Condizioni obiettive di punibilitàFonte: Cod. Pen Articolo 44
27 Settembre 2017
Inquadramento
L'art. 44 c.p. disciplina le c.d. condizioni obiettive di punibilità (d'ora in poi, C.O.P.), che è possibile definire come eventi futuri ed incerti, estranei alla condotta tipica ma il cui verificarsi è necessario affinché essa risulti punibile.> Funzione
La funzione delle C.O.P. (di non estrema rilevanza pratica, come testimoniano le sempre più rare applicazioni giurisprudenziali) viene generalmente individuata nell'opportunità di collegare la punibilità di alcuni reati al verificarsi di determinate circostanze, legalmente tipizzate per non affidarne (nel rispetto del principio di legalità) l'apprezzamento alla discrezionalità del giudice: «la C.O.P. svolge nell'economia del reato il ruolo di essere rivelatrice del bene giuridico che si è voluto tutelare e la cui lesione o messa in pericolo fa scattare la punibilità della condotta tipica portando a compimento la previsione legislativa» (Cass. pen. Sez. I, n. 888/1973). Struttura
L'individuazione (tradizionalmente ostica, come dimostrano i contrasti sorti in dottrina e giurisprudenza in relazione a numerose fattispecie) delle C.O.P. non può fondare sul dato testuale (indice grammaticale) ma deve tener conto: a) della funzione di ciascun elemento all'interno della fattispecie tipica (indice strutturale): in relazione ad essa, andranno esclusi dall'ambito delle C.O.P. gli eventi causalmente collegati alla condotta tipica, ovvero che devono risultare psicologicamente ricollegabili all'agente; b) dei rapporti tra esso e l'interesse penalmente tutelato dalla norma penale incriminatrice (parametro sostanziale): in relazione ad essi, andranno esclusi dall'ambito delle C.O.P. gli eventi nei quali si incentra l'offesa al bene protetto. Si pensi, ad es., al pericolo per l'incolumità pubblica ex art. 423, comma 2, c.p., che sicuramente non costituisce C.O.P.: «la fattispecie di incendio di cosa propria, senza quel pericolo, non avrebbe alcun contenuto offensivo, posto che rappresenterebbe una forma di esercizio di un diritto; ne consegue che il pericolo per la pubblica incolumità rappresenta necessariamente un elemento costitutivo del fatto e non già un elemento ad esso estraneo» (G. Fiandaca ed E. Musco, Diritto penale. Parte generale, VII ed., Bologna, 2014, 817).
Applicazioni
Il pubblico scandalo nell'incesto. Particolarmente discussa è la qualificazione del pubblico scandalo richiesto nel reato di incesto (art. 564 c.p.). Parte della dottrina ritiene che esso costituisca evento del reato: «il pubblico scandalo incide direttamente sull'offesa, poiché il diritto penale di uno Stato laico e pluralistico non ha interesse a punire l'incesto come fatto immorale in sé, ma solo in quanto tale fatto sia percepito come causa di turbamento da parte di terzi estranei» (G. FIANDACA ed E. MUSCO 2014, 817). In senso contrario, si è sostenuto che «è C.O.P. anche il pubblico scandalo […] perché concepito come un fattore ulteriore rispetto al disvalore significativo del fatto ed aggiunto nell'art. 564 per limitare a taluni casi soltanto l'intervento punitivo nell'ambito familiare […]. È impossibile pensare che la morale familiare del capo II sotto cui è posto l'art. 564 sia offesa dallo scandalo o anche dallo scandalo: il fatto vietato dal legislatore perché riprovato nell'ottica etico-sociale è il rapporto incestuoso, non il rapporto incestuoso scandaloso» (M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, vol. I (artt. 1-84), III ed., Milano, 2004, 477 e 479; conforme, F. Mantovani, Diritto penale, IX ed., Padova, 2015, 785). La differenza non è meramente nominalistica, poiché dalla soluzione prescelta derivano importanti conseguenze in tema di imputazione, che deve avvenire, nel rispetto del principio di personalità, a titolo di dolo e/o colpa, se si tratta di evento del reato, ovvero prescindendo dal dolo e/o dalla colpa, ove si tratti di C.O.P.
Il superamento delle soglie di punibilità nei reati tributari. In ordine alla natura giuridica del superamento delle soglie di punibilità nei reati tributari la giurisprudenza è divisa:
La sentenza dichiarativa di fallimento nei reati di bancarotta. La giurisprudenza è stata a lungo ferma nell'escludere che la sentenza dichiarativa di fallimento, nei reati di bancarotta (artt. 216 s. l. fall.) avesse natura di C.O.P. (così, da ultimo, Cass. pen., Sez. V, n. 26548/2014; nel medesimo senso, Corte cost. n. 146/1982), rifacendosi al non recente orientamento per il quale «la dichiarazione di fallimento, pur costituendo un elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e proprie perché, mentre queste presuppongono un reato già strutturalmente perfetto, sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo essa, invece, costituisce, addirittura, una condizione di esistenza del reato o, per meglio dire, un elemento al cui concorso è collegata l'esistenza del reato, relativamente a quei fatti commissivi od omissivi anteriori alla sua pronunzia, e ciò in quanto attiene così strettamente all'integrazione giuridica della fattispecie penale, da qualificare i fatti medesimi, i quali, fuori del fallimento, sarebbero, come fatti di bancarotta, penalmente irrilevanti» (Cass. pen., Sez. unite, n. 2/1958); nel medesimo senso, in seguito, Cass. pen., Sez. unite,n. 24468/2009, per la quale «il decreto di ammissione all'amministrazione controllata ripete, nell'ambito della corrispondente fattispecie di bancarotta, la stessa natura e gli stessi effetti della sentenza dichiarativa di fallimento ed integra, pertanto, un elemento costitutivo del reato e non già una mera condizione obiettiva di punibilità, presupponendo questa un reato già strutturalmente perfetto, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo». Altre decisioni avevano, peraltro, mostrato di non condividere l'orientamento tradizionalmente dominante:
Quest'ultimo orientamento, per il quale la dichiarazione di fallimento, ponendosi come evento estraneo all'offesa tipica e alla sfera di volizione dell'agente, costituisce una condizione obiettiva di punibilità, che circoscrive l'area di illiceità penale alle sole ipotesi nelle quali, alle condotte del debitore, di per sè offensive degli interessi dei creditori, segua la dichiarazione di fallimento, è sempre più diffuso (Cass. pen., Sez. V, n. 13910/2017: in motivazione, la Suprema Corte ha richiamato la sentenza n. 1085 del 1988 della Corte costituzionale, quanto al sottrarsi delle condizioni obiettive di punibilità alla regola della rimproverabilità ex art. 27, comma 1, Cost.), e si avvia a divenire dominante. Esso comporta:
Nell'ambito delle C.O.P- si distinguono:
L'imputabilità delle C.O.P. avviene anche se l'evento condizionante non è voluto, e quindi più che oggettivamente, non assumendo rilievo rispetto non soltanto l'elemento psicologico ma neanche il nesso di derivazione causale dalla condotta (al contrario, indispensabile nelle ipotesi di responsabilità oggettiva): le C.O.P. non rientrano, infatti, tra gli elementi costitutivi (fatto materiale e colpevolezza) del reato. Beninteso, dolo e/o colpa dell'agente potranno anche sussistere, ma ciò non è necessario ai fini della punibilità. Questo regime di imputazione ha indotto parte della dottrina a dubitare della compatibilità delle C.O.P. (ed in particolare di quelle intrinseche, poiché le estrinseche risultano del tutto estranee al contenuto tipico dell'illecito già integrato) con il principio di personalità. La tesi non sembra, peraltro, condivisibile, poiché anche prima del verificarsi della condizione (quale che ne sia la natura) il fatto-reato tipico si è compiutamente realizzato in tutte le sue componenti soggettivamente ascrivibili all'agente, e risulta già offensivo, risultando, per ragioni di opportunità, non ancora punibile, ma non incompleto.
Disciplina
Non si dubita che i reati condizionati devono considerarsi consumati al verificarsi della condizione, nel momento e nel luogo del suo avverarsi. Il termine di prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata (art. 158, comma 2, c.p.).
Il tentativo nei delitti condizionati
Secondo l'orientamento maggioritario, non esiste incompatibilità logica tra il tentativo ed i reati sottoposti a condizione obiettiva di punibilità (o condizionali: art. 44 c.p., ed amplius cap. XVI) ma occorre operare una disamina che tenga conto delle diversità strutturali delle c.o.p.:
La categoria delle condizioni intrinseche è, peraltro, contestata da altro orientamento, a parere del quale esse in realtà non sono mere C.O.P. ma veri e propri elementi costitutivi del reato; ciò premesso, con riguardo alle C.O.P. vere e proprie (quelle estrinseche), si sostiene l'ammissibilità del tentativo «nei casi in cui la condizione obiettiva di punibilità possa verificarsi anche se il reato non si è perfezionato, e pur se la punibilità del tentativo si avrà solo dopo che la condizione è intervenuta»; si considera, pertanto, punibile «il tentativo di incesto con pubblico scandalo»; non lo è, invece, «il tentativo di induzione al matrimonio mediante inganno poiché la verificazione della condizione di punibilità dell'annullamento del matrimonio non può verificarsi che dopo la consumazione del delitto» (F. MANTOVANI 2015, 449). Aspetti processuali
Secondo la giurisprudenza (Cass. pen., Sez. III, n. 28351/2013), ai fini dell'applicazione della esatta formula di assoluzione, il giudice deve innanzitutto stabilire se il "fatto" sussiste nei suoi elementi obiettivi (condotta, evento, rapporto di causalità) e, solo in caso di accertamento affermativo, può scendere all'esame degli altri elementi (imputabilità, dolo, colpa, condizioni obiettive di punibilità, etc.) da cui è condizionata la sussistenza del reato. Casistica
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