Il danno esistenziale va risarcito anche dopo le sentenze di San Martino
05 Aprile 2017
Massima
Gli aspetti o le voci di danno non patrimoniale non rientranti nell'ambito del danno biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica, ben possono essere definiti come “esistenziali”, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più allo stato intimo ma evolvano, seppure non in «degenerazioni patologiche» integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita. Il caso
Un militare cade da un'altezza di circa 4 metri per il crollo del parapetto, al quale era appoggiato, di una piattaforma del radar ove era salito con un commilitone durante una pausa infraturno del servizio di leva. La domanda risarcitoria nei confronti del Ministero della Difesa, dopo essere stata accolta dal Tribunale, viene rigettata dalla Corte d'Appello nella parte relativa al danno esistenziale, ritenuto dai giudici del gravame «non più riconoscibile a seguito del recente orientamento della giurisprudenza di legittimità». Le questioni
È risarcibile il danno esistenziale dopo le sentenze delle Sezioni Unite del 2008 (note anche come “sentenze di San Martino”)? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte risponde affermativamente al quesito, sottolineando come - al contrario di quanto da alcuni dei primi commentatori sostenuto (cfr., ad esempio, CENDON, “Ha da passà a nuttata”, in www.personaedanno.it) e anche in giurisprudenza di legittimità a volte affermato (Cass. civ., sez. lav., 13 maggio 2009, n. 11408, e, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2013, n. 3290) - debba escludersi che le Sezioni Unite del 2008 abbiano negato la configurabilità e la rilevanza a fini risarcitori (anche) del c.d. danno esistenziale (in tal senso si veda, in particolare, Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361). Nelle pronunzie del 2008 risulta, infatti, confermato che, quale sintesi verbale (in tali termini v. già Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2006, n. 13546), gli aspetti o voci di danno non patrimoniale non rientranti nell'ambito del danno biologico, in quanto non conseguenti a lesione psico-fisica, ben possono essere definiti come esistenziali, attenendo alla sfera relazionale della persona, autonomamente e specificamente configurabile allorquando la sofferenza e il dolore non rimangano più allo stato intimo ma evolvano, seppure non in «degenerazioni patologiche» integranti il danno biologico, in pregiudizi concernenti aspetti relazionali della vita (v. Cass. civ.,Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, cit.). Al di là di affermazioni di principio secondo cui il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. precluderebbe la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (v. Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 2013, n. 3290; Cass. civ., sez. VI, 14 maggio 2013, n.11514), la giurisprudenza perviene poi generalmente a dare comunque rilievo alla circostanza che nel liquidare l'ammontare dovuto a titolo di danno non patrimoniale il giudice abbia invero tenuto conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi dello stesso nel singolo caso concreto (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 23 settembre 2013, n. 21716). Emerge evidente come rimanga a tale stregua invero sostanzialmente osservato il principio dell'integralità del ristoro, sotto il suindicato profilo della necessaria considerazione di tutti gli aspetti o voci in cui la categoria del danno non patrimoniale si scandisce nel singolo caso concreto, non essendovi in realtà differenza tra la determinazione dell'ammontare a tale titolo complessivamente dovuto mediante la somma dei vari "addendi", e l'imputazione di somme parziali o percentuali del complessivo determinato ammontare a ciascuno di tali aspetti o voci (cfr. Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361). Nella giurisprudenza di legittimità si è d'altro canto sottolineato che il principio dell'integralità del ristoro del danno non si pone in termini antitetici ma viene anzi a correlarsi con quello per il quale il danneggiante/debitore è tenuto al risarcimento solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l'inadempimento a lui causalmente ascrivibile, l'esigenza della cui tutela impone anche di evitarsi duplicazioni risarcitorie (v. Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402; Cass. civ., sez. III, 14 settembre 2010, n. 19517). Si ha duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte, sebbene con l'uso di nomi diversi (v. Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402; Cass. civ., sez. III, 6 aprile 2011, n. 7844). È, invero, compito del giudice accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore persona si siano verificate, e provvedendo al relativo integrale ristoro (v. Cass. civ., sez. III, 13.5.2011, n. 10527; Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972). Le Sezioni Unite del 2008 avvertono che i patemi d'animo e la mera sofferenza psichica interiore sono normalmente assorbiti in caso di liquidazione del danno biologico, cui viene riconosciuta «portata tendenzialmente onnicomprensiva». Non condivisibile è, invece, l'assunto secondo cui, allorquando vengano presi in considerazione gli aspetti relazionali, il danno biologico assorbe sempre e comunque il c.d. danno esistenziale (in tal senso v., invece, Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 2010, n. 3906; Cass. civ., 30 novembre 2009, n. 25236). È, infatti, necessario verificare quali aspetti relazionali siano stati valutati dal giudice e se sia stato, in particolare, assegnato rilievo anche al (radicale) cambiamento di vita, all'alterazione/cambiamento della personalità del soggetto, (cfr. Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992; Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2011, n. 14402). In presenza di una liquidazione del danno biologico che contempli in effetti anche siffatta negativa incidenza sugli aspetti dinamico-relazionali del danneggiato, è correttamente da escludersi la possibilità che, in aggiunta a quanto a tale titolo già determinato, venga attribuito un ulteriore ammontare a titolo (anche) di danno esistenziale. Analogamente deve dirsi allorquando la liquidazione del danno morale sia stata espressamente estesa anche ai profili relazionali nei termini propri del danno esistenziale (cfr. Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2010,n. 9040). Laddove siffatti aspetti relazionali non siano stati invece presi in considerazione (del tutto ovvero secondo i suindicati profili peculiarmente connotanti il c.d. danno esistenziale), dal relativo ristoro non può invero prescindersi (cfr. Cass. civ., sez. III, 17 settembre 2010, n. 19816; cfr., altresì, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7766 ). Osservazioni
Affinché il Giudice possa compiutamente valutare la fondatezza della domanda risarcitoria e, conseguentemente, liquidare, in modo adeguato e proporzionato, il danno “esistenziale”, è necessario che la parte alleghi e provi, anche a mezzo di presunzioni, il cambiamento di vita, l'alterazione/cambiamento della sua personalità, lo sconvolgimento dell'esistenza che siano stati cagionati dall'illecito. Va, al riguardo, tenuto presente che – come si è già evidenziato - un danno c.d. esistenziale risarcibile non è configurabile in presenza di un mero "sconvolgimento dell'agenda" o nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita, e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità (v. Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2016, n. 19641; Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2015, n. 16992). La puntuale allegazione e prova di tutte le circostanze concrete del caso specifico è funzionale ad una liquidazione congrua, mediante la c.d. personalizzazione del danno (v. Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228; Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, cit.; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2007, n. 7740; Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2006 n. 13546), sia sul piano dell'effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti- sul territorio nazionale (v. Cass. civ., sez. III, 13 maggio 2011, n. 10528; Cass. civ., sez. III, 28 novembre 2008, n. 28423).
A tal fine, in assenza di tabelle normativamente determinate, ad esempio per le c.d. macropermanenti e per le ipotesi come nella specie diverse da quelle oggetto del suindicato decreto legislative, il giudice fa normalmente ricorso a tabelle elaborate in base alle prassi seguite nei diversi tribunali, la cui utilizzazione è stata dalle Sezioni Unite avallata nei limiti in cui, nell'avvalersene, il giudice proceda ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno non patrimoniale, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, al fine «di pervenire al ristoro del danno nella sua interezza» (v. Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972 ). DI MAJO, Sopravvive il danno morale?, in Corr. giur., 2012, 53; GAZZONI, Il danno esistenziale, cacciato, come meritava, dalla porta, rientrerà dalla finestra, in Dir. fam. e pers., 2009, 100; GORGONI, Le duplicazioni risarcitorie del danno alla persona, in Danno e resp., 2010, 13; MONATERI, Il pregiudizio esistenziale come voce del danno non patrimoniale, ivi, 2009,56; NAVARRETTA, Il danno non patrimoniale, in Responsabilità civile. Danno non patrimoniale, diretto da Patti, a cura di Delle Monache, Torino, 2010, spec. 41-49; PONZANELLI, Quale danno? quanto danno? E chi lo decide poi?, in Danno e resp., 2015, 71; SALVI, Il risarcimento integrale del danno non patrimoniale, una missione impossibile. Osservazione sui criteri per la liquidazione del danno non patrimoniale, in Eur. e dir. priv., 2014, 517. |