Risponde del reato di rifiuto di atti d’ufficio il primario che omette la compilazione delle cartelle sanitarie

10 Aprile 2015

La cartella clinica deve considerarsi sempre finalizzata a garantire la compiuta attuazione del diritto alla salute ed è pacificamente atto pubblico, della cui tempestiva formazione risponde il responsabile del reparto quale pubblico ufficiale, essendo tenuto con la propria sottoscrizione ad accertarne la completezza e regolarità: nella specie risponde pertanto del reato di omissione di atti d'ufficio di cui all'art. 328 c.p. il primario che, omettendone la sottoscrizione, ritarda colpevolmente il rilascio di un rilevante numero di cartelle cliniche, specie considerato che esse costituiscono il diario clinico che va compilato in prossimità degli eventi e verificato dal sanitario responsabile in concomitanza con gli stessi.
Massima

La cartella clinica deve considerarsi sempre finalizzata a garantire la compiuta attuazione del diritto alla salute ed è pacificamente atto pubblico, della cui tempestiva formazione risponde il responsabile del reparto quale pubblico ufficiale, essendo tenuto con la propria sottoscrizione ad accertarne la completezza e regolarità: nella specie risponde pertanto del reato di omissione di atti d'ufficio di cui all'art. 328 c.p. il primario che, omettendone la sottoscrizione, ritarda colpevolmente il rilascio di un rilevante numero di cartelle cliniche, specie considerato che esse costituiscono il diario clinico che va compilato in prossimità degli eventi e verificato dal sanitario responsabile in concomitanza con gli stessi.

Il caso

Il Tribunale di Modica, in data 15 dicembre 2010, emetteva provvedimento di condanna in relazione al reato di cui all'art. 328 c.p., comma 1, per l'omessa compilazione a cura dell'interessato, nella sua qualità di primario responsabile del reparto di ortopedia dell'ospedale locale, di un rilevante numero di cartelle cliniche.

La Corte d'Appello di Catania, in data 1 luglio 2014, confermava la sentenza di condanna di primo grado.

Avverso questa sentenza proponevano ricorso principale i difensori del soggetto imputato.

La questione

La natura di atto pubblico della cartella clinica così come la qualifica di pubblico ufficiale del medico primario sono dati ormai pacifici in giurisprudenza.

La questione nuova sollevata dal caso in esame è, dunque, se la cartella clinica debba considerarsi sempre finalizzata a garantire la compiuta attuazione del diritto alla salute, a prescindere dalla presenza di un'emergenza sanitaria, tanto da considerare incondizionato il diritto del paziente al suo rilascio.

Le soluzioni giuridiche

La motivazione della Suprema Corte: «Deve confermarsi la corretta qualificazione giuridica dei fatti, attesa, preliminarmente, la pacifica natura di atto pubblico della cartella clinica e la circostanza che la res […] poiché l'utente non è tenuto ad esplicitare le ragioni della sua richiesta».

Ai sensi dell'art. 328 c.p. il rifiuto è penalmente rilevante in quanto esso abbia ad oggetto un atto qualificato, ossia attinente a talune specifiche materie, la cui elencazione è tassativa (sicurezza e ordine pubblico, igiene, sanità e giustizia), avente rilevanza esterna e caratterizzato dalla urgenza e dalla indifferibilità dello stesso.

In ordine ai requisiti che deve presentare l'urgenza dell'intervento in ambito medico, la Corte di Cassazione ha in precedenza puntualizzato che questa «va apprezzata con riferimento al pregiudizio, anche potenziale e non necessariamente irreparabile, che può comunque derivare al paziente dalla mancata o tardiva assistenza sollecitata», a prescindere pertanto dal fatto che «le condizioni di salute del paziente non siano poi risultate gravi in concreto e che nessuna terapia sia stata prescritta all'esito del successivo ricovero ospedaliero» (v. Cass. pen., sez. VI, 7 aprile 2008, n. 20056, in CED).

Tuttavia, in relazione al caso di specie, omessa compilazione di cartella clinica, vi è un unico precedente su cui la Corte di Cassazione si è espressa. Nel 2009 la Corte aveva ravvisato il reato di cui all'art. 328, comma 1, c.p., nella condotta di un primario che aveva appunto omesso di redigere la cartella clinica relativa, però, ad un paziente solo in via temporanea sottoposto a cure di mantenimento e in attesa, infatti, di trasferimento ad altra, e più attrezzata, struttura ospedaliera (v. Cass. pen., sez. VI, 27 febbraio 2009, n. 15548, CP, 2011, 1810).

In tale occasione i giudici di merito avevano ritenuto che la mancata compilazione della cartella clinica, nella immediatezza del ricovero, non integra l'indebito rifiuto di un atto di ufficio, che, per ragioni di sanità, si sarebbe dovuto compiere senza ritardo, vista l'intenzione del legislatore, con la previsione di cui all'art. 328 c.p., di non colpire qualsiasi omissione , ma di sanzionare soltanto quella che pervenga ad un atto che debba essere compiuto «senza ritardo» e il cui rifiuto sia «indebito».

Nella sentenza di commento, invece, la Corte ritiene che la mancata stesura della cartella clinica non è un'omissione qualsiasi, e pertanto irrilevante ai sensi dell'art. 328 c.p..

Il documento, infatti, contiene «l'indicazione di tutti gli interventi effettuati sul paziente, ed assolve a plurime funzioni, tutte fondate sulla necessità di ricostruire ex post, a qualsiasi fine, l'appropriatezza degli interventi, per valutarne gli effetti, la possibile sinergia con ulteriori iniziative sanitarie, e quindi consentire l'adeguatezza di queste ultime». Quindi la cartella clinica deve considerarsi sempre finalizzata a garantire il diritto alla salute «a prescindere dalla presenza di una urgenza sanitaria».

Di conseguenza non ha nemmeno pregio l'eccezione avanzata dal ricorrente che fa discendere la natura “non urgente” dell'atto dalla previsione di un termine di 30 giorni per il rilascio – come previsto dalla carta dei servizi dell'ospedale – poiché, «in senso opposto questo dimostra la presenza del diritto dell'interessato ad un rilascio in tempi ragionevoli, che, considerati tutti gli adempimenti intermedi – richiesta alla direzione sanitaria, trasmissione al reparto, invio all'ufficio richiedente e successivo rilascio – è stato quantificato nella misura massima, proprio per assicurare effettività all'esercizio del diritto».

Tanto più che il fatto di specie, ai sensi della Corte, non può essere ricondotto al II comma dell'art. 328 c.p. che accorda tutela al diverso diritto alla trasparenza amministrativa ma non produce alcun diritto al tempestivo rilascio dell'atto.

Dunque i Giudici della Suprema Corte non hanno semplicemente affermato la spiccata vocazione della cartella a tutelare la salute del paziente tanto da integrare l'atto sanitario descritto nell'art. 328 c.p., ma hanno inoltre ritenuto che in virtù di questo il paziente gode di un diritto al rilascio incondizionato, poiché frutto della commistione del diritto alla salute con il diritto alla privacy, che consente al paziente di avanzare la propria richiesta anche senza specificare i motivi e come intende impiegare la cartella clinica.

Osservazioni

Quanto emerge dalla sentenza in esame “costringe” i medici primari a compilare la cartella clinica contestualmente al verificarsi dei singoli eventi. In particolare, è pacifico che debba essere considerata un servente cartaceo insostituibile nell'assistenza e cura sanitaria. La cartella clinica, infatti, assicura l'essenziale e tempestivo onere informativo di documentare a chiunque l'andamento della malattia, i medicamenti somministrati, le terapie e gli interventi praticati, l'esito della cura e la durata della degenza del malato. Quanto alla relazione che corre tra la stesura della cartella clinica e gli obblighi sanzionati dall'art. 328 c.p. in tema di rifiuto ed omissione di atti d'ufficio, non vi sono ormai dubbi – né in giurisprudenza, né in dottrina - che la redazione della cartella rientri nel novero degli atti d'ufficio da compiere per ragioni di “sanità”.

L'attenzione a questo punto va piuttosto posta sull'elemento soggettivo che, ai sensi dell'art. 328 c.p., dovrebbe inficiare la condotta perché questa possa ritenersi penalmente rilevante.

Il dolo generico, che informa la condotta ex art. 328 c.p., comprende infatti la consapevolezza di agire in violazione di doveri imposti (ed in questo senso rileva l'avverbio “indebitamente”), pur non richiedendosi il fine specifico di violare tale doveri. Quindi, la consapevolezza di agire in violazione di doveri imposti tende a delimitare la rilevanza penale alle sole forme di diniego che non trovino plausibili giustificazioni.

Inevitabile è il timore che i giudici penali si spingano in valutazioni proprie della colpa professionale sanitaria, che esulano dalla struttura psicologica (dolosa) del delitto in commento. Di conseguenza è sicuramente irrilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 328 c.p., comma 1, c.p. il concreto esito dell'omissione - il quale potrà semmai fondare un ulteriore addebito di responsabilità (ex artt. 589 o 590 c.p.) – l'augurio, tuttavia, è che questo a lungo andare non porti ad una valutazione circa la doverosità o meno dell'intervento rifiutato che prescinda dalle peculiarità dei singoli casi.

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