Danno da passione sportiva rovinata: danno esistenziale o danno non patrimoniale da reato?

Renato Fedeli
03 Aprile 2015

L'alterazione della regolarità di una gara sportiva è idonea a cagionare ai tifosi un significativo e non bagatellare pregiudizio, consistente, oltre che nel patimento e nella sofferenza transeunte, nell'aver in qualche modo smarrito i propri valori sportivi e mutato in senso peggiorativo le proprie abitudini di vita: delusione e perdita di fiducia nella correttezza delle partite di calcio e nella lealtà dei calciatori, perdita di interesse e desiderio di coltivare il proprio hobby di seguire la propria squadra di calcio dal vivo, anche in trasferta.
Massima

L'alterazione della regolarità di una gara sportiva è idonea a cagionare ai tifosi un significativo e non bagatellare pregiudizio, consistente, oltre che nel patimento e nella sofferenza transeunte, nell'aver in qualche modo smarrito i propri valori sportivi e mutato in senso peggiorativo le proprie abitudini di vita: delusione e perdita di fiducia nella correttezza delle partite di calcio e nella lealtà dei calciatori, perdita di interesse e desiderio di coltivare il proprio hobby di seguire la propria squadra di calcio dal vivo, anche in trasferta.

Il caso

Il Tribunale di Bari condanna per frode sportiva il Presidente dell'U.S. Lecce, squadra che militava all'epoca dei fatti nel campionato di calcio di Serie A, e altri due soggetti, per avere offerto a un calciatore del Bari una rilevante somma di denaro, poi in parte effettivamente corrisposta, affinché quest'ultimo tenesse condotta idonea a garantire un risultato finale diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della partita Bari-Lecce.

Si costituiscono come parti civili tifosi di entrambe le squadre, allegando di avere acquistato il biglietto per assistere alla partita e di aver subito conseguenze patrimoniali e non patrimoniali pregiudizievoli in conseguenza della “combine” accertata dal Tribunale di Bari.

Il giudice accorda alle parti civili un risarcimento pari a 400,00 euro, qualificandolo come “danno da passione sportiva rovinata” e inquadrandolo nella categoria del danno non patrimoniale, ma rigetta le domande di risarcimento del danno patrimoniale.

La questione

I tifosi delle due squadre protagoniste della competizione sportiva alterata dalla condotta fraudolenta dei soggetti ritenuti colpevoli dal Tribunale allegano di essere titolari di una specifica situazione giuridica soggettiva, rappresentata dal diritto qualificato e differenziato alla fruizione del predetto evento sportivo, svoltosi con modalità del tutto diverse da quelle legittimamente attese, e producono tessere del tifoso, abbonamenti, biglietti alla partita oggetto della accertata “combine”.

L'interesse leso è quello alla lealtà e alla correttezza della competizione sportiva, nel caso specifico il derby Bari-Lecce del 15 maggio 2011, decisivo per la permanenza in serie A del Lecce.

L'aver appreso che la partita era stata oggetto di accordo illecito tra dirigenti e calciatori, tale da aver determinato un risultato diverso da quello che sarebbe stato legittimo attendersi a seguito di un corretto svolgimento della competizione, ha determinato, nella prospettazione delle parti civili, l'insorgere di un danno patrimoniale e di un danno non patrimoniale qualificato come «danno da passione sportiva rovinata», individuabile nella sofferenza provocata nell'apprendere della “combine” di una partita da loro particolarmente attesa e sentita.

Il Tribunale prende, dunque, posizione sulle azioni civili svolte dai tifosi.

Le soluzioni giuridiche

Secondo il giudice barese difettano i presupposti per il riconoscimento in capo ai tifosi del danno patrimoniale, richiesto in misura pari all'esborso sostenuto per assistere al derby, in quanto gli acquirenti del biglietto hanno regolarmente usufruito dell'obbligazione dedotta in contratto: agli stessi è stato pacificamente garantito l'accesso allo stadio, la fruizione dei servizi ivi forniti e la visione dell'evento sportivo.

In sostanza, la commissione del reato non ha impedito ai tifosi di realizzare i loro interesse di creditori muniti di titolo per assistere alla competizione: nessuna compromissione in via definitiva del diritto dei tifosi, acquirenti del biglietto, ad esigere la prestazione dovuta dalla controparte contrattuale.

Per quanto riguarda, invece, il danno non patrimoniale, il Tribunale ne afferma la risarcibilità, sulla base del medesimo titolo contrattuale, in forza del quale, al contrario, viene negato il danno patrimoniale.

Ciò che non è sufficiente per il riconoscimento di un danno patrimoniale, la titolarità del biglietto per assistere all'evento sportivo, diventa idoneo a provare il pregiudizio non patrimoniale dei tifosi, conseguente alla violazione dei doveri di lealtà e correttezza della competizione sportiva.

In un contesto di prova del titolo di credito (biglietto o abbonamento) e di accertata alterazione della regolarità della gara, il Tribunale ravvisa i presupposti per riconoscere un significativo e non bagatellare pregiudizio consistente, oltre che nel patimento e nella sofferenza transeunte, nell'aver “in qualche modo” smarrito i propri valori sportivi e mutato in senso peggiorativo le proprie abitudini di vita.

Le parti civili avrebbero, dunque, dimostrato il peggioramento delle proprie abitudini di vita (evidentemente, di tifosi): delusione e perdita di fiducia nella correttezza delle partite di calcio e nella lealtà dei calciatori, perdita di interesse e desiderio di coltivare il proprio hobby di seguire la squadra del cuora dal vivo, anche in trasferta.

La determinazione del quantum risarcitorio è commisurata al parametro-base costituito dal costo medio del biglietto del derby Bari-Lecce, vale a dire 40 euro, moltiplicato per dieci.

L'esame delle costituite parti civili, che hanno riferito in sede di interrogatorio la forte delusione conseguente all'aver appreso che proprio una partita importante come il derby pugliese era stato oggetto di “combine”, viene ritenuto sufficiente per risarcire, nella misura di euro 400,00 euro a favore di ciascuna parte civile tifoso, l'intero pregiudizio non patrimoniale subito dai tifosi, in considerazione della serietà ed apprezzabilità della lesione e della necessità di ricorrere a una valutazione che tenga conto dell'obiettività della lesione stessa.

Osservazioni

L'insegnamento di Cass., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972, è formalmente rispettato, ma nella sostanza disatteso: in presenza di fatti configuranti un reato, il danno non patrimoniale deve essere risarcito, secondo quanto previsto dall'art. 2059 c.c..

Infatti, dalla lettura del combinato disposto degli artt. 2059 c.c. e 185 c.p. («ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui») consegue la risarcibilità del danno non patrimoniale.

Occorre, tuttavia, che il giudice valuti: esistenza in concreto del pregiudizio, soggetti legittimati e quantum risarcitorio.

Le risposte del Tribunale barese alle tre domande non paiono coerenti con le statuizioni delle Sezioni Unite del 2008.

Nell'ipotesi in commento, il reato accertato è un reato di pericolo, in cui l'interesse protetto è quello alla lealtà e correttezza dello svolgimento di una competizione sportiva:«Chiunque offre o promette denaro o altra utilità o vantaggio a taluno dei partecipanti ad una competizione sportiva organizzata dalle federazioni riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dall'Unione italiana per l'incremento delle razze equine (UNIRE) o da altri enti sportivi riconosciuti dallo Stato e dalle associazioni ad essi aderenti, al fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione , ovvero compie altri atti fraudolenti volti al medesimo scopo, è punito con la reclusione da un mese ad un anno e con la multa da lire cinquecentomila a lire due milioni» (art. 1, comma 1, L. n. 401/1989).

Per come è delineato dal legislatore, il reato di frode sportiva è, dunque, un reato di pericolo e si consuma nel momento e nel luogo in cui si verifica la promessa o l'offerta di un vantaggio indebito o la commissione di ogni altra condotta fraudolenta, e non in quello dell'accettazione di tale promessa od offerta (Cass. Pen., sez. III, 25 febbraio 2010, n. 12562).

Ma quali sono i beni giuridici tutelati dalla norma?

Sicuramente, il bene della lealtà e correttezza nello svolgimento della competizione, tutelato anche dal Codice di comportamento sportivo del CONI.

Vi è, poi, tra i beni tutelati dalla norma, l'interesse patrimoniale: l'esito di una competizione sportiva, e sicuramente quella del derby pugliese, è senza dubbio suscettibile di valutazione economica (nel caso di specie, la permanenza in serie A del Lecce avrebbe determinato vantaggi economici indubbi).

Il delitto de quo non è certamente un reato contro la persona.

Sappiamo tuttavia, perché lo hanno insegnato le Sezioni Unite del 2008, che nel caso in cui il fatto è previsto dalla legge come reato, è la vittima ad avere diritto al risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alla lesione dell'interesse protetto dalla norma penale.

Che nel caso in commento i tifosi possano ritenersi lesi nel godimento di un diritto assoluto della persona, per il solo fatto che sia stato accertato un reato di mero pericolo, appare quanto meno dubbio.

Ma anche ammettendolo in astratto, sarebbe stata necessaria la prova, per il riconoscimento della riparazione a favore dei tifosi, che la «passione sportiva» (ecco il bene invocato dal giudice barese per fondare la condanna al risarcimento dei danni) sia stata lesa in modo effettivo e permanente.

A maggior ragione, tale accertamento è necessario, a fronte di un reato di pericolo e in assenza di beni della persona espressamente tutelati dalla norma penale, per non incorrere in facili critiche sulla natura “non bagatellare” del pregiudizio lamentato dai tifosi.

Esso, infatti, è costituito da un aspetto “transeunte” (quindi, temporaneo e perciò destinato a estinguersi nel tempo) e uno permanente, definito dal Tribunale come lo smarrimento «dei propri valori sportivi e nel mutamento in senso peggiorativo delle proprie abitudini di vita».

Il tutto, naturalmente, sull'unico presupposto probatorio costituito dalle sole dichiarazioni degli stessi tifosi: così delineato, il danno risarcito ai tifosi pare assumere sostanza di danno esistenziale, e solo il nomen di danno non patrimoniale da reato, secondo gli insegnamenti delle Sezioni Unite del 2008.

In ordine al quantum, il giudice barese individua il danno non patrimoniale dei tifosi moltiplicando per 10 il prezzo medio del biglietto della competizione, non senza precisare che si tratta di un metodo «oggettivo», scevro da «opzioni marcatamente soggettivistiche»: di oggettivo, in verità, vi è soltanto il risultato dell'operazione algebrica scelta dal giudice, mentre i fattori della moltiplicazione sono evidente frutto di scelta soggettiva del giudice.

Non convince, infine, la dissertazione sul titolo contrattuale del diritto azionato dai tifosi parti civili: se l'interesse leso è quello alla lealtà e correttezza della competizione sportiva ed è sufficiente la qualifica di «tifoso» per assumere la legittimazione passiva di soggetto danneggiato, non si vede perché altri tifosi non spettatori paganti non possano ritenersi lesi, in modo permanente, nel loro diritto alla «passione sportiva».

L'insegnamento delle S.U. risulta essere totalmente disatteso dalla sentenza in commento: non si è fatta una valutazione delle allegazioni e delle prove del danno, che è danno conseguenza, non danno evento e pertanto deve essere allegato e provato, anche per presunzioni.

Il «cambiamento delle proprie abitudini di vita», che secondo il tribunale barese ha caratterizzato l'esistenza dei tifosi, andava provato, anche per presunzioni, con adeguate allegazioni, ad esempio deducendo che le parti civili avevano totalmente e definitivamente smarrito qualsiasi interesse alle competizioni sportive della propria squadra (il che, in Italia, è difficile anche solo da immaginare).

Il dubbio è che il danno riconosciuto ai tifosi altro non sia che il danno “esistenziale”, sotto le mentite spoglie di danno non patrimoniale da reato.

Infine, la sentenza afferma di volersi sottrarre a critiche di scelte «marcatamente soggettivistiche» in ordine al quantum riconosciuto ai tifosi: in realtà, l'unica strada per evitare tali critiche sarebbe stata quella di recepire il senso profondo degli insegnamenti delle Sezioni Unite, vale a dire che, anche in presenza di reato, a maggior ragione se di pericolo, il giudice non potrà esimersi dall'accertare, oltre alla condotta illecita e all'ingiusta lesione di interessi tutelati dall'ordinamento, la sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare dell'interesse leso (Cass., S.U., 19 agosto 2009, n. 18356).

Tale ultimo profilo, fondamentale sia per l'an che per il quantum del risarcimento, pertanto, potrà essere indagato con maggiore efficacia dal giudice civile, con gli strumenti tipici del processo civile, più che dal giudice penale, che spesso ricorre a soluzioni affrettate, che non risultano conformi agli insegnamenti della migliore giurisprudenza civile.