I nuovi obblighi assicurativi in sanità del Decreto Legge n. 90/2014

Maurizio Hazan
08 Ottobre 2014

Nell'ambito di un più vasto programma per la “semplificazione”, la “trasparenza amministrativa” e “l'efficienza degli uffici giudiziari”, il Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 90 (convertito in L. 11 agosto 2014, n. 114) ha recato, con il proprio art. 27 D.L. n. 90/2014, alcune modifiche in ambito di “responsabilità sanitaria”, incidendo, sia pure “con pochi tratti di penna”, sull'art. 3, D.L. n.158/2012 (Legge Balduzzi, L. 8 novembre 2012, n.189).
Le novità introdotte dal D.L. 90/2014

Nell'ambito di un più vasto programma per la “semplificazione”, la “trasparenza amministrativa” e “l'efficienza degli uffici giudiziari”, il Decreto Legge 24 giugno 2014 n. 90 (convertito in L. 11 agosto 2014, n. 114) ha recato, con il proprio art. 27 D.L. n. 90/2014, alcune modifiche in ambito di “responsabilità sanitaria”, incidendo, sia pure “con pochi tratti di penna”, sull'art. 3, D.L. n. 158/2012 (Legge Balduzzi, L. 8 novembre 2012, n.189).

Nelle intenzioni, l'intervento avrebbe dovuto avere una portata piuttosto circoscritta e, soi disant, interpretativa della normativa previgente.

In quanto tale, la novella non pareva destinata ad innovare né ad incidere sui grandi temi della cd. malpractice sanitaria e dei connessi obblighi assicurativi (temi centrali, sui quali vi è una diffusa consapevolezza che ancora molto resta da scrivere, come confermato dal fervore dei continui dibattiti nelle commissioni legislative della Camera e del Senato). E così, per come si legge nella relazione illustrativa, il fine dell'intervento di riforma era quello di chiarire (almeno in tesi...) alcuni dubbi ermeneutici sollevati dalla legge Balduzzi, con particolare riferimento all'ambito di applicabilità soggettiva dell'obbligo di assicurare la responsabilità professionale sanitaria.

Sennonché il risultato ha di gran lunga trasceso gli obiettivi “della vigilia” posto che, in sede di conversione, il decreto in parola si è arricchito di una previsione niente affatto minimale ed, anzi, di impatto potenziale fortissimo: ci riferiamo all'art. 27 comma 1 bis D.L. n. 90/2014, che ha posto a carico delle strutture sanitarie un obbligo di copertura (del loro rischio sanitario e della r.c.o) che modifica, e di molto, gli scenari assicurativi di partenza. Non si tratta di un'assoluta novità, posto che un'analoga disposizione aveva fatto capolino nella bozza della legge di conversione del Decreto Balduzzi, salvo poi essere stralciata in limine. Ma soltanto oggi, e per la prima volta, l'assicurazione obbligatoria di (tutte) le strutture sanitarie diviene realtà di diritto positivo, ponendosi in linea con alcuni tra gli obiettivi da tempo declinati de iure condendo e fatti propri dai vari disegni di legge che - ancora oggi oggetto di discussione presso la Commissione Affari Sociali - risultano legati dallo stesso fil rouge: la tendenza a riformare il regime della responsabilità spostando l'attenzione (dal singolo operatore) sull'ente che eroga le prestazioni sanitarie e l'introduzione della leva assicurativa quale strumento per garantire la sostenibilità del sistema.

È come se, in attesa che il quadro organico della materia trovi la sua più ampia composizione, il legislatore, impaziente, avesse l'urgenza di anticipare i tempi, anteponendo alle esigenze dell'analisi razionale quelle del proclama politico e ponendo, in modo del tutto improvvisato, un nuovo tassello di una disciplina ancora in cerca d'autore.

Pur dovendo prendere atto, con un qualche dispiacere, di questo disordinato incedere, non può non rilevarsi come la nuova disciplina ponga l'interprete e l'operatore di settore innanzi a scenari di sicuro interesse ed impatto, almeno prospettico, e fornisca più spunti per una rivisitazione attualizzata di un sistema di responsabilità (quella sanitaria) sempre più ancorato al (e condizionato dal) obbligo assicurativo che lo presidia.

I nuovi obblighi a carico delle strutture sanitarie

E dunque, come si accennava, l'art. 27 comma 1 bis del D.L. n. 90/2014, ha fatto proprio, seppur con diversa modulazione, l'obbligo di copertura assicurativa originariamente previsto dalla bozza di legge di conversione del Decreto Balduzzi (art. 3, comma 2, lett. c bis nel testo licenziato dalla Commissione Affari Sociali in data 12 ottobre 2012, poi stralciato in sede di approvazione definitiva).

Dal punto di vista sistematico, non si può fare a meno di notare una “distonia”: la disposizione in esame, a differenza della restante parte dell'intervento di riforma, non ha integrato il corpus della L. 189/2012 ma è rimasta isolata, una sorte di appendice in cerca di identità. Una norma così innovativa e, almeno in linea di principio, dirompente avrebbe probabilmente meritato una più degna dimora - uno spazio ad hoc nello specifico settore di riferimento – che le avrebbe forse assicurato una più immediata visibilità.

Ci troviamo, invece, innanzi a una previsione quasi estemporanea (sia pur riconducibile al “cuore” dell'attuale dibattito parlamentare), di straordinario impatto programmatico ma, al contempo, priva di apprezzabili e concreti appigli sostanziali. L'aver declinato in astratto l'obbligo assicurativo di ciascuna “struttura od ente….che renda prestazioni sanitarie a favore di terzi” non basta, e non consente di comprendere, nel variegato paradigma di soluzioni assicurative variamente modulate, quale possa ritenersi bastevole alla bisogna. Vien dunque da chiedersi quale tra le formule di copertura reperibili sul mercato offra, (per massimale, esclusioni, obblighi di gestione, scoperti e franchigie) uno spettro di garanzia che possa ritenersi adeguato alle esigenze di tutela indirettamente perseguite dalla norma. Il tutto a tacere, come meglio vedremo tra breve, dell'assoluta impalpabilità del riferimento, contenuto nella norma, a quelle “analoghe misure” che potrebbero sostituire lo strumento assicurativo in senso stretto.

Nel silenzio della disposizione si comprende, ancor meglio, come quella, forse non giustificata, urgenza legislativa sia, in realtà, figlia di una troppo sbrigativa improvvisazione.

Resta il fatto che la previsione in parola - al di là del “locus” e del suo valore più programmatico che sostanziale - apre scenari di indiscutibile interesse ed offre lo spunto per una rilettura, di più ampio respiro, dei rapporti e delle dinamiche che connotano la cd. responsabilità sanitaria.

L'obbligo assicurativo a carico delle strutture come punto di partenza per la costruzione di un nuovo sistema

Sull'onda delle tendenze che sono emerse nell'ambito dei lavori delle commissioni parlamentari, si potrebbe ritenere che l'idea di fondo che anima la novella sia quella di spostare la lente di ingrandimento dal singolo operatore sulla struttura. Posto che il sanitario è un anello della catena, è inserito in una organizzazione complessa sulla quale, come singolo, non ha alcun potere di influenza, è forse opportuno “concentrare” l'attenzione sull'ente, che, alla fine, è il protagonista della scena, in quanto unica - vera - “controparte” contrattuale – del paziente.

In tale “scenario”, l'obbligo assicurativo deve allora gravare – anzitutto - sulla struttura, ossia sul soggetto che ha la responsabilità di coordinare e gestire le risorse (anche umane) di cui si compone il suo agire.

Una simile impostazione potrebbe essere coerente con i risultati di quegli studi, condotti soprattutto a partire dagli anni '80, che, analizzando la posizione dell'individuo all'interno di un sistema complesso, hanno posto in luce come l'errore umano non sia eliminabile e dipenda, molto spesso, da cause remote, ossia da inefficienze organizzative (cd. modello di Reason) (cfr. M. Hazan - D. Zorzit, “Assicurazione obbligatoria del medico e responsabilità sanitaria”, Giuffrè, 2013, pag. 566 ss).

D'altro canto, la scelta di porre “in prima linea” l'ente che eroga le prestazioni sembrerebbe conforme alle indicazioni che emergono, seppur in via generale, dai disegni di legge che, come detto, sono stati di recente elaborati e presentati in sede parlamentare (cfr. Lavori della Commissione Affari Sociali della Camera, “Disposizioni in materia di responsabilità professionale del personale sanitario”, C. 259 Fucci, C. 262 Fucci, C. 1324 Calabrò, C. 1312 Grillo, C. 1581 Vargiu, C. 1902 Monchiero e C. 1769 Miotto - Sede referente - Seduta del 27 marzo 2014).

La convinzione che pare farsi strada è che la situazione assicurativa debba riflettere un diverso e più equilibrato regime di responsabilità, evitando di colpevolizzare eccessivamente il singolo medico e spostando l'attenzione sull'ospedale, chiamato in prima battuta a rispondere dei danni verso il “malato” e a dotarsi, conseguentemente, degli strumenti per far fronte a tale impegno.

Il contenuto dell'obbligo posto a carico delle strutture: qualche profilo critico

In proposito, venendo ad esaminare, più nel dettaglio, il contenuto dell'art. 27 comma 1 bis, D.L. n. 90/2014 va segnalato che il Legislatore ha imposto alle strutture di ricorrere alla «copertura assicurativa» oppure ad altre «analoghe misure»; non è chiaro però a cosa alluda la norma; e si può persino dubitare che essa ricomprenda la cd. “auto-ritenzione” (ossia la costituzione di un fondo ad hoc) poiché l'accantonamento di risorse da parte dell'ente stesso per fare fronte alle richieste risarcitorie non pare avere nulla a che vedere con le logiche ed i meccanismi su cui si basa il funzionamento della leva assicurativa (che, dal punto di vista tecnico, tutto può essere tranne che un rimedio “analogo”).

Ed ancora, rimane mistero cosa possa ritenersi “analogo” ad una soluzione di copertura i cui contenuti – come sopra accennato - non sono in alcun modo definiti, neppure per relationem, dalla norma.

Rappresenta, invece, una assoluta novità la previsione, a carico degli enti, dell'obbligo di «dotarsi di copertura assicurativa o di altre analoghe misure (..) per la responsabilità civile verso prestatori d'opera (RCO)»; il che porrà ovvi problemi di coordinamento (in relazione agli ambiti già coperti dall'Inail).

Per quanto riguarda la garanzia r.c.t., va detto però che, al di là del condivisibile intento “di prospettiva”, la norma, oltre alla già denunziata – inaccettabile – genericità, si espone ad ulteriori critiche. Da un lato, è agevole notare che l'obbligo è unilaterale e non bidirezionale (non è imposto cioè alle Compagnie): non si comprende, allora, come– nelle condizioni attuali di mercato - l'ente possa reperire una copertura “idonea” a condizioni di premio sostenibili; dall'altro, non è prevista (ma questo vale anche rispetto all'obbligo assicurativo posto a carico del medico) alcuna azione diretta, il che contraddice – e di non poco - le pur dichiarate finalità di «tutela dei clienti».

A nostro avviso, prima ancora di invocare e chiamare in causa – come deus ex machina – lo strumento assicurativo, occorrerebbe rivedere, definire, precisare le regole della responsabilità sanitaria -e della quantificazione del danno-: altrimenti, il tentativo di “riequilibrare” il sistema non potrà funzionare (difettando il presupposto principe della “sostenibilità”). E di ciò pare sia consapevole lo stesso legislatore, almeno se si guarda ai resoconti dei lavori parlamentari - tutt'ora in corso - per la definizione di una disciplina organica del settore (è significativo, per esempio, quanto osservato nella relazione illustrativa alla proposta di legge n. 1902, d'iniziativa dei Deputati Monchiero, Rabino ed altri, presentata il 19 dicembre 2013).

Su questo fronte, del resto, si era mossa la L. Balduzzi che, al di là dei risultati pratici (ci riferiamo alle difficoltà interpretative poste dall'art. 3, ed ai conflitti che – ancora – dividono dottrina e giurisprudenza), ha avuto, se non altro, il merito di intuire la necessità di intervenire – in senso contenitivo – sulla disciplina sostanziale (da qui il “fatidico” rinvio all'art. 2043 c.c. ed il richiamo alle tabelle previste dagli artt. 138 e 139 Cod. Ass.).

Ma se, a prescindere delle sue chiare intenzioni, il testo dell'art. 3 della L. n. 189/2012 creava, nella sua sincopata formulazione testuale, già seri problemi ermeneutici, oggi la situazione è addirittura peggiorata: il Decreto n. 90/2014 (come convertito) ha infatti modificato la norma - seppur sotto profili diversi da quelli che attengono all'obbligo di copertura delle strutture- aggiungendo, se possibile, ulteriori incertezze a quelle già esistenti.

Le modifiche apportate all'art. 3 della L. Balduzzi: luci e (forse più) ombre

A differenza del comma 1 bis (che, come si è detto, è rimasto “norma a sè” all'interno della legge di conversione), il comma 1 dell'art. 27 del D.L. n. 90/2014 ha inciso direttamente sul testo dell'art. 3, D.L. n. 158/2012 (Legge Balduzzi), riscrivendone (sia pure in piccola parte) il comma 2 lettera a) (disciplina del “fondo”) ed il comma 4 (individuazione degli esercenti le professioni sanitarie tenuti alla stipula della polizza di cui al comma 2). Analizziamo separatamente le novità introdotte.

La disciplina del fondo

Le modifiche apportate al comma 2 lettera a) sono di carattere “tecnico”; in particolare, nella Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del Decreto (Disegno di Legge A.C. 2486), si spiega che la precisazione secondo cui l'obbligo di garantire idonea copertura ai professionisti deve essere circoscritto «nei limiti delle risorse del fondo» appare necessaria «al fine di rendere la norma anche coerente con il disposto del comma 6 del medesimo articolo 3, che prevede che dalle disposizioni del regolamento attuativo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica».

Per quanto concerne, invece, le modalità di finanziamento, la novella ha rimesso «al soggetto gestore del fondo» anziché alla «contrattazione collettiva» (come previsto in origine) la determinazione della misura dell'apporto economico gravante sui professionisti interessati. In proposito, la Relazione chiarisce che «il ricorso alla contrattazione allunga sensibilmente i tempi di attuazione del decreto, con il rischio che il mancato accordo delle organizzazioni sindacali interessate finisca per rendere inapplicabile il decreto stesso».

Allo stato, in mancanza del Decreto Attuativo di cui all'art. 3, comma 2, D.L. n.158/2012 (L. Balduzzi), non pare che le modifiche apportate siano particolarmente “illuminanti”: ancora non è chiaro quale sarà la funzione del fondo né come in concreto esso dovrà operare. Non resta, quindi, che riservare al futuro ogni eventuale commento.

La portata soggettiva dell'obbligo assicurativo di cui all'art. 3 della L. Balduzzi

Conviene invece soffermare l'attenzione sull'art. 3 comma 4 D.L. n. 158/2012 (Legge Balduzzi), il cui testo originario si è arricchito di un nuovo “incipit”: “Nel rispetto dell'ambito applicativo dell'articolo 3, comma 5, lettera e) del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148”.

Tale inciso è stato introdotto dal Decreto legge n. 90/2014 per uno scopo preciso, stigmatizzato perentoriamente nella già citata Relazione Illustrativa: quello di chiarire definitivamente “…al fine di evitare costosi contenziosi futuri” che gli obblighi assicurativi in sanità, alla luce della ratio che governa la più generale disciplina dell'assicurazione obbligatoria dei professionisti (art.3, comma 5, lettera e), del decreto-legge n. 138 del 2011) “non trovano applicazione nei confronti del professionista sanitario che opera nell'ambito di un rapporto di lavoro dipendente con il Servizio sanitario nazionale.”

A parere di chi scrive, tuttavia, l'intento proclamato è rimasto tale; anzi, nella sua attuazione concreta, nello “ius positum”, ha incontrato il germe della propria (paradossale) negazione. L'integrazione apportata non è affatto chiara, non si coordina con il (previgente) testo normativo e, alla fine, ingenera maggiori perplessità di quelle che pretendeva di dissolvere (si vedano le censure mosse dallo stesso Comitato per la Legislazione al Disegno di Legge n. 2486-A).

In proposito, occorre segnalare che, dopo l'entrata in vigore della legge Balduzzi, si erano registrate, specie nell'ambito delle associazioni di categoria, incertezze circa l'estensione soggettiva dell'obbligo assicurativo previsto dall'art. 3 comma 2: si sosteneva, in particolare, che non vi era ragione di applicare la norma ai medici dipendenti del Servizio Sanitario Nazionale, per i quali la copertura r.c. è già garantita dall'ente (ex art. 1891 c.c.) in forza della contrattazione collettiva (cfr. Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, Comunicazione n. 56 del 2013).

E può darsi che sia stata questa la considerazione di fondo che ha animato l'iniziativa governativa sfociata nella modifica dell'art. 3 comma 4 D.L. n.158/2012 (L. Balduzzi): in altri termini, l'affermata esenzione dall'obbligo assicurativo per i medici del SSN trova, forse, la propria spiegazione nella (ritenuta) opportunità di evitare la forzata convivenza di due polizze (con i conseguenti problemi di coordinamento ex art. 1910 c.c. oppure tra “primo e secondo rischio”); il che potrebbe anche apparire coerente (almeno in astratto) con il più generale programma di “semplificazione amministrativa” perseguito dal Decreto.

Non vi è dubbio, tuttavia che il “metodo” utilizzato abbia tradito le aspettative: l'art. 27 del D.L. n. 90/2014 si è limitato a rinviare all'«ambito applicativo dell'art. 3 comma 5, lettera e) del decreto legge 138/2011», senza peraltro specificare quale sia.

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La pretesa chiarezza esplicativa è tutta racchiusa qui, in una imbarazzante “non definizione”.

Se, poi, si voleva specificare, in via generale, quale fosse l'estensione soggettiva dell'obbligo assicurativo, probabilmente non era sul comma 4 dell'art. 3 che si doveva intervenire. Quest'ultima disposizione, invero, ha carattere prettamente “procedurale”, stabilisce che, nel caso di attività espletata «nell'ambito del Servizio sanitario nazionale o in regime di convenzione», l'iter per l'emanazione del Decreto di cui al comma 2 (per la definizione dei contenuti minimi delle polizze) richiede anche il coinvolgimento della Conferenza Stato Regioni.

All'interprete non resta allora che riannodare i segmenti di cui si compone la disposizione per tentare di attribuirle un (plausibile) significato. L'operazione deve necessariamente prendere le mosse dal già citato art. 3 comma 5 lett. e) del D.L. n. 138/2011, che impone ai professionisti di stipulare idonea polizza «a tutela del cliente».

Valorizzando i lemmi “cliente”, e “incarico”, si può pensare che il nuovo incipit del comma 4 dell'art. 3 D.L. n. 158/2012 (L. Balduzzi) miri proprio a chiarire che i destinatari dell'obbligo (di assicurarsi per la r.c.) siano – solo - i liberi professionisti ai quali il paziente si sia rivolto in autonomia (o, come si suol dire, “privatamente”), stipulando un vero e proprio contratto ( di prestazione d'opera intellettuale ex art. 2230 c.c.).

Così intesa, la disposizione, pur confermando l'intento dichiarato dalla Relazione Illustrativa, rivelerebbe una ratio che dovrebbe de plano estendersi a tutti i medici dipendenti da strutture ospedaliere quando non intrattengano rapporti contrattuali diretti con i pazienti. E ciò a prescindere dal fatto che la prestazione sia resa, o meno, nell'ambito del servizio pubblico.

Resta il fatto che l'ambito di riferimento del comma 4 era, e rimane, quello dei «rischi derivanti dall'esercizio dell'attività professionale resa nell'ambito del Servizio sanitario nazionale o in rapporto di convenzione».

La norma dovrebbe dunque riguardare i professionisti che:

  1. hanno un vero e proprio “cliente”, con il quale intrattengono un rapporto diretto e
  2. espletano la propria attività nell'ambito del SSN.

Non rimane, dunque, che sostenere che la disposizione novellata allude a coloro che rendono prestazioni in regime di “intra moenia”, ossia svolgono quella che la L. 120/2007 definisce “libera professione intramuraria”. Si tratta di medici che, al pari di quelli convenzionati (Cass. pen. 23 settembre 2008, n. 36502), pur operando “nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale”, hanno un rapporto contrattuale con il paziente (da cui, appunto, vengono “scelti”).

Ed allora, all'esito dei passaggi ermeneutici sin qui descritti, la conclusione dovrebbe essere questa: i dipendenti del SSN non hanno l'obbligo di assicurarsi per lo svolgimento dell'attività “istituzionale” (espletata cioè nel normale orario di lavoro); devono invece stipulare apposita polizza per la r.c. quando effettuano prestazioni in regime di “intra moenia”. Tale soluzione parrebbe, del resto, in linea con il comma 2 lett. a) dello stesso art. 3 D.L. n. 158/2012 (come modificato dal D.L. n. 90/2014), in base al quale il fondo appositamente costituito a tutela dei professionisti dovrebbe garantire idonea copertura «anche nell'esercizio dell'attività libero- professionale intramuraria».

L'obbligo assicurativo dei medici dipendenti del SSN sopravvive (solo) per l'attività intra moenia? Alla ricerca di una ratio

Vi è da chiedersi, peraltro, se la norma – che, per come sin qui letta, porta a concludere che l'obbligo assicurativo vale per i medici dipendenti che svolgano l'attività intra moenia - trovi una plausibile giustificazione. A noi pare di no, almeno se si muove dalla ratio che – probabilmente (ma anche qui si deve proceder più per intuizione che con metodo…) – era sottesa alla iniziativa governativa. Se, cioè, la finalità perseguita era quella di escludere la forzata coesistenza di due polizze - per i medici che già beneficiano della copertura garantita dall'ospedale ex art. 1891 c.c. -, la disposizione in esame contraddice tale scopo: l'art. 21 del CCNL della Dirigenza medico e veterinaria del SSN (3 novembre 2005) prevede infatti che « le aziende garantiscono una adeguata copertura assicurativa della responsabilità civile di tutti i dirigenti della presente area (..) relativamente alla loro attività, ivi compresa la libera professione intramuraria, senza diritto di rivalsa, salve le ipotesi di dolo o colpa grave. (…)

».

Dunque, i rischi derivanti dall'attività svolta in regime di intra moenia sono già coperti dal contratto che l'ospedale è tenuto a stipulare ex art. 1891 c.c.: non si spiega allora (se questa era la ratio) perché il medico dovrebbe provvedere ad assicurarsi anche in proprio. E le perplessità paiono rafforzate dalla considerazione per cui, secondo la dottrina e la (invero non copiosa) giurisprudenza in materia (Trib. Torino 8 maggio 2003, n. 3816), dei danni cagionati dalle prestazioni del medico in regime di intra moenia risponde comunque anche la struttura: la necessità – in vista di una effettiva «tutela del cliente» - che il professionista stipuli una polizza ad hoc parrebbe, per converso, più giustificata laddove il paziente non abbia altri (leggi: ente ospedaliero) a cui chiedere il risarcimento.

La difficoltà di superare i dubbi ermeneutici di partenza

In conclusione, non ci pare l'art. 3 comma 4 D.L. n. 158/2012 (L. Balduzzi) – per come novellato – abbia davvero quel lineare significato che la Relazione Illustrativa vorrebbe attribuirgli (a ciò ostandovi gli ostacoli “letterali” e semantici più sopra evidenziati); ma se anche si volesse accedere a detta interpretazione, la norma finirebbe, a nostro avviso, col porre problemi di tenuta costituzionale perchè l'esenzione per i soli dipendenti del SSN apparirebbe discriminatoria e non sorretta da una valida e comprensibile ragione.

A tali rilievi occorre aggiungere una ulteriore considerazione: l'idea di fondo secondo cui l'obbligo assicurativo dovrebbe escludersi per chi già beneficia della copertura prevista dal CCNL appare fuorviante; basti qui osservare che la polizza stipulata ex 1891 c.c. dall'ente pubblico non comprende la cd. colpa grave: in relazione a tale profilo, non potrebbe quindi porsi alcun problema di “coassicurazione”; ed anzi, «a tutela del cliente» sarebbe senz'altro auspicabile che il sanitario provveda a dotarsi di specifica copertura per tale rischio.

L'intervento legislativo pare dunque, se possibile, introdurre nuove incertezze in un quadro di per sé ancora tutto da definire (in attesa dell'emanazione del DPR previsto dal comma 2 dell'art. 3 L. n. 189/2012).

Possibili suggestioni: verso nuovi scenari

Nonostante tutte le perplessità evidenziate, avanzano, sullo sfondo, ulteriori - interessanti - spunti di riflessione. Volendo davvero valorizzare a tutto tondo la “dichiarazione-manifesto” con cui il Decreto 90/2014 è stato presentato per la conversione, si potrebbe ipotizzare che l'esenzione dall'obbligo assicurativo per i medici dipendenti (del SSN?) faccia da pendant al nuovo dovere di assicurarsi (in senso lato) posto a carico delle strutture dall'art. 27 comma 1 bis D.L. n. 90/2014. Ciò sembrerebbe rispondere proprio a quella logica “di sistema” cui si accennava in apertura, richiamando l'idea di fondo di spostare il baricentro dal singolo operatore sulla struttura. In tal senso l'obbligo assicurativo deve gravare - anzitutto- sull'ente ospedaliero; per converso, l'esenzione per i medici dipendenti del SSN potrebbe trovare la sua ragione nel fatto che essi sono, in un certo senso “organi”, parti di un più complesso sistema, che entrano in “rapporto” con il cittadino-utente non in via diretta, ma solo mediata (appunto “per il tramite” dell'ospedale che eroga, come referente principale, le prestazioni richieste).

Seguendo tale diversa opzione interpretativa, si potrebbe allora addirittura sostenere, valorizzando la dichiarazione contenuta nella Relazione illustrativa, che il Legislatore abbia voluto “rafforzare” il senso del richiamo all'art. 2043 c.c. contenuto nel comma 1 dell'art. 3 della L. Balduzzi (art.3, comma1, D.L. n. 158/2012). In altri termini: l'inciso “nel rispetto dell'ambito applicativo dell'art. 3 comma 5 lett. e) del D.L. 148/2011” vuol forse dire “con esclusione dei medici dipendenti del SSN” perché essi sono davvero “terzi”, non hanno un “cliente”; non c'è nessun “contatto sociale” che possa giustificare la loro soggezione alla disciplina contrattuale (1218 cc.). In proposito, è opportuno ricordare che il comma 1 dell'art. 3 D.L. n. 158/2012 ha aperto un vero e proprio fronte della discordia tra gli interpreti: da un lato, si è formato uno schieramento (cui hanno aderito anche alcune pronunzie della Cassazione) secondo cui il rinvio all'art. 2043 c.c. sarebbe del tutto incolore e non autorizzerebbe (complice anche la non pregevole fattura della norma) alcuna interpretazione “rivoluzionaria”. Dall'altro, si è sostenuto, per converso, che il richiamo in parola segnerebbe un vero e proprio “recupero del passato”, nel senso che riporterebbe la responsabilità del medico cd. “strutturato” entro l'alveo aquiliano (come appunto era prima della nota Cass. n. 589/1999).

Ed in tale seconda direzione si è mossa anche una recentissima pronunzia del Tribunale di Milano (Trib. Milano 23 luglio 2014 n. 9693, in questa rivista con nota di F. Martini), che ha appunto ritenuto di qualificare in termini extracontrattuali il rapporto (e la disciplina) tra il sanitario (che aveva espletato l'attività fonte di danno in qualità di collaboratore inserito nella organizzazione ospedaliera) ed il paziente.

Il nuovo incipit dell'art. 3 comma 4 D.L. n. 158/2012 (L. Balduzzi) potrebbe allora essere inteso come una conferma della tesi del “ritorno alla responsabilità aquiliana”; e tale lettura potrebbe essere in linea, da un lato, con il già citato “modello di Reason” e, dall'altro, con le tendenze che – come si è già accennato – sono emerse nell'ambito dei lavori parlamentari.

Occorre peraltro, ancora una volta, rilevare che, se davvero fosse questa la ratio che anima l'intervento legislativo, dovrebbe coerentemente sostenersi che l'esclusione dall'obbligo di stipulare la polizza per la r.c. vale non solo per i medici del SSN, ma anche per i dipendenti delle strutture private che, al pari dei primi, sono inseriti in una organizzazione complessa su cui, come singoli, non hanno alcun potere di influenza. A parità di condizioni, l'esenzione dovrebbe valere per entrambi.

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