Versamenti ed utili d’esercizio: trasferibilità dei diritti di credito dei soci

Alberto Molgora
30 Settembre 2015

La cessione, separatamente dalla vendita della partecipazione sociale, del credito vantato dal socio nei confronti della società, quale restituzione di un'erogazione dal primo eseguita, dà luogo alla garanzia per l'inesistenza del credito di cui all'art. 1266 c.c. solo qualora risulti che la causa concreta del negozio posto in essere sia riconducibile ad un versamento assimilabile a capitale di rischio.
Massima

La cessione, separatamente dalla vendita della partecipazione sociale, del credito vantato dal socio nei confronti della società, quale restituzione di un'erogazione dal primo eseguita, dà luogo alla garanzia per l'inesistenza del credito di cui all'art. 1266 c.c. solo qualora risulti che la causa concreta del negozio posto in essere sia riconducibile ad un versamento assimilabile a capitale di rischio, in quanto, in tale caso, il trasferimento della partecipazione sociale include, quale bene di “secondo grado”, quello di ogni posta esistente nel patrimonio sociale. La garanzia non opera, invece, nelle ipotesi di finanziamento del socio o di versamento finalizzato ad un futuro aumento del capitale nominale, dei quali sussiste il diritto di credito del socio alla restituzione, l'uno ai sensi dell'art. 1813 c.c. e l'altro qualora venga successivamente meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale eseguita in favore della società; il trasferimento della partecipazione sociale di regola non include anche tale credito che può pertanto formare oggetto autonomo di diritti. La cessione del credito agli utili di esercizio spettanti al socio, posta in essere dopo che l'assemblea ne abbia deliberato l'imputazione a riserva, dà luogo alla garanzia in favore del cessionario di cui all'art. 1266 c.c.

Il caso

Il contenzioso de quo deriva dalla cessione di alcune partite creditorie assertivamente vantate da un socio di s.r.l. nei confronti della propria società, che i Giudici di prime cure, aditi dal cessionario, hanno tuttavia accertato come inesistenti; nella stessa sede, il cedente è stato altresì condannato a rifondere alla cessionaria il prezzo dalla medesima corrisposto, in forza della garanzia di cui all'art. 1266 c.c.

Tali presunti crediti del socio cedente, oggetto di separato trasferimento rispetto a quello della partecipazione sociale, attenevano, in particolare, 1) al preteso diritto alla restituzione di apporti a suo tempo eseguiti in favore della società e 2) all'asserito diritto alla percezione degli utili d'esercizio risultanti dal bilancio regolarmente approvato dall'assemblea dei soci.

La sentenza della Corte d'Appello di Venezia, impugnata innanzi alla Suprema Corte, ribadiva l'inesistenza dei crediti de quibus in quanto al cospetto, rispettivamente, di 1) “finanziamenti in conto capitale”, come tali restituibili, a parere dei Giudici di secondo grado, unicamente qualora sussista un residuo attivo al termine di una futura eventuale procedura di liquidazione volontaria e 2) utili d'esercizio di cui l'assemblea non ha deliberato la relativa distribuzione.

Le questioni

La sentenza in commento si concentra sui versamenti soci e sugli utili di esercizio, soffermandosi, in particolare, sui profili di sussistenza di eventuali diritti di credito in proposito spettanti in favore dei soci, come tali anche autonomamente trasferibili, se del caso, in favore dei terzi.

Più precisamente, in tema di diritti alla restituzione dei versamenti soci, la Suprema Corte, in primis, distingue opportunamente tra versamenti operati a titolo di finanziamento – iscritti tra le passività della società in quanto da restituirsi obbligatoriamente al socio finanziatore – e versamenti a fondo perduto, acquisiti definitivamente dalla società fra le poste di patrimonio netto, senza che il socio apportante possa vantare alcuna pretesa restitutoria al riguardo.

Nel caso di versamento a titolo di finanziamento, il socio risulta quindi a tutti gli effetti titolare di un credito nei confronti della società ai sensi dell'art. 1813 c.c., il quale potrà essere oggetto, se del caso, di separata cessione rispetto alla partecipazione sociale. Diversamente, la natura di capitale di rischio propria dei versamenti a fondo perduto esclude l'esistenza di alcun credito in proposito in favore del socio, men che meno cedibile a terzi separatamente rispetto alla partecipazione sociale.

La sentenza de qua richiama poi l'esistenza di una terza tipologia di versamenti soci, specificamente destinati ad un futuro aumento del capitale nominale, i quali, in assenza del programmato aumento deliberato da parte della competente assemblea straordinaria, dovranno essere restituiti al socio apportante.

Anche in tali circostanze la Suprema Corte riconosce quindi, in capo al socio, l'esistenza di un diritto di credito liberamente trasferibile ai terzi, atteso che, in mancanza del prospettato aumento del capitale sociale, risulta venire meno la causa giustificativa dell'attribuzione patrimoniale eseguita.

Nel rispetto di tali principi, la sentenza in commento stabilisce che la cessione, separatamente dalla vendita della partecipazione sociale, del credito vantato dal socio nei confronti della società a seguito di un apporto effettuato si configura quale cessione di un credito inesistente allorquando, sulla base della reale intenzione delle parti, l'erogazione di cui è pretesa la restituzione è assimilabile ad un versamento a fondo perduto; in tali circostanze, ferma restando la validità del negozio giuridico posto in essere, grava in capo al cedente l'obbligazione di garanzia ex art. 1266 c.c. in favore del cessionario.

Tale garanzia non opera, invece, nelle ipotesi di finanziamento soci ovvero di versamento in conto futuro aumento di capitale in assenza del successivo prospettato aumento, posto che, in tali casi, esiste un vero e proprio diritto di credito del socio nei confronti della società.

In applicazione di simili postulati, la Suprema Corte – cassando l'impugnata sentenza –sancisce che i Giudici di secondo grado non avrebbero compiutamente accertato l'effettiva volontà delle parti in ordine alla natura da attribuire all'apporto alla base del pretesa creditoria de qua e rinvia, nel merito, al riesame da parte della competente Corte d'Appello in diversa composizione.

In particolare, la sentenza in esame afferma che i Giudici di merito, oltre a definire l'apporto del socio, in maniera non poco contraddittoria, quale “finanziamento in conto capitale”, non avrebbero attribuito la necessaria rilevanza, fra l'altro, a quanto contabilmente rilevato come crediti dei soci nel passivo patrimoniale della società, né alle modalità secondo cui la stessa società, successivamente alla cessione dei crediti de quibus, ha deliberato l'aumento del capitale sociale.

In relazione al presunto diritto alla percezione dell'utile d'esercizio, la sentenza de qua agitur conferma l'inesistenza del credito in capo al socio cedente, con conseguente operatività, ancora una volta, della garanzia in favore del cessionario di cui all'art. 1266 c.c. Rilevante, al riguardo, la circostanza che, nel caso di specie, l'assemblea dei soci, in sede di approvazione del bilancio, abbia deliberato il riporto dell'utile a riserva di patrimonio netto e non già la distribuzione in favore dei soci.

Osservazioni

La commentata sentenza ha il pregio di evidenziare alcuni importanti principi in tema di diritti di credito spettanti ai soci nei confronti della società attinenti 1) alla restituzione di apporti eseguiti in favore delle casse sociali e 2) alla percezione di utili d'esercizio risultanti dal bilancio regolarmente approvato.

In tema di versamenti soci, la sentenza de qua, in conformità a quanto stabilito dal Documento OIC n. 28, conferma che se gli apporti eseguiti dai soci a titolo di finanziamento garantiscono ai medesimi il diritto alla restituzione delle somme versate, i versamenti soci a fondo perduto, in quanto assimilabili a veri e propri conferimenti, vengono acquisiti definitivamente dalla società quali poste di patrimonio netto, senza che il socio possa pertanto pretendere la restituzione di alcunché (v. Cass. 22659/2006). Parimenti alla base di un possibile diritto restitutorio in favore del socio risultano i versamenti specificamente vincolati ad un futuro aumento di capitale.

Tali somme dovranno infatti essere obbligatoriamente restituite al socio apportante qualora il programmato aumento di capitale non dovesse essere deliberato per tempo da parte della competente assemblea dei soci.

Peraltro, per individuare, nel concreto, la natura del versamento effettuato, la Suprema Corte conferma l'orientamento della costante giurisprudenza secondo cui va attribuita primaria rilevanza, prima che alle formali nomenclature contabili, alla reale volontà delle parti interessate dall'apporto, avuto anche riguardo alle finalità sottese ed agli interessi concretamente perseguiti (v. Cass. n. 2314/1996, Trib. Roma n. 5739/2015).

Pertanto, al cospetto di finanziamenti, piuttosto che di apporti effettuati a titolo di versamenti in conto futuro aumento di capitale in assenza del successivo prospettato aumento, il socio apportante risulta titolare di veri e propri diritti di credito nei confronti della società, i quali, se del caso, possono risultare oggetto di autonoma cessione in favore di terzi.

Diversamente, per quanto sopra illustrato, la cessione, separatamente dalla partecipazione sociale, di un credito relativo alla restituzione di un versamento a fondo perduto si qualifica quale cessione di un credito inesistente. In tale circostanza, la Suprema Corte, in applicazione dei principi fatti già propri dalla risalente giurisprudenza di legittimità (v. Cass. 11516/1993), sancisce che la cessione di credito si considera comunque giuridicamente valida – e non già “nulla” per mancanza dell'oggetto – ferma restando, a carico del cedente, l'obbligazione di garanzia in favore del cessionario ex art. 1266 c.c.

Risultano in tutto condivisibili, oltre che conformi alla precedente giurisprudenza di Cassazione (v. Cass. 2020/2008), anche le conclusioni della sentenza de qua in tema di utili d'esercizio risultanti da bilancio. Viene infatti esclusa la sussistenza di alcuna pretesa creditoria dei soci in proposito laddove la delibera assembleare stabilisce la definitiva acquisizione dell'utile da parte della società mediante l'allocazione dello stesso tra le riserve di patrimonio netto.

Diversamente, qualora il bilancio d'esercizio dia evidenza di utili di cui la competente assemblea delibera la distribuzione, in capo al socio maturerà un diritto alla percezione delle somme in questione, come tale anche autonomamente cedibile in favore dei terzi.

Conclusioni

La sentenza de qua agitur, valorizzando a dovere alcuni precedenti postulati giurisprudenziali oltre che i corretti principi contabili,illustra una serie di condivisibili principi in tema di ambiti di sussistenza e conseguente legittima eventuale trasferibilità di diritti dei soci alla restituzione degli apporti eseguiti, piuttosto che alla percezione degli utili d'esercizio.

L'auspicio è quello che gli operatori di mercato attribuiscano la doverosa rilevanza agli insegnamenti pronunciati dalla commentata sentenza, giacché utilmente applicabili a svariate operazioni che tipicamente caratterizzano la gestione societaria (cessione di partecipazioni, cessioni di crediti, distribuzioni di utili, ecc.).