Occupazione illegittima di terreno per oltre 40 anni: in difetto di interversione del possesso, il danno risarcibile è in re ipsa
11 Dicembre 2015
Massima
In tema di usucapione, l'accertamento del possesso utile ai fini dell'acquisto della proprietà non può basarsi esclusivamente sul comportamento passivo del proprietario, né l'avvenuta realizzazione di fabbricati sul cespite diviene significativa rispetto alla semplice tolleranza dei titolari del diritto di proprietà, ove manchi un atto d'interversione del possesso. Ne deriva che nel caso di occupazione senza titolo di un immobile, l'esistenza di un danno subito dal proprietario è in re ipsa, sul presupposto dell'utilità normalmente conseguibile nell'esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene insite nel diritto dominicale che costituisce oggetto di una presunzione iuris tantum e che non opera ove risulti positivamente accertato che il dominus si sia intenzionalmente disinteressato dell'immobile ed abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione (Cass., sent., n. 9137/2013; Cass., n. 14222/ 2012; Cass., n. 3404/2009; Cass., sent., n. 827/2006). Il caso
Gli eredi di un allevatore che gestiva, da circa quarant'anni, un fondo per pascolo del bestiame chiedevano, in riconvenzionale, a fronte della richiesta di rilascio del fondo proposta dagli eredi della comproprietaria, il riconoscimento utile ai fini della usucapione della proprietà allegando di avere gestito uti domini il cespite. La domanda degli attori veniva respinta ed accolta quella di accertamento della proprietà per intervenuta usucapione in favore degli occupanti. Proposto appello dai soccombenti la Corte territoriale ribaltava la decisione di primo grado osservando che non risultava provato il possesso del terreno uti domini da parte degli appellati, in quanto la disponibilità del fondo si giustificava per l'autorizzazione al suo uso da parte della comproprietaria del terreno, nell'ambito di rapporti di collaborazione reciproca. Secondo la Corte d'Appello mancava, infatti, un atto d'interversione del possesso idoneo a mutare la detenzione iniziale della cosa in possesso esclusivo. Né la costruzione sul fondo della casa d'abitazione del dante causa mutava il titolo della relazione di fatto con il bene da parte degli eredi del detentore. La Corte territoriale negava però il risarcimento del danno da illegittima occupazione de cespite. I ricorrenti in via incidentale (eredi aventi causa degli originari comproprietari) contestano la decisione della Corte d'appello di rigetto della domanda con cui era stato chiesto il risarcimento del danno per l'occupazione illegittima, da liquidarsi, peraltro, in separato giudizio. La Suprema Corte, nel respingere il ricorso principale proposto dai soccombenti in secondo grado, ha accolto quello incidentale ricordando, in proposito, che in base ad una costante giurisprudenza di legittimità va riconosciuto il diritto del proprietario al risarcimento del danno – che è in re ipsa – perché determinato dalla mancata disponibilità del cespite utilizzabile secondo un criterio di normalità. Infatti, nel caso di occupazione senza titolo di un immobile, l'esistenza di un danno subito dal proprietario va presunto, in base all'utilità normalmente conseguibile attraverso l'esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene, insite nel diritto dominicale. Si tratta di una presunzione iuris tantum, destinata ad essere elisa solo ove emerga positivamente che il proprietario si sia intenzionalmente disinteressato dell'immobile dismettendolo.
In motivazione «La giurisprudenza di questa Corte ha affermato che nel caso di occupazione senza titolo di un immobile, l'esistenza di un danno in re ipsa subito dal proprietario, sul presupposto dell'utilità normalmente conseguibile nell'esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità del bene insite nel diritto dominicale, costituisce oggetto di una presunzione iuris tantum, che non opera ove risulti positivamente accertato che il dominus si sia intenzionalmente disinteressato dell'immobile ed abbia omesso di esercitare su di esso ogni forma di utilizzazione (Cass. n. 14222/2012)». La questione
La questione in esame è la seguente: accertato che per oltre un quarantennio il ricorrente ha avuto la disponibilità del bene costruendo una casa di abitazione ed altri fabbricati, laddove non emerga alcun prova di atti riconoscibili e diretti alla c.d. interversio possessionis, dette opere non sono idonee ad affermare il possesso utile ad usucapionem perché la mera tolleranza della parte proprietaria non comporta la dismissione delle facoltà dominicali laddove questa alleghi che la disponibilità del cespite - originariamente concesso per il pascolo del bestiame - era piuttosto legata alla reciproca collaborazione, tale da escludere il possesso utile ai fini di cui sopra ed in difetto di atti idonei a mutare l'atteggiamento psicologico del detentore. Per contro, l'indisponibilità del fondo giustifica il risarcimento del danno che è in re ipsa ossia presunto iuris tantum per la compressione delle facoltà dominicali che ne consegue. Le soluzioni giuridiche
Come noto, la ricostruzione sistematica del possesso utile per l'acquisto della proprietà e degli altri diritti reali fa leva sul corpus possessionis (elemento reale), parametrato all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale, nonché sull'atteggiamento mentale del preteso acquirente a titolo originale del diritto che s'identifica con l'animus possidendi, ossia con la volontà di tenere il bene con l'atteggiamento del proprietario, il che identifica bene la linea di demarcazione tra possesso e mera detenzione perché, laddove vi sia disponibilità materiale della cosa e il soggetto riconosca l'esistenza del possesso altrui (laudatio possessionis) si avrà solo detenzione e non possesso utile ai fini dell'usucapione. Inoltre, la detenzione qualificata, è tale se esercitata nell'interesse proprio, come accade nella locazione, ovvero non qualificata, perché esercitata per interesse alieno, come nel caso del contratto di custodia. L'atto d'interversione qualifica, perciò, il mutamento dell'animus del detentore che cessa di riconoscere l'altrui signoria sul bene e si comporta da proprietario, tutto ciò a condizione che tale modifica dell'atteggiamento psicologico sia esteriorizzabile: il che può avvenire o in via oppositiva o attraverso la collaborazione di un terzo che trasferisca il possesso nella sua pienezza al detentore. Ora, nel caso di specie, la Suprema Corte assume che pur avendo i pretesi usucapenti, in un arco di tempo di oltre quarant'anni, fruito del fondo e realizzato su di esso opere stabili, quali l'edificazione di tre case di abitazione unitamente all'attività di allevamento, essi non possono vantare l'estrinsecazione di un potere autonomo sulla res, tale da assumere valenza giuridica ai fini del possesso uti dominus, utile ai fini dell'usucapione. Conclusioni
Nel caso di specie la Corte ha escluso, pertanto, un possesso valido ai fini dell'usucapione ritenendo che nessun possesso idoneo ai fini dell'usucapione è sorto, sia pure in un arco di tempo apprezzabile come 40 anni . Sulla questione del risarcimento del danno la Corte ha fatto propria quella giurisprudenza che ha sempre affermato che la prova del danno derivante dall'illegittima detenzione di un ben immobile può giovarsi di parametri presuntivi semplici che consistono nell'accertamento del c.d. danno figurativo verificabile alla luce del valore locativo del cespite detenuto senza titolo. In sostanza il Giudice conforma il giudizio probabilistico alla normale facoltà di godimento del proprietario sul bene, potere che risulta indubbiamente compresso nella sua ordinaria utilità a causa dell'usurpazione. Tale principio prende le mosse dall'art. 820 c.c. che definisce come frutti civili quelli che si traggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia e, tra questi, va ricompreso anche il canone di locazione. Da ciò consegue che l'elisione di ogni fruttuosità del cespite si riverbera necessariamente in quella diminuzione patrimoniale che scaturisce nel pregiudizio da risarcire, (Cass. n. 11146/2015; Cass., 8 maggio 2006, n. 10489; Cass., 29 gennaio 2003, n. 1294). In sostanza, il concetto di danno in re ipsa non esime il soggetto usurpato dall'onere probatorio sull'an, salva poi la dimostrazione del danno in concreto patito nella determinazione del quantum. Insomma, quando si parla di danno in re ipsa, occorre avere presente che esso, secondo criteri di normalità, è presente nell'illegittima detenzione e che esso, attraverso la c.d aestimatio, può essere facilmente desunto dalla lesione in rapporto alla normale capacità del cespite a produrre un reddito: Cass. n. 3223/2011; Cass. n. 10489/2006; Cass. n. 1507/2006; Cass. n. 129/2003; Cass. n. 13630/2001; Cass. n. 649/2000; Cass. n. 1373/1999). |