Il datore di lavoro e la responsabilità: è necessario individuare la fonte del rischio
11 Febbraio 2016
Massima
Ai fini dell'applicazione dell'art. 2087 c.c. - in forza del quale è configurabile la responsabilità del datore di lavoro in relazione ad infortunio che sia riconducibile ad un comportamento colpevole del datore, alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza da parte dello stesso o al mancato apprestamento di misure idonee alla prevenzione di ragioni di danno per i lavoratori dipendenti, senza che possa esigersi dal datore di lavoro la predisposizione di accorgimenti idonei a fronteggiare cause d'infortunio del tutto imprevedibili - occorre che sia individuata la situazione generativa del rischio, indispensabile e preliminare alla verifica del rispetto delle misure di protezione richieste dalle norme di legge o dalle regole di prudenza in relazione alle condizioni dei luoghi e alla verifica delle responsabilità datoriale. Il caso
Un dipendente aveva subito un infortunio nel percorrere il sottopasso che collegava la mensa aziendale agli uffici ove prestava la propria attività lavorativa. Il sottopassaggio era attraversato da tappeti mobili (che al momento dell'infortunio non erano funzionanti perché in riparazione) e da un corridoio percorribile a piedi, il cui pavimento era rivestito di materiale antisdrucciolo, sul quale il lavoratore era però scivolato. L'Inail aveva liquidato un'indennità per inabilità temporanea, riconoscendo altresì una rendita per inabilità permanente al lavoratore, il quale aveva adito il giudice del lavoro per ottenere il risarcimento dei danni subiti a causa del sinistro. Nei gradi di merito, il datore di lavoro risultava soccombente dal momento che l'obbligo del datore di lavoro di preservare l'integrità psicofisica dei dipendenti impone l'adozione di tutte le misure atte a tutelare il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi. Il giudice di legittimità al contrario cassa la sentenza di appello, rilevando che in materia di tutela delle condizioni di lavoro di cui all'art. 2087 c.c., è configurabile una responsabilità del datore di lavoro in relazione ad infortunio che sia riconducibile ad un comportamento colpevole del datore, alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza o al mancato apprestamento di misure idonee alla prevenzione di ragioni di danno per i lavoratori dipendenti, mentre non può esigersi dal datore di lavoro la predisposizione di accorgimenti idonei a fronteggiare cause di infortunio del tutto imprevedibili. La questione
La questione in esame è la seguente: quando è configurabile la responsabilità del datore di lavoro? Le soluzioni giuridiche
È noto che la responsabilità per gli infortuni sul lavoro ha natura contrattuale, in quanto essa deriva dall'inadempimento dell'obbligazione di sicurezza del datore di lavoro, che, pur se previsto dalla legge (D.P.R. n. 457/1955, art. 2087 c.c.), integra nella sfera degli effetti il contenuto del contratto di lavoro. Trattasi infatti di responsabilità che, in relazione alla natura sui generis dell'obbligazione di sicurezza del lavoro, essendo le norme che ne determinano il contenuto dirette alla realizzazione anche di interessi generali (tant'è che dalla violazione può derivarne anche responsabilità penale), presenta anche aspetti della responsabilità aquiliana (con conseguente applicazione, ad esempio del disposto normativo di cui agli artt. 2049 e 2050 c.c.). Pertanto, il datore di lavoro è il garante dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro e, dunque, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando altresì a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera (Cass. pen., n. 10109/2007). In tal senso, in virtù del disposto normativo di cui all'art. 2087 c.c., il datore di lavoro ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e del fatto che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando, altresì, a che le condizioni di sicurezza siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l'opera; il datore di lavoro è tenuto al rispetto di tali doveri proprio in virtù della posizione di garanzia, la quale è estesa anche al controllo della correttezza dell'agire del lavoratore, ed impone al garante di esigere dal lavoratore il rispetto delle regole di cautela. Sicché, se per un verso, la responsabilità del datore di lavoro non è una responsabilità oggettiva (dovendosi escludere, lo si ribadisce, la responsabilità del datore di lavoro ogniqualvolta il comportamento del dipendente assuma il carattere dell'abnormità rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive impartitegli), dall'altro, l'art. 2087 c.c., il quale possiede una funzione sussidiaria ed integrativa delle misure protettive da adottare a garanzia del lavoratore, evidenzia come il datore di lavoro è tenuto a proteggere il lavoratore anche nei confronti di atti imprudenti che il medesimo può compiere nello svolgimento delle mansioni affidategli. Non a caso, dal punto di vista della struttura dell'ordinamento giuridico prevenzionistico, può dirsi che il principio chiave della massima sicurezza possibile è al vertice delle norme vigenti e trova espressione, all'interno di una struttura ordinata gerarchicamente, dapprima nelle norme di grado superiore e via via in quelle di grado inferiore. E dunque, dalle norme che stabiliscono principi generali a quelle che regolano aspetti particolari, e quindi, dapprima, dalla Costituzione della Repubblica Italiana, che, agli artt. 32, comma 1, Cost., e art.41, commi 1 e 2, Cost., prevede, in modo chiaro ed evidente, l'intangibilità, l'indisponibilità e la priorità assoluta dei diritti alla sicurezza e alla salute dei lavoratori, e, da un punto di vista sistematico, l'art. 2087 c.c. che ne rappresenta una più dettagliata specificazione. È stato, quindi, affermato che la norma di cui all'art. 2087 c.c. istituisce in capo al datore un ulteriore obbligo, di natura accessoria e collaterale rispetto a quelli principali (Cass. n. 5048/1988). La ricostruzione del rapporto tra l'obbligo di sicurezza avente fonte nell'art. 2087 c.c. e quello che trova nelle norme speciali il proprio fondamento positivo ha immediate ricadute di tipo operativo. Attribuire all'art. 2087 c.c. i caratteri propri della norma generale significa riconoscere che questa è una norma completa, costituita da una fattispecie e da un comando. Non solo: per un verso serve a cogliere la portata dell'obbligo di sicurezza nella dimensione del rapporto, per altro, a tracciarne le coordinate in relazione all'imponente apparato della legislazione di matrice prevenzionistica. Il legame tra norma generale e norme speciali di natura prevenzionistica ha la funzione di arricchire la portata dell'obbligo di sicurezza non solo sotto il profilo quantitativo, ma anche e soprattutto, sotto quello qualitativo. Sotto il profilo quantitativo, è chiaro che, come ritenuto in dottrina, l'art. 2087 c.c, essendo tanto norma aperta, quanto norma di chiusura del sistema prevenzionistico, non esaurisce in un numerus clausus gli adempimenti cui è tenuto il datore di lavoro. In tal senso, le norme speciali non chiudono la portata dell'obbligo di sicurezza del quale rappresentano semmai un insieme variegato, e non esaustivo, di specificazioni. Sotto il profilo qualitativo, le norme speciali operano una proiezione della norma generale nella sua portata prevenzionistica, rendendo maggiormente visibile la tensione della norma generale verso la priorità dell'adempimento dell'obbligo. L'art. 2087 c.c., di carattere generale, pertanto, abbraccia ogni tipo di misura utile a tutelare il diritto soggettivo dei lavoratori ad operare in un ambiente esente da rischi e rende il datore di lavoro titolare della posizione di garanzia, poiché ha, dapprima, l'obbligo di effettuare la valutazione dei rischi e, successivamente a tale analisi, l'obbligo di elaborare le specifiche misure di prevenzione e protezione. In virtù dell'obbligo sancito dall'art. 2087 c.c., l'imprenditore è, dunque, vincolato a svolgere un'attività generale di prevenzione dei rischi derivanti dall'ambiente di lavoro; si tratta, pertanto, di un facere che, partendo dall'assunto che il rapporto di lavoro subordinato è un contratto sinallagmatico e, come tale, a prestazioni corrispettive, comprende non solo l'obbligo di corrispondere la retribuzione, ma anche e soprattutto l'obbligo (di natura non patrimoniale) di tutelare l'integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore. Osservazioni
Il carattere contrattuale dell'illecito e l'operatività della presunzione di colpa stabilita dall'art. 1218 c.c. non escludono che la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c. in tanto possa essere affermata in quanto sussista una lesione del bene tutelato che derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche; ne consegue che la verificazione del sinistro non è di per sé sufficiente per far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la dimostrazione, da parte dell'attore, che vi è stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione, a pena di fare scadere una responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva (Cass. n. 3162/2002; Cass. n. 9247/1998; Cass. n. 7792/1998). In conclusione, l'art. 2087 c.c. non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva: perché possa affermarsi una responsabilità del datore di lavoro in base alla suddetta disposizione non è sufficiente, infatti, che nello svolgimento del rapporto di lavoro si sia verificato un evento dannoso in pregiudizio del lavoratore, ma occorre che tale evento sia ricollegabile ad un comportamento colposo del datore di lavoro. Ne consegue che incombe sul lavoratore, il quale lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro nonché la connessione tra l'uno e l'altra. Incombe, invece, sul datore di lavoro l'onere di provare di aver adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del pregiudizio subito ovvero che la malattia non è ricollegabile alla violazione degli obblighi a suo carico (Cass. n. 6388/1998; Cass. n. 10361/1997; Cass. n. 12661/1995). |