Responsabilità professionale dell'avvocato, contestazione del compenso e decorrenza degli interessi di mora

Rosalia Calandrino
06 Giugno 2016

Nell'ambito della responsabilità professionale dell'avvocato, l'opinabilità della questione dalla cui errata soluzione è derivato il pregiudizio per il cliente rende operante l'art. 2236 c.c., in base al quale la responsabilità del professionista deve essere limitata ai casi di dolo o colpa grave.
Massima

Nell'ambito della responsabilità professionale dell'avvocato, l'opinabilità della questione dalla cui errata soluzione è derivato il pregiudizio per il cliente rende operante l'art. 2236 c.c., in base al quale la responsabilità del professionista deve essere limitata ai casi di dolo o colpa grave.

Esclusa la responsabilità dell'avvocato, la diversa questione concernente il decorso degli interessi di mora sugli onorari dovuti al professionista deve essere risolta in ragione dell'art. 1224 c.c. e, quindi, il debitore non può essere ritenuto in mora prima della liquidazione del debito, che si verifica con il provvedimento giurisdizionale.

Il caso

Espletato l'incarico professionale ricevuto dal Comune, l'avvocato agiva in giudizio al fine di conseguire il saldo del compenso pattuito. Il Comune resisteva deducendo l'incongruità della somma richiesta dal legale, nonché la responsabilità dello stesso per aver adito l'Autorità giudiziaria incompetente. In relazione a tale domanda, l'attore chiamava in garanzia il proprio assicuratore. In primo grado veniva accolta, seppure parzialmente, la domanda dell'attore e respinta la domanda riconvenzionale del convenuto.

Il Comune proponeva, quindi, appello avverso la decisione del giudice di primo grado, censurando l'applicazione degli artt. 2236 e 1176 c.c. e insistendo nella richiesta di accertamento della responsabilità dell'avvocato.

La Corte d'Appello riconosceva che, nel caso di specie, l'individuazione del giudice da adire costituiva problema tecnico di speciale difficoltà, tale da rendere possibile l'applicazione dell'art. 2236 c.c. e, pertanto, doveva escludersi la responsabilità dell'avvocato.

Il Giudice di seconde cure, inoltre, rideterminava la decorrenza degli interessi di mora per il pagamento dei compensi dovuti per la sola attività stragiudiziale.

Il Comune proponeva ricorso in Cassazione, contestando l'esclusione di responsabilità in capo al professionista e la statuizione in ordine alla decorrenza degli interessi di mora per il pagamento dei compensi.

La questione

L'individuazione del giudice da adire in sede di impugnazione di decisioni rese dal Commissario per gli usi civici può costituire problema tecnico di speciale difficoltà, ai fini dell'applicazione dell'art. 2236 c.c.?

In materia di onorari professionali, nell'eventualità in cui il cliente contesti la parcella presentata dal professionista, gli interessi di mora da quando decorrono?

Le soluzioni giuridiche

La contestata responsabilità professionale dell'avvocato, reo di aver adito l'Autorità giurisdizionale incompetente in sede di impugnazione della decisione resa dal Commissario per gli usi civici, viene esclusa dalla Corte d'Appello e anche dalla Suprema Corte di Cassazione.

La soluzione giuridica adottata dal Giudice di legittimità si fonda sulla tralaticia affermazione in forza della quale le obbligazioni che l'avvocato assume nel rapporto con il cliente sono obbligazioni di mezzi e, pertanto, l'affermazione di responsabilità del professionista poggia su una valutazione prognostica in ordine al probabile esito positivo dell'intervento giudiziale che avrebbe dovuto essere espletato e diligentemente seguito. Ciò che rileva, dunque, non è tanto il mancato conseguimento del risultato sperato dal cliente, ma il modo in cui l'incarico professionale sia stato espletato. In altri termini, deve tenersi conto della diligenza usata dall'avvocato nel dare esecuzione al mandato difensivo (da ultimo v. Cass. civ., Sez. III, 22 maggio 2015, n. 10526; Cass. civ., Sez. III, 20 maggio 2015, n. 10289).

La diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento dell'attività professionale è – ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c. – quella media, ossia la diligenza usata dal «professionista di preparazione professionale e di attenzione media».

L'accertamento della responsabilità professionale assume connotati di maggiore rigore nell'eventualità in cui si imponga la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, richiedendosi il dolo o la colpa grave perché il professionista possa essere ritenuto responsabile (art. 2236 c.c.).

Nel caso di specie – rileva la Corte di Cassazione – nessun appunto poteva essere mosso alla decisione del giudice d'appello, dal momento che l'apprezzamento compiuto dal giudice di merito in ordine alla opinabilità della erroneità della sentenza di inammissibilità pronunciata dal giudice adito in sede di reclamo doveva ritenersi fondato e correttamente motivato. In materia di impugnazione delle decisioni rese dal Commissario per gli usi civici, infatti, i confini tra reclamo (art. 32, l. n. 1766/1927) e ricorso straordinario in Cassazione ex art. 111 Cost. non appaiono così chiari, registrandosi orientamenti giurisprudenziali contrastanti.

Soltanto la presenza di una pluralità di precedenti giurisprudenziali idonei ad indirizzare in modo adeguato il professionista nell'individuazione del giudice competente a conoscere una determinata materia può fondare e giustificare la responsabilità del professionista che si sia erroneamente rivolto all'Autorità giudiziaria incompetente (Cass. civ., Sez. II, 4 agosto 2015, n. 16364).

Esclusa la responsabilità dell'avvocato, la Corte accoglie il diverso motivo di impugnazione afferente alla decorrenza degli interessi di mora sul diritto al pagamento del compenso.

La questione è stata risolta dando applicazione ad un principio consolidato in giurisprudenza, in ragione del quale, nell'eventualità in cui sorga controversia sul quantum del compenso spettante all'avvocato, «gli interessi e il preteso maggior danno da svalutazione monetaria restano soggetti alla comune regola di cui all'art. 1224 c.c., postulando il verificarsi della mora debendi dopo che il credito sia divenuto liquido ed esigibile per effetto del provvedimento giurisdizionale» (nei medesimi termini: Cass., 11 giugno 1988, n. 3995; Cass., 28 aprile 1993, n. 5004; Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1999, n. 5240; Cass. civ., sez. lav., 7 giugno 2005, n. 11777; Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2011, n. 2431; Cass. civ., sez. VI, 24 ottobre 2014, n. 22678. Contra: Cass. civ., sez. I, 10 luglio 2003, n. 10860). Ne è disceso il riconoscimento degli interessi moratori con decorrenza dalla domanda giudiziale, dal momento che il compenso era stato chiesto con il rito ordinario.

Osservazioni

La sentenza in commento, aderendo all'impostazione tradizionale, riconduce l'obbligazione professionale dell'avvocato nell'alveo delle obbligazioni di mezzi, ravvisando, quindi, nella diligenza il fulcro intorno al quale ruota la responsabilità del professionista forense.

Il mancato conseguimento del risultato voluto dal cliente – ricorda la Corte di Cassazione – non costituisce la prova, sic et simpliciter, della responsabilità dell'avvocato, rilevando invece il modo in cui il mandato sia stato eseguito. L'avvocato, infatti, risponde secondo il criterio della diligenza professionale, di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., tenuto conto della natura dell'attività prestata. Non è la diligenza del buon padre di famiglia, ma la diligenza del professionista di media attenzione e preparazione a fondare la responsabilità dell'avvocato. Tanto è vero che, allorquando l'impegno richiesto al professionista sia superiore a quello professionale medio – e ciò in ragione della particolare complessità delle questioni oggetto di definizione – la legge prevede una limitazione di responsabilità, dal momento che il professionista potrà essere ritenuto responsabile nei soli casi di dolo o colpa grave (art. 2236 c.c.). In tal modo, si tende a garantire al professionista un margine di libertà nella conduzione di controversie ad esito incerto (G. Giacobbe, Professioni intellettuali, in Enc. dir., XXXVI, Milano, 1987, p. 1084), a danno del cliente il quale, pur non conseguendo l'utilità attesa, dovrà comunque pagare il compenso all'avvocato per l'attività professionale eseguita.

Nel caso di specie, le ricordate valutazioni hanno condotto la Suprema Corte a confermare la decisione adottata dal giudice di merito, escludendo la responsabilità dell'avvocato tenuto conto della particolare difficoltà della questione concernente l'individuazione del giudice competente in sede di impugnazione delle decisioni adottate dal Commissario per gli usi civici. L'esistenza di pronunce discordanti giustificava l'errore compiuto dall'avvocato e lo esonerava da responsabilità.

Avuto riguardo, invece, al diverso profilo della decorrenza degli interessi di mora, la Cassazione accoglie il rilievo del Comune, aderendo ad un consolidato orientamento, in forza del quale, ancorché in tema di liquidazione di diritti ed onorari di avvocato la disposizione comune alle tre tariffe forensi (civile, penale e stragiudiziale), contenuta nel D.M. n. 238/1992, preveda che gli interessi moratori decorrano dal terzo mese successivo all'invio della parcella, nel caso in cui insorga controversia circa la quantificazione dei compensi dovuti all'avvocato, il debitore può essere ritenuto in mora soltanto a seguito della liquidazione del debito e, quindi, con l'ordinanza che conclude il procedimento di cui all'art. 28, l. 13 giugno 1942, n. 794. Detto altrimenti, occorre il provvedimento giurisdizionale di liquidazione dei compensi perché possano decorrere gli interessi di mora a carico del cliente-debitore.

A tal proposito si ricordi che gli interessi moratori assolvono una funzione risarcitoria, permettendo una liquidazione forfettaria minima del danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie (Breccia, Le obbligazioni, in Tratt. Iudica-Zatti, Milano, 1991, p. 324). La loro decorrenza è condizionata dalla previa liquidazione del debito e, quindi, in caso di compensi dovuti all'avvocato per l'attività professionale espletata, gli interessi di mora non possono decorrere in caso di incertezza sul quantum, fino a che non intervenga il provvedimento giurisdizionale che definisce l'esatto ammontare dei compensi dovuti, con decorrenza dalla domanda giudiziale; sia che si intenda la domanda giudiziale come atto formale di costituzione in mora sia che si ricorra al principio della c.d. efficacia retroattiva della sentenza, il dies a quo viene fatto coincidere con l'introduzione del giudizio (cfr. M. Libertini, Interessi, in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, p. 106).

Guida all'approfondimento
  • F. Fortinguerra, La responsabilità dell'avvocato, in Bonilini – Carnevali – Confortini (a cura di), Codice della responsabilità civile e RC auto, Torino, 2015, p. 704 ss.
  • G. Musolino, La responsabilità dell'avvocato e del notaio, Milano, 2005, p. 55 ss.
  • R. Favale, La responsabilità civile del professionista forense, Padova, 2011, p. 116 ss.

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