompatibilità logico-giuridica, in Corr. Trib., 2009, 1990; MARCHESELLI, Equivoci e prospettive dell'elusione tributaria, fra principi comunitari e principi nazionali, in Dir. Prat. Trib., 2010, I, 803; PIERLINGERI, Profili civilistici dell'abuso tributario. L'inopponibilità delle condotte elusive, Napoli 2012, 43 VENEZIANI, Elusione fiscale, "esterovestizione" e dichiarazione infedele, in Dir. Pen. Proc., 2
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