Risarcibilità del “danno catastrofale” iure hereditatis solo in caso di “lucida agonia” della vittima

Paolo Mariotti
Raffaella Caminiti
07 Agosto 2014

“La paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente; in difetto di tale consapevolezza non è nemmeno concepibile l'esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni”.
Massima

Cass. civ., sez. III, sent.

13 giugno 2014, n. 13537

“La paura di dover morire, provata da chi abbia patito lesioni personali e si renda conto che esse saranno letali, è un danno non patrimoniale risarcibile soltanto se la vittima sia stata in grado di comprendere che la propria fine era imminente; in difetto di tale consapevolezza non è nemmeno concepibile l'esistenza del danno in questione, a nulla rilevando che la morte sia stata effettivamente causata dalle lesioni”.

Sintesi del fatto

Un passeggero di un autobus, a seguito di una brusca frenata del mezzo, cadeva riportando lesioni e, a distanza di alcuni giorni, colpito da infarto, decedeva.

La moglie e i figli della vittima convenivano in giudizio l'ente proprietario dell'autobus, il suo conducente e il loro assicuratore della responsabilità civile obbligatoria, chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni patiti a causa della morte del proprio congiunto.

I convenuti costituiti in giudizio deducevano che la brusca frenata dell'autobus era stata causata dalla necessità di evitare l'impatto con un veicolo che aveva tagliato la strada al mezzo pubblico.

Gli attori estendevano il contraddittorio nei confronti del conducente del veicolo e del suo assicuratore della responsabilità civile obbligatoria, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni.

Il Tribunale rigettava le domande attoree.

Gli eredi proponevano gravame dinanzi alla Corte d'appello che, riformando la sentenza di primo grado, riteneva sussistente la responsabilità del conducente dell'autobus ex art. 2054, comma 1 c.c., condannando in solido al risarcimento dei danni l'ente proprietario del mezzo pubblico e il conducente per l'intero, ed il loro assicuratore entro i limiti del massimale rivalutato.
Era in particolare liquidato agli attori, iure hereditatis, il risarcimento del “danno catastrofale” patito dal loro congiunto.

L'ente proprietario dell'autobus presentava ricorso per cassazione; con il quinto motivo il ricorrente deduceva il vizio di violazione di legge della sentenza impugnata (ex art. 360, n. 3 c.p.c.) per falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., avendo la Corte d'appello liquidato agli attori il danno da “lucida agonia” configurabile solo quando la vittima sia consapevole di stare per morire, mentre nella fattispecie il de cuius era deceduto per un infarto che, sebbene ritenuto causato dalle lesioni subite, era imprevedibile, sia per la vittima sia per chiunque altro.

In motivazione

Secondo i giudici di legittimità la Corte d'appello ha correttamente ricostruito i principi giurisprudenziali disciplinanti la liquidazione del danno subito da chi muoia a causa delle lesioni conseguenti ad un illecito, stabilendo che “il danno non patrimoniale costituito dalla “paura di morire” esige necessariamente che il danneggiato la provi, questa paura. Il danno non patrimoniale rappresentato dai moti dell'animo, in questo come in ogni caso, non è infatti concepibile che sia provato da chi, per essere incapace d'intendere e di volere, moti dell'animo non abbia provato o non potesse provare”.

Tuttavia, secondo la Corte nomofilattica, di tali principi giurisprudenziali la Corte d'appello non ha fatto corretta applicazione, poiché la morte del de cuius “fu dovuta non alla contusione sternale patita a causa della caduta, ma ad una fibrillazione ventricolare (e dunque ad un'aritmia che provoca l'arresto cardiaco), a sua volta causata da una crisi lipotimica”, che non era possibile prevedere né dalla vittima, né da nessun altro (neppure dai medici che avevano avuto in cura la vittima, la quale, ricoverata in ospedale, era stata dimessa due giorni dopo).

Secondo gli Ermellini, pertanto, “la Corte d'appello è incorsa nel vizio di falsa applicazione dell'articolo 2059 c.c., in quanto ha applicato tale norma ad una fattispecie da essa non disciplinata”.

La questione

Il “danno catastrofale” è risarcibile solo in caso di consapevolezza in capo alla vittima dell'imminenza della morte?

Le soluzioni giuridiche

Con la sentenza in commento la Corte di legittimità ritorna ad occuparsi del danno risarcibile in caso di illecito mortale, soffermandosi sul c.d. “danno catastrofale”.

La Suprema Corte ha affermato che, qualora l'illecito determini la morte immediata della vittima, ricorre un pregiudizio corrispondente alla perdita della vita, il quale differisce dai pregiudizi costituti dal “danno biologico terminale” e dal “danno catastrofale” (cfr. Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361, in Giust. Civ. Mass. 2014).

Secondo detta pronuncia, “il diritto al ristoro del danno da perdita della vita” – trasmissibile iure hereditatis – “si acquisisce dalla vittima istantaneamente al momento della lesione mortale, e quindi anteriormente all'exitus, costituendo ontologica, imprescindibile eccezione al principio dell'irrisarcibilità del danno-evento e della risarcibilità dei soli danni-conseguenza”. Il ristoro di tale danno ha “funzione compensativa” ed è rimesso alla valutazione equitativa del giudice, cui spetta operare una personalizzazione tenuto conto dell'età, delle condizioni di salute e delle speranze di vita futura, dell'attività svolta, delle condizioni personali e familiari della vittima. In attesa della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. ordinanza Cass. civ., sez. III, 4 marzo 2014, n. 5056), chiamate a comporre il contrasto giurisprudenziale in punto di risarcibilità del danno da perdita della vita, l'adesione all'orientamento espresso dalla Terza Sezione Civile nel gennaio scorso avrebbe evidenti riflessi socio-economici sul sistema della responsabilità civile, comportando un incremento delle poste risarcitorie riconoscibili agli eredi (maturando il credito risarcitorio nel tempo stesso in cui si verifica la lesione mortale, rilevando il fatto in sé della perdita del bene vita), nonché, in ambito assicurativo, un aumento dei premi.

Per “danno catastrofale” si intende propriamente il “danno non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla persona che, a causa delle lesioni sofferte, nel lasso di tempo compreso tra l'evento che le ha provocate e la morte, assiste alla perdita della propria vita” (App. Venezia, sez. IV, 7 aprile 2014, n. 711).

Perché possa essere liquidata agli eredi tale voce di danno rileva la “lucida agonia” del de cuius, essendo richiesta la consapevolezza, in capo alla vittima, della gravità della lesione subita e/o dell'imminente ed inesorabile perdita della vita (v. C. Trapuzzano, Il danno non patrimoniale da morte, in Giur. merito, fasc. 4, 2012, pag. 1002B; G. Losco, Danno biologico e danno morale. Alcune considerazioni sul danno pre morte in caso di lesioni gravissime, nota a Cass. civ., sez. III, 24.03. 2011, n. 6754, in Dir. economia assicur. (dal 2012 Dir. e Fiscalità assicur.), fasc.1, 2012, pag. 185).

Tale principio è stato peraltro affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che hanno fatto riferimento al “danno catastrofale” quale particolare espressione del danno morale (Cass. civ., S.U., 11 novembre 2008, n. 26972).

La sentenza in commento è conforme ai precedenti giurisprudenziali, affermando che il “danno catastrofale” non possa essere riconosciuto quando la vittima non percepisca l'imminente approssimarsi della propria morte; nel caso di specie, era da escludersi che la vittima potesse aver avuto una qualsivoglia cognizione della morte imminente.

La risarcibilità iure hereditatis del danno in esame presuppone che detta voce di danno sia entrata a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte; pertanto, in assenza della prova di uno stato di coscienza della persona nel pur breve intervallo tra il fatto illecito e il decesso, non può esservi risarcimento del “danno catastrofale” (cfr, ex multis, Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2011, n. 6754, in D&G online 2011, 29 aprile; v., inoltre, nota di G. Milizia, Limiti al risarcimento del danno catastrofale, in Diritto e Giustizia online, fasc. 0, 2011, pag. 213).

Osservazioni e suggerimenti pratici

In caso di illecito mortale potrà essere chiesto dagli eredi del defunto il risarcimento del “danno catastrofale”, rientrante nella categoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. (cfr. Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2013, n. 7126, in Giust. civ. Mass. 2013).

Tale danno, spettante iure hereditatis, si sostanzia nel risarcimento della sofferenza patita dalla vittima primaria nel periodo che precede la morte, in cui ha potuto rendersi conto della gravità del proprio stato e dell'approssimarsi della morte (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 2014, n. 759, in D&G 2014, 17 gennaio).

Il ristoro di tale danno è rimesso alla valutazione del giudice, cui spetta ricostruire l'iter eziologico che ha condotto al decesso della vittima, valutando se ricorre un lasso temporale “di lucidità e coscienza tra il sinistro ed il decesso, tale da creare consapevolezza delle lesioni subite e, correlativamente, determinare sofferenza psichica” (Trib. Monza, sez. II, 12 dicembre 2013,).

In assenza di prova della sussistenza di uno stato di coscienza della persona nell''intervallo di tempo tra il sinistro e la morte (ad es., stato di coma), in considerazione della natura riparatoria o consolatoria, e non sanzionatoria, del risarcimento del danno civile, spetta ai congiunti solo il risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con il de cuius (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2011, n. 6754, cit.).

La relativa quantificazione avverrà secondo criterio equitativo (App. Venezia, sez. IV, 7 aprile 2014, n. 711, cit.; Cass. civ., sez. III, 21 marzo 2013, n. 7126, cit.). La valutazione equitativa del giudice di merito è suscettibile di rilievi in sede di legittimità, sotto il profilo del vizio della motivazione, solo se difetti totalmente la giustificazione che sorregge quella statuizione, o si discosti macroscopicamente dai dati di comune esperienza, o sia radicalmente contraddittoria. (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22896, in D&G online 2012, 14 dicembre, nota di P. Di Michele).

Conclusioni

È risarcibile, iure hereditatis, il pregiudizio non patrimoniale conseguente alla sofferenza patita dalla vittima primaria dell'illecito quando quest'ultima abbia coscientemente e lucidamente percepito l'ineluttabilità e l'imminenza della propria morte, in conseguenza delle lesioni subite.