Nullità contrattuale: il rilievo officioso è ammesso anche sulla domanda risarcitoria
02 Settembre 2016
Massima
Il rilievo officioso della nullità contrattuale non attiene soltanto alle azioni di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), ma investe anche la domanda di risarcimento danni per inadempimento contrattuale che sia stata proposta in via autonoma da quella di impugnazione del presupposto contratto. Il caso
Il Tribunale condannò un odontotecnico al risarcimento dei danni (pari alla somma già corrisposta dal paziente-attore al professionista convenuto come compenso per la prestazione resa e all'ulteriore somma necessaria per la nuova esecuzione delle prestazioni sanitarie mal realizzate) subiti da un cliente a seguito delle cure odontoiatriche (devitalizzazioni e realizzazioni di protesi) praticate in modo maldestro. La Corte d'Appello accolse l'impugnazione e rigettò la domanda risarcitoria proposta dal paziente avente ad oggetto il compenso, in quanto emolumento non versato dall'attore; in riferimento, poi, al preteso risarcimento del pregiudizio costituito dal «prevedibile costo di esecuzione della prestazione difettosa», la Corte di merito riteneva che, al riguardo, non si configurasse un «danno risarcibile», in quanto «il dover rivolgersi ad altri comporta la legittima corresponsione del compenso al professionista alternativamente incaricato a compimento di quanto malamente eseguito, non diversamente da quanto il cliente è tenuto nei confronti del professionista in primis selezionato»; al più, il danno avrebbe potuto essere «costituito dalla maggiore spesa da sostenersi per un importo del compenso ipoteticamente superiore rispetto a quello pattuito»; ma di tale «danno differenziale» non vi era «allegazione, né pretesa, né tantomeno dimostrazione». La questione
È possibile agire per il risarcimento dei danni da inadempimento contrattuale se il contratto di cui si allega l'inadempimento è nullo? Le soluzioni giuridiche
La risposta negativa al quesito di cui sopra costituisce il punto focale della decisione in rassegna, con la quale la Corte ha cassato la sentenza del Giudice d'Appello e, pronunciando nel merito, ha rigettato la domanda attorea spiegata dal cliente sulla base del contratto nullo concluso con il professionista. L'iter logico della decisione muove dal richiamo della consolidata giurisprudenza di legittimità, (tra le altre, Cass., 12 ottobre 2007, n. 21495; Cass., 11 giugno 2010, n. 14085), secondo la quale l'esecuzione di una prestazione d'opera professionale di natura intellettuale effettuata da chi non siaiscritto nell'apposito albo previsto dalla legge dà luogo, ai sensi degli artt. 1418 e 2231 c.c., a nullità assoluta del rapporto tra professionista e cliente, privando il contratto di qualsiasi effetto. Proprio in riferimento alla figura professionale dell'odontotecnico, è stato affermato (Cass., 16 ottobre 1995, n. 10769) che la progettazione, preparazione e collocazione nel cavo orale del cliente di una protesi dentaria implicano l'esecuzione di operazioni e manovre vietate agli odontotecnici dall'art. 11,R.D. 31 maggio 1928, n. 1334, perché riservate ai sanitari iscritti negli albi professionali dei medici chirurghi o degli odontoiatri. Le Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243) hanno, poi, statuito che il rilievo ex officio di una nullità negoziale - sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o "di protezione" - deve ritenersi consentito (sempreché la pretesa azionata, o l'impugnazione, non venga rigettata in base ad una individuata "ragione più liquida", quale, ad esempio, la prescrizione del diritto azionato, l'adempimento, la palese non gravità dell'inadempimento, l'eccezione di compensazione legale), in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione). Il principio della rilevabilità officiosa della nullità si fonda, infatti, sulla ratio di impedire che il contratto nullo - alla luce del «ruolo che l'ordinamento affida alla nullità contrattuale, per esprimere il disvalore di un assetto di interessi negoziale» (così Cass., Sez. Un., 4 settembre 2012, n. 14828, sul punto richiamata adesivamente dalle sentenze del 2014 sopra citate) - «costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità o, comunque, la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici». L'orientamento dominante in giurisprudenza (Cass., 18 aprile 1970, n. 1127; Cass., 3 aprile 1989, n. 1611; Cass., 14 gennaio 2013, n. 435), prima della pronuncia delle Sezioni Unite del 2012, propugnava la soluzione per cui la nullità del contratto poteva essere rilevata d'ufficio dal giudice soltanto quando fosse stata proposta una domanda di adempimento. Accanto a questo orientamento ve ne era un altro, sebbene minoritario, favorevole al rilievo d'ufficio della nullità anche laddove fosse stata proposta una domanda di risoluzione del contratto. (Cass., 18 luglio 1994, n. 6710). Precorritrici della soluzione avallata dalle Sezioni Unite sono: Cass., 2 aprile 1997, n. 2858; Cass., 22 marzo 2005, n. 6170. Va, poi, ricordato che, prima dell'intervento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza maggioritaria (cfr., fra le tante, Cass., 8 gennaio 2007, n. 89 e Cass., 15 settembre 2008, n. 23674) negava che il giudice potesse dichiarare la nullità del contratto sulla base della rilevazione di una causa differente da quella addotta dalla parte, da un lato paventando il rischio di una perdita di terzietà del giudice, che individuando l'esatta causa di nullità rilevante nella fattispecie avrebbe di fatto affiancato e coadiuvato l'attore nell'azione in giudizio, dall'altro configurando la dichiarazione di nullità per una causa diversa da quella prospettata come una vera e propria sostituzione d'ufficio della domanda di parte Il secondo passaggio motivazionale della sentenza che si annota è costituito dall'estensione del principio della obbligatorietà della rilevazione ex officio della nullità contrattuale anche nelle ipotesi in cui non venga in esame una impugnativa negoziale e, tuttavia, la pretesa azionata in giudizio trovi nel contratto il proprio indefettibile presupposto. Nel caso di specie, l'azione risarcitoria ha postulato l'esistenza di un contratto valido ed efficace, del quale è stata messa in discussione soltanto l'attuazione del rapporto da esso discendente, per non aver il debitore correttamente eseguito la prestazione, provocando, in ragione dell'inesatto adempimento negoziale, danni in pregiudizio del creditore. Anche nel caso in esame, quindi, la "non nullità" del contratto si è posta come pregiudiziale logico-giuridica della pronuncia giudiziale, la quale non potrebbe tollerare di avere come presupposto un contratto affetto da nullità, così da predicarne, in qualche modo, la validità o, comunque, la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici. Osservazioni
La sentenza in rassegna si pone nel solco tracciato dalle Sezioni Unite, che hanno riconosciuto all'istituto della nullità un'unitaria funzione di qualificazione giuridica negativa di atti che si pongono in contrasto con gli interessi generali dell'ordinamento. A tale funzione della nullità è strettamente connesso il potere-dovere di rilievo officioso da parte del Giudice, quale garante della legalità del sistema. È, infatti, dovere dell'organo giurisdizionale evitare di attribuire qualsivoglia efficacia ad un contratto nullo. Pertanto, la parte che ha interesse ad opporsi alla pretesa creditoria avversaria fondata su un contratto nullo dovrà allegare tutti quegli elementi della fattispecie utili per il rilievo d'ufficio ad opera del Giudice della patologia negoziale. |