Diffamazione di un magistrato in un esposto: diritto di critica dell’attività giudiziaria e risarcimento del danno non patrimoniale
02 Febbraio 2015
Massima
Trib. Roma, sentenza 27 maggio 2014 Nel contemperamento tra libertà di opinione e attività giurisdizionale deve ritenersi consentita una critica, anche aspra e polemica, a fronte di decisioni opinabili, purché essa non trasmodi in un attacco personale e gratuito alla dignità umana e professionale, alla reputazione e alla stima di cui gode il magistrato nel proprio ambiente di lavoro. Affermare che il magistrato rappresenta un elemento di pericolo per la giustizia italiana e che la sua attività è funzionale ad interessi solo di alcune categorie di persone implica la radicale negazione del suo ruolo istituzionale ed esprime di per sé una valenza diffamatoria. Il danno risarcibile deve ritenersi sussistente in re ipsa e lo stesso può essere ristorato senza che incomba sul danneggiato l'onere di fornire la prova della sua esistenza, appartenendo esso alla regolarità causale in ragione della stessa natura del fenomeno in considerazione. Sintesi del fatto
Tizio, premesso di aver svolto la funzione di Pubblico Ministero e di essersi occupato della richiesta di archiviazione in relazione ad un reato di appropriazione indebita ai danni di Sempronio, ha agito in giudizio nei confronti di quest'ultimo il quale, dopo l'accoglimento della richiesta di archiviazione, aveva presentato due esposti, al Procuratore della Repubblica presso l'Ufficio ove lavorava l'attore ed al Ministro della Giustizia, dal contenuto ingiurioso e diffamatorio dell'onore e del prestigio professionale dell'attore. Tizio ha concluso chiedendo la condanna al risarcimento dei danni, nella misura non inferiore ad euro 50.000,00. In motivazione
Le questioni
Le principali questioni esaminate nella sentenza in commento concernono:
Le soluzioni giuridiche
La pronuncia in commento affronta il tema del difficile bilanciamento tra il diritto all'onore ed al prestigio professionale del magistrato ed il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost.) e, in particolare, di criticare le decisioni giudiziarie. In primo luogo, il Tribunale di Roma evidenzia che le espressioni contenute in un esposto ben possono ritenersi “comunicate” ad una pluralità di persone e, dunque, astrattamente riconducibili all'invocata fattispecie della diffamazione. L'esposto, infatti, è per sua natura atto propulsivo di un eventuale procedimento disciplinare e, come tale, ontologicamente destinato alla divulgazione ed in questi termini ravvisabile dall'autore dello scritto (cfr. Cass. n. 23222/2011) ed inoltre integra il comportamento di chi denigra un soggetto agli occhi del superiore gerarchico e, dunque, viola il precetto del neminem laedere (Cass. n. 5677/2005 e Cass. n. 22190/2009). Il thema decidendum, affrontato dal giudice capitolino, nel confronto tra principi e norme di rango costituzionale, intermedio ed ordinario, si incentra sul seguente interrogativo: nel contemperamento tra libertà di opinione ed attività giurisdizionale, quanto riferito dal convenuto nell'esposto può ritenersi scriminato dal diritto di critica delle decisioni giudiziarie? In via generale, appare opportuno ricordare che, come affermato più volte dalla Corte Edu (cfr., tra le tante, Kobenter e Standard c. Austria, caso 60899/00) e dalla Suprema Corte (Cass. pen. n. 25138/2007 e Cass. pen. n. 15447/2011) la corretta e puntuale esplicazione dell'attività giudiziaria è di enorme interesse per la comunità e che la critica e la cronaca giudiziaria sono volte a ricondurre il Giudice nell'alveo suo proprio. Posta tale premessa, la pronuncia in esame afferma che accusare un magistrato di rappresentare un elemento di pericolo per la giustizia italiana e di svolgere la sua attività in funzione dell'interesse solo di alcune categorie (nella specie, gli avvocati) rappresenta una radicale negazione del suo ruolo istituzionale ed esprime una valenza diffamatoria. Tale soluzione si pone nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità a mente del quale esula dalla scriminante del diritto di critica, politica o giornalistica, l'accusa di asservimento della funzione giudiziaria ad interessi personali, partitici, politici, ideologici, ovvero accuse di strumentalizzazione di quella funzione per il conseguimento di finalità divergenti da quelle che debbono guidare l'operato della magistratura (v., fra le altre, Cass., Sez. V, 1 luglio 2005, n. 29509, Liguori; Cass., Sez. V, 5 marzo 2004, Giacalone; Cass., Sez. V, 4 dicembre 1998, Soluri). L'accertamento dell'esistenza di un comportamento ritenuto diffamatorio, porta al risarcimento dei danni. Con riferimento al danno non patrimoniale, il Tribunale di Roma, richiamando una pronuncia di legittimità (Cass. civ. n. 20120/2009), ritiene sussistente il danno in re ipsa e liquida in danno, in via equitativa, tenendo conto della natura delle espressioni offensive utilizzate, della qualità e dignità della persona offesa e del mezzo di propagazione utilizzato, un esposto, indirizzato a soggetti determinati appartenenti all'ambiente giudiziario. Il danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. si sostanzia nella forma del grave pregiudizio dell'onore, della reputazione e dell'immagine del soggetto diffamato. Pur non dimenticando l'esistenza di un opposto orientamento, formatosi in materia di reputazione professionale (Cass. n. 6507/2011 e la Cass. civ. n. 20120/2009 citata nel provvedimento in esame), che ritiene sussistente in re ipsa il danno costituito dalla diminuzione o privazione di un valore, non patrimoniale, della persona umana, occorre ricordare i principi enunciati dalla Corte di Cassazione (Cass. S.U. n. 26972/2008, Cass. S.U. n. 26973/2008, Cass. S.U. n. 26974/2008, Cass. S.U. n. 26975/2008), secondo cui il danno non patrimoniale anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona costituisce danno conseguenza (Cass. n. 8827/2003 e Cass. n. 8828/2003, Cass. n. n. 16004/2003) che deve essere allegato e provato e attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale, il ricorso alla prova presuntiva è destinato ad assumere particolare rilievo, e potrà costituire anche l'unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, non trattandosi di mezzo di prova di rango inferiore agli altri. Riconosciuta l'esistenza di un danno non patrimoniale, la concreta liquidazione di tale danno viene disposta in via equitativa (art. 1226 c.c.) con riferimenti a numerosi parametri: a) la natura del fatto falsamente attribuito, l'eventuale rilievo penale dello stesso e la gravità delle espressioni utilizzate; b) L'intensità dell'elemento psicologico; c) il mezzo di comunicazione utilizzato, l'effettiva diffusione del periodico, il carattere locale o nazionale dello stesso (elemento che incide, come è ovvio, sulla potenzialità lesiva della notizia diffamatoria); d) Il rilievo attribuito dai responsabili al pezzo all'interno della pubblicazione e il risalto conferito alla notizia diffamatoria (titolo, sottotitolo, fotografie, vignette o didascalie, ecc.); e) Il ruolo istituzionale ricoperto dal danneggiato all'epoca della pubblicazione dello scritto e l'eventuale correlazione tra le notizie diffamatorie e l'esercizio delle pubbliche funzioni; f) L'eco suscitata dalle notizie e le conseguenze sull'attività professionale della parte lesa.
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