Responsabilità da cose in custodia nelle ipotesi di allagamenti o infiltrazioni nelle abitazioni ed esercizi commerciali ovvero nei condomini
03 Marzo 2016
Deve ormai ritenersi principio acquisito nel nostro ordinamento giuridico che la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c., in tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, individua un'ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché è sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte del danneggiato del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che sia anche necessaria - allorché l'evento dannoso sia ricollegabile all'intrinseco dinamismo della cosa - la prova della pericolosità della res, derivante dal suo cattivo funzionamento (cfr., da ultimo, Cass. 27 novembre 2014, n. 25214; vedi anche Cass. 24 febbraio 2011, n. 4476). Per l'effetto, una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (cfr. Cass. 5 febbraio 2013, n. 2660). Tuttavia, nei casi in cui il danno non sia l'effetto esclusivo di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (come lo scoppio della caldaia, la scarica elettrica, la frana della strada o simili), ma richieda che l'agire umano, ed in particolare quello del danneggiato, si unisca al modo di essere della cosa, essendo essa di per sé statica ed inerte, per la prova del nesso causale occorre altresì dimostrare che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il danno. Sicché, con riguardo ai danni da cose in custodia, il profilo del comportamento del custode è estraneo alla struttura della fattispecie normativa ed il fondamento della responsabilità è costituito dal rischio che grava sul custode per i danni prodotti dalla cosa che non dipendano da fortuito. Allorché la cosa svolga solo il ruolo di occasione dell'evento e sia svilita a mero tramite del danno, in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che ben può essere integrata dallo stesso comportamento del danneggiato, si verifica il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno. Il giudizio sull'autonoma idoneità causale del fattore esterno, estraneo alla cosa, va ovviamente adeguato alla natura della cosa ed alla sua pericolosità, nel senso che tanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo (costituente fattore esterno) nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, dunque, la responsabilità del custode ai sensi dell'art. 2051 c.c. (cfr. Cass.17 gennaio 2001, n. 584). Pertanto, affinché sia integrata la responsabilità da cose in custodia è necessario che il danno discenda dalla cosa; quando, invece, il pregiudizio si determini con la cosa è configurabile la fattispecie delineata dall'art. 2043 c.c. (cfr. Cass. 19 novembre 2009, n. 24428; Cass. 27 novembre 2006, n. 25140). L'attuale assetto di detta fattispecie risarcitoria supera il tradizionale orientamento giurisprudenziale che individuava nella norma in questione un'ipotesi di presunzione di colpa, il cui fondamento sarebbe stato pur sempre riconducibile al fatto imputabile dell'uomo, venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza affinché la cosa non producesse danni a terzi (cfr. Cass. 9 ottobre 2008, n. 24881; Cass. 20 febbraio 2006, n. 3651). Per converso, il comportamento del responsabile é estraneo alla fattispecie e fa giustizia di quei modelli di ragionamento che si limitano ad accertare la colpa del custode, sia essa presunta o meno. In proposito, le ipotesi riconducibili a tale fattispecie si iscrivono nel novero della responsabilità oggettiva o, secondo altra impostazione, della responsabilità semi-oggettiva. Il caso fortuito
Funzione della norma é quella di ascrivere la responsabilità al soggetto che si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo - pertanto - considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Ne consegue che tale tipo di responsabilità é escluso solamente dal caso fortuito, fattore che attiene, non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non all'intrinseco dinamismo della cosa che ne é fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti cagionato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell'inizio del rapporto di custodia (cfr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15383). Il carattere dell'imprevedibilità del caso fortuito é rilevante non già per escludere la colpa, bensì quale profilo oggettivo, al fine di accertare l'eccezionalità del fattore esterno, sicché anche un'utilizzazione estranea alla naturale destinazione della cosa diviene prevedibile dal custode, laddove largamente diffusa in un determinato ambiente sociale. Il caso fortuito va inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (cfr. Cass. 14 marzo 2006, n. 5445; Cass. 10 marzo 2005, n. 5326). Il concetto di custodia
Come innanzi esposto, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e, perché possa configurarsi in concreto, é sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi sul punto la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso pertinente non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto in materia di deposito (cfr. Cass. 11 marzo 2011, n. 5910). La custodia si identifica piuttosto in una potestà di fatto che descrive un'attività esercitabile da un soggetto sulla cosa, in virtù della sua detenzione qualificata (cfr. Cass. 12 aprile 2013, n. 8935). Dunque, é la relazione di fatto e non semplicemente giuridica tra il soggetto e la cosa che legittima una pronunzia di responsabilità, fondata sul potere di governo della res (cfr. Cass. 20 novembre 2009, n. 24546). Detto ultimo potere si compone di tre elementi: il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi e il potere di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa, nel momento in cui si é prodotto il danno. Al riguardo, l'art. 1227, primo comma, c.c., come richiamato dall'art. 2056 c.c., non é espressione del principio di auto-responsabilità, ma é un corollario del principio di causalità, per cui il danneggiante non può farsi carico di quella parte del danno che non é a lui causalmente imputabile. Ne discende che la colpa cui fa riferimento la predetta norma va intesa, non nel senso di criterio di imputazione del fatto, bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato (cfr. Cass. 3 aprile 2009, n. 8157; Cass. 8 maggio 2003, n. 6988; Cass. 26 aprile 1994, n. 3957). Ora, la colpa sussiste, non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche in caso di violazione di una norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica. Gli allagamenti o infiltrazioni negli edifici
La struttura della fattispecie orienta la ricostruzione della responsabilità nel caso di allagamenti o infiltrazioni negli edifici. Quando l'allagamento derivi da abitazioni od esercizi commerciali, dei danni prodotti a terzi risponde il soggetto giuridico che abbia la disponibilità immediata, giuridica e materiale, del bene, sulla scorta della mera riconduzione causale del danno alla cosa (cfr. Cass. 11 gennaio 2005, n. 376). Qualora l'esercizio commerciale o l'abitazione sia nella disponibilità diretta del proprietario, usufruttuario, enfiteuta, che vi esercita in via immediata il potere di fatto, la responsabilità ricadrà su quest'ultimo. Sul piano della qualificazione giuridica, l'obbligazione di risarcire il danno immobiliare da infiltrazione, ai sensi dell'art. 2051 c.c., non è un'obbligazione propter rem, che si trasferisce dal venditore al compratore insieme alla proprietà dell'immobile da cui il danno stesso proviene, trattandosi, invece, di un'obbligazione connessa alla qualità di custode dell'immobile nel momento in cui esso ha cagionato il danno (cfr. Cass. 7 agosto 2013, n. 18855). Ove sussista un rapporto di locazione, in linea di principio risponderà il conduttore, cui sia trasferita la disponibilità della cosa locata e delle sue pertinenze e a cui spetta la manutenzione ordinaria ed il conseguente potere di controllo sull'uso della cosa (cfr. Cass. 30 gennaio 2006, n. 1878; Cass. 1 aprile 2010, n. 8006). Viceversa, in costanza di locazione, per i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, la responsabilità giuridica si incardina in testa al proprietario, che conserva la custodia della struttura originaria della cosa, nonostante la detenzione del conduttore (cfr. Cass. 9 febbraio 2004, n. 2422; Cass. 17 febbraio 2005, n. 3255; Cass. 18 maggio 2005, n. 10389). Lo stesso ragionamento vale per le altre fattispecie di detenzione qualificata diverse dalla locazione. In ultimo, quando la cosa in custodia da cui promana il nocumento sia di proprietà condominiale, ricorre un contrasto in giurisprudenza sull'individuazione del responsabile. Secondo un primo orientamento, i soggetti solidalmente responsabili devono individuarsi nei singoli condomini, ai sensi dell'art. 2055 c.c., poiché la custodia, presupposta dalla struttura della responsabilità per danni prevista dall'art. 2051 c.c., non può essere imputata, né al condominio, quale ente di sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore, quale mandatario dei condomini (cfr. Cass. 29 gennaio 2015, n. 1674). In base ad altra ricostruzione, il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, rispondendo, in base all'art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (cfr. Cass. 11 febbraio 1987, n. 1500; Cass. 12 luglio 2011, n. 15291). Nella specie, si è pertanto ritenuto che delle infiltrazioni d'acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale risponde il condominio, ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile. Siffatta prospettazione postula il riconoscimento nei confronti del condominio, quale ente di gestione privo di personalità distinta da quella dei condomini, quantomeno della soggettività giuridica (cfr. Cass. S.U. 18 settembre 2014, n. 19663) ovvero della sua qualificazione in termini di autonomo centro di imputazione di interessi che non si identifica con i singoli condòmini (cfr. Cass. 19 marzo 2009, n. 6665; Cass. 30 settembre 2014, n. 20557). Con particolare riguardo al lastrico solare con funzione di copertura dello stabile e di uso esclusivo di uno dei condomini, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la disposizione dell'art. 1126 c.c., il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilità relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 c.c., e non anche - sia pure in via concorrenziale - al condominio (cfr. Cass. 15 aprile 2010, n. 9084). Ove il lastrico sia di proprietà esclusiva, il proprietario risponderà anche dei danni causati a terzi, che siano riconducibili a difetti di conservazione o di manutenzione a lui imputabili in via esclusiva (cfr. Cass. 4 gennaio 2010, n. 20). In conclusione
Il carattere di agente penetrante e pervasivo, e perciò pericoloso, proprio dell'acqua e dei liquidi in generale fa registrare un copioso contenzioso originato da fenomeni di allagamento o infiltrazione. Siffatti eventi assumono rilevanza nell'ordinamento in quanto derivino da una res che sia in rapporto giuridicamente apprezzabile con un soggetto titolare di diritti. Il rapporto che si instaura tra la cosa ed il soggetto giuridico assume prevalentemente la consistenza della relazione di custodia, rilevante ex art. 2051 c.c. Infatti, il diritto vivente inquadra la responsabilità da infiltrazioni, in via principale, nella previsione dell'art. 2051 c.c. e, talvolta, in via residuale e sussidiaria, nell'ambito dell'art. 2043 c.c., sia che il danno discenda da parti in proprietà esclusiva, sia che scaturisca da parti comuni dell'edificio ex art. 1117 c.c. Nel primo caso la situazione custodiale si radica in capo al proprietario, usufruttuario o enfiteuta o possessore del bene od anche, in sua vece, al conduttore ovvero, più in generale, al detentore qualificato. In questo quadro si collocano le seguenti fattispecie di infiltrazioni che si propagano da un'unità immobiliare all'altra: quelle derivanti dalla generica rottura di tubazioni site nell'immobile da cui promani il fenomeno, da distinguersi dalle altre in cui il punto di rottura sia nel confine tra la colonna verticale in proprietà comune e quella orizzontale in proprietà solitaria; quelle dirette dal lastrico solare di proprietà esclusiva all'appartamento sottostante; quelle dipendenti da errata impermeabilizzazione dell'immobile infiltrante. Segnatamente, in costanza di locazione, la responsabilità deve essere individuata in ragione della disponibilità della cosa che determina il danno, sicché quando esso scaturisca da impianti idrici e sanitari collocati all'interno delle strutture murarie, che non ricadono nell'immediata disponibilità materiale e giuridica del conduttore, la responsabilità si cristallizza in capo al locatore. In conseguenza, il soggetto giuridico che lamenti l'esistenza di dette infiltrazioni, può invocare la riparazione del danno patrimoniale ovvero del danno non patrimoniale, ove si accerti che la persistenza e la copiosità di dette infiltrazioni abbiano provocato un nocumento alla salute degli abitanti della struttura che le subisce. Di contro, può accadere che la custodia sia imputabile al condominio, in guisa della natura comune del bene che ha cagionato il pregiudizio, ai sensi dell'art. 1117 c.c. In questa categoria ricadono anche le ipotesi in cui i danni, oltre che imputabili ad una negligenza del condominio-custode, si prospettino come derivanti da gravi difetti costruttivi dell'edificio e si assumano riferibili all'appaltatore ex art. 1669 c.c. In questa evenienza la giurisprudenza ha affermato comunque la responsabilità custodiale dell'ente di gestione, verso cui la parte lesa potrà esercitare l'azione riparatoria diretta, quando il costruttore non sia evocato in giudizio – in via principale o quale terzo chiamato –. Solo all'esito della condanna il condominio potrà agire in rivalsa verso l'appaltatore. Ragionando a contrario, ove l'appaltatore sia parte in causa unitamente al condominio, l'accertamento di gravi vizi costruttivi ben potrà determinare la condanna esclusiva dell'appaltatore, quale unico responsabile ai sensi del citato art. 1669 c.c.. In dottrina sul tema della responsabilità da cose in custodia:
Sull'applicazione dell'art. 2051 c.c. per effetto della stipulazione di un contratto di locazione:
Sull'applicazione dell'art. 2051 c.c. in ambito condominiale:
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