Il giudice amministrativo può condannare d’ufficio al risarcimento del danno in luogo del richiesto annullamento?
05 Ottobre 2015
Massima
Sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell'istante ed in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall'adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura esperita. Il caso
Tizia presentava ricorso al Tar per l'annullamento del provvedimento relativo alla mancata ammissione alle prove orali di un concorso espletato da un Comune per la copertura di tre posti di funzionario tecnico di ragioneria, di cui uno riservato al personale interno, delle deliberazioni di Giunta comunale relative alla nomina della commissione esaminatrice e degli atti della procedura concorsuale. Costituivano motivi di censura, tra l'altro, l'illegittimità della commissione esaminatrice non costituita secondo quanto stabilito dal Regolamento organico comunale del personale e la mancata individuazione nella prima riunione da parte della stessa dei criteri di valutazione delle prove scritte. Il Tribunale adito pronunciava una sentenza di rigetto, ritenendo infondate le motivazioni addotte. La parte ricorrente proponeva appello per la riforma della pronuncia di primo grado. Si costituivano in giudizio i vincitori del concorso, chiedendo il rigetto dell'appello. Con ordinanza collegiale veniva richiesta al Comune interessato copia della deliberazione di approvazione della graduatoria della procedura concorsuale, che produceva il documento e si costituiva in giudizio. La Sezione del Consiglio di Stato si esprimeva con sentenza parziale di rigetto su uno dei motivi dell'appello e, ritenendo sussistente l'illegittimità degli atti per la mancata fissazione da parte della commissione esaminatrice dei criteri di valutazione, con ordinanza rimetteva all'Adunanza plenaria la questione relativa alla facoltà del giudice amministrativo di disporre il risarcimento dei danni, sia pure non richiesto da parte ricorrente, in luogo dell'annullamento, considerati il notevole lasso di tempo trascorso dalla conclusione del concorso (circa quindici anni) e dalla nomina dei vincitori incolpevoli e le conseguenze negative che da quest'ultimo sarebbero potute derivare sulla vita degli stessi e delle loro famiglie. L'Adunanza plenaria, che, nel caso di specie, «secondo il principio di economia processuale e per esigenze di celerità, di regola decide anche nel merito», accoglie il ricorso e annulla gli atti impugnati. La questione
La questione in esame è la seguente: può il giudice amministrativo, in sede di giurisdizione di legittimità, emettere ex officio una pronuncia di risarcimento del danno, in luogo di una sentenza di annullamento, considerati gli effetti pregiudizievoli che da esso potrebbero derivare in capo alle altre parti interessate e il tempo trascorso dall'adozione degli atti impugnati? Le soluzioni giuridiche
L'Adunanza plenaria nel disporre l'annullamento degli atti impugnati ha enunciato il seguente principio di diritto: «Sulla base del principio della domanda che regola il processo amministrativo, il giudice amministrativo, ritenuta la fondatezza del ricorso, non può ex officio limitarsi a condannare l'amministrazione al risarcimento dei danni conseguenti agli atti illegittimi impugnati, anziché procedere al loro annullamento, che abbia formato oggetto della domanda dell'istante e in ordine al quale persista il suo interesse, ancorché la pronuncia possa recare gravi pregiudizi ai controinteressati, anche per il lungo tempo trascorso dall'adozione degli atti, e ad essa debba seguire il mero rinnovo, in tutto o in parte, della procedura eseguita». La sentenza in commento disegna i confini del potere del giudice in seno al processo amministrativo, che non può mutare d'ufficio la domanda e disporre il risarcimento del danno, senza annullare previamente l'atto illegittimo (cfr. art. 99 c.p.c., art. 112c.p.c. e art. 39 c.p.a.), sia pure quando non ricorra alcun vantaggio in capo al ricorrente e potrebbe derivare dall'annullamento un danno sociale. Egli può soltanto determinare, con riguardo ai motivi sollevati e all'interesse del ricorrente, la portata dell'annullamento. Si richiamano a sostegno di siffatta argomentazione il principio della domanda, che regola il processo amministrativo; la natura soggettiva della giurisdizione amministrativa; l'impossibilità di mutare il giudizio di annullamento azionato d'ufficio. Nella specie, l'azione di annullamento ha quale causa petendi l'illegittimità dell'atto e costituisce una restaurazione dell'ordine violato ad opera del giudice; la domanda di risarcimento ha quale causa petendi l'illiceità del fatto ed è diretta a restaurare la legalità violata dell'ordinamento, su ordine del giudice. È la parte, in base al principio dispositivo, che può decidere se proseguire o meno nella richiesta di annullamento degli atti illegittimi, ovvero se permane il suo interesse nonostante il notevole lasso di tempo intercorso dall'adozione degli stessi, poiché è ancora attuale un meritevole bene della vita. Né è possibile estendere al giudizio amministrativo nazionale l'art. 264 TFUE, secondo il quale «se il ricorso è fondato, la Corte di giustizia dell'Unione europea dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato. Tuttavia la Corte, ove lo reputi necessario, precisa gli effetti dell'atto annullato che devono essere considerati definitivi», poiché la norma detta una disciplina specifica, riferita al processo europeo, ossia a un modello giurisdizionale differente. Il sistema giurisdizionale amministrativo interno non ammette che a fronte di una domanda demolitoria di un atto illegittimo non consegua l'effetto caducatorio per una valutazione ex officio del giudice amministrativo. Osservazioni
Con il principio di diritto enunciato l'Adunanza plenaria pone fine al dibattito giurisprudenziale sorto in ordine all'applicazione dell'art. 34, comma 3, c.p.a., secondo il quale quando, nel corso del giudizio, l'annullamento del provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l'illegittimità dell'atto se sussiste l'interesse ai fini risarcitori. A tal proposito, secondo un orientamento giurisprudenziale l'accertamento da parte dell'organo giurisdizionale ha luogo a seguito di domanda da parte del ricorrente, che non ha più interesse all'annullamento, bensì al risarcimento dei danni. Il passaggio dall'azione di annullamento a quella di mero accertamento determina «una mera emendatio», che si concretizza esclusivamente nella variazione in senso riduttivo del petitum originario. Uno dei presupposti di questa conversione è l'esplicita istanza di parte. Occorre una espressa «manifestazione di interesse del ricorrente» a fini risarcitori, che descriva la griglia di censure di illegittimità dell'atto e denunci l'illiceità della condotta dell'amministrazione. Il giudizio amministrativo risarcitorio viene così ricondotto nell'ambito della giurisdizione di tipo soggettivo, ovvero vincolato ai parametri dei motivi del ricorso e della motivazione dell'atto, propri del giudizio ordinario di cognizione demolitoria (Tar Lombardia, Milano, sent., 6 marzo 2014, n. 606; Tar Campania, Salerno, sez. I, 25 marzo 2014, n. 615). Altro orientamento sostiene che non vi è necessità di una domanda da parte del ricorrente, affinché il giudice amministrativo proceda all'accertamento, poiché la norma suddetta introduce un «principio di carattere generale volto da un lato a inibire l'annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti nel corso del giudizio e, dall'altro, a tutelare in presenza dei necessari presupposti, l'interesse all'accertamento (Cons. Stato, sez. V, 12 maggio 2011, n. 2817)». Ordunque, il processo amministrativo è un giudizio sul rapporto tra la PA e il privato, che ha quale oggetto l'interesse legittimo, inteso come bene della vita, cui la parte aspira. Sarà quest'ultima a individuare il thema decidendum, su cui il giudice amministrativo dovrà pronunciarsi, sulla base del principio della domanda, poiché costituiscono il perimetro del predetto giudizio i motivi del ricorso, ovvero i vizi dell'atto impugnato, e il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (C. Iannielli, Principio della domanda e graduazione dei motivi del ricorso, in Diritto e giurisprudenza commentata, n.2/2015, Roma). L'unicità della causa petendi determina l'unicità dell'azione proposta (Cass.,S.U., sent. 12 febbraio 2014, nn. 26242 e 26243). Dal principio dispositivo discende che il giudizio amministrativo è un processo di parti, diretto a soddisfare l'interesse del ricorrente. Di conseguenza il giudice non potrà d'ufficio adottare una pronuncia, che non sia su istanza della parte stessa. |