Costa Concordia: il danno non patrimoniale dei passeggeri nella pronuncia del tribunale di Grosseto

Marco Bona
09 Novembre 2015

La sentenza penale del Tribunale di Grosseto, intervenuta in relazione al noto naufragio della Costa Concordia, contiene spunti di sicuro interesse sul versante della liquidazione del danno non patrimoniale. Infatti, aderisce alla prospettiva del "danno morale aggravato dalla condotta", ribadendo come il quantum dei pregiudizi morali, quand'anche associati a pregiudizi biologici di ordine psichico, sia meritevole di autonome considerazioni. Discutibile, invece, è l'assorbimento del pregiudizio (non patrimoniale) da vacanza rovinata entro il danno morale risarcito ai passeggeri per il dramma vissuto durante il naufragio.
I limiti di un processo penale troncato da archiviazioni e patteggiamenti

Sono pervenute le motivazioni della sentenza penale sulla tragedia della Costa Concordia (Trib. Grosseto, 10 luglio 2015, n. 115). Si commenterà la parte relativa ai danni non patrimoniali liquidati ai passeggeri.

Occorre premettere che rinviato a giudizio fu soltanto il Comandante Schettino, poiché alcune posizioni erano state archiviate ed a tutti gli altri coimputati era stato consentito di definire le proprie posizioni con sentenza ex art. 444 c.p.p..

Dunque, le responsabilità di altri dipendenti della società armatrice e, più in generale, di quest'ultima sono rimaste totalmente nell'ombra: ciò ha impedito di addivenire ad un accertamento esaustivo delle molteplici condotte che contribuirono all'impatto contro lo scoglio e, dopo questo, incisero su modalità e tempistiche del salvataggio delle persone a bordo. Eppure, a leggere la sentenza ex art. 444 c.p.p. alle iniziative del comandante si erano sommate prima e dopo l'urto della nave svariate azioni ed omissioni di altri soggetti che delineavano non solo responsabilità penali meritevoli di approdare al processo, ma anche responsabilità aziendali-organizzative dell'armatore.

Per quanto qui d'interesse tale delimitazione si è riverberata sulla posizione del responsabile civile (l'armatore genovese) che si è trovato a rispondere “soltanto” per le condotte del comandante, scongiurando così un accertamento a tutto tondo delle sue responsabilità. Così il Tribunale: «Ia Costa Crociere s.p.a., rivestendo unicamente Ia posizione di responsabile civile, non può essere chiamata a rispondere per culpa in eligendo o in vigilando …, bensì unicamente per i fatti commessi dall'imputato … Ed allora, poiché Ia scelta del personale, da un lato, e Ia tolleranza aziendale delle navigazioni sotto costa, dall'altro, non sono evidentemente imputabili a Schettino …, l'eventuale responsabilità della Società armatrice non potrebbe mai essere fatta valere in questa processo, giacché Ia stessa, quale responsabile civile, è tenuta unicamente a rispondere dei fatti commessi dall'imputato e non anche di quelli propri”.

Nello specifico tale vizio d'origine del processo ha inciso sulla liquidazione del danno non patrimoniale sotto almeno due profili:

  1. il diniego di qualsiasi risvolto sanzionatorio nel risarcimento di tale posta;
  2. la scarsa incidenza, sul quantum del danno morale, del fattore incrementativo costituito dalla “gravità della condotta” (fattore, per l'appunto, relegato alle sole “gesta” del comandante).
L'esclusione di una liquidazione anche sanzionatoria del danno non patrimoniale

Diverse parti civili avevano richiesto che nella liquidazione del danno non patrimoniale venisse attribuita valenza incrementativa anche alla funzione sanzionatoria-deterrente della responsabilità civile; cioè non avevano domandato un separato risarcimento a titolo di “danno punitivo”, bensì che la liquidazione finale rappresentasse una sanzione o, in termini esemplari, un incentivo ad una maggiore sicurezza della navigazione.

Il Tribunale ha rigettato le «richieste di liquidazione dei danni con funzione anche sanzionatoria» per due distinte ragioni:

  1. «il danno punitivo è un istituto non avente un'applicabilità generalizzata all'interno del nostro sistema»;
  2. «i profili di responsabilità diretta evocati a fondamento dello stesso non potrebbero comunque essere presi in considerazione in questo processo a discapito della responsabile civile, essendo questa tenuta a rispondere soltanto in via indiretta per i fatti dell'imputato e non anche in via autonoma per quelli propri».

In ordine alla prima ragione il Tribunale, equivocando in ordine alle domande delle parti civili, ha recepito l'indirizzo già affermato dalla Cassazione, ostile al riconoscimento del cd. “danno punitivo” (cfr., per es., Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2007, n. 1183 e, da ultimo, Cass. civ., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350).

Varrebbe la pena interrogarsi sulla fondatezza di questa impostazione: vero è che il “danno punitivo”, quale categoria autonoma, si è sviluppato in common law; nondimeno, l'attribuzione, in via generalizzata, di una funzione sanzionatoria-esemplare in capo al danno non patrimoniale è stata costantemente presente anche nell'evoluzione dei sistemi di civil law: il legislatore europeo stesso ha confermato la possibilità di un diniego dei danni punitivi soltanto qualora “eccessivi” (‘considerando' 32, Regolamento CE 864/2007). In Italia tale funzione si rinviene all'art. 2059 c.c., ove il legislatore del 1942 concepì il danno non patrimoniale non solo ai fini della «riparazione o compensazione indiretta di quegli effetti dell'illecito che non hanno natura patrimoniale», ma anche per fare fronte al «bisogno di una più energica repressione con carattere anche preventivo» (Relazione del Ministro Guardasigilli al Codice civile, n. 803).

Inoltre, per l'art. 96 c.p.c. è legittimo sanzionare attraverso un vero e proprio danno punitivo chi incorre in condotte processualmente censurabili (cfr. Cass. civ., sez. I, 30 luglio 2010, n. 17902): a maggior ragione ciò dovrebbe valere per comportamenti extraprocessuali (gravi ed odiosi reati) direttamente lesivi di diritti fondamentali. Del resto, l'art. 3 Cost. impone che la condanna al risarcimento comporti sanzioni differenti a fronte di condotte diseguali sul piano della loro gravità, sicché la condanna risarcitoria dovrebbe costituire una sanzione civile proporzionata al livello di antigiuridicità della condotta («danno sanzionatorio-esemplare costituzionalmente necessitato ex art. 3 Cost.»).

Alla seconda ragione si potrebbe così controbattere: riconosciuta la concomitante portata sanzionatoria del danno non patrimoniale, non avrebbe senso distinguere tra responsabilità dirette e indirette del responsabile civile, soprattutto laddove vi sia un'immedesimazione organica e si tratti di creare un giusto incentivo alla prevenzione di tragedie di gravissime proporzioni.

Il danno non patrimoniale: una categoria unica con plurime componenti

Il Tribunale di Grosseto ha condiviso gli approdi della giurisprudenza successiva alle pronunce dell'11 novembre 2008 (cfr., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2015, n. 285), tornata a rimarcare la natura composita della categoria unitaria del danno non patrimoniale e la necessità di distinguere al suo interno tra molteplici componenti: «Ia categoria generale del danno non patrimoniale […] si articola in una pluralità di aspetti (o voci), con funzione meramente descrittiva, quali il danno morale, il danno biologico e il danno da perdita del rapporto parentale o c. d. esistenziale». Muovendo da tale corretta impostazione, il Tribunale ha proceduto ad esaminare le seguenti poste reclamate dalle parti civili: danno morale, danno da vacanza rovinata, danno esistenziale e danno biologico.

Il danno morale

Per il Tribunale il danno morale rileva «tanto come patema d'animo o sofferenza interiore o perturbamento psichico quanto come lesione alla dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana».

Il Tribunale ha così ritenuto come tale specifica voce dovesse «sicuramente essere riconosciuta a tutte le persone che si trovavano sulla Concordia Ia sera dell'incidente»: «La ricostruzione dei fatti … dimostra in modo incontrovertibile che ciascuna di esse era costretta a vivere per un significativo lasso di tempo momenti di ansia, di angoscia e di incertezza sui proprio destino. In particolare, … ogni persona [percepiva] immediatamente (o comunque nel giro di pochi minuti dall'impatto) Ia gravita dell'accaduto, per cui lo stato di perturbamento psicologico iniziava già in quel momento e si aggravava sempre di più con il passare del tempo, in considerazione dell'incertezza e della confusione che regnava sui ponti della nave nonché del progressivo aumento della inclinazione di questa. La laconicità e Ia falsità delle informazioni diramate attraverso gli sporadici annunci contribuivano a far crescere l'ansia dei passeggeri, i quali maturavano a poco a poco Ia convinzione di non potersi fidare di chi aveva in quel momento Ia responsabilità, oltre che di gestire Ia situazione di crisi, di assisterli e di trarli in salvo. Cosi, quella che all'inizio poteva definirsi una sensazione di generico spavento si trasformava man mana in un timore concreto, in un'angoscia sempre più opprimente e quindi nel terrore di veder Ia morte avvicinarsi insieme al livello dell'acqua ai propri piedi. […] Non può dunque dubitarsi del diritto di ciascuna di quelle persone a vedersi riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale sia per il perturbamento psicologico sia per Ia lesione alla propria dignità personale subiti in quei drammatici frangenti».

La liquidazione del danno morale aggravato dalla condotta

In primis il Tribunale ha ritenuto come la liquidazione del danno morale non andasse ancorata a quanto eventualmente da riconoscersi a titolo di danno biologico. Questa impostazione è del tutto corretta (cfr., ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2009, n. 13530).

Il Tribunale ha poi tenuto conto non soltanto del «gravissimo stato di sofferenza psicologica vissuto dai naufraghi in quei drammatici momenti», ma altresì della «estrema gravità delle condotte colpose poste in essere dall'imputato».

La sentenza, quindi, si inserisce fra quelle pronunce, anche di legittimità, pervenute a sviluppare la nozione del cd. “danno morale aggravato dalla condotta” (cfr. amplius M. Bona, Come liquidare e personalizzare il danno morale aggravato dalla condotta, in Ri.Da.Re.).

Anche questa impostazione è fondata: la condotta ascritta al responsabile civile, allorquando presenti caratteristiche particolarmente riprovevoli (per la gravità dell'elemento soggettivo, per i suoi motivi, per l'elevato biasimo sociale), in genere, secondo l'id quod plerumque accidit, è tale da aggravare nel danneggiato il senso dell'ingiustizia subita e, dunque, turbamenti, frustrazioni, indignazione, offesa morale; dunque, il riconoscimento del “danno morale aggravato dalla condotta”, quale fattore costitutivo e incrementativo della liquidazione del danno non patrimoniale, si pone in linea con la logica del risarcimento a scopi riparatori: si valorizzano dei veri e propri riflessi morali dell'illecito sulla sfera della vittima, cioè si continua a ragionare in termini di pregiudizi-conseguenza.

Quanto alla liquidazione il Tribunale, con valutazione in via equitativa “pura”, ha individuato quale somma base per ciascun passeggero l'importo di euro 30.000.

Questa somma è stata poi incrementata ad euro 50.000 per quei passeggeri in relazione ai quali era emerso che, trovandosi sul lato sinistro della nave, erano riusciti a scendere molto tardi, tramite Ia biscaglina o attraverso le scialuppe dopo aver dovuto attraversare Ia nave sbandata da sinistra a destra, oppure che, a prescindere dal lato di abbandono della nave, erano stati costretti a separarsi da altri famigliari.

Queste somme presentano senz'altro una nota positiva: sono decisamente superiori rispetto al modestissimo importo forfettario di euro 11.000 a persona, che era stato concordato all'indomani della tragedia (il 27 gennaio 2012) tra Costa Crociere e le Associazioni dei Consumatori, a copertura di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, ivi inclusi quelli legati alla perdita del bagaglio e degli effetti personali, al disagio psicologico patito ed al danno da vacanza rovinata.

L'inopportunità di tale accordo risultò subito manifesta: esso fu stipulato dalle associazioni aderenti al Consiglio Nazionale dei Consumatori, quando ancora le responsabilità del naufragio dovevano essere individuate e sebbene l'importo risultasse significativamente al ribasso, come ritenuto anche da taluna giurisprudenza (cfr. Trib. Varese, 18 maggio 2012, «Per il minore coinvolto nell'incidente della Costa Concordia, fatto notorio, la somma offerta a titolo risarcitorio, in via di transazione, di Euro 11.000,00 non può essere ritenuta vantaggiosa per lo stesso, se proposta a copertura di tutti i danni»).

Fortunatamente il Tribunale di Grosseto non si è lasciato condizionare più di tanto da tale azzardato accordo, ma si coglie un certo qual self-restraint: la somma base risulta inferiore ad altri casi ove eppure erano in gioco stati emozionali di minore portata.

Si ricordano i seguenti precedenti (citati dalle parte civili):

  • tragedia torinese dell'acciaieria della ThyssenKrupp, ove morirono sette operai a causa di gravissime omissioni nella prevenzione: la Corte di Assise di Torino (Ass. Torino, sez. II, 14 novembre 2011) ha riconosciuto in capo a vari lavoratori, non presenti in fabbrica il giorno del sinistro, il «danno non patrimoniale derivante da un reato di pericolo», prodotto dalla mera «consapevolezza» di essere stati sottoposti ad un ambiente lavorativo a rischio, liquidandolo con euro 50.000 ciascuno;
  • caso Bobo Vieri: la sentenza Trib. Milano, sez. X civ., 3 settembre 2012, n. 9749 ha liquidato all'ex calciatore un milione di euro per un (N.B.) generico e non patologico «stato di inquietudine e di ansia dell'attore» per avere appreso dell'illecita investigazione commissionata dal suo datore di lavoro e dell'illecito controllo delle sue telefonate, con conseguente (mera) «preoccupazione per una possibile divulgazione di notizia riservate»; vero è che questo importo è stato ridotto dalla Corte d'Appello nel 2015, ma comunque a 80.000 euro.

In breve, può dubitarsi della satisfattività dell'importo di base stabilito dal Tribunale di Grossetto.

Anche a prescindere dai predetti casi, non pare che la somma di euro 30.000 rappresenti un risarcimento del tutto congruo alla luce delle seguenti circostanze:

  1. il terrore assoluto vissuto sin dai primi istanti dopo l'urto, in uno scenario di crescente panico collettivo e di disperazione diffusa a causa della più totale disorganizzazione nella gestione dell'emergenza;
  2. l'esposizione, protrattasi per diverse angoscianti ore, ad un considerevole e concreto rischio per la propria vita/salute e per l'incolumità di parenti/amici/compagni di viaggio ed altre persone;
  3. paura, frustrazione e sdegno per quanto subito, nonché per l'assoluta incompetenza e superficialità della compagnia sia nella preparazione alla navigazione dei propri dipendenti, sia nella gestione dell'emergenza e delle operazioni di salvataggio;
  4. la consapevolezza di essere stati destinatari di servizi altamente insicuri;
  5. l'indignazionee la frustrazione nell'apprendere delle gravi e manifeste condotte criminose del comandante;
  6. lo sdegnosia per avere appreso che il comandante avesse posto in essere l'”inchino” per motivi assolutamente futili (la richiesta di un maître!), sia per le offese recate da esponenti della società, i quali in occasione di interviste non esitarono ad additarli alla stregua di persone affette da “nonsense” e “sensazionalismo”.

Peraltro, i turbamenti psicologici considerati dal Tribunale, circoscritti alle sole fasi seguenti all'impatto contro lo scoglio, denotano come il collegio non abbia attribuito rilievo alle conseguenze morali successive: le difficoltà del ritorno a casa (molti erano residenti all'estero), proseguite nel tempo anche a causa della necessità di coltivare azioni stragiudiziali e giudiziarie complesse.

Condivisibile, invece, è l'incremento della predetta somma-base in considerazione delle diverse esperienze vissute dalle parti civili. Tuttavia, il significativo divario di euro 20.000 tra i passeggeri scesi dal lato destro (euro 30.000) e quelli salvatisi dal lato di sinistra (euro 50.000) risulta eccessivo (al ribasso per i primi). Infatti, i passeggeri, che riuscirono ad accedere alle scialuppe sul lato destro, affrontarono a loro volta serie difficoltà a causa dell'inclinazione della nave, trovandosi a scivolare sui ponti ed a calarsi sulle imbarcazioni di salvataggio in costante oscillazione e lontane dai parapetti, mentre la Concordia si inclinava vieppiù verso il mare, dunque con l'angoscia di rimanere schiacciati sotto la fiancata. Alcuni di questi naufraghi dovettero gettarsi in acqua e raggiungere gli scogli a nuoto, rimanendo ivi bloccati al freddo per diverso tempo.

Nei processi civili, ad incidere sul quantum del danno morale, dovrà aggiungersi anche la gravità delle responsabilità dell'armatore, fattore espressamente escluso dal Tribunale per i limiti del processo penale.

Il diniego dell'appesantimento del quantum per il “danno da vacanza rovinata”

Il Tribunale ha poi negato un “appesantimento” del quantum per il profilo della vacanza rovinata sulla base dei seguenti argomenti:

  1. l'impossibilità per i passeggeri, durante il verificarsi della tragedia, di percepire il danno da vacanza rovinata e, pertanto, la non ravvisabilità di tale pregiudizio: «il perturbamento psicologico (…) non discendeva dal rammarico di non poter godere serenamente del periodo di vacanza programmata, ma evidentemente dal grave pericolo cui era esposta Ia loro incolumità personale (oltre a quella dei familiari nei casi in cui questi viaggiavano con loro). Parlare di disagio per Ia “vacanza rovinata” non ha molto senso quando Ia situazione di stress psico-fisico raggiunge tali livelli di gravità»; «Non è … ragionevolmente sostenibile che una persona possa nella stesso contesto vivere uno stato di panico per Ia paura di morire ed essere turbata perché non riesce a fare Ia sua vacanza come vorrebbe»;
  2. ad ogni modo, la ricomprensione del pregiudizio in questione entro il danno morale: «ciò che a parere del Collegio impedisce (…) il riconoscimento in via autonoma di tale voce risarcitoria è proprio Ia peculiare natura del perturbamento psicologico subito dai passeggeri a seguito del naufragio, di gravità ed estensione tali da contenere necessariamente ogni forma di disagio inferiore».

Entrambe tali motivazioni risultano opinabili.

Il Tribunale ha errato nel ritenere che per la configurabilità di questo pregiudizio la persona violata nelle sue ferie debba provare stress e rammarico per la distruzione della vacanza contestualmente al verificarsi dell'evento avverso: questo requisito non sussiste, giacché questo danno non consiste soltanto nel turbamento psicologico che si può provare nell'istante in cui la vacanza viene stravolta.

Il danno non patrimoniale da vacanza rovinata non si sostanzia unicamente nelle emozioni negative immediate (peraltro eventuali nel caso del soggetto che si ritrovi in coma), ma altresì nella perdita dei beni immateriali cui è preordinata la vacanza, cioè nel mancato godimento di momenti di serenità e relax condivisi con famigliari ed amici. La persona, la quale annovera la distruzione della propria vacanza, è privata di ricordi felici e della possibilità di “ricaricare le batterie”: questo è uno scenario, morale ed esistenziale, che non esaurisce la sua dimensione ontologica negli istanti in cui si verifica la tragedia.

A conferma di ciò, la Cassazione ha precisato che, ai fini del risarcimento del danno in questione, è pure rilevante che la vacanza sia stata rovinata «anche come ricordo» (cfr. , Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2013, n. 1033 e Cass. pen., sez. III, 18 marzo 2010, n. 19523).

Sempre la Suprema Corte ha sottolineato come questo danno rappresenti un pregiudizio ulteriore rispetto al danno morale (inteso quale sofferenza contingente e turbamento d'animo transeunte): «nel nostro sistema il cosiddetto danno da vacanza rovinata viene ormai ricompreso nell'ipotesi di danno non patrimoniale ulteriore rispetto a quello morale» (Cass. civ., sez. III, 13 novembre 2009, n. 24044). La Cassazione, quindi, ha ritenuto corretta una sentenza della Corte d'Appello di Milano, che, in aggiunta al danno non patrimoniale riconosciuto per l'infortunio, aveva aggiunto la liquidazione per la vacanza rovinata (cfr. pure Trib. Bari, 9 settembre 2014, e Trib. Livorno, 12 marzo 2014).

L'autonomia del pregiudizio in questione è sancita pure dalla Corte di Giustizia UE (Corte di Giustizia CE, 12 marzo 2002, n. C-168/00). Anche il dato normativo è chiaro, ove, come già nella Direttiva 90/314/CEE, distingue (artt. 44 e 45 del Codice del Turismo ) fra «danni alla persona» e «danni diversi da quelli alla persona». Inoltre, la giurisprudenza insegna come a sostanziare la liquidazione del pregiudizio in disamina possa rilevare anche la contestuale perdita di oggetti aventi valore affettivo (cfr., per esempio, Trib. Frosinone, 10 ottobre 2014).

In breve il Tribunale ha frainteso del tutto i contenuti del danno da vacanza rovinata, circoscrivendolo al solo perturbamento emozionale contestuale all'evento avverso. Non era neppure necessario liquidarlo in via separata: poteva rilevare quale fattore incrementativo del danno non patrimoniale unitario, ricordandosi che il quantum di questa posta ammonta generalmente, per gli inadempimenti più significativi (lungi dal poter essere assimilati per gravità al caso Costa Concordia), tra i 1.500,00 ed i 3.000,00 euro per danneggiato, assumendo rilievo anche il costo del viaggio “tutto compreso”, la motivazione dello stesso, la sua irripetibilità e la perdita di oggetti aventi valore affettivo.

Danni biologici e danni esistenziali: il rinvio ai giudizi civili

Il Tribunale di Grosseto, infine, ha ritenuto di non poter procedere a delle liquidazioni definitive relativamente a tutte le parti civili che avevano allegato specificatamente riflessi di ordine biologico ed esistenziale, «stante Ia necessità di approfondimenti istruttori»tali da comportare un «eccessivo dilungamento del processo».

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