La responsabilità dell’Avvocato che “per ragioni di cortesia” si interessa di un mancato indennizzo in favore del cliente
03 Novembre 2015
Massima
L'interessamento posto in essere da un avvocato per cortesia nei confronti del proprio assistito - che stava seguendo in altre vicende - al fine di tentare di comprendere i motivi per cui la compagnia di assicurazione rifiuta il pagamento dell'indennizzo, in mancanza di altri indizi, non comprova il conferimento di uno specifico incarico professionale. Il caso
Un avvocato, mentre difende gli interessi di un suo assistito in altre vicende giudiziarie, si informa anche delle ragioni per le quali una compagnia di assicurazione non corrisponde l'indennizzo collegato ad una polizza furto. In seguito alla prescrizione del diritto dell'obbligazione assicurativa, l'assistito si rivolge al Tribunale per chiedere il risarcimento conseguente a responsabilità professionale dell'avvocato che avrebbe omesso di mettere in mora la compagnia assicuratrice. Il Tribunale rigetta la domanda per mancanza di prova in ordine al conferimento del mandato professionale, in quanto, «tentare di capire sommariamente le ragioni per cui la compagnia assicurativa rifiutava il pagamento dell'indennizzo, … potrebbe ragionevolmente spiegarsi in considerazione dei rapporti già in essere tra le parti, piuttosto che in ragione di un mandato ricevuto». La sentenza viene impugnata per l'asserita errata valutazione delle testimonianza acquisite. La Corte conferma la sentenza di primo grado, osservando come dall'istruttoria emergano solo alcuni contatti telefonici tra il legale e il liquidatore della compagnia, circostanza spiegabile - in difetto di prova riguardo l'esistenza di un mandato professionale - per ragioni di cortesia dell'avvocato nei confronti del proprio Cliente, che stava assistendo in altre vicende giudiziarie nelle quali era coinvolto. La questione
La questione in esame è la seguente: se la prestazione svolta dall'avvocato “per cortesia” sia fonte di responsabilità professionale. Le soluzioni giuridiche
La sentenza oggetto del presente commento esordisce evidenziando come l'incarico professionale (cd. contratto di patrocinio) conferito ad un avvocato per svolgere l'opera professionale in favore di un soggetto, vada inquadrato nel “mandato”. Trattasi, pertanto - contrariamente alla procura ad litem che costituisce un negozio unilaterale – di negozio bilaterale a forma libera e quindi dimostrabile anche con prova testimoniale (Cass. sent., n. 10454/2002; di recente, idem, Cass. n. 13927/2015). L'obbligazione viene inquadrata – come del resto per la giurisprudenza maggioritaria - tra quelle di “mezzi” a diligenza media esigibile ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c. (Cass., sent., n. 17758/2015; idem, Cass., n. 10289/2015) Trovandoci nell'ambito della responsabilità contrattuale, il soggetto che eccepisce l'inadempimento, ai sensi dell'art. 1218 c.c., non deve provare la non corretta esecuzione della prestazione, ma è certamente onerato di dimostrare il perfezionamento dell'incarico professionale e il nesso causale tra l'allegato errore e il danno (Cass. sent., n. 5590/2015; idem, Cass. n. 2222/2014; idem, Cass., S.U., n. 577/2009; idem, Cass., S.U., n. 7996/2006) Per quanto riguarda la posizione del professionista che compie una prestazione “per amicizia”, i Supremi Giudici, in un caso di responsabilità medica, hanno statuito che «una posizione di garanzia del medico può sorgere esclusivamente con l'instaurazione della relazione terapeutica tra il paziente e il professionista: ciò che si può verificare su base contrattuale … ma anche in base alla normativa pubblicistica di tutela della salute … non può sorgere una posizione di garanzia in capo al medico al quale sia stato soltanto occasionalmente richiesto un parere, nel quadro di una relazione di amicizia … perché manca … uno specifico conferimento d'incarico professionale» (Cass. pen., sent. 10795/2007). Non risultano altri precedenti. Osservazioni
La sentenza qui commentata affronta la problematica, non infrequente, del professionista che si presta, per amicizia o per cortesia, a svolgere una prestazione. La conclusione alla quale perviene la Corte d'Appello di Milano è certamente condivisibile e ricalca l'approdo al quale era prevenuto l'unico precedente rinvenuto. Si deve, però, osservare, che quand'anche non sia presente un vincolo contrattuale tra un soggetto e il professionista, ben potrebbe sussistere una responsabilità a titolo extracontrattuale e quindi il diritto a richiedere ed ottenere un risarcimento del danno. Può sempre sussistere, infatti, la responsabilità extracontrattuale dell'avvocato che, nell'ipotesi di prova della conclusione del contratto, concorre con quella contrattuale, così come sostenuto anche dalla giurisprudenza dei supremi giudici: «Da quasi un decennio è principio consolidato, nella giurisprudenza di legittimità, che il titolo della responsabilità del Ministero della pubblica istruzione, nel caso di alunni che subiscano danni durante il tempo in cui dovrebbero esser sorvegliati dal personale della scuola, può essere duplice e può esser fatto valere contemporaneamente. Il titolo è contrattuale se la domanda è fondata sull'inadempimento all'obbligo specificatamente assunto dall'autore del danno di vigilare, ovvero di tenere una determinata condotta o di non tenerla; extracontrattuale se la domanda è fondata sulla violazione del generale dovere di non recare danno ad altri». (Cass., sent. n. 3680/2011). Appare consigliabile, pertanto, nell'incardinare un giudizio volto ad ottenere il risarcimento conseguente all'attività di un professionista o di altro soggetto che svolge una prestazione, richiamare sempre anche la responsabilità aquiliana, onde non precludersi la possibilità di vedersi riconoscere - quando ve ne siano i presupposti - il risarcimento anche in assenza di prova del rapporto contrattuale. In fine, in tema di rapporto tra avvocato e assistito, la Corte di Giustizia UE, 15 gennaio 2015, causa C-537/13 ha stabilito che «La direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, deve essere interpretata nel senso che essa si applica ai contratti standard di servizi di assistenza legale, come quelli di cui al procedimento principale, stipulati da un avvocato con una persona fisica che non agisce per fini che rientrano nel quadro della sua attività professionale». La decisone della Corte di Giustizia UE appare di notevole rilevanza, tenuto conto delle significative implicazioni nel rapporto tra l'assistito e l'avvocato, specialmente in relazione alle pattuizioni concernenti i confini e la durata dell'incarico e, ancor più, per quanto concerne i compensi professionali. |