Il trauma subito dai genitori per la imprevista malformazione del neonato è danno in ogni caso risarcibile dal medico che abbia omesso l’informazione dell’anomalia del feto
10 Giugno 2014
Massima
Trib. Monza, sez. I, 2 ottobre 2013 n. 2261 Qualora il medico ometta di informare la paziente delle malformazioni congenite del feto, ove non sia provata la sussistenza di tutti gli elementi integrativi della fattispecie per il legittimo esercizio del diritto di interrompere la gravidanza (ivi compresa l'effettiva volontà della madre di avvalersi di tale diritto), non può essere preso in esame il risarcimento del danno conseguente alla nascita indesiderata mentre invece viene in considerazione il danno non patrimoniale per il trauma subito da entrambi i genitori per essersi trovati senza alcuna preparazione psicologica di fronte alla realtà di un figlio affetto da una grave e totalmente invalidante malformazione. Sintesi del fatto
AT, su consiglio del proprio medico curante C., si sottoponeva al Tritest all'esito del quale risultava un'anomalia del feto, ma C. la tranquillizzava senza prescriverle accertamenti ulteriori. Nasceva però un neonato gravemente malformato. AT e il marito MC, anche quali genitori delle figlie minori A e D nonché i nonni LC e TV, adivano il tribunale di Monza per ottenere la condanna del C al risarcimento dei danni patiti per l'omessa diagnosi della malformazione fetale che aveva privato la donna del diritto di interrompere la gravidanza. Il C si costituiva contestando la fondatezza delle avverse deduzioni. Effettuate due diverse CTU, la causa veniva trattenuta a sentenza senza alcuna altra attività istruttoria. Il Tribunale, dichiarata la responsabilità del C per non aver informato la paziente dell'evidente anomalia fetale, respinge però la domanda attrice relativa al violato diritto di ricorrere all'IVG perché, pur provata l'elevata probabilità che di fronte ad una diagnosi di malformazione fetale AT avrebbe sviluppato un processo patologico, tuttavia non risultava provato, con un giudizio ex ante, che, nonostante ciò, avrebbe scelto di interrompere la gravidanza. Ritiene però il Giudice che debba essere preso in considerazione e quindi risarcito, il danno non patrimoniale subito da entrambi i genitori a causa del trauma per essersi trovati inaspettatamente e privi di preparazione psicologica di fronte alla drammatica realtà di un figlio affetto da una grave malformazione quando invece erano stati tranquillizzati sulla sua normalità. Secondo il Tribunale, si tratta di un pregiudizio di natura non patrimoniale dipendente dalla tardiva scoperta della patologia del neonato sufficiente a compromettere temporaneamente la serenità della funzione genitoriale che però nel futuro è destinato a ridursi a causa della quotidianità della vita con il figlio invalido. Il Giudice, pur respingendo il risarcimento di tutti di danni patrimoniali e non patrimoniali conseguenza della nascita indesiderata, riconosce invece anche al padre, ma non alle sorelle e ai nonni perché estranei al processo decisionale circa l'aborto e non tenuti agli obblighi di assistenza diretta ed attuale del minore, il diritto al risarcimento del proprio danno avendo l'inadempimento del medico prodotto effetti negativi anche per lui. La questione
La questione rilevante è se nel principio espresso dal Tribunale di Monza vi sia una contraddizione laddove, escluso il danno da nascita indesiderata per la carenza di prova della volontà di abortire, riconosce invece il risarcimento del danno non patrimoniale subito da entrambi i genitori a causa dello shock traumatico conseguente alla imprevista malformazione del neonato, alla quale non erano psicologicamente preparati, potendo apparire danni sovrapponibili di identica natura. Le soluzioni giuridiche
Secondo una parte della giurisprudenza, l'accertamento dei presupposti richiesti dagli artt. 6 e 7 della L. 194/78 e della volontà di interrompere la gravidanza di fronte alla malformazione del feto, può avvenire secondo il criterio della causalità adeguata essendo sufficiente l'allegazione che la madre si sarebbe avvalsa di quella facoltà se fosse stata informata. L'esigenza di tale prova però sussiste solo nel caso in cui vi sia contestazione della controparte nel qual caso si deve stabilire, secondo i criteri della comune esperienza e del principio del “più probabile che non” con valutazione ex ante se, a seguito di una completa informazione, sarebbe effettivamente insorto un rischio per la salute psicofisica della donna che avrebbe, come normalmente avviene, interrotto la gravidanza (Cass. civ. Sez. III 10 novembre 2010 n. 22837; Trib. Santa Maria Capua Vetere, 10 maggio 2011 – Trib. Roma Sez. XIII, 11 aprile 2011 – contra Cass. civ. Sez. III 04 gennaio 2010 n. 13; v. Nascita indesiderata - in Nesso causale in responsabilità civile - L. Berti, Giuffrè 2013 pag. 218). La sentenza in esame applica invece un criterio più rigoroso per il quale, pur attraverso un giudizio probabilistico, non è sufficiente dimostrare il concreto rischio di un pregiudizio per la salute della madre, dovendosi provare anche la volontà di ricorrere all'I.V.G., altrimenti la domanda risarcitoria non può essere accolta. Nel caso di specie il Tribunale, pur avendo ritenuto altamente probabile che la notizia della malformazione fetale avrebbe innescato processi patologici nella donna, ha però rilevato che la mancanza di qualsiasi elemento probatorio della volontà di interrompere la gravidanza, esclude il danno conseguente alla nascita indesiderata. Tuttavia il Giudice, rilevando che la condotta negligente del medico ha causato un gravissimo pregiudizio all'attrice privata del diritto di autodeterminarsi in ordine al futuro della gravidanza, pur negando il risarcimento del danno conseguente alla nascita indesiderata, ritiene che sussista comunque il danno non patrimoniale di entrambi i genitori per il trauma da loro subito di fronte alla imprevista malformazione del neonato rispetto alla quale non erano psicologicamente preparati essendo mancata la preventiva informazione. Si tratta del danno direttamente conseguente alla tardiva scoperta della patologia del neonato che compromette la serenità della funzione genitoriale però limitatamente ad un tempo apprezzabile successivamente alla nascita che via via si riassorbe nella quotidianità della vita con il figlio invalido: in altre parole il danno morale soggettivo temporaneo e transeunte. È infatti situazione ben diversa quella di chi ha coscientemente e maturamente deciso di affrontare quella determinata situazione penosa rispetto a chi, invece, subisca le imprevedibili tragiche conseguenze dovute ad un colpevole inadempimento del medico. Viene così distinto il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione subito dalla donna in conseguenza della mancata informazione della malformazione fetale, da quello conseguente all'inadempimento del medico al dovere di informazione. Infatti, escluso il risarcimento della prima conseguenza dannosa per la mancanza di idonee prove della volontà di ricorrere all'I.V.G., sussisterebbe invece quello conseguente alla mancata informazione della malformazione fetale non causativo dell'impedimento a liberamente decidere se abortire o meno, ma dello shock traumatico che gli ignari genitori subiscono per la nascita del figlio imprevedibilmente malformato. Che si tratti di un danno diverso rispetto a quello invece di cui è titolare la sola madre impedita all'esercizio della libera scelta di abortire, risulta dal fatto che anche il padre è legittimato attivo quale danneggiato dall'inadempimento del medico all'obbligo di informazione contrattualmente assunto i cui effetti riguardano anche lui avendo anch'egli diritto di sapere come procede la gravidanza e come sarà suo figlio. Osservazioni e suggerimenti pratici
Il giudice di Monza ritiene che deve essere fornita la prova sia della lesione del diritto all'autodeterminazione sia del rischio per la salute della madre e della sua volontà di ricorrere all'IVG, prove che, riguardando circostanze ex ante, possono essere fornite anche a mezzo di allegazioni o di elementi indiziari che abbiano però il carattere della univocità e concordanza tale da poter rappresentare quel dato certo attraverso il quale il giudice può presumere il dato ignorato, cioè la volontà di abortire. In tal caso il risarcimento è ampio potendo riguardare anche il danno patrimoniale per i maggiori costi di mantenimento e di assistenza del figlio handicappato, qualora non vengano posti a carico dell'inadempiente medico come di recente ha affermato il Tribunale di Milano (Trib. Milano Sez. I, 10 marzo 2014 – Guida al Diritto n. 21 del 2014 con commento di F. Martini), per l'abbattimento delle barriere architettoniche, per le cure future che non siano coperte dal Servizio Sanitario Nazionale e forse anche il danno non patrimoniale subito dallo stesso nato geneticamente malformato, non per l'inesistente e adesposta diritto di “non nascere se non sani “ (Cass. civ.,n. 14488/2004; Cass. civ., n. 16123/2006), ma per il disagio esistenziale che l'handicap crea nell'affrontare la vita quotidiana e nelle relazioni con gli altri (Cass. civ.,n. 9700/2011; Cass. civ., n. 16754/2012).
Conclusioni
La sentenza in commento ha liquidato il danno non patrimoniale ai genitori per la sofferenza morale da essi patita per la tragica scoperta della malformazione del neonato, ritenendolo però solo di durata temporanea e transeunte in quanto essi impareranno a convivere con l'handicap del figlio, non anche il danno non patrimoniale-esistenziale da sconvolgimento della propria esistenza per il venir meno della legittima aspettativa di veder crescere un figlio sano, trattandosi di danni conseguenza della nascita indesiderata che si sarebbe evitata se la madre fosse stata informata delle malformazioni del feto, il cui risarcimento è però escluso a causa della carenza di prova della volontà di abortire. Danni dunque ontologicamente diversi perché conseguenti a due diversi eventi lesivi.
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