La distinzione garanzia propria - impropria ha ancora un senso?

Andrea Penta
04 Aprile 2016

Il terzo può essere chiamato in causa - ai sensi dell'art. 106 c.p.c. - sia perché risponda in luogo del convenuto, sia perché venga condannato a rispondere di quanto il convenuto sarà eventualmente tenuto a prestare all'attore.
Premessa

Il terzo può essere chiamato in causa - ai sensi dell'art. 106 c.p.c. - sia perché risponda in luogo del convenuto, sia perché venga condannato a rispondere di quanto il convenuto sarà eventualmente tenuto a prestare all'attore. Nel primo caso, quando l'affermazione della responsabilità dell'obbligato principale e del garante trovano fondamento nel medesimo titolo, la garanzia si definisce propria, nel secondo caso, quando la responsabilità dell'uno o dell'altro traggono origine di rapporti o situazioni giuridiche diversi, la garanzia si definisce impropria. In particolare, in caso di chiamata in causa del terzo, questi assume, per effetto della stessa chiamata, la posizione di contraddittore nei confronti della domanda originaria solo se viene chiamato in causa quale soggetto effettivamente e direttamente obbligato (o, in caso di azione risarcitoria, quale unico responsabile del fatto dannoso) e non anche se viene chiamato in causa dal convenuto per esserne garantito. Occorre scrutinare se la pronuncia a Sezioni Unite n. 24707 del 4 dicembre 2015 abbia o meno minato alla fondamenta la distinzione tra le due note fattispecie di chiamata in garanzia.

La chiamata in causa di un terzo

Per quanto concerne la chiamata in causa di un terzo, va, precisato che si è al cospetto di una chiamata non innovativa allorquando, pur essendosi l'attore qualificato titolare di un determinato diritto, il convenuto abbia contestato la legittimazione (recte, titolarità) attiva in capo al primo, facendo partecipare al giudizio pendente colui che egli individua come effettivo titolare, ma nessuna delle parti originarie abbia proposto una domanda nei confronti del terzo (reputando sufficiente averlo chiamato a partecipare al processo). In siffatta evenienza, da un lato, il terzo, con la chiamata in causa, assume la qualità di parte e, come tale, resterà vincolato a quanto statuito nella sentenza e, dall'altro lato, oggetto del processo rimarrà esclusivamente la situazione sostanziale originaria (vale a dire, quella introdotta dall'attore contro il convenuto). In estrema sintesi, non si realizza un cumulo oggettivo, ma solo soggettivo.

Può, però, anche accadere che il convenuto indichi il vero obbligato e l'attore, invece di chiamarlo in causa al solo fine di rendergli opponibile la sentenza, lo chiami proponendo una domanda nei suoi confronti, per ottenere una sentenza che abbia ad oggetto il rapporto sostanziale che intercorre fra lui ed il terzo. In questo caso si realizza un cumulo oggettivo, la chiamata è innovativa ed il giudice decide sia sul rapporto attore-convenuto che su quello convenuto-terzo.

La chiamata in garanzia in generale

Una peculiare vicenda si realizza quando la chiamata del terzo è in garanzia, atteso che tendenzialmente, fermo restando che il garantito può chiamare in causa il garante anche al solo fine di informarlo che nei suoi confronti è stata proposta una domanda (evidentemente da parte dell'asserito creditore) e che, in caso di soccombenza, egli intende riversare nella sfera giuridica del garante le conseguenze negative della stessa, la soccombenza del garantito rappresenta il presupposto per l'esistenza stessa dell'obbligo del garante (nel senso che, in tanto si ha diritto di garanzia, in quanto il garantito rimanga soccombente nei confronti della parte principale).

La differenza tra le due ipotesi ha significativi risvolti sul piano pratico, atteso che, ad esempio, il principio dell'estensione automatica della domanda principale al terzo chiamato in causa dal convenuto non opera quando lo stesso terzo venga evocato in giudizio come obbligato solidale o in garanzia propria od impropria, essendo in questo caso necessaria la formulazione di un'espressa ed autonoma domanda da parte dell'attore (Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2007, n. 23308).

Viceversa, nel caso di comunanza di causa si assiste, di regola, ad una alternatività, perché, quando il convenuto afferma che il responsabile del danno non è lui, ma un altro, il giudice deve accertare a carico di chi (tra il convenuto ed il terzo) grava l'obbligo (non potendosi, peraltro, escludere che la domanda attorea venga rigettata in toto).

Anche nell'ipotesi di chiamata in garanzia la stessa può essere non innovativa (nel qual caso il rapporto di garanzia non è dedotto in giudizio, il garante partecipa al processo in via adesiva e la sentenza che accerta la sussistenza dell'obbligo o l'inesistenza del diritto del garantito gli sarà opponibile nel secondo eventuale processo che avrà ad oggetto, invece, il rapporto di garanzia) o innovativa (nel qual caso, essendo proposta una domanda relativa al rapporto di garanzia, il giudice, se accoglie la domanda principale e, quindi, condanna il convenuto-garantito a pagare, dovrà esaminare anche il rapporto di garanzia e, ritenendolo sussistente, condannare il chiamato in causa).

Per completezza va evidenziato che, ovviamente, laddove, ad esempio, il fideiussore convenuto in giudizio può chiamare in garanzia (recte, per esperire l'azione di regresso) l'obbligato principale, quest'ultimo non può, viceversa, chiamare in garanzia il fideiussore, perché non ha alcun diritto nei suoi confronti (garantendo il fideiussore il creditore dell'adempimento dell'obbligazione, e non il debitore principale).

Mentre nel caso in cui la parte originaria (di regola, il convenuto) chiama in giudizio il terzo garante al solo fine di rendere da lui incontestabile quanto sarà accertato nella sentenza (e, quindi, senza proporre nei suoi confronti un'autonoma domanda) il giudice può disporre, in presenza dei presupposti di legge (se il garante compare ed accetta di assumere la causa un luogo di lui), l'estromissione del garantito, nel caso in cui proponga l'azione di regresso nei confronti del garante (per ottenere che il giudice, qualora accolga la domanda principale, condanni subìto il garante a pagargli ciò che gli deve per effetto della garanzia) l'estromissione non è possibile (atteso che renderebbe improcedibile l'azione di regresso, venendone a mancare uno dei soggetti – il garantito).

Quanto all'estensione al terzo della domanda attorea, laddove nei confronti del terzo, che sia stato chiamato in causa dal convenuto nella qualità di soggetto effettivamente e direttamente obbligato alla prestazione pretesa dall'attore, la domanda attrice si estende automaticamente, senza necessità di un'espressa istanza, analoga estensione viceversa non si verifica nel caso di chiamata del terzo in garanzia, stante l'autonomia sostanziale dei due rapporti, ancorché confluiti in un unico processo (cfr. Cass., sez. lav., 4 marzo 2000, n. 2471 e Cass., sez. III, 24 aprile 2001, n. 6026; conf. Cass., sez. lav., 7 giugno 2011, n. 12317, secondo cui, nell'ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria, il chiamante fa valere nei confronti del chiamato un rapporto diverso da quello dedotto dall'attore come causa petendi; cfr., in questi termini, di recente, Cass., sez. III, 5 marzo 2013, n. 5400).

Le diverse forme di chiamata in garanzia

Mentre nella garanzia cd. propria rientrano la garanzia formale (o reale) e quella semplice (o personale), le quali sono accomunate dal discendere entrambe direttamente da una previsione normativa, la garanzia cd. impropria discende da una connessione estrinseca sorgente da collegamenti negoziali.

Avuto riguardo alla garanzia reale, si pensi ai casi del cedente il credito a titolo oneroso nei confronti del cessionario (art. 1266 c.c.) o del venditore, qualora il compratore subisca l'evizione totale della cosa (artt. 1483 e 1485 c.c.) ovvero del locatore verso il conduttore, nell'eventualità in cui un terzo proponga nei suoi confronti, ad esempio, una domanda di rivendicazione (art. 1586 c.c.). Quanto alla garanzia semplice (le cui fattispecie principali sono disciplinate dagli artt. 1298 e 1950 c.c.), si segnala Cass., sez. II, 6 agosto 1952, n. 2542, secondo cui, rivendicato dal proprietario uno stabile contro chi lo avrebbe acquistato a non domino, la chiamata in garanzia proposta dal convenuto contro il suo dante causa dà luogo ad un rapporto di garanzia propria (garanzia per evizione) e non di garanzia impropria.

La differenza principale tra le due sottospecie, poi, va individuata nella circostanza che, mentre nella garanzia formale vi è, oltre all'obbligo del garante di tener indenne il garantito sul piano del diritto sostanziale (e il diritto dell'avente causa a riversare nel patrimonio del dante causa le conseguenze negative che la sentenza produce), anche il diritto del garantito di chiamare in causa il garante, con il correlativo obbligo di quest'ultimo di assumere la difesa processuale del garantito, nella garanzia semplice l'obbligato in via di regresso, chiamato in giudizio dal convenuto, non può assumere la lite al posto di questi.

La fattispecie più ricorrente di garanzia impropria nella pratica è quella della “vendita a catena”. Invero, in tali vendite ciascuno dei successivi acquirenti agisce in regresso contro il proprio immediato dante causa in forza del proprio e distinto rapporto contrattuale di compravendita e senza che fra l'azione principale ed il rapporto obbligatorio che sta alla base della successiva domanda di regresso si costituisca alcun vincolo di interdipendenza. Si tratta, quindi, secondo la giurisprudenza consolidata, di garanzia impropria, la quale, di per sè, non da luogo a litisconsorzio necessario, nè di ordine sostanziale nè di ordine processuale, essendo, in tale ipotesi, le cause perfettamente scindibili e indipendenti (Cass., sez. III, 10 aprile 1970 n. 1010; Cass., Sez. II, 9 marzo 1966 n. 666).

La distinzione tra garanzia propria ed impropria

La distinzione in esame è d'origine giurisprudenziale e dottrinale, ma non di diritto positivo.

Occorre soffermarsi sulle differenze che intercorrono tra le due predette figure di garanzie.

Una risalente pronuncia della Suprema Corte (Cass., Sez. Un., 2 gennaio 1976, n. 157; come massime precedenti conformi andavano già all'epoca menzionate Cass., sez. III, 28 settembre 1971, n. 2676; Cass., sez. III, 27 novembre 1973, n. 3265; Cass., sez. I, 7 settembre 1968, n. 2898. Successivamente si sono inserite nello stesso solco Cass., sez. I, 28 marzo 2003, n. 4740 e Cass., sez. III, 12 dicembre 2003, n. 19050), ebbe il merito di chiarire che ricorre l'ipotesi di garanzia propria quando l'azione di regresso (o di rivalsa) proposta contro il garante si basa sullo stesso titolo dedotto a fondamento della domanda principale, ovvero quando sussiste una connessione obbiettiva di titoli tra il rapporto principale (recte, fra la domanda principale) e quello accessoria (o quando sia unico il fatto generatore della responsabilità prospettata con l'azione principale e con quella di regresso; quest'ultima precisazione è, in realtà, ascrivibile a Cass., Sez. II, 29 luglio 2009, n. 17688). Si ha, invece, garanzia impropria quando la chiamata in causa sia diretta a riversare sul terzo gli effetti della domanda giudiziale dell'attore, in base ad un titolo distinto, autonomo ed indipendente da quello (dedotto con la domanda) principale ovvero in base ad un titolo connesso al rapporto principale solo in via occasionale o di fatto (cfr., in tal senso, Cass., sez. I, 30 settembre 2005, n. 19208; conformi Cass., sez. III, 27 giugno 1991, n. 7217, Cass., sez. I, 4 giugno 1998, n. 5478, Cass., sez. III, 5 agosto 2002, n. 11711, Cass., sez. III, 8 agosto 2002, n. 12029,; si segnalano, quanto alle Sezioni Unite, le pronunce Cass., 10 agosto 1999, n. 579 e Cass., 26 luglio 2004, n. 13968).

Quanto alla prima evenienza (titolo distinto ed autonomo), il fenomenosi verifica in base ad un collegamento di fatti fra loro accennati da una concomitanza di fattori causali nella produzione del danno (come statuito da Cass., Sez. III, 27 novembre 1973, n. 3265), quando il convenuto tende a riversare sul terzo le conseguenze del proprio inadempimento o, comunque, della lite in cui è coinvolto, in base ad un titolo diverso da quello dedotto con la domanda principale (come aggiunto da Cass., sez. II, 29 luglio 2009, n. 17688, cit.; con quest'ultima pronuncia la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente un caso di garanzia propria, essendo unico il fatto generatore della responsabilità, in un giudizio nel quale il venditore di un terreno - convenuto dall'acquirente per la riduzione del prezzo, in conseguenza dell'accertata esistenza sul terreno di una rete fognaria - aveva chiamato in garanzia il Comune che tale impianto aveva installato).

Guardando da un altro angolo visuale il fenomeno, la chiamata in causa del terzo, ai sensi dell'art. 106 c.p.c., può essere disposta perché questi risponda, in luogo del convenuto, oppure sia condannato a rispondere di quanto il convenuto sarà eventualmente tenuto a prestare all'attore: nel primo caso, quando l'affermazione della responsabilità dell'obbligato principale e del garante trovano fondamento negli elementi costitutivi della medesima fattispecie, la garanzia si definisce "propria"; nel secondo caso, quando la responsabilità dell'uno e dell'altro traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diversi, ed è esclusa l'esistenza di ogni legame tra il preteso creditore ed il garante, la garanzia si definisce "impropria" (Cass., sez. III, 8 agosto 2002, n. 12029, cit.; conf. Cass., sez. III, 17 aprile 2000, n. 4921, Cass., sez. lav., 23 marzo 2002, n. 4171, Cass., sez. lav., 10 maggio 2002, n. 6771).

In definitiva, in caso di chiamata in causa per garanzia impropria, l'azione principale e quella di garanzia sono fondate su titoli diversi, dando luogo a due cause distinte e scindibili (in questi termini Cass., sez. VI, 28 aprile 2014, n. 9369 e Cass., sez. III, 12 dicembre 2003, n. 19050).

La chiamata in causa per garanzia impropria

Avuto particolare riguardo alla chiamata in causa per garanzia impropria, premesso che il controllo del giudice sulla sussistenza della legitimatio ad causam (nel duplice aspetto di legittimazione ad agire e contraddire) si risolve nell'accertare se, secondo la prospettazione dell'attore, questi ed il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, nel caso del menzionato tipo di chiamata l'anzidetta legittimazione, rispettivamente attiva e passiva, è data dall'affermazione del chiamante che, in virtù di un titolo diverso dal rapporto principale intercorrente fra attore e convenuto, il chiamato debba tenerlo indenne dalle eventuali conseguenze negative del giudizio, restando peraltro escluso, nella stessa ipotesi, che la domanda che il chiamante deve spiegare nei confronti del chiamato debba essere necessariamente di condanna, in quanto il chiamante medesimo può, come si è visto, limitare il proprio interesse ad agire alla domanda che l'accertamento sul rapporto principale (in quanto concernente un elemento del rapporto principale destinato a spiegare i suoi effetti nell'ambito del rapporto di garanzia impropria) faccia stato anche nei confronti del chiamato (in questi sostanziali termini si sono espressi Cass., sez. lav., 4 febbraio 1993, n. 1375, Cass., sez. III, 16 ottobre 1968, n. 3324, Cass., sez. III, 27 novembre 1973, n. 3265, Cass., Sez. Un., 20 gennaio 1976, n. 157, Cass., sez. I, 10 agosto 1979, n. 4649; Cass., sez. III, 10 febbraio 1981, n. 833; Cass., sez. III, 13 gennaio 1982, n. 182; Cass., sez. III, 27 gennaio 1988, n. 723; Cass., sez. lav., 9 giugno 1989, n. 2822).

Occorre, peraltro, al fine di qualificare la tipologia di chiamata, prestare attenzione alla fattispecie concreta. Invero, nell'ipotesi in cui la parte convenuta in un giudizio di risarcimento dei danni, nel dedurre il difetto della propria legittimazione passiva, chiami in causa un terzo, con il quale non sussista alcun rapporto contrattuale, chiedendone, in caso di affermazione della propria responsabilità, la condanna a garantirla e manlevarla, l'atto di chiamata, al di là della formula adottata, va inteso come chiamata del terzo responsabile e non già come chiamata in garanzia impropria, dovendosi privilegiare l'effettiva volontà della chiamante in relazione alla finalità, in concreto perseguita, di attribuire al terzo la responsabilità dei danni arrecati (così Cass., sez. III, 07 ottobre 2011, n. 20610, la quale ha soggiunto che in tal caso si verifica l'estensione automatica della domanda al terzo chiamato, indicato dal convenuto come il vero legittimato, onde il giudice può direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna, anche se l'attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione). D'altra parte, secondo una parte della dottrina (G. Tarzia - F. Danovi, Lineamenti del processo civile di cognizione, Giuffrè; F. P. Luiso, Diritto processuale civile I, Giuffrè), si avrebbe piuttosto garanzia propria nelle ipotesi in cui la legge che disciplina il rapporto preveda un collegamento tra la posizione sostanziale vantata dall'attore e quella del chiamato in garanzia e, per questo, la partecipazione del terzo può essere ricondotta ad una previsione legislativa. In quest'ultimo senso sembra essersi indirizzata, con riferimento ad una fattispecie del tutto analoga a quella esaminata da Cass., Sez. Un.,n. 24707/2015, Cass., Sez. Un., 26 luglio 2004, n. 13968, cit., secondo cui «Con riferimento alla posizione dell'assicuratore della responsabilità civile (fuori dell'ambito dell'assicurazione obbligatoria), quale è configurata dall'art. 1917 c.c., ricorre una ipotesi di garanzia propria, atteso che il nesso tra la domanda principale del danneggiato e la domanda di garanzia dell'assicurato verso l'assicuratore è riconosciuto sia dalla previsione espressa della possibilità di chiamare in causa l'assicuratore sia dallo stesso regime dei rapporti tra i tre soggetti contenuto nell'art. 1917, comma 2, c.c.. Infatti, nelle ipotesi in cui sia unico il fatto generatore della responsabilità come prospettata tanto con l'azione principale che con la domanda di garanzia, anche se le ipotizzate responsabilità traggono origine da rapporti o situazioni giuridiche diverse, si versa in un caso di garanzia propria, che ricorre solo ove il collegamento tra la posizione sostanziale vantata dall'attore e quella del terzo chiamato in garanzia sia previsto dalla legge disciplinatrice del rapporto».

Ha ancora senso la distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria?

È nel descritto panorama giurisprudenziale e dottrinario che si inserisce la pronuncia a Sezioni Unite Cass., 4 dicembre 2015, n. 24707, la quale, risolvendo una questione di massima di particolare importanza, ha enunciato il principio secondo cui l'impugnazione del garante riguardo al rapporto principale, tanto nel caso in cui la chiamata si sia esaurita nella sola richiesta di estensione soggettiva dell'accertamento sul rapporto principale al garante, quanto nel caso in cui ad essa sia stata cumulata la domanda di garanzia, è idonea ad investire il giudice dell'impugnazione anche a favore del garantito, attesa la struttura necessaria del litisconsorzio sul piano processuale e considerato che è stato lo stesso garantito a realizzare l'estensione soggettiva della legittimazione sul rapporto principale.

Al di là delle questioni di carattere squisitamente processuale, per il cui approfondimento si rinvia all'articolata sentenza, preme qui sottolineare che in alcuni passaggi logici sembra che le Sezioni Unite prendano posizione sulla distinzione tra garanzia propria e garanzia impropria, definendola come inutile. Invero, dapprima si sostiene che la distinzione è più apparente che reale, evidenziando che, sebbene solo ex post, anche nella garanzia impropria la comunanza di un fatto è necessaria per l'operare della garanzia. Poi, si afferma che la distinzione merita di essere mantenuta solo a livello descrittivo delle varie fattispecie di garanzia, ma deve essere abbandonata a livello di conseguenze applicative, perché non esistono ragioni normative che giustificano differenze sotto tale aspetto. Scendendo nel particolare, si deduce successivamente che, allorquando il convenuto garantito chiama in garanzia il terzo garante al solo fine di estendergli sul piano soggettivo l'efficacia della decisione sul rapporto principale, tali effetti sono identici sia per le ipotesi di garanzia propria che per quella impropria. Nel nucleo centrale della decisione, si avalla, inoltre, la tesi per cui le due eventualità in astratto ipotizzabili (chiamata del terzo in garanzia con contenuto minimale indefettibile e chiamata dello stesso anche formulando una richiesta estesa al rapporto di garanzia) possono verificarsi senza differenze sostanziali in entrambe le fattispecie di garanzia. Infine, in una sorta di chiusura del cerchio, si rileva che sia avuto riguardo all'art. 32 c.p.c. (per il quale assume rilievo genericamente la “domanda di garanzia”) sia con riferimento all'art. 108 c.p.c. non merita operare le distinzione.

In conclusione

È noto che, in caso di litisconsorzio processuale, che determina l'inscindibilità delle cause, anche ove non sussisterebbe il litisconsorzio necessario di natura sostanziale, l'omessa impugnazione della sentenza nei confronti di tutte le parti non determina l'inammissibilità del gravame, ma la necessità per il giudice d'ordinare l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., nei confronti della parte pretermessa, pena la nullità del procedimento di secondo grado e della sentenza che l'ha concluso, rilevabile d'ufficio anche in sede di legittimità. Infatti, anche quando non è obbligatorio il litisconsorzio sostanziale, può essere necessario il litisconsorzio processuale. In presenza di litisconsorzio processuale, in caso di appello notificato solo ad alcune parti e non a tutte, il giudice deve ordinare l'integrazione del contraddittorio, senza che possa darsi luogo alla dichiarazione di inammissibilità dell'atto di appello. La presenza di più parti nel giudizio di primo grado deve persistere in sede di impugnazione, al fine di evitare possibili giudicati contrastanti in ordine alla stessa materia e nei confronti di quei soggetti che siano stati parti del giudizio.

Tuttavia, i passaggi logici riportati nel paragrafo precedente appaiono, in una visione d'insieme, dei meri obiter dicta. Invero, non individuano la ratio decidendi, intesa come regola di diritto connessa alla fattispecie concreta, che costituisce il fondamento logico-giuridico necessario per risolvere la controversia, e sono quindi privi dell'efficacia di precedente. Pertanto, non potranno essere invocati nella soluzione di casi successivi, non avendo determinato la decisione del caso concreto.

Ed allora, allo stato, deve probabilmente ancora farsi tesoro della risalente pronuncia Cass., Sez. Un., 24 luglio 1981, n. 4779, a mente della quale, nel caso di chiamata in garanzia impropria, fondata cioè su un titolo diverso e autonomo rispetto a quello dedotto dall'attore, il garante può proporre impugnazione in ordine al rapporto principale nel solo caso in cui egli sia stato chiamato in giudizio non solo ai fini dell'eventuale rivalsa in caso di soccombenza, ma anche per la necessità della trattazione della causa e della sua stessa difesa, poiché si assume essere imputabile unicamente al terzo chiamato il fatto generatore della responsabilità. In tutti gli altri casi, la circostanza che il chiamato non si limiti a resistere alla domanda del chiamante, ma contesti anche l'esistenza dell'obbligazione di quest'ultimo verso l'attore, pone il chiamato medesimo nella posizione di parte accessoria - ossia di interveniente adesivo dipendente - ma non fa venir meno l'autonomia e la scindibilità della causa principale da quella di garanzia, con la conseguenza che, se la prima non è oggetto d'impugnazione da parte dell'attore o del chiamante, il chiamato può proporre impugnazione solo limitatamente alla causa di garanzia, pur mantenendo, nell'ambito del relativo rapporto, la facoltà di riproporre le questioni inerenti alla esistenza e alla validità dell'obbligazione del chiamante verso l'attore.

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