Distanze di sicurezza: quando scatta l’obbligo di osservarle?

Mauro Di Marzio
05 Gennaio 2016

La presunzione de facto di mancato rispetto della distanza di sicurezza posta dall'art. 149 c.d.s. non concerne il caso del tamponamento del veicolo che, per una situazione anomala, avulsa dalle esigenze del traffico, costituisca un ostacolo fisso ed imprevedibile rispetto al normale andamento della circolazione stradale.
Massima

La presunzione de facto di mancato rispetto della distanza di sicurezza posta dall'art. 149 C.d.s. non concerne il caso del tamponamento del veicolo che, per una situazione anomala, avulsa dalle esigenze del traffico, costituisca un ostacolo fisso ed imprevedibile rispetto al normale andamento della circolazione stradale.

Il caso

Il conducente di un camion sta percorrendo un tratto autostradale, quando, sulla corsia di marcia va ad urtare un rimorchio fermo, perché staccatosi da una motrice precedentemente transitata, ed abbandonato lì.

L'uomo, che ha riportato lesioni, agisce come di consueto in giudizio per il risarcimento del danno, e la domanda, respinta in primo grado, è invece accolta in appello, sull'assunto che il sinistro si fosse verificato per esclusiva responsabilità del proprietario del rimorchio e della relativa motrice, potendosi presuntivamente ritenere che il distacco improvviso del rimorchio, durante la marcia in autostrada, fosse stato determinato da un vizio di costruzione ovvero da un difetto di manutenzione del veicolo, secondo la previsione dell'ultimo comma dell'art. 2054 c.c..

La sentenza è impugnata per cassazione e, in particolare, l'assicuratore del veicolo danneggiante lamenta che la corte d'appello non abbia deciso la lite facendo applicazione del principio desumibile dall'art. 149 C.d.s., secondo cui: «Durante la marcia i veicoli devono tenere, rispetto al veicolo che precede, una distanza di sicurezza tale che sia garantito in ogni caso l'arresto tempestivo e siano evitate collisioni con i veicoli che precedono». In buona sostanza, dunque, secondo il ricorrente per cassazione, il sinistro avrebbe dovuto essere qualificato come tamponamento, per mancata osservanza delle distanze di sicurezza, con conseguente responsabilità del conducente del veicolo tamponante.

La questione

Ecco allora il quesito. Quand'è che può parlarsi di tamponamento? E, in altri termini, in quali frangenti può ritenersi sussistente l'obbligo di osservanza delle distanze di sicurezza previsto dal citato art. 149?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte fa correttamente il punto della situazione, richiamando il proprio precedente orientamento sulla materia che si può riassumere nei termini seguenti.

In caso di tamponamento trova applicazione, in generale, il principio riassunto di recente nella seguente massima: «per il disposto dell'art. 149, primo comma, del vigente codice della strada (d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285), il conducente di un veicolo deve essere in grado di garantire in ogni caso l'arresto tempestivo del mezzo, evitando collisioni con il veicolo che precede, per cui l'avvenuto tamponamento pone a carico del conducente medesimo una presunzione de facto di inosservanza della distanza di sicurezza. Ne consegue che, esclusa l'applicabilità della presunzione di pari colpa di cui all'art. 2054, secondo comma, c.c., egli resta gravato dall'onere di dare la prova liberatoria, dimostrando che il mancato tempestivo arresto dell'automezzo e la conseguente collisione sono stati determinati da cause in tutto o in parte a lui non imputabili» (Cass. civ., sez. III, sent., 18 marzo 2014, n. 6193; analogamente in precedenza Cass. civ., sez. III, sent., 15 febbraio 2006, n. 3282; Cass. civ., sez. III, sent., 12 novembre 1998, n. 11444; Cass. civ., sez. III, sent., 17 agosto 1995, n. 8917; Cass. civ., sez. III, sent., 21 aprile 1990, n. 3343). Resta da dire, sulla distanza di sicurezza, che essa non è normativamente determinata, ma — come ogni automobilista sa — deve tener conto di una pluralità di elementi, quali la velocità, le condizioni di traffico, quelle atmosferiche, le caratteristiche del veicolo, eccetera.

Fa eccezione al menzionato orientamento una pronuncia secondo cui la presunzione di concorso in pari grado di colpa posta dall'art. 2054, secondo comma, c.c., in caso di collisione tra veicoli, in mancanza di un accertamento concreto del giudice del merito delle rispettive responsabilità, non è esclusa in caso di tamponamento, cioè dalla circostanza che i veicoli procedano nella medesima direzione, e quindi la collisione avvenga da tergo (Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2005, n. 14741).

Tuttavia, occorre considerare che il pressoché totalitario indirizzo ricordato, il quale esclude la operatività della presunzione dell'art. 2054 c.c., secondo comma, in caso di tamponamento, si riferisce, come ricordato da Cass. civ., Sez. III, sent., 19 dicembre 2006, n. 27134, ad ipotesi di scontro tra veicoli in movimento e non ad ipotesi di tamponamento di un veicolo che costituisca un ostacolo imprevedibile (si vedano anche Cass. civ., sez. III, sent., 7 aprile 1997, n. 2980; Cass. civ., Sez. III, sent., 21 agosto 1992, n. 9727). E dunque la distanza di sicurezza, che il conducente dell'autoveicolo è obbligato a rispettare dal veicolo che lo precede, deve essere calcolata in previsione della normale marcia dei veicoli e non di improvvisi, anomali ed imprevedibili ostacoli; pertanto, non è addebitabile alla violazione del dovere di mantenere le distanze di sicurezza il tamponamento di un veicolo che (ad esempio) si sia improvvisamente inserito nel percorso del veicolo sopraggiungente, ostacolandone la marcia con anomala e non consentita manovra.

Tale distinzione sembra essere pienamente condivisibile. Il precetto dettato dall'art. 149 C.d.s. impone difatti una regola di comportamento che si attaglia alle normali situazioni di flusso del traffico: procedere troppo vicini al veicolo che si ha dinanzi importa il rischio che un improvviso rallentamento di quest'ultimo, per le più disparate e sempre possibili ragioni, non lasci al conducente del veicolo che segue il tempo psico-tecnico necessario ad una frenata efficiente e tempestiva. Ma, se in mezzo alla strada c'è un ostacolo, quale un veicolo fermo perché ad esempio incorso tempo prima in un precedente incidente, o perché rimasto in panne, ciò che viene in questione non è l'osservanza delle distanze di sicurezza, ma la circostanza che il conducente del veicolo sopraggiungente non si è avveduto dell'ostacolo: la qual cosa può essere o no, a seconda dei casi, addebitata a sua responsabilità.

Osservazioni

In generale, dunque, sui principi menzionati si gioca l'applicabilità della presunzione di pari responsabilità prevista dal secondo comma dell'art. 2054 c.c. ovvero della presunzione di responsabilità del tamponante, desunta dall'art. 149 c.d.s.: con la precisazione che il rapporto tra l'una e l'altra si pone in termini di specialità.

La peculiarità della vicenda in esame sta in ciò, che il giudice d'appello, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, ha escluso l'applicabilità sia della presunzione prevista dall'art. 2054, secondo comma, c.c., sia di quella fissata dall'art. 149 c.d.s., in forza del quarto comma dello stesso art. 2054. Ed in effetti, il ragionamento della corte d'appello — la quale ha in breve osservato che se il rimorchio si era staccato dalla motrice mentre l'automezzo era in transito in autostrada, ciò voleva dire che esso era affetto da un vizio di costruzione ovvero da un difetto di manutenzione — sembra conforme ad una ragionevole presunzione homine (salvo a non immaginare che si fosse trattato invece di un errore nell'operazione di aggancio del rimorchio alla motrice).

Un ultima notazione, che attiene ad un altro aspetto, anch'esso significativo, della pronuncia. La sentenza, in altra parte della motivazione, conferma l'orientamento (del tutto prevalente) secondo cui l'accertamento dell'esistenza di postumi permanenti incidenti sulla capacità lavorativa specifica (abbiamo visto che il camionista aveva riportato lesioni di una certa consistenza) non comporta l'automatico obbligo di risarcimento del danno patrimoniale da parte del danneggiante, dovendo comunque il soggetto leso dimostrare, in concreto, lo svolgimento di un'attività produttiva di reddito e la diminuzione o il mancato conseguimento di questo in conseguenza del fatto dannoso, pur essendo evidentemente possibile fare ricorso alla prova presuntiva. In ciò pare essere smentito il recente dictum di Cass. civ., sez. III, sent., 12 giugno 2015 n. 12211 (v. Contrordine! La perdita della capacità lavorativa generica si cumula a danno biologico e patrimoniale, in Ri.Da.Re.) , secondo cui l'invalidità di una certa gravità darebbe luogo sempre e comunque ad un danno patrimoniale attuale in proiezione futura da perdita di chance, ulteriore e distinto rispetto al danno da incapacità lavorativa specifica, e piuttosto derivante dalla riduzione della capacità lavorativa generica.